• Non ci sono risultati.

L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.32 (1905) n.1625, 25 giugno

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.32 (1905) n.1625, 25 giugno"

Copied!
16
0
0

Testo completo

(1)

GAZZETTA SETTIMANALE

s c ie n z a e c o n o m ic a, f in a n z a, c o m m e r c io, r a n c h i, f e r r o v i e, i n t e r e s s i p r i v a t i

Anno XXXII - Vol. XXXYI

Firenze, 25 Giugno 1905

N. 1625

S O M M A R I O : La conversione del consolidato 5 % — riforma tributaria e il Ministro M ajorana — La-politica doganale europea — Il movinento industriale dei Regno d’ Italia — Ausonio Lomellino, Previdenza e c°ope-

1-azione agricola e industriale — R i v i s t a b ib lio g rafica : Leopold Mabtlleau, La M utualité Française - Volt.

Gabriel de Saint-Aynan. Le budget de Berlin - Avv. P . Brillon, Les droits et les devoirs du Pere de famille — R i v i s t a econom ica e fin a n z ia ria : II Consiglio di emigrazione - I l (Congresso del Riscatto herrornano

L a conversione del debito argentino - 1 progetti finanziari del Governo imperiale tedesco R a s s e g n a a el com ­ m ercio in te rn a zio n ale : Il commercio deWEgitto nel 1904 - Il commercio inglese nel prim o trimestre dei lOOo -

Il commercio della Russia nel 1904 ~ Il disegno di legge sul regime fiscali degli alcools — Società delle f e r ­ rovie Meridionali (Accordi col Governo - Liquidazione della liete Adriatica) Camere di commercio Mer- cato monetario e R ivista delle Borse — Società commerciali ed industriali — Notizie commerciali.

l i

Il Sottosegretario di Stato per il Tesoro rispondendo ad una interrogazione dell’ on. R u­ bini ha promesso ohe verrebbe tra*breve presen­ tato un progetto di legge per la conversione in 3 i/ 2 per cento netto del consolidato 5 per cento lordo posseduto dalla Cassa Depositi e Prestiti. Ed infatti il progetto è stato presentato ma mentre scriviamo, agli abbuonati agli atti Par­ lamentari non ancora distribuito.

Tale interrogazione, che è passata tra la di­ sattenzione della Camera, ha una importanza molto maggiore di quello che non si creda e può essere il germe di una nuova forma di conver­ sione del nostro consolidato 5 per cento.

Infatti la Cassa Depositi e Prestiti _ possiede per vari motivi meglio di 250 milioni di consoli­ dato 5 per cento sia nominativo, sia al portatore; e se si tien conto di altre partite che varie al­ tre istituzioni governative possiedono e sono de­ positate nella Cassa Depositi e Prestiti, la somma cresce maggiormente ed arriva a quasi I ? mi­ liardo.

Evidentemente è inutile, ai prezzi attuali, che lo Stato tenga in proprietà del consolidato 5 per cento quando attende già la buona occa­ sione per convertire tutto il consolidato stesso in 3 l/2.

Lo Stato, può benissimo fare una conversione dicendo : o restituisco a me stesso il capitale di 100 lire od accetto la conversione in 3 4/? per cento. E la accettazione della restituzione di 100 lire di capitale non gli potrà mai convenire se il prezzo di cinque lire di rendita oggi e di ciica 106.75 Lo Stato subirebbe una perdita di oltre 6 lire di capitale.

E ’ anzi da meravigliarsi che prima d ora non sia stato il Governo autorizzato a convertire in 3 VV per cento tutto il consolidato 5 per cento che lo Stato possiede per qualsivoglia titolo.

Ma osservando bene la condizione del mer­ cato, essendo il prezzo dei due consolidati oggi al prezzo, il 3 Vi, di L. 104; il 5 per cento di L . 106.75 e notiamo pure per far cifre tonde e tener conto della differenza di interessi maturati 106 1’ uno e 103 l’altro, vi è da domandarsi se non convenga allo Stato di procedere largamente alla conversione del consolidato 5 per cento in mudo quasi automatico.

Dato il 3 lf 2 per cento a 103, il 4 per cento lordo dovrebbe stare a 3.50 : 103 = 4 : x 114.71 ovvero = 14.71 ; 103 -J- 14.71 = 11 7.71,

Perciò si deve concludere che il 5 per cento lordo è, rispetto al prezzo del 3 */* netto, straor­ dinariamente a buon mercato; ciò dipende da diverse cause, che sono note e principale tra esse la minaccia della conversione, a cui è soggetto il 5 per cento.

Vi è adunque tutta la convenienza di com­ perare il 5 per cento; e tale convenienza esiste anche per lo Stato, che vuole operare la conver­ sione, poiché può effettuarla impiegando nella dif­ ferenza di prezzo la spesa che altrimenti dovrebbe subire, ove facesse la conversione per mezzo del mercato.

Suppongasi adunque che la Cassa Depositi e Prestiti converta il 5 per cento: lordo che pos­ siede in 3 llì netto. L ’operazione vien-fatta senza spesa di sorta. E ’ vero che la Cassa Depositi e Prestiti perde la differenza dell’ interesse che ap­ parentemente è del */* Per cento, Però questa per­ dita la Cassa subirebbe anche se la conversione fosse fatta per mezzo del mercato. E diciamo che è una perdita apparente, perchè oggi il 5 per cento al prezzo di 104 non rende il 4 per cento netto, ma poco più del 3.92 per cento ; quindi la perdita virtuale non è del ‘/* Per cento> ma del

per cento. . .

(2)

406 L ’ ECONOMISTA 2B giugno 190B

cento con prudente cautela per non produrre il ribasso del titolo e collochi a 103 i 100 milioni di capitale nominale; essa ne ricava 103 milioni coi quali può comprare 100 milioni nominali di 5 per cento a 104, suppongasi, spendendo in più 1 milione su cento milioni.

Se le proporzioni rimanessero sempre da 103 a 104, tra i prezzi dei due consolidati, è chiaro che la Cassa Depositi e Prestiti potrebbe cosi convertire tutti gli otto miliardi di consolidato 5 ' per cento colla spesa dell’ 1 per cento cioè con 90 milioni di capitale per pagare la differenza dei due prezzi.

E ’ evidente però che una simile serie di ope­ razione non potrebbe a lungo durare sia perchè sul mercato sorgerebbe la tendenza ad aumentare il prezzo del consolidato 5 per cento, sia perchè procedendo negli acquisti il consolidato stesso di­ verrebbe più raro e perciò tenderebbe ad au­ mentare di prezzo.

Una simile forma di conversione quindi non potrebbe che rimanere allo stato di teoria, a meno che non fosse eseguita con molta circospe­ zione ed all’ insaputa del pubblico ; in tal caso però urterebbe contro le esigenze del controllo parlamentare.

Tuttavia una certa quantità di consolidato 5 per cento potrebbe effettivamente essere con­ vertita dal Tesoro; e la quantità potrebbe essere maggiore o minore secondo la abilità del Tesoro stesso di approfittare prontamente delle speciali condizioni nelle quali, in certi momenti, può tro­ varsi il mercato.

Certo è che la situazione attuale del prezzo dei due consolidati è tale che non può dipendere che da una o 1’ altra di queste cause ; il 3 4/2 è quotato molto alto per la scarsa quantità che an­ cora è stata messa in circolazione, e il 5 per cento è quotato troppo basso per la minaccia di una conversione ; o più probabilmente ancora tutte le due cause agiscono insieme a determinare questa decrescente differenza dei corsi.

Approfittare quindi di tutte le buone occa­ sioni per accrescere con parziali conversioni la quantità del 3 */* per cento in circolazione è un cooperare a rendere più sincera e più durevole la espressione del mercato.

Se pertanto il Governo ha intendimento di chiedere al Parlamento la facoltà di convertire in 3 ‘/a per cento tutto il consolidato 5 per cento che è proprietà della Cassa Depositi e Prestiti sarà questa una operazione che servirà a dimo­ strare quanto sia fondato il prezzo attuale del consolidato 3 l/z per cento.

A. noi pare però che, giacché il Parlamento dovrà discutere un simile argomento, non sarebbe male che allargasse l’ esame e fòsse chiamato an­ che ad autorizzare il Governo a convertire in 3 ‘A tutte le partite di consolidato 5 per cento che entro il corrente anno gli fossero presentate e delle quali ciascuna non fosse minore, per esem­ pio, di 50 milioni, dando pure facoltà al Governo di accordare un premio, di cui la legge indicasse il massimo, che potrebbe anche essere dell’ uno per cento sul capitale nominale.

Una simile autorizzazione nulla pregiudiche­ rebbe, ed abilmente condotta potrebbe servire a convertire una gran parte del consolidato 5 per

cento senza che il Governo corresse nessuna alea e senza che il mercato subisse alcuna scossa.

Se con tale sistema di conversione spontanea si potesse notevolmente ridurre la massa di con­ solidato 5 per cento che è in circolazione, sarebbe facilitata certamente la applicazione del metodo « classico » cioè la conversione senza spesa in un tempo non lontano per tutto il rimanente del consolidato 5 per cento.

Anzi è da credersi che se il mercato sapesse essere questo l’ intendimento del Governo, la con­ versione spontanea, per il desiderio del premio, avverrebbe su scala così larga che il Ministro del Tesoro potrebbe sperare di fare accettare un premio notevolmente inferiore al massimo che gli venisse fissato dalla legge.

Al progetto di legge che sta per essere pre­ sentato bisognerebbe prima che fosse aggiunto un articolo il quale, all’incirca, dicesse:

« I l Ministro del Tesoro è autorizzato*ad accettare a tutto il 31 dicembre anno corrente le proposte di conversione che gli venissero fatte per partite di consolidato 5 per cento, non infe­ riori a 50 milioni, in 3 1/ì per cento, ed è auto­ rizzato ad accordare a tali partite un premio non superiore all’ uno per cento sul capitale nominale da convertirsi ».

Una simile disposizione, consacrata per legge, nulla pregiudicherebbe, ripetiamo, perchè il Mini­ stro sarebbe arbitro, colla sua prudenza, di ac­ cordare o no il premio e di accordarlo in questa o quella misura entro il limite dell’uno per cento; ma avrebbe il grande vantaggio che chiarirebbe su­ bito, coll’atteggiamento dei prezzi, le disposizioni del mercato, il quale,, del resto, a quanto si può dedurre da vari sintomi, è già apparecchiato alla conversione.

Nè, giova notarlo, sarebbe di ostacolo la eventuale continuazione della guerra, in quanto la operazione così cominciata sarebbe assoluta- mente libera e incontrerebbe subito la adesione di molti possessori del 5 per cento che, già ras­ segnati alla conversione, desiderano di uscirne al più presto. Tutti sentiamo dire frequentemente dai capitalisti grandi e piccoli di non voler in­ vestire in consolidato 5 per cento perchè è esposto a conversione.

L a calma degli affari, che è solita nella stagione estiva, permetterebbe di compiere tran­ quillamente tali spontanee conversioni, apparec­ chiando così una situazione più chiara per la ripresa autunnale.

LA RIFORMA TRIBUTARIA

e il Ministro Majorana

(3)

25 giugno 1905 L ’ ECONOMISTA 407

Presentando il disegno di legge per alcuni provvedimenti sul dazio consumo resi necessari dalla prossima scadenza del termine in cui fu­ rono consolidati i ‘ canoni dei Comuni, il Ministro delle Finanze, dopo avere brevemente fatta la storia delle diverse leggi, che in questi ultimi anni furono approvate, per riformare il dazio con­ sumo, e rilevato che esse costituiscono un movi­ mento riformatore mediante lenti, graduali, ma costanti trasformazioni della imposta, l’on. Majo­ rana soggiunge che sarebbe quindi evidente la opportunità di addivenire ad una vera e propria riforma dei nostri ordinamenti tributari, partico­ larmente di quelli locali ; riforma che — trascri­ viamo le importanti dichiarazioni — « riassu­ mendo tutto il lavoro sin qui compiuto e i risultati conseguiti, non pure al dazio, ma anche a tutte le varie fonti di imposizione degli enti locali, dia razionale, stabile e duraturo assetto ».

Ed afferma Fon. Majorana che gli studi da lui fatti hanno già avuto forma concreta in un progetto di legge, che non ha potuto presentare alla Camera, prima, per le vicende parlamentari, poi, perchè altri importanti problemi hanno e de­ vono avere la precedenza. Egli intanto presenta alcune proposte rese necessarie dalla scadenza dei canoni comunali al 31 decembre, « senza però « rinunziare, anzi persistendo più che mai nel- « l’intendimento di por mano ad una larga e pro- « fonda riforma del nostro ordinamento tributario « e formalmente riserbandosi di presentarla ap- « pena sia possibile ».

Non vi è dubbio che da queste parole traspare il massimo convincimento, e chi conosce perso­ nalmente F on. Majorana può fare assegnamento sulla sua parola.

Gli auguriamo che le vicende parlamentari, oggi imprevedibili, non gli facciano ritardare la attuazione del suo intendimento, e che nel frat­ tempo la situazione finanziaria si mantenga tale o sia dal Governo mantenuta tale da non far differire un’ altra volta F inizio tanto atteso di una larga e profonda riforma di cui è cosi forte­ mente sentito il bisogno.

Intanto il disegno di legge che sta davanti alla Camera va considerato, per necessità di cose, in rapporto a queste dichiarazioni del Ministro, le quali impediscono che si possa fare utilmente qualunque appuhto sulle lacune che presenta il progetto stesso, che, come si è ripetuto, si limita a proporre quei provvedimenti che la necessità del momento richiede.

E ’ bene tener conto che già una qualche tra­ sformazione nel pessimo tributo del dazio consumo si è verificata. Sono ben 2711 Comuni, che, per effetto della legge 23 Gennaio 1902, hanno abo­ lito il dazio sui farinacei, che importava una en­ trata di oltre 29 milioni ; tale addizione condusse lo Stato, come vuole la legge, a concorrere a van­ taggio delle finanze comunali con un sussidio che complessivamente ammonta a quasi 19 milioni.

Sette soli comuni, Bosa, Blesi, Messina, Ter­ mini Imerese, Cava dei Tirreni, Augusta ed Avola hanno chiesto ed ottenuto una proroga per applicare la abolizione.

A ltri 95 Comuni hanno soppresso nell’ultimo triennio la cinta daziaria ottenendo dallo Stato un concorso che complessivamente sale ad 1.2 milioni.

Il disegno di legge presentato dal Ministro Majorana mantiene il concetto del consolidamento dei canoni annuali di dazio consumo a favore dello Stato nella somma totale di 50,134,000 ; pari alla cifra che era già stata consolidata colla precedente legge 1° Gennaio 1901.

Nessuna modificazione viene portata ai canoni annuali, in quanto è provato che i Comuni ri­ cavano un margine di guadagno non indifferente, mentre lo Stato, non solo ha più regolari le ri­ scossioni dei 50 milioni, ma risparmia le spese a cui dianzi andava incontro.

E il guadagno dei Comuni è stato sempre crescente come risulta dalla seguente tabella, dove è indicato il reddito governativo al netto, l’ am­ montare del canone e la conseguente differenza dal 1897 a 1903 (in milioni).

Redd. gov. al netto n Guadagno Can. an n. dei c »m> 1897 65.8 50.1 15.7 1898 70.1 50.2 19.9 1899 73.5 5 0 .2 23.3 1900 74.5 5 J.2 24.3 1901 75.9 50.1 25.7 1902 80.3 50.1 30.2 1903 77.7 50.1 27,6

L ’aumento è stato costante, cosi che nel sennio 1897-1902 il margine è raddoppiato; la diminuzione del 1903 è dovuta, si intende, alla abolizione del dazio sui farinacei.

Da questo lato adunque nulla vi è da osser­ vare ed il consolidamento del canone è un ostacolo di meno alla riforma del dazio di consumo.

E che sia necessaria questa riforma, lo si vede anche dall’ allegato alla relazione nel quale è in­ dicata la quota per abitante che grava in diversi Comuni riguardo al canone che i Comuni pagano allo Stato.

Questa quota per abitante nei 235 comuni chiusi, ammonta a L . 4.56 considerati complessi­ vamente, ma si Iranno dei massimi ben gravi.

Supera le lire 9 per abitante il comune di Verona, che con una popolazione di 73,000 abi­ tanti e paga un canone di L . 729,000 e quindi una quota di L . 9.87 per abitante; superano la quota di L. 8, Livorno, Parma, Piacenza, Pavia, Venezia; superano la quota di L. 7, Bologna, Mantova, Milano.

Hanno invece una quota minima che non ar­ riva alle lire 2 per abitante: Arezzo, Caltanisetta (media di 5 comuni chiusi delle provincia), Co­ senza fmedia di 4 comuni), Girgenti (media di 6, comuni), Massa Carrara (media di 2 comuni), Siracusa (media di 4 comuni), Trapani (media di 3 comuni); — e stanno con una quota fra 2 e 3 lire per abitante: Aquila (media di 2 comuni), Ascoli (media di 2 comuni), Caserta (media di I l comuni), Catanzaro (media di 2 comuni], Chieti (media di 2 comuni), Foggia (media di 7 comuni), Forlì, Grosseto (media di 2 comuni), Lecce (me­ dia di 5 comuni), Macerata, Napoli (media di 18 comuni), Perugia (media di 6 comuni), Pesaro (media di 2 comuni)! Porto Maurizio (media di 2 comuni), Salerno (media di 11 comuni), Sassari (media di 6 comuni), Teramo.

(4)

Ca-408 L ’ ECONOMISTA 25 giugno 1905

serta, Catanzaro e Sassari con quote quasi eguali, sono stonature che non possono essere conservate se non col fermo proposito toglierle al più presto. Ed in questo senso soltanto si può ammet­ tere il consolidamento del fanone.

Quando si dice che il ministro Majorana in­ tende di conservare per un decennio i canoni annuali presenti, bisogna tener conto di alcun disposizioni del progetto che tendono a non ren­ dere assoluto questo concetto; già il disegno di legge ammette come è naturale, dei mutamenti di canone derivanti dai risultati del censimento, nel caso in cui per diminuzione di popolazione i comuni passino ad una classe inferiore.

Ma il Ministro propone anche, nel suo di­ segno di legge, che si possa addivenire ad una diminuzione di canone per i comuni che da chiusi sono spontaneamente diventati aperti ; provvida disposizione, la quale avrebbe dovuto per giustizia essere applicata appena la modifi­ cazione è intervenuta, e che varrà certamente ad accrescere il numero dei comuni che si di­

chiarano aperti. .

Finalmente il Ministro propone negli articoli' 3 e seguenti del progetto di legge una possibile modificazione dei canoni, con un concetto di pe­ requazione tra i comuni della stessa provincia. Per mezzo cioè della Commissione esistente per la legge 1896 viene assodato con accurate ricerche se iTreddito del dazio governativo sia superiore od inferiore ai 9/10 del canone; in base a questi rilievi i canoni sono ammontati fino ai 9/10 del ricavo effettivo, se il margine risulta superiore ad 1/10 e colla maggior somma così riscossa, il Governo diminuisce i canoni di quei comuni della provincia, quando superano i 9/10 della effettiva riscossione netta di spese.

Non sappiamo se veramente in tutte le pro- vincie vi sarà modo di venire a questa pere­ quazione senza che manchi od avanzi qualche cosa, ma anche se la riforma non raggiungerà quella giustizia che sarebbe desiderabile, servirà certamente a render meno aspra e stridente la ingiustizia esistente.

« Secondo un assoluto dovere di giustizia distributiva — osserva nella sua relazione l’ on. Majorana — la maggiore entrata, alla quale lo Stato rinunzia, che sostituisce il beneficio lasciato ai comuni colla riscossione dei dazi governativi, dovrebbe ricadere in eguale e proporzionale mi­ sura su tutti i comuni indistintamente, sulla base delle effettive riscossioni, tenuto conto della spesa ».

L e cifre che abbiamo sopra riassunte di­ mostrano quanto siamo lontani, non solo dalla as­ soluta giustizia distributiva, a cui allude il /Mi­ nistro, ma quanto grande sia anzi la ingiustizia. Certo che dai tempi nei quali il canone era sta­ bilito d’arbitrio dal Ministro e dava quindi luogo ad ogni genere di ingerenze, ad oggi che si in­ tende farlo oscillare intorno ai 9/10 del riscosso, molto si è fatto lodevolmente. Crediamo però che l’ on. Majorana si troverà, per necessità di cose, indotto ad allargare il concetto ristretto^ alla perequazione nel limite delle singole provincie, ma dovrà, per raggiungere qualche effetto pra­ tico, o estendere la perequazione alle regioni, od almeno a gruppi di provincie.

Alcune altre innovazioni porta il disegno di legge circa i rapporti tra i comuni e lo Stato riguardo ai canoni : come la riduzione dell’ inte­ resse di moia dal 6 al 5 per cento, L rinunzia alla garanzia diretta che gli appaltatori prestano allo Stato; ma importante è la abrogazione di quella disposizione della legge 1895, secondo la quale il Prefetto aveva facoltà di applicare dazi addizionali perchè così fosse, pagato il canone governativo in . mora. Giustamente osserva il Mi­ nistro, che questa disposizione è quasi antico­ stituzionale perchè dà al Prefetto un potere che esorbita dai concetti moderni in fatto di tributi.

Notiamo, fra le diverse disposizioni, che con­ tiene il progetto, quelle riguardanti il personale ad­ detto al dazio consumo, che viene parificato, così per quanto riguarda il disciplinamento, come per il diritto a pensione, agli altri impiegati comunali. Ed a questo proposito domandiamo se per ren­ dere agevole la diminuzione dei comuni chiusi, specie i minori, presso i quali l’ elemento buro­ cratico ha tanta influenza nelle elezioni, non sa­ rebbe stata conveniente qualche disposizione che assicurasse nelle linee generali il ^ trattamento degli impiegati nel caso di soppressione del da­ zio. L ’ articolo 24 del disegno di legge mira a questo scopo, ma poi, nel fatto,^ nulla dispone per il caso in cui gli impiegati non abbiano diritto al conseguimento della pensione di ri­ poso; si limita a stabilire che, se non accettano la indennità di licenziamento deliberata dai Con­ sigli Comunali, abbiano diritto ad^ essere prefe­ riti nella nomina ad altri impieghi comunali. I n solo inciso che dicesse che la indennità non può essere inferiore a tanti mesi di stipendio quanti anni di servizio, diminuirebbe molte difficoltà lo­ cali e con ciò molte ingiustizie.

Importanti sono le disposizioni che riguar­ dano le tariffe e che tendono a limitare le fa­ coltà dei Comuni; prima di tutto è loro vietato il passaggio a una classe superiore, il che vuol dire l’ aumento generale della tariffa ; è vietato pure di imporre nuovi e maggiori dazi su certi generi di prima necessità, come: — riso, latte, uova, carne di vacca, di bufalo, di pecora, di capra, lardo, strutto e sugna, pesci freschi, secchi e salati, le­ gumi, erbaggi, ortaggi, formaggi, latticini, pe­ trolio, sapone comune, legna da fuoco, eco. eco.; — è vietato di aumentare i dazi addizionali se raggiungono il 30 per cento del da,zio governa­ tivo; — i comuni possono abolire i dazi comu­ nali ed anche i governativi: — non possono farlo totalmente, se la sovraimposta è oltre i limiti le­ ga]; • — viene limitata la facoltà di imporre dazi sui foraggi, sul gas luce e sulla energia elet­ trica; — è vietato ai comuni aperti di dichia­ rarsi chiusi; — non.possono essere allargate le

attuali cinte daziarie. _ .

Inscimma il progetto contiene molte ed im­ portanti limitazioni a questo barbaro balzello ed è sperabile che i comuni ne approfittino per li­ berarsi da un tributo che non risponde più ai tempi.

(5)

25 giugno 1905 L ’ ECONOMISTA 409

La politica doganale europea

Abbiamo dato un largo riassunto della pro­ posta del prof. Martello di costituire uno « Zollve­ rein » italo-francese, nel senso che i due paesi avessero una tariffa comune verso tutti gli altri Stati e libero scambio tra loro. L ’ intendimento dell’Autore con questa proposta è quello princi­ palmente di costituire un primo Ducleo a cui poi aderissero le altre nazioni per venire più tardi agli Stati Uniti di Europa, i quali dovrebbero pensare a difendersi dal pericolo americano che sta, secondo l’Autore, minacciando l’Europa.

L ’Autore stesso, dipingendo con mano mae­ stra le ragioni di dissidio continuo in cui vivono i diversi Stati Europei, e ricordando il lungo dis­ sapore che si mantenne per tanti anni tra la Francia e l ’ Italia, nazioni « pur fatte per inten­ dersi », ha fatto egli stesso la critica alla pro­ pria proposta, dimostrando la enorme difficoltà che un cosi largo concetto si faccia strada tra le piccinerie delle quali si alimenta di continuo la politica degli Stati Europei.

Se poi si aggiunge che quasi in ogni Stato esiste un partito agrario, che rappresenta politi­ camente la reazione ed economicamente la più tenace resistenza ad ogni progresso anche agri­ colo, e se si tien conto della condotta, che nelle discussioni sulla tariffa generale tenne il partito stesso, cosi che si perderono giornate in tratta­ tive per i pom idoro e per le patate, come se fos­ sero veramente questioni di Stato, e sino al punto da compromettere le buone relazioni politiche, che non trovavano corrispondenza nei rapporti commer­ ciali, si deve confessare che ogni idea di entente, per abbattere le barriere doganali è veramente, per ora almeno, utopistica.

Se non sorgono delle grandi ragioni politiche, che possono consigliare una unione doganale, come consigliarono in altri tempi la unione monetaria latina, noi riteniamo che il fatto economico sia concepito ancora in Europa con vedute troppo ristrette e con troppo scarsa visione dell’ avve­ nire, perchè si possa pensare che gli interessati impongano, in nome degli interessi economici, un avvenimento politico di tanta importanza come sarebbe la soppressione di ogni dogana tra l’Italia e la Francia.

E ’ da augurarsi che 1’ avvenire trovi le po­ polazioni attive più illuminate e più conscie, così che comprendano il danno che deriva dal prote­ zionismo ed avvisino ai mezzi per farlo a poco a poco sparire; ma per ora, finche i grandi uomini __ e sono pochissimi — che presiedono ai rap­ porti commerciali tra gli Stati, non sentono tutto il danno che apportano all’avvenire differenziando sempre più le tariffe ed aumentando le voci, il che vuol dire tenendo conto di interessi sempre più piccoli, non vi e davvero da sperare in una qualsiasi resipiscenza. Anzi si procederà sempre più innanzi nella via già battuta, e le tariffe doganali diventeranno sempre più mostruose, per­ chè gli uomini politici che le confezionano, non possono non cedere alle influenze esterne, che sono la base della loro forza politica, e come distin­ guono oggi sette od otto voci di filati di cotone, domani arriveranno a distinguere gli spilli se­

condo abbiano la capocchia aggiunta, o tutta un pezzo con 1’ ago.

E ’ il fatale andare delle cose incanalate per quella via disastrosa, che conduce all’ assurdo, al ridicolo.

Mentre però riassumevamo il brillante scritto del prof. T. Martello, un’ altra proposta è stata affacciata, non collo scopo grandioso dall’ egregio professore indicato, ma con più modesto intento. L ’ on. Luzzatti, nello studio della crise che mi­ naccia la industria della seta e nella giusta vi­ sione che tale crise sia determinata principalmente dagli imbarazzi che al commercio, così della ma­ teria prima, come dei prodotti lavorati, producono i diversi regimi doganali, si è domandato se non sarebbe conveniente che i diversi Stati si inten­ dessero in un comune regime doganale, od almeno in un regime doganale convenuto tra tutti gli interessati.

Non è il caso di discutere qui la proposta dell’ on. Luzzatti, la quale, per essere giudicata, domanda particolari studi tecnici sulle condizioni dell’ industria, ma va rilevato il principio che può essere il germe di più larghe applicazioni. Oggi la clausola della nazione più favorita è il solo filo, ormai, se non tenue, almeno difficile ad essere seguito nelle svariate conseguenze che produce il suo intricato movimento, è il solo filo, diciamo, che tiene unite, nel riguardo commerciale, le diverse nazioni.

E ’ da questo filo che bisogna prudentemente partire per fissare una specie di codice interna­ zionale per i trattati di commercio. Crediamo che sarebbe molto difficile stabilire delle regole ge­ nerali per fissare i limiti positivi dei trattati di commercio, ma crediamo che non sarebbe altret­ tanto difficile fissarne, a così dire, i limiti negativi. Chi esamini i trattati di commercio deve convenire che contengono non poche cose che sono assurde, perchè derivano dalle tariffe gene­ rali le quali', appunto perchè devono essere dai trattati modificate, contengono le cose più fanta­ stiche, più contradditorie, più assurde.

Non dovrebbe quindi essere difficile che, visto l ’immenso lavoro domandato dalla recente rinno­ vazione dei trattati tra le principali nazioni, gli uomini più competenti cercassero di stabilire un accordo col quale venissero in certo modo^ bissate le disposizioni che, appunto perchè eccessive, non dovrebbero essere contenute nelle tariffe generali di ciascuno Stato.

Come vi sono dei trattati internazionali che disciplinano e limitano il modo con cui fare la- guerra, vi possono, a nostro avviso,^ essere dei trattati che disciplinano e limitano il modo di fare la guerra economica.

Ciò che si è fatto per lo zucchero alla Con­ venzione di Bruxelles non si può fare per disci- sciplinare le tariffe ferroviarie, per disciplinare i tributi che colpiscono la produzione, per stabilire i limiti massimi dei dazi e per rendere uniformi a tu tti gli Stati tante clausole che si trovano^ e sulle tariffe generali e sui trattati di commercio!

(6)

410 L ’ ECONOMISTA 25 giugno 1905

Se gli uomini di buona volontà si accinges­ sero a quest’opera di disciplinamento, si sarebbe fatto un passo notevole. Diciamo di più: — perchè i negoziatori dei trattati di commercio non si riu­ niscono a congresso privato (non come rappresen­ tanti degli Stati) e non gettano le basi di un simile studio?

All’on. Luzzatti, che è l’uomo delle luminose idee, raccogliere, e dar forma a questo concetto.

Il movimento industriale del Regno d’Italia

È stato recentemente pubblicato a cura della Direzione generale della Statistica del Regno d’ Italia la parte seconda del riassunto delle no-, tizie sulle condizioni industriali del Regno. Tale riassunto sarà diviso in tre parti : la seconda (che esce per la prima) contiene il riassunto per

provincie. Seguirà poi la parte terza che con­

terrà il riassunto per gruppi di industrie; indi la parte prima, che conterrà l’Introduzione,nella quale verranno illustrati i dati statistici.

L a parte seconda dà conto, per provincie, del numero degli edifici e degli operai e della qualità e potenza delle forze motrici adoperate nelle principali industrie, fino all’ anno 1903; e il conto sembra risultare abbastanza esatto, in quanto i dati ricavati dalle monografie e dalle notizie raccolte dopo il 1885 dalla Direzione ge­ nerale della Statistica furono sottoposti a revi­ sione diligente, ricorrendo alle Prefetture, Camere di commercio, Uffici metrici, Uffici tecnici di F i­ nanza, Corpo reale delle Miniere e, per gli sta­ bilimenti governativi e le officine ferroviarie, ai Ministeri competenti.

Il riassunto — utilissimo per le numerose considerazioni che suscita coi suoi resultati — fornisce per ciascuna provincia d’Italia il numero degli opifici, delle caldaie a vapore, dei motori (a vapore, idraulici, a gas, elettrici), la misura della loro potenza, il numero dei lavoranti maschi e femmine, al disopra e al disotto dei 15 anni ; e tutto ciò distinguendo : a) le industrie mecca­ niche, minerarie, metallurgiche e chimiche ; b)le industrie alimentari ; c) le industrie tessili; d)le industrie diverse, ovverosia quelle di minore im­ portanza, e quelle particolari a certe determinate località.

Al riassunto è aggiunto pure un notiziario delle lavorazioni di carattere penale che si ese­ guiscono dai detenuti negli stabilimenti penali del Regno.

Ecco un riepilogo del numero degli opifici per ogni compartimento per ordine decrescente, compresovi ogni gruppo di industrie :

Lombardia 17,124 Sicilia 16,227 Toscana 13,077 Campania 10,520 Piemonte 9,601 V eneto 8,033 Em ilia 6.838 Calabrie 6,749 Puglie 6,307 Abruzzi e Molise 5,794 Riporto 100,270 4,089 4,052 2,934 2,080 2,065 1,917 Totale degli opifici del Regno 117,407 Nè può meravigliare questo quadro quando si pensi che la sola provincia di Milano fornisce 5287 opifici, dei quali 2147 relativi a industrie alimentari ; e le provincie di Messina e Palermo insieme dànno 5143 opifici ; dei quali gran parte riferentisi alla industria dello zolfo.

Poco diverso è l’ ordine decrescente dei Com­ partimenti prendendo a base il numero dei la­ voranti, il cui totale generale pel Regno è di 1,400,157 cosi distribuito: Lombardia 351,807 Toscana 207,925 Piemonte 162,391 Veneto 126,022 Campania 115,599 Sicilia 111,949 Emilia 70,915 Liguria 55,636 Puglie 35,481 Marche 34,814 Calabrie 31,013 Pom a 30,241 Sardegna 22,292 Abruzzi e Molise 20,857 Umbria 18,278 Basilicata 4,831

L e diversità dell’ordine contenuto nello spec­ chio precedente si deve da un lato fatto di gran­ diosi opifici contenenti gran numero di lavoranti, da un altro alle industrie casalinghe, esercitate per molta parte da donne. Così la Toscana, che nel quadro occupa il secondo posto, ha gran nu­ mero di lavoranti in treccie e cappelli di paglia : la sola provincia di Firenze dà 84,558 (di cui circa 75,000 donne) impiegati in 425 opifici di lavorazione di treccie e cappelli di paglia ; di più ha oltre 2600 donne occupato nella industria com­ pletamente casalinga dell’ impagliatura dei fiaschi. Onde completare il riassunto, diamo ancora qualche notizia a riguardo delle caldaie a vapore che nel Regno sono constatate nel numero di 10,358 e dei motori che nel loro complesso sono:

Motori a vapore 8,150

» idraulici 49,699

» a gas, a petrolio, a vento 2,129

» elettrici 3,621

Totale 63,599 I l compartimento che ha maggior numero di caldaie a vapore è la Lombardia, che ne ha 2387 ; indi il Piemonte che ne ha 1608. Quello che ne ha meno è la Basilicata con 53. Corrisponde a questo ordine anche quello relativo alla potenza dinamica delle caldaie stesse, dappoiché la Lom­ bardia ha 92,024 in cav. din. e il Piemonte 57,771. Dei motori a gas la Lombardia ne ha 1847 con 64,527 cav. din. di potenza; di questi 1847, oltre 1000 si riferiscono alle industrie tessili. Viene poi il Piemonte con 997 motori a vapore, rappresentanti 33,950 di potenza dinamica. R i­ guardo a quest’ultima però è inferiore al Piemonte j la Liguria, pure avendo sólamente 560 motori a I vapore : questi rappresentano infatti una forza di

(7)

25 giugno 1905 L ’ ECONOMISTA 411

38,542, di cui oltre 29 mila è impiegata negli opifici delle industrie meccaniche e metallurgiche.

I motori idraulici sono in numero maggiore. L a Lombardia ne ha 10,174, che rappresentano oltre 100 mila cav. din. ; il Piemonte ne ha 6917, di cui 5342 riferentisi alle industrie alimentari, con 83,960 di forza. Vengono poscia il Veneto con 5865 motori rappresentanti 35,607 di forza, l’ Emilia con 5405 motori e 19,928 di forza ; la Toscana con 5197 motori e 25,621 di forza, e l’ Umbria, la quale però con soli 1962 motori idraulici, raggiunge 54,218 cavalli dinamici.

E ’ da notare che di questi motori dell’ Um­ bria 188 sono diretti all’ industrie meccaniche e metallurgiche, ed hanno 41,460 di forza impie­ gata specialmente nell’ industria dèli’ acciaio (ro­ taie, cannoni, ecc.).

In piccolo numero sono i motori a gas, pe­ trolio ecc. : la Lombardia ne ha 323 con 1977 in cav. din., la Liguria 286 con 2218, il Piemonte 222 con 2160 ; 1’ Umbria è 1’ ultima con un mo­ tore solo.

Riguardo infine ai motori elettrici, la Lom­ bardia, sempre la prima, ne ha 1282 con 7828 cav. din., la Liguria 1175 con 13,856.

Viene dopo, a molta distanza però, il Pie­ monte che ne ha 372 con 4 6 8 3 ; indi il Veneto (213 con 5942), la Campania (177 con 3365), la Toscana (124 con 863). Le Calabrie hanno 2 mo­ tori con 20 cav. di forza, la Basilicata nessun mo­ tore elettrico.

Così, dato un concetto generale delle condi­ zioni industriali nei compartimenti italiani, non sarà inutile qualche notizia più precisa tanto a riguardo delle provincie principali, quanto dei singoli gruppi d’ industrie ; il che servirà sia a giustificazione e spiegazione dei dati forniti a riguardo dei compartimenti, sia a rilevare lo svi­ luppo particolare che qualche determinata indu­ stria spesso assume in una data provincia a pre­ ferenza che in altra.

E di ciò in un prossimo articolo.

PREV ID EN ZA E COOPERAZIONE

agricola e Industrialo

L ’egregio nostro collaboratore in una recente conferenza ha esposto sull’argomento concetti che egli stesso ci favorisce riassunti, e che di buon grado facciamo conoscere ai nostri lettori.

L ’associazione di mutuo soccorso è la forma più antica, embrionale della solidarietà proletaria, specia - mente fra contadini e operai.

Ma la mutua assistenza, per quanto necessaria e provvidenziale nei tempi in che la vita sociale era ri­ stretta quasi ai confini del territorio del Comune, non è la istituzione unionista, che oggi possa bastare per salvare il lavoratore dalla miseria e per raggiungere 1»obbiettivo più vasto e complesso di elevare a con­ dizione dei lavoratori proletari, migliorandone le sorti economiche, intellettuali e morali.

L ’assicurare un sussidio temporaneo ai soci malati, non basta alle esigenze odierna — abbiamo il socio che, ancora giovine, diventa ina Dii e al lavoro per le- rite, per m alattie di corpo o di mente divenute cro­ niche — abbiamo il socio che d iv en ta impotente al la­ voro per legge di natura.... è invecchiato.

N ell’ uno e nell’ altro, caso bisogna provvedere al socio in modo non solo sufficiente, ma anche stabi e

e duraturo — bisogna, cioè, che il sussidio vitalizio so­ stituisca, prenda il posto del sussidio temporaneo ; se no, cessato il periodo di tempo massimo concesso dal rego­ lamento per la somministrazione del sussidio, il socio è abbandonato a sè — e vive nella miseria per insuffi­ cienza di mezzi da parte della famiglia.

Si capisce benissimo che, per quanta sia la buona volontà e quanti gli sforzi delle piccole società comu­ nali di M. S., l ’alimento del loro bilancio è tale che sarebbe follia il pretendere una pensione vitalizia che, estesa a due, a tre, a quattro soci, assorbirebbe tutte le risorse dei sodalizi ; mi ricordo infatti di aver letto in una statistica delle società di M. S. nel regno che più di 600 fra di esse nel decorso anno non si sono trovate in fondo sufficiente per far fronte al sussidio nei casi di malattia.

Il compito pertanto del sussidio vitalizio non è, e non può essere delle piccole associazioni e nemmeno delle medie ; perocché è la fusione tontinana di una grande quantità di singoli tribu ti ordinari e la sov- venzione permanente e vistosa di contributi straordi­ nari da parte degli enti di governo che soli possono formare fondo e reddito sufficiente a garantire in ogni caso ed in ogni momento la sovvenzione vitalizia al socio inscritto e reso invalido per sempre.

Di ciò convinti, Governo, Parlamento e Ke nel luglio del 1898 proposero, votarono e promulgarono la legge che istituisce la Cassa Nazionale d i Previdenza per

la invalidità e la vecchiaia degli operai ; ed alla quale possono inscriversi non solo tu tti i lavoratori del pro­ letariato, appartengano essi ai campi, alle officine o ad altra categoria di lavoro qualsiasi, ma anche 1

mezzadri e piccoli proprietari che lavorano da sè la propria terra e la terra d’altri.

Anche le donne possono inscriversi, e non soltanto le operaie, ma anche quelle che badano alla casa, pur; che sieno figlie, spose o sorelle di operai e contadini

E ’ ammessa 1’ inscrizione dopo i 12 anni e la quota annua è di lire sei soltanto e che si versano in quante rate fa comodo, purché non minori di 50 cen­

tesimi per volta. . . . .. ,.

Si acquista diritto alla pensione vitalizia alla età di 55 anni per le donne e di 60 per^l’ uomo, purché si sia inscritti alla Cassa almeno da 25 anni,

Per gli operai contadini che oggi hanno più di o ) anni (ìe donne) e di 85 (gli uomini) la legge accorda speciali agevolazioni, purché si facciano inscrivere en­ tro il corrente anno; tu tti gli uffici postali sono auto­ rizzati a ricevere le inscrizioni.

L a Cassa Nazionale si è aperta all’ inscrizione nel 1898 con un capitale iniziale di 10 milioni di lire da­ tole in dote dallo Stato — al 1° gennaio del 1903 la dote era già salita a 25 milioni circa.

Tantoché la Cassa in oggi dispone di circa tre mi­ lioni Panno per assegnare anno per anno ì premi agli operai ed ai contadini che vi sono inscritti e che si

inscriveranno. . .. , 7

T utti i lavoratori soci e non soci di sodalizio, do­ vrebbero inscriversi alla Cassa Nazionale per assicu­ rarsi una pensione vitalizia, la quale, per quanto mo­ desta, rappresenta sempre nella casa il prezzo del pane che occorre al vecchio per vivere tranquillo accanto ai figli ch ’ egli ha allevato col lavoro. . ..

Quando ciascuno di noi avrà, come si dice, le spalle appoggiate al muro per quanto riguarda lo stretto bi­ sogno per vivere, tu tti ci sentiremo piu liberi, ordinati e sereni nel compiere i doveri materiali e morali della v ita quotidiana — e tu tti ci convinceremo che lo svol­ gimento calmo, sereno e fidente del lavoro quotidiano, non solo è il massimo fattore della prosperità e della concordia nella famiglia, ma è in pan tempo la P i u

grande delle garanzie pel mantenimento dell ordine

pubblico. , ,

Ed a me sembra che bene opererebbe il Governo se proponesse che la rendita annua di 3 milioni e 2-‘5 mila lire, che il Tesoro dello Stato deve alla Santa Sede, si versi alla Cassa Nazionale di previdenza man mano che le annualità si prescrivono.

Che se alla Cassa si versassero le annualità pre­ scritte dal 1870 ad oggi, la dotazione patrimoniale sua si accrescerebbe di circa 100 milioni ; il che sarebbe la « Cedola di assicurazione» sulla vita per la Cassa Na­ zionale.

* *

(8)

412 L ’ ECONOMISTA 25 giugno 1905

vero che la Cassa Nazionale di Previdenza col sussi­ dio vitalizio integra l’opera del mutuo soccorso, quando il lavoratore diviene impotente per vecchiaia od inva­ lid ità; ma ciò non basta — è d’uopo che completiamo il nostro movimento di unione operaia con un terzo passo, il passo della cooperazione tanto di lavoro che di produzione — la quale oggidì viene grandemente agevolata ed è ormai resa indispensabile dallo sviluppo rapido e intenso della produzione nazionale in ogni ramo della attiv ità umana.

Perocché è solo colla cooperazione che l’operaio può gradatamente uscire dal lavoro salariato per giungere al lavoro indipendente: ed è solo colla cooperazione che la coscienza operaia potrà convincersi’ non essere vero che il capitale sia nemico del lavoro, perocché lavoro e capitale si integrano a vicenda — e l’uno non può sussistere e vivere senza dell’altro; tantoché, allo stato della organizzazione sociale odierna, noi non pos­ siamo considerare il lavoro altrim enti che come figlio del capitale e il capitale figlio del lav o ro — essi sono, e devono essere, due buoni amici, ai quali conviene nel reciproco interesse camminare di conserva e d’accordo — essendo questo il solo modo di accrescere ed assicu­ rare con efficacia e stabilità la prosperità economica e la quiete, tanto del lavoratore, quanto del produttore.

Il lavoro sta al capitale come la moglie al manto _ e come non vi è pace domestica di famiglia quando nasce e permane il disaccordo fra moglie e marito, così non vi può essere pace sociale di nazione, quando ca­ pitale e lavoro si trattano da nemici.

Se noi analizziamo l’essenza delle società di mutuo soccorso sarà facile convincersi che le medesime altro non sono che cooperative di sussidio perocché i soci altro non fanno che obbligarsi vicendevolmente a raccogliere il danaro, il capitale sufficiente per pagare il sussidio giornaliero al socio che si ammala.

Così concepita la società di mutuo soccorso, riesce facile il comprendere come sia naturale il passaggio da questa alla Unione cooperativa d i lavoro e di produ­

zione — nella quale i soci si obbligano di raccogliere il capitale un po’ più grosso necessario per darsi solidale aiuto e concorso di forze onde poter lavorare e pro­ durre con profitto nelle imprese che la società coope­ rativa si è assunto di compiere in sostituzione del pri­ vato appaltatore.

Così facendo, i soci della cooperativa diventano ì salariati di sé stessi — inqusmtochè il salario di cia­ scheduno è pagato col capitale che ciascheduno ha messo in comunione per potere essere, ad un tempo, operaio ed appaltatore del lavoro, dell’ impresa che la

società si assunse. .

E quando pertanto, integrato io scopo umanitario degli statuti di mutuo soccorso colla iscrizione di tu tti i soci alla Cassa Nazionale di previdenza, passe­ remo al terzo stadio del movimento evolutivo operaio — facilmente ci convinceremo che questo è uno dei fattori primi da conseguire onde l ’operaio possa assur­ gere ad azionista della grande famiglia di Stato, perchè è divenuto capacità coscientemente volitiva, non per­ chè è quantità numerica, essendoché non bisogna scor­ dare che il numero diventa forza sociale preponderante, allora soltanto che gli è compagna la coscienza del

proprio valore. ,,,

Ci convinceremo allora che lo sviluppo dell unio­ nismo cooperativo trasborda, per così dire, il movi­ mento operaio dalla fase rivoluzionaria a quella di evoluzione dentro l’orbita delle leggi sociali che ci reggono e ci reggeranno — e che la cooperativa di Pro­ duzione non solo porta man mano alla cessazione del confiitto fra capitale e lavoro, ma ne promuove la loro alleanza; alleanza che, dato — come d i s s i 1 odierno stato di convivenza sociale, si presenta tu tt’affatto na- t'arale e simpatica *, e quando quell’ alleanza abbiamo tentato di urtare e di rompere collo sciopero, tu tti ab­ biamo dovuto farci convinzione che lo sciopero non

il conto nè di chi paga, nè d i qhi è pagato.

Lo sciopero, adoperato come arma transitoria e di espediente, può avere ed ha effettivamente un valore d’efficacia indiscutibile, quando le domande delle masse scioperanti sono fondate sulla equità e sulla opportunità.. Ma quando dello sciopero sì vuol fare, come pur­ troppo qualche volta è avvenuto, uno strumento per­ manente di minaccia per ottenere quandochessia dal produttore aumenti ed agevolazioni di trattamento,

Io-sciopero in allora perde di efficacia e di prestigio e si

suicida. . ,

Bisogna considerare, d’altra parte, che le classi la­ voratrici abbisognano di quiete e 'di stabilità come le classi produttrici — diversamente il lavoro non è rim u­ nerativo nè per le une, nè per le altre. Bisogna inol­ tre considerare che lo sciopero, per quanto equamente in date circostanze possa essere promosso e consentito, risente sempre di un fondamento di violenza e come tale spesso l ’opinione pubblica lo stigmatizza.

Occorre pertanto che le classi lavoratrici, quando credono di far valere le proprie ragioni di migliorie col mezzo gravissimo dello sciopero, abbiano in sé stesse la coscienza e la forza morale e legale di discu­ terlo, senzachè, a farlo deliberare, concorra la parola, per quanto generosa, di persone che alla classe ope­

raia non appartengono.

Occorre infine che l ’operaio senta, che, nel suo di­ ritto naturale di far valere le ragioni di un progres­ sivo e adeguato miglioramento economico, è assistito e riconosciuto dalla legge nel modo stesso che questa assiste e riconosce il produttore agricolo e industriale nei tentativi di migliorie a proprio vantaggio.

Occorre insomma, che, come per legge sono orga- nizzate e riconosciute le Camere di commercio ed 1

Comizi agrari, così per legge siano costituite e rico­ nosciute le Camere di lavoro.

Solo quando ciò sia avvenuto, si troveranno a con­ tatto legale e profittevole le classi^ proprietarie e pro­ duttrici colle classi lavoratrici in ogni e qualsiasi circostanza di attrito e mutazione nei rapporti di ar­ monia economica fra lavoro e capitale. — Allora sol­ tanto, prima di metter mano all’arma dello sciopero, fra i due Consigli delle Camere di commercio e di la­ voro, si inizierà e. condurrà a termine pacificamente e dignitosamente la discussione sulla domanda e sulla offerta dell’ industriale coll’operaio, del proprietario col contadino, del commerciante col commesso di banco; e poiché dalla discussione pacifica e dignitosa nasce sempre luce e concordia, è a prevedere che gli scioperi più non si verificheranno; e che l ’anticristiana e di­ sastrosa lotta d i classe scomparirà per cedere posto alle benefiche é profittevoli gare d i conciliazione fr a le classi di tutte le gradazioni sociali.

Dobbiamo quindi far voto che quanto prima la nostra legislazione sociale si arricchisca di un altro volume — quello, cioè, contenente la legge che per­ m etterà ai Consigli delle Camere di lavoro di sedere autonomi e legali al pari dei Consigli delle Camere di commercio e. dei Comizi agrari.

Sarà questo un incentivo fortissimo per la fusione della istituzione di Probiviri dentro.i Consigli di la­ voro, del commercio e dell’ agricoltura — fusione che porterà al naturale abbandono di ogni qualsiasi forma di sciopero --- essendoché ogni divergenza di fatto e di pensiero verrà discussa in sede di giudizio pacifico da­ vanti i m agistrati civili, liberamente eletti dai figli del lavoro e dai padroni del capitale.

Forse oso troppo —- ma è mia convinzione che, quando noi avremo data costituzione e sanzione legale alle Camere di lavoro — e quando la Cooperativa di lavoro e di produzione sarà entrata nelle abitudini degli statu ti dèlie unioni operaie, potremo in allora affermare, con sicurezza di vaticinare la verità, che lo sciopero non sarà p iù , e che di esso non si farà più parola se non a titolo di melanconico ricordo di mo­ menti angosciosi per tu tti.

(9)

25 giugno 1905 L ’ ECONOMISTA 413

vieranno alla costituzione di un mondiale sindacato autonomo di produzione fra proprietari e coltivatori della terra — resi fra loro solidali e concordi dalla unione di cooperazione fra lavoro e capitale.

Ed è col lanciare ai lavoratori ed ai capitalisti agricoli di tutto il mondo il concetto dell’ideale di pace e di benessere, che si deve tentare di raggiungere nella vita economica nazionale ed internazionale che il Capo dello Stato italiano dimostrò mente di acuto osservatore *, volle così ricordare che sotto un certo aspetto essendo la terra la prim a sorgente delta ricc'iezza

vera, sostanziale ed effettiva, dobbiamo considerare e proteggere la industria agricola quale m aire natu­ rale e necessaria di tutte le industrie manifatturiere — le quali possono considerarsi come gli strumenti razionalmente necessari e indispensabili per diffondere e distribuire equamente la ricchezza della terra fra i lavoratori ed i produttori di ogni classe e categoria so­ ciale; tale essendo l’agricoltura, è al suo incremento e sviluppo di produzione intensiva, cui devono — prima che ad ogni altra cosa — rivolgere la loro attenzione e le loro cure i Governi di tu tti i popoli.... essendoché

non vive la officina là dove languisce il campo.

Al quale principio ha reso giustizia la Conferenza internazionale di agricoltura che testé si chiuse colla intuitiva dichiarazione dell’ on. Fortis, quando disse che l ’ Osservatorio agricolo internazionale sarà ele­ mento di pace fra le nazioni, tanto più che Vagricoltura

è la regina delle industrie (1).

Ed all’accordo di pace fra capitale e lavoro mirava già ili sua propaganda il primo e più antico pensatore ed oratore di cose sociali — accenno a Cristo peroc­ ché è a lui che dobbiamo la posa della prima pietra su cui poggia l’ edifìcio del mutuo soccorso e della odierna legislazione sociale operaia — prima pietra che Cristo pose allorquando, alle turbe che l ’ascoltavano, lanciò il grande precetto di amore fraterno universale :

non fa r e agli altri quel che non vuoi sia fatto a te — ama

il tuo prossimo come te stesso.

*

* *

E tanto più presto arriveremo a generale conci­ liazione fra le classi, se sempre terremo presente come le residue lotte economiche, che tuttora si dibattono pel miglioramento delle classi lavoratrici, riesciranno a pronti risultati pratici e profittevoli se saranno com­ battute col sussidio di quella forza effettivamente per­ suasiva che solo sviluppano le gare della unione coo­ perativa di lavoro, e di produzione — forma questa di unionismo operaio che arriverà al suo integrale svi- luppo di spiegamento e conquisterà la coscienza del lavoratore e del capitalista il giorno in che — assestati

i tributi di Stato, d i Comune e d i Provincia su basi di generale giustìzia p er tutti, e su basi d ì speciale equità per ali umili della fortuna — e fatti tu tti concordi nel sen­ timento dell’ umanità e della solidarietà economica fra classi dirette e classi dirigenti — noi potremo leggere sulle tavole legislative della v ita sociale che 11 diruto

a l lavoro da parte del proletario è stato sostituito dal

dovere di lavoro da parte di tu tti, qualunque sia il grado di povertà o di ricchezza del cittadino —• dico « da parte di tu tti » perchè non bisogna mai dimenticare che dove non c’è lavoro c’è corruzione.

Ausonio Lom ellino.

(1) Da v i d e Lu b i n, F ia t lu x. M ilan o , 1905. E d ito r i L. F . P a lle s tr in i e C. (b . 5).

L é o p o ld M abilleau. - La Mutualité Française.

— Bordeaux. Ed. « L ’avenir de la Mutuante », 1905, pag. 202 (fr. 2.85).

L ’Autore intende sin da principio di chiarire un equivoco avvertendo che la « Mutualité Fran­ çaise » non è una associazione che limiti il pro­ prio fine ai soli membri di cui è composta, ma che con molto più largo concetto intende di ap­ plicare il principio dell’aiuto reciproco fra gli uo­ mini ; non ha quindi nulla di comune colla « li­

bera previdenza » degli inglesi e degli americani del Nord, nè colla « assicurazione obbligatoria » dei tedeschi e degli austriaci ; ma è una istitu­ zione puramente latina, che fiorisce in Francia e trova riscontro in analoghe istituzioni italiane, belghe, spagnuole e dell’America del Sud.

Spiega quindi nella prima parte che cosa debba intendersi per Mutualità ed assistenza, per Mutualità e previdenza individuale, per Mu­ tualità ed assicurazione.

La seconda parte è consacrata a delineare la costituzione e la organizzazione della Associa­ zione ; ne è spiegato lo Statuto, le funzioni del personale delle Società e del regime delle Società stesse ; è pure svolto il modo di essere delle Unioni e Federazioni, le diverse forme che as­ sume la Mutualità, materna, scolastica, familiare ; e quindi è indicata 1’ organizzazione finanziaria, cioè i mezzi ordinari e straordinari di cui dispone l’Associazione, il modo con cui impiega i fondi e li capitalizza.

A questo proposito del rapporto tra i mezzi disponibili e le destinazioni promesse, l’Autore rileva come le quotazioni dei singoli associati non bastino nemmeno ai sussidi promessi in caso di malattia, e rimangano scoperti i bisogni per le pensioni e l’ assicurazione. E ’ lo stesso male di cui soffrono le nostre Società di Mutuo Soccorso.

L ’Associazione si propone di rendere agli as­ sociati i seguenti servizi: sussidi in caso di ma­ lattia ; servizio medico, servizio di farmacia ; in­ dennità giornaliera ai malati.

I l libro è destinato alla propaganda di una idea, a cui non si può non augurare un esito fe­ lice, specialmente vista l’ardente fede dell’Autore. D o tt. G a b rie l d e S a in t-A g n a n . - L e budget

de Berlin. — Paris, tìuillaumin, 1904, pag. 218. L ’Autore, insieme allo studio-ampio e dili­ gente del bilancio della città di Berlino, dà nella introduzione interessanti notizie generali sulle questioni riguardanti le finanze municipali, e sulle recenti leggi che mirarono a regolarle.

Nei due capitoli della prima parte l’Autore discute quindi sul meccanismo e sulla struttura di tale bilancio ; meccanismo, in quanto riguarda le diverse fasi che deve seguire per venire defi­ nitivamente effettuato ; struttura, in quanto è esposta la forma che assume il bilancio stesso nella divisione delle entrate e delle spese.

Ciò premesso, l’Autore passa alla analisi della parte componente il bilancio, al quale argomento consacra la seconda parte che è divisa in tre ca­ pitoli: beni della città, intraprese industriali, (gas, acqua potabile, canalizzazioni, mercati,^ macelli, posta della città) e imposte dirette ed indirette.

Finalmente nella terza parte, che comprende tre capitoli, l’Autore studia con molta competenza l’evoluzione del bilancio di Berlino e di altre città della Prussia dopo il 1895 e cerca il significato di tale evoluzione ; rispetto al bilancio di Berlino rileva le difficoltà nelle quali attualmente si di­ batte, sia per il disavanzo di quasi cinque milioni, sia per il non equo sistema tributario.

Interessante assai è la conclusione, a cui viene l’Autore paragonando il bilancio di Berlino a quello di Parigi. Su tale confronto ci propo­ niamo di ritornare segnalando intanto ai lettori questo notevole lavoro.

(10)

414 L ’ ECONOMISTA 25 giugno 1905

A vv. P. D rillo n . - Les droits et les devoirs du

Pére de famille. — Paris, Lib. Bloud et C.ie, 1905, pag. .80.

L ’Autore di questo volumetto, ohe pur pro­ fessando ed esponendo idee e convincimenti che non sembrano moderni, sa rendersi interessante, deplora la crescente potenza dello Stato, che in­ frammettendosi in tutto, mira anche ad assorbire l’autorità paterna e sostituirsi ad essa facendo del capo della famiglia un suo dipendente. Ve­ dete ? egli dice ; siamo arrivati al punto che il padre non può mandare il figlio all’officina prima che non abbia compiuta l’età voluta dalla legge; non può trattenerlo un giorno in casa invece di mandarlo alla scuola, senza doversi giustificare davanti la apposita Commissione ; non può nem­ meno scegliere esso stesso l’educatore del proprio . figlio, perchè lo Stato monopolizza 1’ istruzione.

Porse saremmo anche noi coll’Autore a de­ plorare ogni eccessivo intervento dello Stato in ogni cosa privata, ma disgraziatamente dobbiamo domandarci : di chi la colpa ? Il regime di mag­ giore autorità lasciata ai padri, non ha prodotto quello sfruttamento crudele delle tenere vite, contro del quale pietosamente si è alzata dovunque la voce della umanità intera? — la libertà di la­ sciare o non lasciare istruire i figli, non ha man­ tenuto le plebi nell’assoluto analfabetismo che an­ cora deploriamo in Italia e che, sino a poco tempo fa, si deplorava in Francia? — Non furono gli errori, i deviamenti e le mene politiche degli istruttori-religiosi, che stancarono la pazienza dei popoli tante e tante volte?

Non accusiamo 1’ età presente di colpe che sono molto minori di quelle che i nostri padri commettevano, e rallegriamoci che, sia pure in­ frangendo il principio assoluto di libertà, vi sia chi opera invece di coloro che per secoli e secoli non hanno fatto il loro dovere.

L ’Autore nei tre libri, in cui è diviso il suo lavoro, analizza, con molta chiarezza i doveri ed i diritti del padre di famiglia.

RIVISTA ECONOMICA E FINANZIARIA

In questi giorni s’è adunato in Roma il Con­ siglio della emigrazione. Fra i vari importanti argomenti trattati vi fu quello relativo alla pro­ posta presentata al Commissariato per la costru­ zione e l’esercizio del Ricovero degli emigranti nel porto di Napoli, e alla partecipazione alla Mostra degli italiani all’estero, che farà parte dell’ Espo­ sizione di Milano, in occasione dell’apertura della Ferrovia del Sempione ; per la quale mostra ha dato voto unanime per un contributo di L. 15,000 sul Fondo per l’emigrazione.

A Milano ha avuto luogo il 14 e seguenti il Congresso del Riscatto Ferroviario. Approvatosi il bilancio, venne nominata una Commissione allo scopo di riformare radicalmente l’ordinamento del Riscatto, in specie per ciò che riguarda i Sotto­ comitati. Venne discussa quindi la relazione Bran- coni sullo sciopero, essendo presenti i membri del Segretariato di resistenza.

L a discussione si protrasse per più sedute, e furono presentati vari ordini del giorno. Infine venne approvato quello per cui il Congresso di­ sapprova 1’ operato del gruppo parlamentare so­ cialista e del Segretariato di resistenza, che di­ menticarono, nello svolgimento pratico dell’azione, i loro doveri verso la classe in lotta ; rileva la mancata solidarietà di essi ; si augura che nel prossimo convegno delle Camere del Lavoro e delle Federazioni di mestiere i lavoratori orga­ nizzati sappiano energicamente imporre ai loro rappresentanti un’ azione conforme ai loro inte- teressi ed all’ obbiettivo della classe proletaria ; non prende però vera e pròpria deliberazione a ri­ guardo dei membri del Comitato di agitazione. Il Congresso discusse pure sui nuovi scopi del sodalizio, e sulla forma e scopi dell’ organiz­ zazione, votando un invito al Comitato centrale onde indire coi rappresentanti della Federazione un Congresso comune, per discutere della forma e degli scopi suddetti.

— Si conoscono finalmente le concrete di­ sposizioni stabilite dal Governo della Repubblica argentina circa la conversione del debito argentino.

Riguardo al debito interno il Governo si pro­ pone di ritirare le obbligazioni 6 per cento emesse fin qui, offrendo ai portatori di dette obbliga­ zioni in cambio nuove obbligazioni 5 per cento ammortizzabili coll’ 1 per cento l’ anno, aggiunto, ove occorra, un premio non maggiore del 3 per cento del capitale, ovvero rimborsando le obbliga­ zioni alla pari in moneta.

Per procurarsi i fondi necessari agli even­ tuali rimborsi il Governo è autorizzato ad emet­ tere, sia all’ interno che all’ estero, obbligazioni 5 per cento. Il Governo è pure autorizzato di au­ mentare il fondo di ammortamento.

Tali operazioni possono essere compiute sia per tutto l’ ammontare del debito, sia per parti successive.

In quanto al debito estero la conversione è proposta, sulle seguenti basi: ritiro delle obbliga­ zioni 6 per cento; emissione di obbligazioni « este­ riori » all’ interesse massimo del 4 1/2 col 1/2 per cento di ammortamento, od anche emissione di obbligazioni 5 per cento ammortizzabili coll’ 1 per cento. Il Governo è pure autorizzato ad estendere la conversione anche alle obbligazioni 5 per cento « esteriori » sostituendole con obbligazioni 4 1/2 per cento. Anche questa operazione può esser fatta in totale o per parti, ma in ogni caso il Governo deve riservarsi la facoltà di aumentare l’ ammortamento e di procedere ad ulteriori con­ versioni, almeno dopo dieci anni.

I l debito complessivo della Repubblica argen­ tina ammontava al principio del 1903 a 352 mi­ lioni di pesos d’oro ed essendo il pesos del valore di 5 lire, corrisponde a 2,660 milioni di lire no­ stre; di cui 334 milioni di pesos (cioè 1670 mi­ lioni di lire) di debito esteriore, e 17 milioni di

pesos (cioè 65 milioni di lire nostre), di debito interno. Poco meno di 300,000 lire sono rappre­ sentate da altri minori debiti.

Riferimenti

Documenti correlati

Durante il ventennio in cui furono in vigore le convenzioni, lottarono, come è noto, tre elementi: 1’ interesse generale che era rappresentato sola­ mente dal

« La Camera di commercio di Roma, di fronte al­ l ’ assunzione da parte dello Stato dell’ esercizio delle ferrovie; esprime la fiducia che il Governo, pur

Le Società ferroviarie hanno l ’ obbligo di trasmet­ tere il ruolo dei loro impiegati che, soggetti al servi­ zio militare, possono avere diritto alla dispensa

Certo non mancano le ragioni che legittimano lo iniziarsi del movimento : i timori circa il dissidio franco­ germanico si sono, come si è detto, calmati ; la

L ’ Autore osserva che venti anni or sono la emigrazione europea, presentava all’ incirca lo stesso numero odierno. Una corrente allora pro­ veniva principalmente

La questione è grave e i giornali hanno osser­ vato che quel Messaggio ha già avuto ripercussioni forti nel credito delle Compagnie ferroviarie, al mo­ mento della crisi

rosamente la uniformità della legislazione in tutte le sue varie parti e specialmente sulla parte tri­ butaria; (tranne, come è noto, la imposta sul sale e

E veramente l’ Autore, senza occuparsi di ana­ lizzare contabilmente i fatti, ma limitandosi sol­ tanto qua e là a qualche dato riassuntivo, dimo­ stra le cause