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In Italia, nella prima parte del XX secolo, la presenza e il ruolo della pubblicità non erano certo stati secondari. I forti legami con le avanguardie artistiche e con la sperimentazione legata al design, il rapporto intenso e produttivo con la radio, l’uso delle tecniche pubblicitarie da parte del regime fascista hanno costituito certamente dei momenti di evoluzione e di sviluppo. Già sul finire dell’Ottocento, anche in Italia, le tecniche di stampa erano sufficientemente progredite da consentire la nascita di riviste e di officine grafiche altamente specializzate, capaci anche di stampe di grandi dimensioni. Fino ad allora, la Rèclame3 aveva trovato spazio soprattutto sui giornali e sui periodici e, per quanto si trattasse di un settore ancora giovane, iniziava già a delinearsi una certa articolazione del mestiere che passava soprattutto per la concessionarie pubblicitarie4, le quali, oltre a vendere spazi sulle pubblicazioni, offrivano ai clienti anche il servizio creativo, avvalendosi della collaborazione di giornalisti, scrittori e illustratori5. In altri paesi, soprattutto in

3 Termine attualmente adoperato per indicare la pubblicità ottocentesca e del primo Novecento. Verso la metà del XIX secolo, la parola rèclame, affidandosi quasi sinonimicamente al termine francese publicitè, all’inglese advertising, all’italiano pubblicità, iniziò ad essere impiegata non solo in Francia ma anche negli altri paesi europei per designare la comunicazione persuasiva a fini commerciali.

4 La prima concessionaria, attiva ancora oggi, fu fondata a Milano da Attilio Manzoni nel 1863.

5 Cfr. ABRUZZESE ALBERTO e COLOMBO FAUSTO, Dizionario della Pubblicità. Storia tecniche e personaggi. Zanichelli editore, 2002.

10 Francia, già da diverso tempo si era affermato il manifesto come principale strumento di comunicazione pubblicitaria. Strettamente connesso allo sviluppo delle metropoli che andavano progressivamente modificando e ampliando lo spazio sociale degli individui, esso si inseriva perfettamente nel contesto urbano, andandone a modificare lo spazio e la struttura abituale e creando un forte elemento di attrazione anche in virtù del fascino esercitato dal colore. Esso aveva inoltre assunto una forma propria, trovando nella stilizzazione delle immagini e nell’armonizzazione di queste con il testo verbale, costituito da frasi molto brevi o da titoli, i propri elementi peculiari.

Non si trattava più di quadri stradali, ma di nuovi soggetti comunicativi, ideati e creati per inserirsi nella scena della città, per interagire con essa. L’eco del grande successo del nuovo strumento pubblicitario arrivò anche in Italia e ben presto iniziò a diffondersi e a divenire in breve tempo una forma di comunicazione molto sviluppata e con caratteristiche proprie, soprattutto per merito delle officine grafiche Ricordi di Milano, che nel 1890 costituirono la Sezione creazione e stampa manifesti, la quale strinse relazioni frequenti e costanti con i migliori e più attivi cartellonisti italiani.

Nel 1903, Leonetto Cappiello realizzò per il cioccolatino Klaus un manifesto molto particolare, dotato di una decisa originalità e di una forte carica innovativa. Egli non si limitò a progettare soltanto qualcosa capace di attirare l’attenzione del pubblico, grazie al sapiente gioco di contrasti cromatici e dei chiaroscuri, ma creò anche una nuova modalità espressiva che comunicava attraverso una sola immagine l’essenza stessa del prodotto e la rendeva memorabile. E’ il “manifesto marchio”, una concezione straordinariamente avanzata del cartellone pubblicitario, tanto utilizzata da divenire in seguito un format caratterizzante della grafica pubblicitaria italiana6.

Se i manifesti di inizio secolo risentivano delle influenze delle principali tendenze artistiche dell’epoca, fu il movimento futurista a intuire pienamente le potenzialità della pubblicità, giungendo a teorizzarne l’innovatività e ad assumerla come forma artistica, l’unica in grado con la sua spavalda e ottimistica gioiosità di marciare al passo dell’industria, della scienza, della politica e della moda.

6 Cfr. Fig.1

11 Fig.1. Manifesto pubblicitario del Cioccolato Klaus di Leonetto Cappiello

Fu certamente Depero la figura che maggiormente intrecciò, in maniera sempre più stretta ed articolata, il proprio percorso di artista con la pubblicità. Già attraverso il lavoro compiuto con la Casa d’arte futurista, una sorta di agenzia creativa da lui fondata nel 1919, si era distinto per la capacità di creare messaggi dotati di grande originalità e inventiva. Ma fu grazie all’incontro e alla proficua collaborazione che ne derivò con Davide Campari, che egli ebbe modo di affinare la propria competenza e tecnica pubblicitaria e di esprimere pienamente una spiccata sensibilità espressiva.

Essa si esprimeva attraverso forme geometriche e insieme trasformabili, sempre in preda alla metamorfosi e alla combinatoria, dove anche la parola subiva il medesimo trattamento. A partire dagli anni Venti, Depero assunse un ruolo sempre più importante nelle strategie comunicative della Campari, estendendo poco alla volta il proprio territorio di intervento dall’elaborazione della cartellonistica, al packaging del prodotto finito alla progettazione dei distributori automatici di bibite e all’ideazione di oggetti d’arte sponsorizzabili7.

7 Cfr. Fig.2.

12 Le strette relazioni fra industria e artisti furono una costante nella rèclame italiana dell’anteguerra. Oltre Campari, altre imprese legarono il proprio marchio al lavoro degli artisti, finanziandone in toto o in parte l’attività in cambio di creatività per i propri prodotti. Tale legame permise all’industria di utilizzare in maniera assai estesa la potenzialità creativa dell’artista.

Fig.2. La pubblicità “Campari” realizzata da Fortunato Depero

Una tale e tanto estesa collaborazione favorì la crescita costante di tutto il comparto pubblicitario, nonché l’affermazione di una primitiva ma, per l’epoca quasi rivoluzionaria, concezione globale della comunicazione d’impresa, per cui tutti gli elementi di contatto e di relazione con il pubblico dovevano essere concepiti secondo una logica coordinata, tale da rafforzare la memorizzazione dei marchi e dei prodotti, e in particolare, capace di calare questi ultimi sempre più nel panorama della quotidianità e di fissarli nell’immaginario. Infatti, accanto all’utilizzo dei tradizionali strumenti della comunicazione pubblicitaria, assunsero particolare rilievo sia la cura della confezione dei prodotti, sia l’utilizzo di quelli che oggi chiameremo gadget, oggetti che invadono lo spazio quotidiano.

13 A partire dagli anni Venti e per tutto il decennio successivo, la pubblicità italiana tende a una progressiva professionalizzazione. Iniziò a manifestarsi anche in Italia una certa attenzione alle prime rudimentali tecniche di marketing di matrice anglosassone e soprattutto, agli studi e alle ricerche psicologiche che, iniziando a svelare i meccanismi della mente umana, offrivano alle aziende e ai creativi la possibilità concreta di operare una pressione persuasoria di stimolo d’acquisto.

Contemporaneamente anche le botteghe artistiche nate per prima nei primi anni del secolo si trasformavano e assumevano una forma che poco alla volta le condusse verso il modello di agenzia americana.

Dopo una prima fase monopolizzata dal manifesto, la parola in forma creativa iniziò ad assumere peso nella comunicazione pubblicitaria anche grazie all’attenzione che ad essa dedicarono i futuristi, che nelle loro elaborazioni teoriche arrivarono ad equiparare la parola pubblicità con la forma più elevata di poesia;

“esaltare un prodotto industriale con lo stesso stato d’animo con cui si esaltano gli occhi di una donna” .