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Spesso questa pubblicità risulta pesantemente condizionata dalla scarsità degli spazi disponibili che i mezzi offrono gratis a “Pubblicità Progresso” e anche a favore di altre campagne di utilità sociale, ma non certo in misura paragonabile a quelli delle grandi campagne commerciali. Bisogna anche tener conto del fatto che la concessione di spazi gratuiti può dar luogo a sconvenienti forme di competizione e

29 Cfr. GADOTTI GIOVANNA, Pubblicità sociale. Lineamenti,esperienze e nuovi gruppi. Franco Angeli editore, 1999.

49 che questi spazi, come quelli a tariffe scontate, sono soggetti a vincoli che rendono difficile la pianificazione delle uscite.

Le difficoltà maggiori, tuttavia, derivano probabilmente dalle scelte tematiche e, soprattutto dalle soluzioni creative (che spesso suscitano forti contestazioni), anche perché i condizionamenti di natura economica si riflettono negativamente sulle esigenze di ricerca. Ciò che si rileva più arduo, è lo sforzo di agire su atteggiamenti e comportamenti che chiamano in causa valori assai diversi, che riguardano interessi molto più profondi rispetto a quelli relativi all’area dei consumi, tanto più quando siano chiamati a tale compito dei professionisti della comunicazione che esercitano abitualmente la loro attività nel campo commerciale, così lontano rispetto a quelli che caratterizzano le aree della pubblicità non commerciale. La pubblicità non profit (e in particolare la pubblicità sociale) ha comunque fatto molti progressi negli ultimi anni per ciò che riguarda la promozione di una adeguata strumentazione teorica e metodologica e di una professionalità specifica sia sul versante tecnico, sia all’interno degli organismi che promuovono la pubblicità non commerciale, anche se restano notevoli ostacoli sul suo cammino.

Nel valutare gli aspetti specifici della pubblicità sociale, bisogna porre in rilievo i caratteri del target da raggiungere, che è limitato e strategicamente ben definito nella pubblicità commerciale, generalizzato in quella sociale. Così che quest’ultima impiega i metodi della pubblicità commerciale, “ma ne stravolge i limiti naturali, in quanto la pubblicità parte proprio dalla considerazione di marketing che i consumatori all’interno di un target non sono tutti uguali”. C’è quindi un’ovvia complicità fra pubblicitario e consumatore, che mancherebbe invece nella pubblicità sociale.

La pubblicità “dissuasiva” non è efficace: la pubblicità ha sempre confessato una certa inadeguatezza nel condurre discorsi negativi, nel condannare o nel suggerire proibizioni. La tradizionale pubblicità, rivela un impiego costante nella linea della persuasione positiva, del convincimento a fare qualcosa, dell’imperativo, magari sapientemente mascherato, a desiderare un oggetto, un bene, uno stile di vita.

Quando si tratta di convincere la gente ad assumere atteggiamenti di rinuncia, di rifiuto, si deve quindi far ricorso a tattiche diverse, poiché quella della pubblicità

50 commerciale si rileva meno adatta. L’impostazione di rinunce ad abitudini e ad atteggiamenti non sembra consona allo stile pubblicitario. Il comando “negativo”, l’ordine di non fare deve forse passare attraverso strategie discorsive diverse da quelle della pubblicità. Tuttavia, appare eccessivo negare ogni valore alla pubblicità sociale dissuasiva. Si tratta di non chiedere a tale pubblicità più di quello che essa può fare, soprattutto di non chiedere di operare da sola. Le difficoltà della pubblicità sociale dissuasiva, aiutano a capire il frequente ricorso – ad esempio nelle campagne contro l’abuso di alcol, contro gli eccessi di velocità, contro le violenze familiari- a soluzioni creative in cui abbondano immagini di violenza anche estrema, generalmente sconosciute alla pubblicità commerciale. Ritenuto da molti giustificabile eticamente per il fine che la campagne si propongono, il linguaggio della violenza e l’evocazione della paura sembrano più scorciatoie che soluzioni efficaci. La violenza può certo assumere un elevato valore di richiamo in tutte le forme di pubblicità per la sua capacità di generare emozioni. Nella pubblicità sociale costituisce spesso lo strumento cui si ricorre per rappresentare situazioni minacciose alle quali opporre proposte di atteggiamenti e comportamenti volti a evitarle: chi segue le rassegne di campagne sociali ha la possibilità di constatare che la paura continua a dominare, soprattutto quando si tratta di combattere l’alcolismo e il tabagismo, di suggerire prudenza alla guida, di prevenire malattie infettive.

Ma il vero problema, è il valutare se e in che misura la paura suscitata risulti funzionale al disegno persuasivo. La teoria della “dissonanza negativa” ha posto chiaramente in luce che la proposta di messaggi fortemente dissonanti può condurre a risultati negativi, in quanto gli individui tendono a evitarli. L’eccesso emotivo della paura, in altre parole, non porta l’individuo ad accettare il contenuto del messaggio, anche perché “alti livelli di tensione diminuiscono la capacità dei soggetti di elaborare le informazioni” 30.

La soluzione sta, quindi, nel formulare il messaggio in una cifra che componga interesse individuale e interesse collettivo, che esalti ogni possibile convergenza e ogni possibile armonia tra questi due tipi di interesse. L’obiettivo è quello di far leva sullo svelamento della relazione tra interesse individuale e interesse collettivo anche quando tale relazione è tutt’altro che evidente.

30 Cfr. CAVAZZA NICOLETTA, La persuasione. Il Mulino editore, 2006.

51 In Italia, la pubblicità sociale, se paragonata alle esperienze maturate negli altri paesi, è in forte ritardo. Solamente agli inizi degli anni Ottanta, infatti, anche nel nostro Paese viene riconosciuta l’importanza di questo genere pubblicitario. Il primo Congresso Internazionale sulla pubblicità sociale si è tenuto a Bruxelles nel 1983. In quella occasione, l’International Advertising Association aveva organizzato una mostra di campagne sociali poi raccolte in un libro a cura di Andrè Waedemon. In Italia il primo convegno nazionale sulla pubblicità sociale è stato organizzato dall’Istituto Pubblicità Progresso a Milano nel 1989. Il titolo del convegno: “Il tam tam del vivere civile. La comunicazione al servizio del cittadino”. Negli anni Ottanta il volume dei messaggi di carattere sociale si è ampliato: si è passati dalle 18 campagne del 1983 alle 54 del 1988. Da una analisi qualitativa relativa alla pubblicità sociale effettuata per conto di Pubblicità Progresso dall’Istituto Delpho nel maggio 1989 risulta peraltro chiaramente che, essa raccoglie un largo consenso poiché è giudicata utile alla collettività. La pubblicità è ritenuta utile perché fa conoscere i problemi, informa, coinvolge le persone, sensibilizza, fa rendere conto dei problemi.

Insomma, i messaggi sociali richiamano alla consapevolezza individuale insegnamenti, regole di comportamento, soluzioni ragionevoli che varie circostanze possono aver reso latenti. Alla pubblicità sociale va forse riconosciuta la capacità/possibilità di intervenire più sul piano della consapevolezza, che su quello della coscienza.

La comunicazione sociale difficilmente potrà produrre valori, casomai potrà diffonderli e rafforzarli 31.

31 Cfr. LOMBARDI MARCO, Il nuovo manuale di tecniche pubblicitarie. Il senso e il valore della pubblicità. Franco Angeli editore , 2008.

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