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Pubblicità per il progresso sociale UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL AQUILA TESI DI LAUREA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

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U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DELL ’A QUILA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

C ORSO DI LAUREA IN C ULTURE PER LA C OMUNICAZIONE

T ESI DI L AUREA

Pubblicità per il progresso sociale

Relatore

:

Mario Di Gregorio

Laureando:

Nicola Palumbo Matricola

166352

Anno Accademico 2008 - 2009

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” I limiti, come le paure, sono soltanto illusioni ”

Michael Jordan

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Indice

Introduzione ... 5

CAPITOLO PRIMO ... 7

La nascita della pubblicità moderna ... 7

1. La pubblicità in Italia ... 9

2. La radio e lo sviluppo dello slogan ... 13

3. La pubblicità in Italia dopo la guerra ... 16

4. L’avvento della televisione ... 21

5. Carosello: La pubblicità è arrivata in Tv ... 23

CAPITOLO SECONDO ... 28

La Persuasione pubblicitaria ... 28

1. Persuadere: un arte antica ... 29

2. Persuasione e pubblicità ... 33

2.1. La fonte ... 34

2.2. La struttura del messaggio ... 36

2.3. Il ricevente ... 37

3. La pubblicità e i bambini ... 39

4. La persuasione subliminale è possibile? ... 40

CAPITOLO TERZO ... 42

Lo sviluppo della Pubblicità Non-Profit ... 42

1. Pubblicità Sociale ... 43

2. I soggetti della pubblicità sociale ... 45

2.1. I pubblici poteri ... 45

2.2. Le organizzazioni non profit ... 46

2.3. I privati ... 47

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3. Le difficoltà della pubblicità sociale ... 48

4. Nascita e sviluppo di “Pubblicità Progresso” ... 52

5. I temi trattati ... 55

6. I criteri di scelta ... 56

6.1. Il vasto richiamo ... 57

6.2. L’interesse universale ... 58

6.3. L’interesse dei promotori ... 59

6.4. La continuità del tema ... 61

7. Pubblicità Progresso e lo stato ... 62

8. La pubblicità pubblica ... 63

9. Lo stato e la pubblicità pubblica ... 64

9.1. L’Amministrazione che educa ... 66

9.2. L’amministrazione che informa ... 67

9.3. L’amministrazione che si promuove ... 68

CAPITOLO QUARTO ... 70

La pubblicità per la prevenzione ... 70

1. La pubblicità sociale e le campagne per la prevenzione ... 70

2. L’appello alla paura ... 74

Conclusioni ... 78

Bibliografia ... 79

Ringraziamenti ... 83

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Introduzione

La pubblicità si è sviluppata essenzialmente come strumento di comunicazione delle imprese industriali e commerciali. Ciò ha condotto alla convinzione, errata, che questi fossero gli unici suoi ambiti di applicazione. In realtà, con gli opportuni adattamenti, essa può essere utilizzata anche da soggetti non economici, pubblici e privati, con finalità di natura diversa.

E’ per questo motivo che ho deciso di concentrare la mia attenzione verso un genere di pubblicità “più nobile”, che non ha lo scopo di vendere prodotti o servizi, ma è diretta alla promozione e diffusione di valori per il miglioramento della società:

stiamo parlando della pubblicità sociale.

Il presente lavoro si occupa, appunto, del tema della pubblicità sociale, ed in particolar modo, analizza le campagne sociali sulla prevenzione. Per poter approfondire questo argomento, ho ritenuto opportuno intraprendere un ampio percorso, partendo dalla nascita della pubblicità. Il primo capitolo, infatti, è dedicato al fenomeno della pubblicità commerciale, in una prospettiva storica, con l'obiettivo di delineare la situazione italiana prima e dopo la guerra: dalle prime forme su carta stampata, passando attraverso la radio e gli slogan, fino ad arrivare al boom della televisione, che rappresenta uno straordinario motore di modernizzazione. Il capitolo si conclude con un analisi delle caratteristiche di Carosello, la rubrica televisiva interamente dedicata alla pubblicità, che sancisce il debutto di quest’ ultima nella televisione italiana.

Il secondo capitolo, invece, si concentra sulle tematiche della persuasione pubblicitaria, di cui la pubblicità costituisce una delle espressioni più tipiche. Anche in questo caso ho scelto di utilizzare una prospettiva storica, esaminando le prime forme di persuasione elaborate dai due pionieri del campo: Kurt Lewin e Carl Hovland. Successivamente, ho approfondito il pensiero dello psicologo americano William McGuire, e gli studi di Richard Petty e John Cacioppo, che compongono una delle teorie attualmente più accreditate: il modello della probabilità di elaborazione. Infine, ho cercato di mettere in evidenza il rapporto tra pubblicità e

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6 persuasione, esaminando il tema della persuasione subliminale.

Il terzo è il capitolo più significativo della mia tesi. In esso ho cercato di definire il fenomeno della pubblicità non profit, che in Italia si è imposto negli anni Settanta, in un periodo di crisi economica e di forti contestazioni verso la società dei consumi e verso la pubblicità in particolare. La prima parte del capitolo è rappresentata dalla pubblicità sociale, certamente la più nota forma di pubblicità non commerciale. Essa è nata e si è sviluppata per iniziativa di organismi privati, i quali si sono posti l’obiettivo di adottare le tecniche pubblicitarie per creare e ampliare l’area di consenso su tematiche di pubblica utilità nell’interesse collettivo. Successivamente mi sono concentrato sull’esperienza di Pubblicità Progresso, l’istituzione voluta dalla pubblicità italiana nelle sue diverse articolazioni, per promuovere campagne aventi finalità sociali. Essa rappresenta una tappa importante, forse la più importante, dell’impiego della pubblicità per finalità di pubblica utilità. Quindi, ho introdotto i temi trattati da codesta associazione, e i criteri fondamentali per la scelta di tali temi.

Il capitolo si conclude sottolineando l’importanza della Pubblicità Pubblica, che ha il compito di rendere trasparenti le attività dell'Amministrazione Pubblica.

Il quarto capitolo, infine, descrive le caratteristiche delle campagne per la prevenzione. La maggior parte delle campagne pubblicitarie di tipo sociale può essere ricondotta al tema della prevenzione di comportamenti cosiddetti a “rischio”.

Purtroppo, l’idea intuitiva, secondo la quale un’informazione corretta induce le persone a modificare il comportamento in direzione coerente con le nuove informazioni, non risulta sempre sostenuta dai fatti. E’ per questo, che, nell’ultima parte della tesi ho esaminato il ricorso alla paura. Quando la persuasione ha come obiettivo quello di indurre pratiche sane di vita, quando cioè riguarda l’ambito della salute, viene sovente utilizzata una strategia che fa ricorso all’attivazione di paure.

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CAPITOLO PRIMO

La nascita della pubblicità moderna

Oggetto di questo capitolo è la Pubblicità moderna, che presenta aspetti ben lontani dalle sue forme primitive, risalenti alle prime attività di scambio diretto tra gli uomini, quindi essenzialmente alle esigenze di far conoscere le merci disponibili per il baratto1.

La nascita della pubblicità moderna è strettamente legata all’avvento del sistema produttivo industriale e alle grandi innovazioni strutturali che hanno modificato radicalmente l’assetto economico a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Produzione e vendita di massa obbligano le aziende a fare ricorso alla pubblicità per raggiungere i consumatori, sempre più distaccati dai luoghi di produzione, per far conoscere loro i prodotti, per creare un mercato di proporzioni analoghe ai volumi produttivi e orientarlo attraverso una serie di interventi tra i quali, appunto, la comunicazione. Strumenti ideali per le esigenze di comunicazione delle imprese sono i mass media, il cui prodigioso sviluppo è strettamente connesso agli stessi fattori da cui è scaturito il nuovo volto dell’economia moderna.

Le prime forme documentabili di inserzioni pubblicitarie sulla stampa risalgono al 1630, con la creazione a Parigi, da parte di Thèophraste Renaudot , del

“Bureau d’Adresse ” , la prima agenzia di piccoli annunci. Lo stesso Renaudot cominciò poi ad ospitare annunci pubblicitari su “ La Gazzette” ( poi “Gazzette de France” ) da lui fondata nel 1631. Ma è nel momento in cui la comunicazione di massa si afferma come tale che la pubblicità assume il suo volto moderno, diventandone una componente indissolubile, per sua capacità di contribuire con grande efficacia alla creazione della domanda di massa. Appare, quindi, evidente l’aspetto economico della pubblicità nella vita delle imprese: integrarne l’attività

1 Cfr. ZANACCHI ADRIANO, La pubblicità,potere di mercato, responsabilità sociali, Lupetti editore, 1999.

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8 creando un collegamento efficace col mondo del consumo, capace di far conoscere ciò che esse offrono sul mercato e di stimolare quantità e continuità della domanda in rapporto alle loro capacità produttive. Dopo l’avvio che avrebbe visto in Renaudot un pioniere assoluto, l’intesa tra pubblicità e stampa crebbe rapidamente; si ritiene che sia stato Emile De Girardin a consacrarla in modo sistematico, seguendo un principio secondo cui era dovere dell’inserzionista pagare il giornale; questa è appunto la genesi della pubblicità moderna. E se oggi essa è per molti sinonimo di euforia, di gioia di vivere, di successo, la sua nascita è legata ad una coraggiosa sfida intrapresa, appunto, dal giovane De Girardin2 di inserire regolarmente i messaggi commerciali nel suo giornale. Questi è il primo che intuisce che l’apporto degli introiti pubblicitari può consentire la parziale copertura dei costi e la drastica riduzione del prezzo di vendita. Abbattendo così il costo dell’abbonamento, egli inventa un “circolo virtuoso” che consente di favorire la diffusione del giornale, di accrescerne il valore come veicolo pubblicitario, di aumentare i guadagni, e con questi anche gli utili dell’impresa. E’ in questo modo che la pubblicità si avvia a diventare un elemento essenziale nella vita delle aziende editoriali, e successivamente di quelle radiofoniche e televisive. Con la storica decisione di Emile De Girardin comincia un sistematico e sempre più stretto rapporto tra pubblicità e grandi strumenti di comunicazione: nasce così il giornale di massa, primo atto del grande fenomeno della comunicazione di massa che sarà poi alimentato da altri grandi strumenti, soprattutto dalla radio e dalla televisione, destinato a dominare la vita della società contemporanea. E attraverso tali strumenti anche la pubblicità si affermerà come fenomeno di massa.

Giornale di massa e pubblicità moderna, in realtà, nascono assieme, nel momento in cui l’evoluzione scientifica, tecnica ed economica aprono una nuova epoca nella storia dell’umanità. La pubblicità moderna costituisce, infatti, una naturale conseguenza del sistema produttivo industriale e della moderna economia di mercato, della produzione e della vendita di massa, delle grandi innovazioni strutturali che hanno modificato radicalmente l’assetto economico a partire dalla seconda metà del XIX secolo.

2 Siamo in Francia, nel luglio del 1836, dove Emile De Girardin, giornalista-editore, ha da poco fondato un quotidiano che si intitola “ La Presse”.

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9 Nelle epoche passate, la pubblicità come oggi è concepita era impossibile per la mancanza dei grandi mezzi di comunicazione e delle stesse tecniche di realizzazione dei messaggi, ma soprattutto non era necessaria. Nel momento in cui la produzione e la vendita diventano “di massa”, con un enorme ampliamento delle economie nazionali e mondiali ed infiniti compratori, le aziende sono obbligate a fare ricorso alla pubblicità come mezzo di informazione e di pressione per raggiungere direttamente i consumatori. Tutto ciò trasforma la pubblicità da strumento marginale a elemento indispensabile della strategia imprenditoriale.

1. La pubblicità in Italia

In Italia, nella prima parte del XX secolo, la presenza e il ruolo della pubblicità non erano certo stati secondari. I forti legami con le avanguardie artistiche e con la sperimentazione legata al design, il rapporto intenso e produttivo con la radio, l’uso delle tecniche pubblicitarie da parte del regime fascista hanno costituito certamente dei momenti di evoluzione e di sviluppo. Già sul finire dell’Ottocento, anche in Italia, le tecniche di stampa erano sufficientemente progredite da consentire la nascita di riviste e di officine grafiche altamente specializzate, capaci anche di stampe di grandi dimensioni. Fino ad allora, la Rèclame3 aveva trovato spazio soprattutto sui giornali e sui periodici e, per quanto si trattasse di un settore ancora giovane, iniziava già a delinearsi una certa articolazione del mestiere che passava soprattutto per la concessionarie pubblicitarie4, le quali, oltre a vendere spazi sulle pubblicazioni, offrivano ai clienti anche il servizio creativo, avvalendosi della collaborazione di giornalisti, scrittori e illustratori5. In altri paesi, soprattutto in

3 Termine attualmente adoperato per indicare la pubblicità ottocentesca e del primo Novecento. Verso la metà del XIX secolo, la parola rèclame, affidandosi quasi sinonimicamente al termine francese publicitè, all’inglese advertising, all’italiano pubblicità, iniziò ad essere impiegata non solo in Francia ma anche negli altri paesi europei per designare la comunicazione persuasiva a fini commerciali.

4 La prima concessionaria, attiva ancora oggi, fu fondata a Milano da Attilio Manzoni nel 1863.

5 Cfr. ABRUZZESE ALBERTO e COLOMBO FAUSTO, Dizionario della Pubblicità. Storia tecniche e personaggi. Zanichelli editore, 2002.

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10 Francia, già da diverso tempo si era affermato il manifesto come principale strumento di comunicazione pubblicitaria. Strettamente connesso allo sviluppo delle metropoli che andavano progressivamente modificando e ampliando lo spazio sociale degli individui, esso si inseriva perfettamente nel contesto urbano, andandone a modificare lo spazio e la struttura abituale e creando un forte elemento di attrazione anche in virtù del fascino esercitato dal colore. Esso aveva inoltre assunto una forma propria, trovando nella stilizzazione delle immagini e nell’armonizzazione di queste con il testo verbale, costituito da frasi molto brevi o da titoli, i propri elementi peculiari.

Non si trattava più di quadri stradali, ma di nuovi soggetti comunicativi, ideati e creati per inserirsi nella scena della città, per interagire con essa. L’eco del grande successo del nuovo strumento pubblicitario arrivò anche in Italia e ben presto iniziò a diffondersi e a divenire in breve tempo una forma di comunicazione molto sviluppata e con caratteristiche proprie, soprattutto per merito delle officine grafiche Ricordi di Milano, che nel 1890 costituirono la Sezione creazione e stampa manifesti, la quale strinse relazioni frequenti e costanti con i migliori e più attivi cartellonisti italiani.

Nel 1903, Leonetto Cappiello realizzò per il cioccolatino Klaus un manifesto molto particolare, dotato di una decisa originalità e di una forte carica innovativa. Egli non si limitò a progettare soltanto qualcosa capace di attirare l’attenzione del pubblico, grazie al sapiente gioco di contrasti cromatici e dei chiaroscuri, ma creò anche una nuova modalità espressiva che comunicava attraverso una sola immagine l’essenza stessa del prodotto e la rendeva memorabile. E’ il “manifesto marchio”, una concezione straordinariamente avanzata del cartellone pubblicitario, tanto utilizzata da divenire in seguito un format caratterizzante della grafica pubblicitaria italiana6.

Se i manifesti di inizio secolo risentivano delle influenze delle principali tendenze artistiche dell’epoca, fu il movimento futurista a intuire pienamente le potenzialità della pubblicità, giungendo a teorizzarne l’innovatività e ad assumerla come forma artistica, l’unica in grado con la sua spavalda e ottimistica gioiosità di marciare al passo dell’industria, della scienza, della politica e della moda.

6 Cfr. Fig.1

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11 Fig.1. Manifesto pubblicitario del Cioccolato Klaus di Leonetto Cappiello

Fu certamente Depero la figura che maggiormente intrecciò, in maniera sempre più stretta ed articolata, il proprio percorso di artista con la pubblicità. Già attraverso il lavoro compiuto con la Casa d’arte futurista, una sorta di agenzia creativa da lui fondata nel 1919, si era distinto per la capacità di creare messaggi dotati di grande originalità e inventiva. Ma fu grazie all’incontro e alla proficua collaborazione che ne derivò con Davide Campari, che egli ebbe modo di affinare la propria competenza e tecnica pubblicitaria e di esprimere pienamente una spiccata sensibilità espressiva.

Essa si esprimeva attraverso forme geometriche e insieme trasformabili, sempre in preda alla metamorfosi e alla combinatoria, dove anche la parola subiva il medesimo trattamento. A partire dagli anni Venti, Depero assunse un ruolo sempre più importante nelle strategie comunicative della Campari, estendendo poco alla volta il proprio territorio di intervento dall’elaborazione della cartellonistica, al packaging del prodotto finito alla progettazione dei distributori automatici di bibite e all’ideazione di oggetti d’arte sponsorizzabili7.

7 Cfr. Fig.2.

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12 Le strette relazioni fra industria e artisti furono una costante nella rèclame italiana dell’anteguerra. Oltre Campari, altre imprese legarono il proprio marchio al lavoro degli artisti, finanziandone in toto o in parte l’attività in cambio di creatività per i propri prodotti. Tale legame permise all’industria di utilizzare in maniera assai estesa la potenzialità creativa dell’artista.

Fig.2. La pubblicità “Campari” realizzata da Fortunato Depero

Una tale e tanto estesa collaborazione favorì la crescita costante di tutto il comparto pubblicitario, nonché l’affermazione di una primitiva ma, per l’epoca quasi rivoluzionaria, concezione globale della comunicazione d’impresa, per cui tutti gli elementi di contatto e di relazione con il pubblico dovevano essere concepiti secondo una logica coordinata, tale da rafforzare la memorizzazione dei marchi e dei prodotti, e in particolare, capace di calare questi ultimi sempre più nel panorama della quotidianità e di fissarli nell’immaginario. Infatti, accanto all’utilizzo dei tradizionali strumenti della comunicazione pubblicitaria, assunsero particolare rilievo sia la cura della confezione dei prodotti, sia l’utilizzo di quelli che oggi chiameremo gadget, oggetti che invadono lo spazio quotidiano.

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13 A partire dagli anni Venti e per tutto il decennio successivo, la pubblicità italiana tende a una progressiva professionalizzazione. Iniziò a manifestarsi anche in Italia una certa attenzione alle prime rudimentali tecniche di marketing di matrice anglosassone e soprattutto, agli studi e alle ricerche psicologiche che, iniziando a svelare i meccanismi della mente umana, offrivano alle aziende e ai creativi la possibilità concreta di operare una pressione persuasoria di stimolo d’acquisto.

Contemporaneamente anche le botteghe artistiche nate per prima nei primi anni del secolo si trasformavano e assumevano una forma che poco alla volta le condusse verso il modello di agenzia americana.

Dopo una prima fase monopolizzata dal manifesto, la parola in forma creativa iniziò ad assumere peso nella comunicazione pubblicitaria anche grazie all’attenzione che ad essa dedicarono i futuristi, che nelle loro elaborazioni teoriche arrivarono ad equiparare la parola pubblicità con la forma più elevata di poesia;

“esaltare un prodotto industriale con lo stesso stato d’animo con cui si esaltano gli occhi di una donna” .

2. La radio e lo sviluppo dello slogan

Per quanto alcuni esempi interessanti esistano già negli anni antecedenti la prima guerra mondiale, la nascita dello slogan può essere data nel 1919, quando Cesare Dal Monte istituì un concorso a premi per trovare la frase adatta a promuovere il dentifricio Kerikol, dove vince : “A dir le mie virtù basta un sorriso” . Lo slogan di Kerikol accompagnò il prodotto per quasi venti anni, e diventò la prima frase pubblicitaria assunta dal linguaggio comune. Naturalmente, all’affermazione dello slogan, e soprattutto alla sua ampia circolazione sul territorio nazionale, contribuirono in maniera determinante la radio, le cui trasmissioni iniziarono il 6 ottobre 1924. Nel 1926 la Uri8 fondò la Sipra con lo scopo di reperire ulteriori finanziamenti attraverso la rèclame. Il grande successo della radio consentì alla pubblicità di affinare l’uso della parola che progressivamente assunse forme sempre

8 Unione radiofonica italiana, trasformata in Eiar nel 1928 e in Rai subito dopo la guerra.

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14 più creative e divenne oggetto di sperimentazioni linguistiche, tese a generare un senso di sorpresa e di straniamento nel pubblico, come ad esempio l’uso transitivo dei verbi intransitivi, inaugurato nel 1936 dallo slogan “brigate Gancia”. Sotto il profilo creativo, il debutto della pubblicità in radio era stato tutt’altro che efficace.

I primi audio comunicati, infatti, si caratterizzarono per un linguaggio sintetico, teso ad escludere divagazioni. Per lo più si trattava di rèclame a carattere locale, e un uso diffuso e costante della rima che tendeva ad assolvere una funzione di memorizzazione e una modalità di familiarità con i prodotti al fine di suscitare simpatia verso di essi. Ad esempio :

“Se d’affanni e di malanni non si sente più novella, se ciascun sorride lieto e la vita trova bella, se ragione misteriosa a gioir ciascun appella, questa è l’ora senza pari, questa è l’ora del Campari” 9.

Si trattava per lo più di espressioni e di affermazioni, in parte ingenue e in parte roboanti, fondate su una tecnica di imbonimento dove l’enfasi era posta sull’intonazione e sul nome del prodotto. Fu una prima fase di rodaggio che durò fino agli albori degli anni Trenta, quando anche in Italia venne introdotta la sponsorizzazione dei programmi, mutuando l’esempio americano, seppur con sistemi differenti che prevedevano non la totale realizzazione dei programmi da parte delle aziende, bensì una stretta collaborazione fra esse e l’ente radiofonico. I comunicati diventarono più complessi, in parte assunsero la forma di piccole sceneggiature utili a creare situazioni e scenette. La prima sponsorizzazione esordì il 28 novembre 1930 quando Buitoni–Perugina offrì il programma Eccezionale Varietà. Negli anni successivi tutte le più grandi aziende legarono il proprio nome a diversi programmi.

In quello stesso decennio la pubblicità radiofonica sperimentò anche le potenzialità del sonoro attraverso l’uso della musica e dei rumori che accompagnano i testi, al fine di favorire la memorizzazione e di generare un maggior senso di suggestione o di verosimiglianza attraverso l’evocazione di situazioni e di

9 Cfr. PITTERI DANIELE, La pubblicità in Italia, Editori Laterza, 2002.

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15 ambientazioni note o particolari. Ma furono soprattutto le sigle e i jingle a raccogliere i favori del pubblico, canzonette costruite apposta per promuovere i prodotti che strizzavano l’occhio ai motivi di successo di quegli anni o addirittura ne riutilizzavano le melodie. La prima pubblicità in musica apparve nel 1927, cui fecero poi seguito quelle di una miriade di prodotti. Il regime fascista comprese subito l’enorme potenzialità della radio, cosi come, sin dalla sua nascita, fece ricorso a tutte le tecniche retoriche e di persuasione utilizzate dalla pubblicità, al fine di ottenere maggior presa sulla popolazione. Se durante tutto il Ventennio l’uso di slogan propagandistici fu una costante, solo negli anni Trenta l’utilizzo dei tradizionali strumenti pubblicitari si intensificò, al fine di sostenere la campagna del regime, le iniziative del governo e, soprattutto, la promozione di quel concetto di autarchia che caratterizzò la propaganda di tutto il decennio e che serviva a favorire l’esaltazione e il consumo dei prodotti italiani10 .

Fig.3. Uso degli strumenti pubblicitari durante il fascismo

E’ in questa particolarità che deve essere ricercata la ragione che spinse progressivamente la maggior parte delle aziende ad assumere nelle proprie campagne pubblicitarie gli stessi concetti, gli stessi toni di voce, gli stessi grafici utilizzati dallo

10 Cfr. Fig.3.

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16 Stato fascista. Appare evidente che, soprattutto negli anni immediatamente la guerra, il linguaggio pubblicitario, la ricerca e la sperimentazione linguistica, gli stili della grafica e dell’illustrazione subirono una generale battuta d’arresto, che generò un appiattimento diffuso e l’impoverimento di una disciplina che invece aveva saputo seguire una propria logica di sviluppo molto interessante. E’ altrettanto evidente, infatti, non solo che quello pubblicitario era un settore abbastanza sviluppato e dinamico, ma anche che già prima della guerra era lecito parlare di una specificità italiana. Per quanto dotata di identità propria, la rèclame italiana aveva vissuto fino alla guerra in una sfera di alto artigianato, senza riuscire ad avvicinarsi a quel modello di servizio industriale, che oltre Manica e oltre Atlantico aveva invece già assunto una fisionomia abbastanza precisa e determinata.

3. La pubblicità in Italia dopo la guerra

Che la pubblicità italiana dopo la guerra rinascesse, parimenti all’industria, con modalità rinnovate appare subito evidente. Nonostante nei primissimi tempi la cartellonistica conservi una forte centralità, e i legami e le parentele con l’arte non solo permangono ma continuano a ricoprire un ruolo fondamentale, già a partire dal 1946 si intravede un certo dinamismo. Ma è soprattutto sul versante dell’organizzazione aziendale che si registrano i primi interessanti cambiamenti, con l’apertura di parecchi nuovi studi pubblicitari e con l’arrivo in Italia delle grandi agenzie anglosassoni.

L’arrivo massiccio delle agenzie americane negli anni a cavallo fra il ’48 e il

’52 non pare, infatti, essere giustificato dall’andamento ancora debole del mercato italiano, nonostante quell’arrivo si inserisse in un approdo generalizzato delle agenzie in Europa e nonostante esse promuovessero inizialmente solo prodotti statunitensi. A fianco alle relazioni diplomatiche, oltre al condizionamento degli aiuti monetari e ad una lotta decisa al consumismo , gli Stati Uniti operano sull’Italia una pressione di tipo sociale-culturale. Il Piano Marshall, infatti, oltre ad essere stato un

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17 aiuto decisivo per la ripresa delle economie europee, è stato anche il veicolo di quel sistema di valori di natura sociale ed economica statunitensi, che, in qualche modo hanno condizionato la modernizzazione delle società occidentali. Naturalmente, ha avuto miglior penetrazione laddove, come in Italia, il tessuto socio-economico si presentava vulnerabile, arretrato, condizionato da nei antichi.

In questo quadro di sviluppo, le agenzie di pubblicità americane hanno generalmente ricoperto un ruolo fondamentale, da un lato rappresentavano gli interessi delle grandi imprese d’oltreoceano, dall’altro introducendo tecniche e modalità operative nuove sul versante della struttura aziendale e della gestione del mercato, quindi, della realizzazione con i consumatori. Questo ruolo di ambasciatrici di un modello e di un sistema socio-culturale è vissuto in modo assolutamente consapevole dalle agenzie americane, tanto che nei primi anni Cinquanta

“Advertising Age”, la pubblicazione periodica dell’associazione pubblicitaria americana, riconosce ed esse un ruolo diplomatico ufficioso, essendo capaci di rappresentare e di esportare gli stili di vita del proprio paese in modo più realistico e più efficace delle ambasciate e del Dipartimento di Stato.11

Negli anni Trenta la concezione del mercato si era trasformata radicalmente quando i modelli di evoluzione degli scambi prospettati dagli economisti si erano dimostrati vulnerabili ed estremamente fallaci. Alla centralità dell’ideologia produttivistica, si era sostituito un capitalismo della distribuzione, perché gli imprenditori avevano preso coscienza di un fatto: che produrre e vendere sono obiettivi industriali organicamente collegati e che l’offerta dei beni deve essere equilibrata sulla base della struttura della domanda. Questa nuova consapevolezza aveva dato luogo nell’industria a un modo completamente diverso di operare:

rafforzare le funzioni commerciali, porre maggiore attenzione all’ottica del consumatore. In un contesto di mercato di tal genere, anche il ruolo e le funzioni dell’agenzia di pubblicità si sono evolute. La campagna pubblicitaria diviene soltanto una fase di un più ampio processo commerciale, e il messaggio pubblicitario, un tramite tra il produttore e consumatore che dà origine a un circuito informativo all’interno del quale essi giocano alternativamente il ruolo di emittente e di destinatario. La gestione di una campagna richiede una struttura complessa, le cui

11 Cfr. MATTELART ARMAND , L’Invenzione della comunicazione,Saggiatore editore,1998.

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18 doti principali non risiedono più esclusivamente nella capacità creativa, ma soprattutto in quella di coordinamento di attività certamente complementari. Nella stessa impresa, convivono difatti il servizio di ricerca e lo studio d’arte, la gestione dei budget e la redazione degli annunci, l’acquisto di spazio pubblicitario e la fabbricazione di materiale promozionale.

A partire dagli anni Cinquanta, anche l’agenzia di pubblicità diventa luogo diffuso e delocalizzato del lavoro di produzione dell’immaginario collettivo. Ci troviamo di fronte ad un mercato molto dinamico, estremamente diversificato, e variabile nei diversi settori, quindi in trepidazione 12. I pubblicitari italiani, tuttavia, pur ampliando le proprie specificità e aprendosi a una logica più articolata e attenta al mercato, negli anni immediatamente seguenti la guerra , continuano a preferire strutture piccole e agibili, ancora fortemente centrate sulla figura del fondatore, dove l’aspetto creativo continua a prevalere. Anche se, a differenza del passato, l’applicazione creativa inizia ad abbracciare contesti sempre più vasti, inventando dunque modalità creative di fare marketing o modalità nuove di utilizzare i media e le tecniche ad essi legate. Una direzione che si rivelerà particolarmente utile, dapprima nel corso degli anni Sessanta, quando le strutture pubblicitarie si troveranno ad agire in un mercato bloccato e condizionato dalla politica, successivamente, negli anni Settanta, quando dovranno rispondere alle esigenze comunicative delle piccole imprese dai budget molto limitati. Circostanze che consentiranno loro di “professionalizzarsi” sul versante del below the line (promozioni, eventi, sponsorizzazioni). I segni di rinnovamento della pubblicità italiana non si leggono solo sul versante della struttura aziendale e delle modalità operative e strategiche, ma anche su quello linguistico ed espressivo. Nell’immediato dopoguerra, l’ambiente dell’arte si allontana dallo specifico pubblicitario, quasi a voler ribadire quella differenza fra arte pura e arte applicata.

Fra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, si sviluppa in tutta Europa un acceso dibattito su quella che viene definita arte popolare, tutto ciò che ha a che vedere con la cultura urbana di massa. La pubblicità diviene uno dei temi centrali di tale dibattito, perché è l’essenza dell’esaltazione che di se stessa fa la

12 Cfr. RAGONE-LAURENZI, Analogie. Introduzione al linguaggio della pubblicità,Liguori editore, 2001.

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19 società dei consumi. Ma tutti i movimenti artistici si confrontano con essa, sono costretti ad affrontarsi con essa, perché

“ la rottura delle frontiere fra le diverse arti e le diverse tecniche, comporta per tutti il confronto” 13.

Dal punto di vista teorico, l’atteggiamento si focalizza su due posizioni. Una è di apertura, l’altra è di totale rifiuto. Della prima si fa in qualche modo portavoce L’Indipendent Group, un movimento di artisti, designer, critici d’arte formatosi all’interno dell’Institute of Contemporary Art di Londra, secondo cui l’approccio non è di studio e di critica, ma di accettazione. La seconda è espressa da alcuni teorici di punta del pensiero marxista, che proprio per segnare una linea di demarcazione netta con la cultura di massa, coniano con l’accettazione negativa l’espressione industria culturale. L’artista cambia ruolo e cambia la sua relazione con la pubblicità. Essa, è già di per se stessa una forma espressiva autosufficiente, è un linguaggio con una propria sintassi e con una propria grammatica autonome, che certamente attinge anche ai linguaggi dell’arte, del cinema, dei media, ma li trasforma, li adatta e li rifonda, generando qualcosa di nuovo e di diverso da essi.

Anche la pubblicità si interroga sul proprio rapporto con l’arte. Tendono a contrapporsi due visioni differenti, l’una ancora percossa dal dilemma industriale fra cultura d’autore e cultura di massa; l’altra incline a formulare nuovi linguaggi per una società complessa, diffusa14. Il dibattito si accende attorno al ruolo del manifesto, che nel secondo dopoguerra entra palesemente in crisi, sospinto dall’arrivo delle agenzie di modello americano, dalla nascita di nuovi media, soprattutto dalla trasformazione urbana, dal mutamento stesso del concetto di città e dalla ridefinizione radicale degli spazi di socializzazione interni ad essa. Il manifesto pubblicitario è una parte stessa della metropoli, è uno degli ingranaggi della civiltà metropolitana. Al mutare della città, muta anche il manifesto.

13 Cfr. GRAZIOLI ELIO, Arte e pubblicità,Mondatori editore,2001.

14 Cfr. ABRUZZESE ALBERTO, Archeologie dell’immaginario. Segmenti dell’industria culturale tra ‘800 e ‘900, Liguori editore, 1988.

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20 Essendo mutato lo spazio di interazione fra pubblico e produttori, essendosi moltiplicati i modelli culturali, sorge un interrogativo: la pubblicità deve liberarsi dal rapporto con l’arte e affidarsi alla tecniche sofisticate di marketing? o può ancora trovare nella sensibilità dell’artista elementi di divulgazione e di comunicazione efficaci? E’ Armando Testa, un pittore, a fornire una risposta. Il creativo contemporaneo non deve pensare il manifesto per il territorio della città, bensì per il territorio dei media, deve congiungerlo ai flussi di informazione, scioglierlo nella moltiplicazione delle immagini, calarlo nell’immaginario. Deve produrre un’immagine multimediale, capace non più soltanto di sedurre lo spettatore, bensì anche di intrattenerlo con le tecniche più evolute di marketing.

Per quanto inizialmente ancora affidata all’uso del manifesto, la pubblicità del dopoguerra tende a modificare sin da subito lo stretto legame con il mondo dell’arte e del progetto. Le immagini e le illustrazioni perdono quasi immediatamente l’abito creativo e artistico che fino al ’39/’40 le aveva contraddistinte e si associano in modo inseparabile alla parola. Inizia a conformarsi quella struttura tipica di equilibrio della pagina pubblicitaria fra visual e copy, fra la componente visiva, quindi la veste grafica dell’intero annuncio, e la componente verbale, che rappresenta uno degli elementi maggiormente percepibili dell’innovazione pubblicitaria dell’immediato dopoguerra. Se nell’uso della grafica il distacco dall’arte si palesa sotto forma di semplificazione dell’immagine, nell’uso della parola sono avvertibili le prime sostanziali novità sotto il profilo della semplificazione del linguaggio. Anche la figura degli slogan si semplifica, affidandosi maggiormente alle tradizionali figure della retorica e quindi a una ricerca di efficacia diretta e immediata, utilizzando parole di uso comune vicine all’essenziale e popolare vocabolario dei rotocalchi.

Anche alla radio la pubblicità recupera poco alla volta un proprio ruolo centrale. L’ente radiofonico riesce a dotare il mezzo di una conformazione e di una struttura abbastanza precisa e caratterizzata. Il palinsesto diventa progressivamente più ricco e articolato ed è suddiviso, a partire dal 1952, in tre reti che assolvono alle funzioni di informare, divertire ed educare, rispondendo in maniera puntuale alle richieste di divulgazione a livello di acculturazione di base, di approfondimento di conoscenze, di arricchimento colto e superiore. Nascono numerosi programmi di

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21 ottimo livello, grazie anche al contributo di numerosi attori e di numerosi intellettuali.

Nel 1951 la drammatica alluvione del Polesine rileva che la radio aveva raggiunto un’indubbia maturità anche sul versante dell’informazione. A differenza che in passato, i servizi dal delta del Po si segnalano non solo per la tempestività, per l’elevata componente tecnica e per la copertura continua, ma anche per la qualità giornalistica in cui la faziosità che l’aveva caratterizzata negli anni Quaranta appare decisamente stemperata, non certamente scomparsa, ma addolcita in un flusso di notizie e di commenti che tentano di cogliere e di raccontare il disastroso evento con uno sguardo a trecentosessanta gradi. E’ l’inizio di un genere radiofonico, il documentario, molto innovativo, teso a mostrare aspetti differenti della realtà sociale non soltanto utilizzando le armi del giornalismo, ma anche le capacità tecnologiche del mezzo e il loro potere suggestivo: i suoni, i rumori, le voci di sottofondo. Anche in radio il linguaggio tende a semplificarsi, a seguire le stesse modalità utilizzate sulla stampa, tentando tuttavia di mantenere una specificità propria del mezzo e dunque affidandosi sempre all’uso della musica e del jingle che, a partire dal 1951 a seguito del grande successo del primo Festival di Sanremo, diverrà la forma più utilizzata di comunicazione pubblicitaria.

4. L’avvento della televisione

Il primo vero grande scossone all’Italia bisognosa, lo dà l’avvento della televisione, le cui trasmissioni iniziano il 3 gennaio del 1954. Proprio nelle aree rurali essa rappresenta, sin da subito, uno straordinario motore di innovazione e di modernizzazione in grado di sconvolgere le abitudini e di offrire prospettive sul mondo all’epoca sconosciute. In poco tempo, la televisione diventa uno strumento ineguagliabile di unificazione nazionale, sia sotto il profilo linguistico sia sotto il profilo socio-culturale. Proletari e borghesi, meridionali e settentrionali, contadini e cittadini imparano, se non proprio a parlarla, a comprendere la stessa lingua.

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22 Naturalmente, l’avvento del nuovo mezzo non è accolto da tutti con il medesimo entusiasmo.

Il clima che si respira all’inizio delle trasmissioni televisive è pesante. La maggior parte degli uomini della sinistra manifestano distacco o addirittura ostilità.

In realtà, il malessere e l’imbarazzo che attraversa tutto il ceto intellettuale, hanno radici molto profonde. Da un lato c’è, certamente, il timore di vedere erosa una posizione egemone e di vedere messo in discussione il tradizionale ruolo di guida illuminata e distaccata della cultura sulla società. Dall’altro c’è l’avversione nei confronti di una troppo veloce spinta modernizzatrice e dei suoi inevitabili risvolti consumistici. Soprattutto, in tutto il variegato fronte degli oppositori, c’è l’incapacità di comprendere la televisione come terreno dell’azione culturale. Questa visione, si accompagna all’altrettanto radicale incapacità di considerare le comunicazioni di massa come una straordinaria occasione di democratizzazione della cultura e della società civile, che proprio per questa loro natura, necessitano non di essere represse, ma di essere comprese e dotate di strutture che ne consentano il funzionamento.

Il potere politico democratico sembra avere un’idea abbastanza precisa del ruolo che la televisione può assumere. Fu De Gasperi il primo ad intuire che la televisione poteva essere uno straordinario strumento di controllo e di gestione politica e che la modernizzazione e il suo prevedibile approdo a una società dei consumi sarebbero entrati in contrasto con i valori della tradizione cattolica. Era il prezzo da pagare per la rinascita economica dell’Italia. E’ indubbio che la Democrazia cristiana per oltre vent’anni ha fatto della Rai, e di conseguenza del mezzo televisivo, un utilizzo smaccatamente di parte, condizionando e addomesticando l’informazione e adottando un atteggiamento fortemente censorio, talvolta inaccettabile. D’altra parte, è altrettanto vero che la Rai ha rappresentato la più grande e innovativa industria culturale italiana, oltre che un tentativo di accompagnare il processo di modernizzazione del paese in modo non traumatico.

I programmi dei primi anni sono profondamente esplicativi ed è in essi, che deve essere ricercato il segreto dello straordinario successo della televisione. D’altra parte, il grande scossone provocato dalla televisione nell’Italia del dopoguerra, la rivoluzione delle abitudini, la scoperta di nuove forme di intrattenimento comunitario

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23 trovano la loro piena ragione d’essere proprio nel successo dei grandi programmi. Si tratta di un nuovo modo di interagire sociale, di concepire il gruppo e il tempo libero, qualcosa da occupare al di fuori del nucleo familiare, insieme a persone con le quali si condivide già un interesse o una visione del mondo. E’ qualcosa che differisce profondamente dall’esperienza di consumo ricreativo e culturale conosciuta, un esperienza tutto sommato individuale. La televisione rompe l’orizzonte domestico abituale, intromette nelle case degli italiani frammenti di un mondo ai più sconosciuto. Svolgendo questo ruolo, produce di conseguenza una sorta di “sete di conoscenza”, che non deve e non può essere intesa come un improvvisa necessità di cultura. E’ più un’infatuazione leggera verso ciò che non si conosce, un’attrazione che trova la sua ragione più profonda nella sensazione che il mondo sta cambiando in modo del tutto nuovo rispetto al passato.

5. Carosello: La pubblicità è arrivata in Tv

Fig. 4. Immagine del Carosello

Il 3 febbraio 1957, una domenica, alle nove meno dieci di sera, gli italiani per la prima volta ascoltarono trasmesse dal programma nazionale della Rai, le note di

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24 un’allegra tarantella che, da quel momento in poi li avrebbe accompagnati tutte le sere per quasi vent’anni, esattamente per 19 anni, 10 mesi e 29 giorni.

La tarantella in questione rielabora un’antica melodia napoletana di autore ignoto e accompagna le immagini di una serie di siparietti ispirati alla commedia dell’arte. Si tratta della sigla di Carosello15, la rubrica televisiva interamente dedicata alla pubblicità che sancisce il debutto di quest’ultima nella televisione italiana, seppur con una formula del tutto particolare rispetto alle esperienze degli altri paesi occidentali. In questi, infatti, la pubblicità era apparsa in televisione con formule molto simili, seppur meno sofisticate e creative a quelle attuali: comunicati della durata media di trenta secondi, che talvolta potevano raggiungere anche il minuto.

Carosello, invece, presenta dopo la sigla di apertura, una successione di quattro comunicati commerciali, ciascuno suddiviso in due sezioni distinte e separate: una prima parte di tipo spettacolare e narrativo, detta pezzo, della durata di un minuto e quarantacinque secondi, cui segue una seconda parte della durata di trenta secondi, del tutta slegata dalla precedente, destinata alla pubblicazione del prodotto e definita codino. Nei suoi quasi vent’anni di vita, essa manterrà la medesima struttura, offrendo ogni sera agli occhi e alle orecchie degli italiani questo susseguirsi di storie differenti. La sera del 3 febbraio 1957 le trecentosessantaseimila famiglie abbonate alla Rai, subito dopo la piacevole sorpresa della sigla della nuova rubrica, vedono apparire a tutto schermo una grande conchiglia. E’ l’inizio del primo spot televisivo italiano, una nota marca di benzina, Shell. La pubblicità è arrivata in tv, è entrata nell’epoca della sua modernità. Carosello costituisce il modello principale su cui si conforma la specificità pubblicitaria nazionale dal secondo dopo guerra in poi. La sua nascita, infatti, rappresenta un momento di fondamentale importanza nella storia della pubblicità nel nostro paese. Se da un lato, infatti, con Carosello prendono avvio la modernizzazione dell’intero settore, il rinnovo e la complessità dei suoi linguaggi fino ad allora costretti, complici anche il ventennio fascista e la guerra, in modalità espressive legate ai mezzi a stampa, dall’altro lato è con Carosello che la pubblicità inizia a definire una relazione di consuetudine e di reciprocità strette e problematiche con la società italiana nel suo complesso, divenendo, progressivamente, ma inarrestabilmente, elemento propulsore di primo piano nell’evoluzione e nel

15 Cfr. Fig.4.

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25 cambiamento del costume, nel lungo e contraddittorio processo di sprovincializzazione sociale, culturale ed economica del paese, nella trasformazione delle dinamiche dei costumi, nonché nello sviluppo dell’intera industria culturale italiana e nella costruzione dell’immaginario collettivo. Con Carosello la pubblicità italiana prende contatto in modo serio ed articolato con i media elettrici.

Per quanto sin dagli anni trenta essa avesse esteso il proprio territoro di intervento anche nella radio, in realtà non era mai riuscita a stringere con questa un vero e proprio rapporto dinamico; vuoi per l’utilizzo cui tale media era destinato dal regime fascista, vuoi per le differenze culturali e per la mancanza di un tessuto produttivo tale da consentire lo sfruttamento. D’altra parte, le medesime resistenze culturali daranno origine anche al ritardo del debutto televisivo della pubblicità.

Quelle resistenze culturali, da un lato furono un primo forte segnale di quella querelle fra apocalittici e integrati che accompagnerà fino ai nostri giorni tutta la storia pubblicitaria italiana; dall’altro, furono anche alla radice delle modalità espressive che la pubblicità fu costretta ad assumere in televisione, modalità che ancora oggi, condizionano in qualche modo il linguaggio della pubblicità italiana.

Le dinamiche dell’industria culturale italiana sono in piena evoluzione, quando all’ inizio del 1957 debutta Carosello, il programma che arricchisce il palinsesto televisivo con la pubblicità, un contenuto fino ad allora del tutto estraneo alla televisione. Le novità sostanziali rispetto a tutti gli altri programmo sono due: in primo luogo la tipologia del contenuto; in secondo luogo, la modalità produttiva, che per la prima volta prevede una cessione da parte della Rai di tempo televisivo a seguito di una transazione economica16. Ma, se è del tutto normale che un azienda acquisti tempo o spazio per la propria pubblicità, non è per nulla normale che quanto realizzato dall’azienda sia posto sotto la stretta sorveglianza del media che lo ospita.

Carosello è considerato dalla Rai un programma a tutti gli effetti, è posto sotto la responsabilità diretta di un dirigente, che ha il compito di verificare i testi e di intervenire sulle tipologie di contenuti presentati. L’anomalia risiede tutta qua, nella limitazione della libertà di espressione che le aziende hanno nello svolgere una propria fondamentale e peculiare attività. E’ un anomalia non da poco, tant’è che proprio in essa trova origine il complesso rapporto sviluppatosi in Italia fra

16 Cfr. PITTERI DANIELE, La pubblicità in Italia.Dal dopoguerra a oggi. Laterza editori, 2002.

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26 televisione e pubblicità. Il clima interno all’ente televisivo e la preoccupazione moralistica di matrice cattolica dello spettro del consumismo, condivisa da ampi settori della sinistra, ritardano il debutto della pubblicità in televisione, nonostante fosse prevista fin dalla nascita del nuovo mezzo. Alle cautele culturali dei dirigenti Rai, si abbina una precisa indicazione, quasi una norma contrattuale, che certo non favorisce la velocizzazione delle decisioni relative alla forma che la pubblicità deve assumere in televisione. La prima ipotesi prevedeva la sola lettura di comunicati commerciali da parte di uno speaker, mentre una successiva proposta attribuiva alla Rai la produzione diretta di una serie di scenette, da abbinare in modo del tutto arbitrario ai prodotti. E’ probabile che la forma assunta da Carosello sia un’evoluzione di quest’ultima ipotesi.

Al di là di quelle legate alla struttura, Carosello è regolato da una serie di altre norme molto rigide, raccolte nelle Note per la realizzazione della pubblicità televisiva. Si tratta di un semplice appunto interno, che tuttavia ha rappresentato una gabbia di limitazioni molto rigide e assolutamente insuperabili.

Nella struttura dei comunicati commerciali dei primi tempi, è posta particolare attenzione soprattutto alla prima parte, cui è delegata una funzione di fascinazione dello spettatore. In qualche modo essa è un’esca: serve a catturare l’attenzione e a mantenerla viva fino all’arrivo del codino. L’insieme divertente e ingenuo di storielle, canzoni, gag e altisonanti comunicati commerciali, invece di irritare gli italiani, li affascina, invece di far respingere loro l’idea del consumismo, gliela porge con grazia, in modo leggero. Soprattutto all’inizio, la pubblicità televisiva più che vendere prodotti, vende la gioia del consumo, la negazione di povertà secolari, delle sofferenze e della fame della guerra ancora vicina, ma da dimenticare, prospetta una visione nuova della vita, diversa dalla concezione che ancora predomina nella società.

Carosello è il primo specchio del desiderio degli italiani. Nel corso della sua storia, attraversa tutte le fasi cruciali della crescita economica del paese e dell’avvicinamento a una concezione matura del consumo: da un’epoca di crescita in cui i valori tradizionali sono ancora fondamentali per consentire uno sviluppo dal basso, al boom economico; dalla felicità degli anni Settanta e dai primi assaggi di

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27 benessere diffuso, alla crisi dei valori tradizionali e alla nascita di nuove esigenze personali e collettive. In tutto questo periodo Carosello svolge la funzione di specchio delle totalità della società.

All’inizio degli anni Settanta, l’Italia assume velocemente la fisionomia delle società industriali avanzate. L’economia viaggia a ritmi vertiginosi: il reddito nazionale lordo e il reddito pro capite in meno di dieci anni sono raddoppiati; la spesa in consumi aumenta sensibilmente, tutto ciò sposta definitivamente sull’industria il baricentro dell’economia. In questo processo di ridefinizione dei valori e degli schemi tradizionali, la pubblicità acquista un peso rilevante. Non solo è funzionale all’affermazione dei nuovi prodotti, ma necessitando di linguaggi più sofisticati, contribuisce a un ampliamento degli orizzonti cognitivi del pubblico. Il centro e la forza del comunicato commerciale diventa la marca, che, agendo in un mercato che si sta ampliando, acquisisce una funzione di primaria importanza nella distinzione fra i vari prodotti. Diviene, dunque, la variabile fondamentale su cui operano i linguaggi pubblicitari. Il passaggio da una società tradizionale e fortemente differenziata a una dominata dall’etica del consumo e dell’autoaffermazione determina l’accettazione di questo nuovo sistema di valori. Ciò, contribuisce a mettere in moto un processo di trasformazione sociale in cui i fattori strutturali e l’insieme dei cambiamenti avvenuti nei consueti schemi di comportamento, si sommano e generano un’ immaginario collettivo dominato dalle nuove categorie del consumo. Ci si trova, dunque, a dover interloquire soprattutto con dei mutamenti dell’ambito culturale di un pubblico che sempre di più trova nella televisione lo strumento di mediazione col mondo.

Per il mondo in via di sviluppo, la pubblicità è il simbolo del mutamento che parla di industrializzazione come porta di accesso alla vita moderna17.

17 Cfr. BERMAN RONALD , Pubblicità e cambiamento sociale,Franco Angeli editore,1990.

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CAPITOLO SECONDO La Persuasione pubblicitaria

Tutti i tentativi volti alla comprensione del funzionamento della pubblicità e alla definizione di criteri atti a giudicare le modalità con cui utilizzarla per produrre risultati efficaci, hanno come punto di riferimento centrale la persuasione, di cui la pubblicità costituisce una delle espressioni più tipiche, più diffuse, più importanti. Il fenomeno della persuasione è stato affrontato con crescente interesse dalle scienze umane, in particolare dalla psicologia sociale18.

Solo con lo sviluppo moderno delle scienze umane, soprattutto della psicologia e della psicologia sociale, si è acquisita una serie di approfondimenti essenziali per una maggiore comprensione dei fenomeni persuasivi. Il progredire degli studi sui meccanismi che entrano in gioco nella formazione e nella modificazione delle opinioni, degli atteggiamenti, dei comportamenti, costituiscono la base su cui sono state costruite varie “teorie pubblicitarie”, come spiegazione del funzionamento e come guida nella realizzazione pratica della pubblicità.

La conoscenza della struttura e del funzionamento del processo persuasorio costituisce la base per la comprensione del fenomeno pubblicitario.

“La persuasione può essere considerata come il tentativo deliberato di influenzare conoscenze, idee, atteggiamenti, comportamenti altrui. Ma in generale, per persuasione si intende principalmente l’azione volta intenzionalmente ad agire sui contenuti mentali e sulle dinamiche comportamentali degli individui cui i messaggi persuasivi sono rivolti.

Nella comunicazione persuasiva, l’emittente formula i propri messaggi in

18 Cfr. ZANACCHI ADRIANO,La pubblicità. Potere di mercato. Responsabilità sociale, Lupetti editore, 1999.

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29 modo da indurre il destinatario o i destinatari a modificare il loro bagaglio mentale e ad agire di conseguenza19”.

1. Persuadere: un arte antica

Il tentativo di provocare cambiamenti nelle idee e opinioni altrui, e di convincere altre persone a mettere in atto certi comportamenti piuttosto che altri, ha animato l’uomo fin dai primi scambi comunicativi 20 .

L’importanza di saper convincere con successo si è accentuata con l’insorgere della società di massa, che ha posto l’esigenza di una forma di persuasione

“organizzata”: la propaganda. Con questo termine ci si riferisce a un insieme di metodi utilizzati da un gruppo per conseguire il consenso, attivo o passivo, della massa. Il termine propaganda, ha finito con il designare sempre più chiaramente, delle forme di comunicazione che vengono spesso considerate false 21.

La propaganda è dunque, l’espressione del potere che cerca di affermarsi anche attraverso la conquista dell’opinione pubblica.

La sua versione moderna, può essere fatta risalire all’epoca della Prima guerra mondiale. I governi dei paesi in guerra, sentono infatti la necessità di dotarsi di organismi specifici, con il compito di manipolare sul piano intellettuale e morale sia le truppe che le popolazioni. La propaganda nazista, promosse quella che oggi chiamiamo “l’immagine” del regime, ricorrendo a molte manifestazioni di spettacolo, che avevano l’obiettivo di rendere gradevole il messaggio politico.

In questi primi decenni del XX secolo, il concetto della persuasione organizzata è connessa con i suggerimenti che provengono dalla nascente psicologia delle masse. L’idea di poter utilizzare strategie per rendere più efficace la propria

19 Cfr. Ibidem

20 Cfr. CAVAZZA NICOLETTA, Comunicazione e persuasione. Il Mulino editore, 2009.

21 Cfr. ABRUZZESE ALBERTO, COLOMBO FAUSTO, Dizionario della pubblicità. Storia, tecniche, personaggi, Zanichelli editore, 1994.

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30 comunicazione, quindi influenzare le opinioni e i comportamenti altrui, ha dunque radici antiche. Ma né gli antichi retori, né i promotori delle campagne propagandistiche della Germania nazista, sapevano stabilire quali fossero gli effetti realmente provocati dalle proprie strategie persuasive.

Nella psicologia sociale, lo studio dei processi persuasivi occupa oggi uno spazio di grande rilievo. In particolare, nell’ambito dello studio degli atteggiamenti, uno dei “cavalli di battaglia” di tale disciplina.

In questo panorama, si pongono le basi da cui si svilupperanno i due filoni principali di questo studio scientifico della persuasione, che fanno capo a Kurt Lewin e Carl Hovland. Dai pensieri dei pionieri dello studio scientifico dei processi persuasivi, possiamo far discendere due filoni principali di ricerca. Il primo, è quello che sviluppa l’idea più intuitiva secondo la quale, se si vuole convincere una persona a fare qualcosa, occorre esporle nel modo migliore un certo ragionamento che sostenga la validità di quella posizione. La sensazione degli studiosi, tuttavia, è stata per molto tempo quella di arricchire in modo frammentario questo ambito di ricerca, senza la possibilità che tanti risultati potessero ricomporsi in un quadro unitario. Il secondo, parte dall’idea che i comportamenti delle persone possano essere influenzati in maniera veramente efficace soltanto se si attiva una sorta di auto persuasione. La fase più rilevante di questa seconda direzione, è costituita dalla formulazione della teoria della dissonanza cognitiva. Secondo questa teoria, le persone sono motivate al mantenimento e alla ricerca della coerenza fra le proprie conoscenze, opinioni, credenze e i propri comportamenti. L’eventuale dissonanza fra ciò che si pensa e ciò che si fa, crea uno stato di disagio che deve essere in qualche modo eliminato. Per farlo occorre modificare o il proprio comportamento, o l’opinione dissonante. Un classico esempio di dissonanza cognitiva, riguarda i fumatori: essi fumano (comportamento) e sanno che il fumo provoca danni gravi all’organismo (conoscenza). Le due cognizioni sono in contraddizione reciproca, quindi creano nell’individuo uno stato di disagio che lo motiva a modificare l’elemento meno resistente della coppia. In questo esempio, se l’abitudine al fumo della persona in questione non è fortissima, la persona potrebbe essere indotta a modificare questo comportamento, cioè a smettere di fumare, ristabilendo la coerenza. Sempre per effetto della dissonanza cognitiva, se una persona viene indotta

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31 a mettere in atto un comportamento che non corrisponde al proprio atteggiamento relativo a quella questione, sperimenta uno stato di dissonanza che la motiva a modificare l’elemento meno resistente.

Proprio sull’onda di questa nuova ottica, lo psicologo americano William McGuire, avanza il primo tentativo di ricavare una teoria del processo di persuasione. Egli sostiene che la persuasione si attua in un processo a sei fasi:

 Presentazione del messaggio

 Attenzione

 Comprensione dei contenuti

 Accettazione della posizione sostenuta in esso

 Memorizzazione

 Comportamento

Secondo questa concezione, la comunicazione persuasiva esercita un impatto sul ricevente se si attua ognuna delle fasi. Occorre, che il ricevente sia effettivamente inserito nel contesto in cui il messaggio viene presentato. Per esempio, se gli spot pubblicitari in televisione vengono trasmessi in modo isolato, una persona può agevolmente evitare di essere esposto ad essi; se al contrario, sono in mezzo al film che si sta vedendo, l’esposizione ad essi diventa più probabile. Ma ciò non è sufficiente, è necessario che la persona in questione, vi presti attenzione. Assicurata l’attenzione, il ricevente deve essere in grado di capire il contenuto del messaggio.

Egli non potrà essere influenzato da informazioni trasmesse attraverso codici a lui estranei. La quarta fase è quella in cui il ricevente raggiunge un certo grado di accordo necessario perché modifichi la propria opinione. Opinione che, in seguito, deve essere memorizzata, per poter essere utilizzata nella situazione pertinente in cui è richiesto un dato comportamento. Il fallimento di un solo passaggio interrompe il processo.

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32 La teoria ha avuto notevole impatto sugli psicologi che si stavano occupando di persuasione, ma essi si sono presto resi conto che questo quadro poneva difficoltà di tipo metodologico.

In seguito a numerosi altri studi, negli anni Settanta, Richard Petty e John Cacioppo compongono una delle teorie attualmente più accreditate: il modello della probabilità di elaborazione. L’idea portante del modello prevede che gli atteggiamenti possano modificarsi attraverso due percorsi mentali differenziati: il percorso centrale, e il percorso periferico.

Il primo, è un processo di elaborazione attenta e di riflessione sulle argomentazioni e sulle informazioni contenute nel messaggio persuasivo. Processo, che richiede una certa quantità di risorse cognitive, quali: prestare attenzione, comprendere, mettere n relazione e integrare le nuove informazioni, elaborare una nuova valutazione.

Il percorso periferico invece, riguarda un processo di cambiamento basato su elementi che non sono direttamente pertinenti al tema, i cosiddetti segnali periferici, di sfondo, ad esempio l’attrazione della fonte, la sua piacevolezza.

Risulta chiaro che non possiamo pensare in modo approfondito a ogni messaggio persuasivo. Si verifica per lo più la tendenza opposta. Quindi, di fronte a un messaggio persuasivo, possiamo intraprendere il primo o il secondo percorso a seconda del livello di motivazione e della capacità e possibilità di capirne i contenuti.

Il risultato dei due percorsi può dar luogo, in entrambi i casi, a un cambiamento di atteggiamento, ma di natura diversa. Il ricevente che cambia atteggiamento dopo aver utilizzato il percorso centrale, si forma un opinione piuttosto forte, difficile però da influenzare nuovamente. Al contrario, quando una persona cambia opinione sulla base di segnali periferici, potrà altrettanto facilmente cambiarla in occasione successive, in quanto il nuovo atteggiamento è il frutto di una scarsissima riflessione sul tema vero e proprio del messaggio.

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2. Persuasione e pubblicità

Parlare di comunicazione persuasiva, oggi significa evocare come prima associazione mentale, quella con la pubblicità. E’ la pubblicità, infatti, il luogo in cui esplicitamente le strategie persuasive vengono impiegate per raggiungere due obiettivi principali: quello di rendere più probabile il consumo di un determinato prodotto, e quello di creare un atteggiamento favorevole rispetto al prodotto per rafforzare le abitudini del consumo 22.

L’affinamento delle tecniche pubblicitarie, ha portato questo prodotto ad essere considerato un vero genere di spettacolo. Tuttavia, l’invadenza degli annunci pubblicitari in tutte le forme è ormai tale da renderci per lo più impermeabili a molti di questi. La domanda da porsi in questa situazione è: Cosa rende così efficace la comunicazione persuasiva? E’ necessario notare che ogni pubblicità diffonde un messaggio di esortazione all’acquisto. Tale messaggio può essere esplicito: contenere cioè delle informazioni riguardanti il prodotto, e che argomentano la ragione per cui questo dovrebbe essere acquistato. Ma potrebbe anche restare implicito: un esempio plausibile, la pagina di una rivista che ritrae il prodotto in questione in mano ad un personaggio dello spettacolo; il tutto accompagnato da un semplice slogan.

Gli studiosi hanno mostrato che un primo livello di influenza consiste semplicemente nel mostrare ripetutamente un determinato oggetto alle persone fino a farlo diventare del tutto familiare. La familiarizzazione si accompagna a un ad un aumento della percezione di gradevolezza dell’oggetto, che gli psicologi chiamano effetto di mera esposizione. Effetto che si riferisce al fatto che trovandoci di fronte ad uno scaffale pieno di prodotti dello stesso genere, ma di marca diversa, non volendo indugiare, optiamo probabilmente per la confezione che ci risulta più familiare.

Dunque, in generale percepiamo come più gradevoli gli oggetti che ci sono più familiari rispetto a quelli che non lo sono.

Possiamo dire che nelle pubblicità si possono distinguere elementi di contenuto (le informazioni e le ragioni per le quali si dovrebbe acquistare un determinato

22 Cfr. CAVAZZA NICOLETTA, Comunicazione e persuasione. Il Mulino editore, 2009.

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