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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.04 (1877) n.149, 11 marzo

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L'ECONOMISTA

GAZZETTA. SETTIMANA!,E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, RANCHI, FE R R O V IE. IN TERESSI PR IV A TI

Anno IV - Voi. VII

Domenica 11

P E S C A E P E S C I

IMPRESSIONI SULLA DISCUSSIONE DELLA LEGGE

sulla pesca alla Camera dei deputati

La Camera è uscita non è guari da una naviga­ zione difficile: l’onorevole Presidente da principio ne pareva spaventato: ma, mercè l’opera di molti calafati, la nave giunse in porto senza grosse per­ dite; l’onorevole ministro per l’agricoltura e com­ mercio ha fatto gotto soltanto di alcuni priucipii, e mostra d’ una condiscendenza invidiabile: però si è lungi dal naufragio dell’anno passato, in cui questa legge segnava il fine del regno degli onorevoli Finali e colleghi e si presentava perciò coi pronostici di cat­ tivo augurio.

Nella discussione il ministro disse che alcuni dei suoi colleghi avrebbero voluto che la legge, appro­ vata l’anno scorso dalla Camera, egli l’avesse, senza altro presentata al Senato. Ebbe egli quanto meno il buon senso di non farlo; ma la notizia non è tale da confortarci l’animo sulle tendenze dei col­ leghi del ministro per la libertà economica, se si poteva supporre buono (ed intendiamo utile e con­ veniente) un disegno di legge col quale, meglio di ordinare la pesca si preordinavano vincoli per im­ pedirla; mentre dal nostro punto di vista la que­ stione della pesca, come quella della maggior parte delle riforme necessarie al regime industriale in Italia, si riduce ai modesti limiti della libertà di lavoro.

Eppure fu discusso variamente per più giorni su questa libertà, applicata alla estrazione dei pesci, in una delle industrie estrattive, alla quale uno degli onorevoli deputati avrebbe voluto negare perfino il nome d’industria.

Di grazia, per farne che? Dovrebbe essere pure questa una « Istituzione » appellativo abbastanza ge­ nerico per nascondere talvolta una fatuità?

Il ministro ebbe il buon senso di esprimere ed

marzo 1877

N. 149

affermare che si trattava di non altro che di una « industria. » E come no? Nel linguaggio scientifico, e crediamo in quello del buon senso, il lavoro umano, senza distinzione di classi, nell’ infinita va­ rietà sua, applicato a trarre dalla materia soddisfa­ zione ai bisogni dell’ uomo sociale, è precisamente e costituisce un’ industria.

Non sappiamo perciò chi abbia potuto fondata- mente negare alla pesca il nome e la qualità d’una industria, o larga, o ristretta nei mezzi, ma sempre un’ industria; da prima noverata fra juelle comprese nefa grande categoria delle Agricole, ora, dopo C. Du- noyer, più logicamente classata fra le« Estrattive » accanto alla caccia, alle miniere, ecc., non preoc­ cupandosi delle ulteriori preparazioni che il pesce può subire dopo la pesca, il che può dar luogo ad un altro ordine di lavori industriali.

Negandola come industria e volendo regolarla, una delle prime difficoltà da superarsi era quella della competenza. Chi dovrebbe essere stato il generale dei pescatori, fon. ministro della marina, oppure quello dell’agricoltura e commercio?

A senso nostro ciò doveva dipendere dall’indole degli uffizi che questa competenza domanda. Se fosse negli uomini che fanno leggi non altra volontà che quella di riconoscere in essi una limitata facoltà di non urtare e capovolgere i rapporti naturali creati dal- l’ umana convivenza, la competenza sulla pesca sarebbe facilmente risoluta; sarebbe un affare del ministro della giustizia, e di Codice civile o penale, tutto al più del ministro dell’interno, se in questo fosse indispensabile un’azione preventiva per la si­ curezza sociale in rapporto a questa materia. Ma se si crede che il legislatore abbia l’ufficio di occuparsi del « fregolo, » dei pesci grossi o minuti, dei modi di pescarli, e stiamo per dire di ammannirli per il pasto, allora la competenza si complica, e i diversi ministri di S. M. potrebbero aver ragione di volervi entrare un po’ tutti per la loro parte.

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spe-286 L’ ECONOMI STA

11 marzo 1877 ciamente del fregolo, perchè questo povero ministro,

non potendo moltiplicare i pesci, come Cristo, per bastare a tutti gli affamati Italiani, dovrà almeno moltiplicare i regolamenti per impedire, se è possibile, che i pesci li peschiamo noi, e meglio perchè possano cibarsene i posteri. Il ministro degli esteri dovrà tenere a bada il geloso straniero, il quale vuol nien temeno rubarci la pesca e l’ industria dei coralli! Il ministro della guerra dovrà tutelare perciò con reggimenti il viaggio dei tonni, ciò che non deve sorprendere, una volta si sappia che le guardie fo­ restali sono fra i sorveglianti della pesca sui mari (articolo I I del progetto approvato), di guisa che continuando lo svolgimento delle idee d’una econo­ mia del genere, potremo pur vedere le guardie do­ ganali intente a sorvegliare lo scavo delle miniere. Il ministro delle finanze ci avrebbe la sua parte obbligata per le tasse; e se poco resta a fare gli è per quello della pubblica istruzione, tranne che si voglia preparare una scuola sull’anatomia comparata delle arselle e sulla fisiologia delle ostriche.

Intanto una volta di più fu palese, che fra i grandi regolatori dell’universo sociale, uomini emi­ nentemente pratici ed avversi a noi, poveri teorici della economia politica, non di rado si nascondono le guaste idee del socialismo pratico; di guisa che il più acerrimo sostenitore di privilegi sulla pesca del corallo, durante la discussione, ha potuto espri­ mere non sappiamo se meglio dire il concetto, o la speranza che la legge venga a regolare i salari!

L errore, secondo il modesto avviso nostro, in questa discussione, fu precisamente e precipuamente di metodo. Vi è bisogno in Italia d’una legge ge­ nerale sulla pesca? Questa materia dev’essere rego- lata dalla legge? Quali allora i confini della libertà dell’ industria ?

È probabile che il buon senso del pubblico ri­ spondesse, se interrogato, che le leggi sulle tasse, quella sul corso forzoso, le altre sull’ ordinamento amministrativo, ecc., interessano vivamente più della sulla pesca la giusta aspettazione di riforme che gli Italiani hanno da un Ministero, il quale le ha poste in mostra da un pezzo nei suoi programmi.

Se la pesca del corallo ha d’uopo dell’attenzione del legislatore, questi intervenga. Se ne ha bisogna quella, del tonno, faccia altrettanto. Se la polizia e l’ igiene richiedono novelle proibizioni a misura del progresso di arti meccaniche o dell’ invenzioni di prodotti chimici usati per la pesca, o sia necessaria ne! regime delle acque interne, venga pure la legge. Saranno disposizioni parziali, brevi e bene accette, se necessarie ; ma fare una nuova legge per tutta quanta la pesca, e, vista la difficoltà di un Codice completo coi mezzi consueti del Parlamento, riser­ varla ai regolamenti, ecco quello che non cape nella !

piccola nostra mente, temendo che un corredo di regolamenti per proteggere la pesca, finiscano col diminuirla, se non arriveranno a strozzarla. Se si fosse rinunziato al solletico di regolare quest’ industria, se si fosse riflettuto al bisogno che l’Italia sente di pro­ durre per far fronte non altro che alle necessità di un erario esausto e di un paese povero e prodigo ; se per i bisogni urgenti si fosse provveduto parzial­ mente, la Camera \ i avrebbe economizzato del suo tempo, l’ industria vi avrebbe sagrificato meno di libertà, ed il lavoro nazionale si sarebbe protetto meglio che coi regolamenti fatti per proteggerlo.

Intanto fra le questioni varie sollevate durante la discussione quella sulla estensione del .mare territo­ riale e sulle pretese dello Stato lungo le spiaggie, 1 altra sulla pesca nelle acque di proprietà privata, e quella sulla pesca del corallo furono le più emi­ nenti.

Intorno la prima lo Stalo moderno ha delle teorie curiose. I Romani nel rozzo loro concetto legislativo quando gli uomini che si dicono pratici non stu­ diavano Hegel Fichte e "Kant, od a nome del socia­ lismo o neo-economia della Germania non bestem­ miavano quello dell’ illustre A. Smith, i Romani concepivano il mare come un vasto materiale non appropriabile giuridicamente, atto pertanto alla pro­ duzione per chicchessia. Era una res nullius mo­ mentaneamente occupabile ma non tenibile, rr- Ed allora il pubblico dominio sul mare finiva là dove cessava l’ impero delle onde nella massima marea, perchè ivi cominciava la possibilità del dominio privato ; est autem litus maris quatenus h'bernus fluctus maximus excurrit, ne diceva la buon’anima di Giustiniano nelle sue Istituzioni.

Nei giorni nostri invece, mentre la sfera di oc­ cupazione sul mare si allarga volendolo fittiziamente ritenere occupabile, mediante p. es,, la concessione di un nuovo banco corallifero, o di una tonnara per 99 anni ; ora che il fisco regolò il mare comune non per 1 uso delle genti, ma per impinguare il suo patrimonio, convertendo una legge di limite per la tutela pubblica in una misura di finanza, l’idea della proprietà privata lungo la spiaggia si restringe, l’In­ tendente è padrone del mare, e di trenta met.ri più in qua nella terra ; con quale legge, è un mistero. Singolare procedimento! creare una proprietà pub­ blica fittizia, e sottrarne contemporaneamente una esistente reale e privata.

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id marzo 1877 L’ ECONOMI STA

287 la spiaggia, ma sibbene per edifizii lontani .dieci o

più metri, in terreni già acquistati da privati, ed ove esistevano secolari traccie di mura e fabbricati. Se a venti metri dal mare io non fossi proprietario della mia vigna, potrebbe1 un ministro od un Par­ lamento persuadermi che possa razionalmente rico­ noscermi come proprietario d’uno spazio più o meno limitato in mezzo alle onde, ove si dice si abbia la traccia di un banco di coralli? Lo so: nulla vi è d'impossibile al Parlamento, è questa la massima inglese; ed a questa stregua ò possibile l’ impossi­ bile, che non esista cioè proprietà dove il lavoro può aver dato un'impronta più viva e tenace al territorio in riva, e possa invece sussistere una pro­ prietà per concessione in mezzo al mare d’una stoffa analoga a quella della proprietà industriale per i brevetti d’ invenzione.

La pesca nelle acque di privata proprietà, se non con tutti i vincoli onde fu legata dal precedente progetto di legge, non restò neppure immune da ogni intervento, se per poco le acque private, pos­ sano avere comunicazione colle acque pubbliche.

Principe analoghi chi sa qual cosa ci riservino per una futura legge sulla caccia, se per poco si voglia regolare od ordinare la produzione dei vola­ tili o quadrupedi selvatici, non meno dei pesci, in­ dispensabili od utili per l’ alimentazione! Per ora intanto nel regime delle acque abbiamo una specie aggiunta alla classe della proprietà pubblica, quella delle acque comunali, consorziali o simili, ove non sarà lecito più pescare a poveri contadini i quali ricavino da quei pochi pesci il mezzo di sostentarsi, fosse pure per un sol giorno, supplendo con questo scarso cibo alla carestia artifizialmente prodotta da un sistema finanziario errato.

Invasa pertanto, a nome e nell’interesse del fr e ­ golo e del pesce minuto, la proprietà privata, ne scaturisce tutto un sistema pratico di misure tute­ lari e protettrici di moltissime cose che noi eco­ nomisti della vecchia scuola non giungiamo ad in­ tendere. Il domicilio privato di un pescatore non diventa meno inviolabile della privata pescheria, ed è posto sotto il dominio di una serie di guardie la di cui moltiplicazione è in ragione diretta dal pro­ gresso della libertà economica in Italia ; togliere il pesce altrui, che potrebbe parere un furto alla scuola antica, diventa pure una contravvenzione per la moderna, perchè s’ infrange uno dei precetti sul decalogo della pesca. Sia pure criminoso 1’ atto in sè stesso ; però si compie con una infrazione alle misure preordinate per la conservazione del fregolo, e sta qui il danno sociale. La pesca così diventa un nuovo semenzaio di multe ed un cespite per le finanze.

Poiché l’Italia è priva della gran pesca; da che i battellieri per la balena, per il merluzzo e per le aringhe sono abbastanza rari e non salpano in con­ voglio dalle nostre coste, d’interessante ci restava il corallo; al di cui servizio pertanto, fu dedicata più di un’aringa in versi e prosa.

Qual cosa non sarebbe opportuno di escogitare per far restare quest’industria in Italia? Sono 6 mi­ lioni di valore che ci frutta la pesca, e con quattro altri di mano d’opera sono IO milioni annui sottratti all’industria italiana se lo straniero finisce collo im­ possessarsene; ed è la Francia che è nostra r i­ vale e ci usurpa le braccia, proponendo ai pescatori di Torre del Greco una migliore esistenza nelle coste algerine.

Ci fu chi, descrivendo alla Camera la forzata parsi­ monia di questi schiavi bianchi, i pescatori di corallo di Torre del Greco pei sei mesi e più in cui dura la pesca lasciò facilmente comprendere che se essi emigrano nell’Algeria vi possan meno i favori accordati loro dalla Francia, del maltrattamento ricevuto nel loro proprio paese. Basterebbe quindi pretendere che la pesca del corallo, o chi la esercita, rientrasse nella linea della legalilà e della giustizia, perchè fiorisce. Togliere l’imposta speciale che pesa su quella pesca riducendola alla condizione delle altre industrie, emancipare i marinai dal risparmio forzato della cassa sulla vecchiaia, sottrarli alla tirannia della iscri­ zione marittima sono migliorie che comprendiamo; dispensare che il Patrono d’una coralleria presti esami per lunga corso come se intraprendesse una navigazione alle Indie, sarebbe pure utilissimo, ed è facilmente inteso; ma privilegiare codesti operai della pesca come non Io sono quelli delle altre in­ dustrie, come non lo è l’agricoltore il quale ha pure tanti rivali nei produttori degli altri paesi e nei capitani di nave i quali importano i grani e gli spi­ riti per fargli una rivale concorrenza sui nostri mer­ cati, ecco quello che non possiamo precisamente in­ tendere.

Di fatto, da economisti p u ri e teorici noi siamo convinti che se la Francia continuerà a proteggere l’industria dei coralli, chi perderà di più non sarà l’Italia, e quando ci si parla di Algeri, si sa già cosa costi alla Francia, in uomini e denari il suo spirito protettore.

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288 L’ ECONOMI STA 11 marzo 1877 non riesca lucroso a chi l’intraprende, o rimunera­

tore a chi l’eseguisce. Da economisti p u ri riteniamo: privilegi a nessuno, libertà a tutti, perchè I’ espe­

rienza c’insegna che si è svolta cosi praticamente altrove la produzione e la ricchezza.

La Camera, che non sappiamo ancora se conti nel suo seno una maggioranza di liberisti, fra tanti li­ berali, fu evidentemente appassionata da questi di­ scorsi d’un’industria che langue, ma non si lasciò travolgere ad accordare speciali favori. Vorremmo solamente sperare che l’onorevole ministro, tenendosi fermo ai principii di quella scuola cui apparteneva e forte sul terreno della libertà e giustizia uguale per tutti non trascenda nei Regolamenti, e non si decida ad accordare protezioni, che altre industrie, come egli stesso osservò, potrebbero chiedere non meno deH’indnstria sul corallo, che da se solo non arricchirebbe l’Italia, e protetta, l’arriechirebhe meno che mai.

Ma è da temere che l’aura e le esigenze del po­ tere possano far dissipare dalla mente dell’onorevole ministro quei principii che a noi semplici privati paiono ancora oggi così veri come il primo giorno che li studiammo. Di fatti, quando egli ci cita il privilegio attuale consagrato dalla legge sulle miniere nelle provincie piemontesi, per persuadersi quanto sia utile quello che informa il suo progetto per le concessioni sulla pesca, a fine preparare spugne o procurare ostriche, ci fa ricordare quel tristo adagio che gli esempi non sono ragioni, tanto più quando sono cattivi esempi.

Se chi intraprende l’industria d’una qualsiasi pe­ sca sa e può, ne avrà profitto ; se no, no. Lo Stato non se ne deve intromettereN che per l’alta tutela della sicurezza sociale, ove risiede indiscutibilmente la sua missione.

Conchiudiamo, dopo avere alquanto divagato su d’un tema da noi così appena sfiorato, e gravido di moltissime questioni: Misure legislative relative a pesche, a pescatori, a luoghi di pescagione le avremmo intese se e dove necessarie; una legge sulla pesca in generale chiesta da una economia autoritaria, di Stato la intendiamo ancora; ma per i bisogni attuali non la intenderà l’Italia : il cui precipuo bisogno è di lavorare e produrre, e di essere perciò, prima di tutto, libera. E se così l’avesse inteso e la intendesse il Parlamento, l’onorevole ministro di agricoltura e commercio è abbastanza arrendevole per preparare, uniformandosi alla volontà della Camera, progetti mi­ gliori.

L A NUOVA G A L L E S D E L SUD

Le conquiste dell’uomo sulla natura si moltipli­

cano tutti i giorni. Il progresso di queste conquiste è ciò che alimenta ed assicura la civiltà della razza umana e la civiltà è una pianta il cui seme, tra­ sportato dal vento, si sparge rapidamente ponendo radici ovunque trovi un terreno favorevole e le cui fronde tendono a ticuoprire l’intera superficie del globo.

Il rappresentare come una pianta quell’organismo complesso che siamo abituati a chiamare umana ci­ viltà è tanto più esatto in quanto la stessa legge che regola lo svolgimento del mondo vegetale si palesa in modo sensibile nel regolare la propagazione e la diffusione del civile progresso sotto i varii suoi aspetti. I luoghi più aridi ed inaccessibili sono a poco a poco invasi dalla vegetazione nelle sue forme più elementari a cui gradatamente si sostituiscono altre forme più elaborate e perfette; l’organismo più complesso e più forte cresce e si sviluppa a spese dell’organismo più semplice e più debole, e finisce il più delle volte col soppiantarsi ad esso, mediante quell’ avvicendamento da cui risulta la lotta costante per la vita che è legge universale di tutti gli esseri sì nel mondo fisico come nel mondo morale.

Nella stessa guisa che sulla nuda roccia del monte si forma lentamente quel primo lichene, il quale disciolto dalla pioggia e dal sole costituirà un ele­ mento propizio a fecondare il grano d’erba che il vento vi fa posar sopra, e come quest’erba sottopo­ sta alle stesse azioni chimiche forma dissolvendosi quel primo strato di humus sul quale verranno a prender radice altri semi ed altre piante, così a poco a poco la stirpe umana si diffonde sopra ogni an­ golo della superficie del globo ove il clima rende la vita possibile e le famiglie di esseri più rozze e sel­ vaggio cedono lentamente il luogo a famiglie più colte e più raffinate.

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11 marzo 1877 L’ ECONOMI STA 289 ha potuto acquistare una lunga conoscenza dei luo­

ghi, di chi ha potuto sopra di essi raccogliere pa­ zientemente tutti quei fatti che valgono ad illuminare il nostro giudizio ed è quindi suprema necessità che le nostre informazioni siano attinte ad una fonte che si mostri degna di fede per la diligenza delle osser­ vazioni e per la correttezza delle conclusioni, qualità che non di sovente, o per spirito di nazionalità o per interesse, o per imperfetta conoscenza, si riscon­ trano in chi si accinge a descrivere le condizioni o le risorse di un paese.

Uno studio che ci sembra provvisto in grado as­ sai elevato di queste doti e che perciò siamo lieti di segnalare all’attenzione dei nostri lettori è un breve, ma completo saggio intorno alla Nuova Galles del Sud, la madre delle colonie dell’ Australia, scritto con uno spirito molto liberale e con elevatezza di vedute da un astraliano il signor G. H. Reid, membro onorario del Cobden Club.

La Nuova Galles del Sud fu la prima colonia che gli inglesi impiantarono sul vasto continente scoperto dal capitano Cook nel 1770 e le sue fondamenta furono gettate il 26 gennaio 1788 sul margine di uno dei piccoli seni che circondano il vasto golfo di Port-Jaekson presso il luogo dove s’ inalza oggi fiorina e ricca la ridente capitale di Sidney. Può dirsi quindi che la colonia abbia ora circa ottan­ totto anni di vita se si considera come la madre e la nutrice delle altre colonie australiane, ma se in­ vece si considera nel suo assetto attuale essa non conta che poco più di sedici anni, cioè dal 1860, dopo che fu separata nel 1851 da quella che è oggi la grande colonia di Vittoria e dopo aver perduto nel 1839 l’altra splendida provincia di Queensland. I progressi della Nuova Galles del Sud in questo ultimo periodo di tempo sono stati rapidissimi, sor­ prendenti, sono più grandi ancora di quelli delle altre giovani e prosperose colonie che si sono stac­ cate dal suo seno e non hanno confronto in quelli delle altre nazioni d’ Europa o d’America che sono state allevate al soffio benefico dell’odierno incivi- mento. Non si può senza un senso di sorpresa fer­ mare il pensiero sopra questo magico svolgimento di tante forze destinate a cooperare insieme allo umano benessere e non rieseirà però discaro che cerchiamo di darne un brevissimo cenno.

Agli occhi dei primi coloni che avevano abban­ donato l’Europa in traccia di miglior fortuna e di una sorte meu dura, giacché non è vero che l’ In­ ghilterra avesse esclusivamente in mira l’istituzione nella Nuova Galles di una colonia penitenziaria, si presentava un paese ricco dei più invidiabili doni e sorridente delle più liete promesse. L’esteso conti­ nente australiano possiede una grande varietà di temperatura, ma nessuna località in sì vasto spazio può esser ritenuta insalubre, il caldo non è in nes­

sun luogo intollerabile, l’atmosfera è purissima, nè vi è cielo più limpido e più brillante di quello che splende in una bella notte di Australia. Il solo in­ conveniente a cui questa terra è più di frequente esposta è, ad ineguali intervalli, una eccessiva siccità ; quella che fu risentita nel 1875 fu la più lunga che si verificasse durante gli ultimi 34 anni e produsse danni assai rilevanti. Cessati questi periodi la ca­ duta delle pioggie è fecondatrice e abbondante.

Nella Nuova Galles la stagione invernale è mite e temperato, come quella di cui gode il bacino del Mediterraneo sulle coste della Spagna, dell’ Italia, della Francia e dell’Algeria, fino a Tunisi ed al Cairo ; gli elementi delle stagioni sono i più propizi per esaltare tutte le energie della vita animale e vege­ tale e la salubrità che ne deriva è messa in luce dalle più accurate statistiche. La dolcezza del clima e la fertilità del suolo permette nella Nuova Galles una grande varietà 4 i culture; nella parte setten­ trionale vi crescono a meraviglia il grano, il gran­ turco e tutti i cereali più ricchi di sostanze nutri­ tive; scendendo gradatamente nelle parti meridionali trovano favorevolissime condizioni, le colture della vite, dello zucchero, del baco di seta, del caffè, del thè, del tabacco, del cotone, dei frutti delle regioni temperate e di quelli delle regioni semi-tropicali. In alcune parti della colonia prosperano l’ulivo, l’in­ daco ed il riso. Di tutti questi vantaggi non si trae per ora che un assai scarso profitto nè si chiede ancora al suolo che una piccola parte delle esube­ ranti ricchezze ch’esso può produrre. Solo 465,000 acri di terreno sono adesso assoggettati a cultura in un paese che contandone 207 milioni è assai più grande dell'Inghilterra e della Francia riunite insieme e nel quale quasi tutta la superficie è così bene adatta ad ogni sorta di produzione agricola. Un tal fatto è dovuto a varie cagioni, ma soprattutto ad essere il paese tuttora mancante di grandi corsi d’acqua che servano di mezzo economico di trasporto dei pro­ dotti verso le coste. Non vi è maggiore ostacolo di questo ai progressi dell’agricoltura nei suoi primi stadii in un giovine paese. Le ferrovie' divengono un eccellente sostituto ai corsi d’acqua, ma le re­ centi linee della Nuova Galles non toccano ancora a nessuna area intensivamente agricola. In secondo luogo, l’industria dell’oro è una pericolosissima con­ corrente di quella agricola e le brillanti seduzioni che si offrono ai cercatori d’oro distraggono dalla coltivazione del suolo le braccia che potrebbero con­ sacratisi, già assai scarse del resto in confronto delle amplissime risorse che potrebbero farsi valere.

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2 90 L’ ECONOMI STA 11 marzo 1877 tica e spesso senza granJe successo qualche porzione

delle risorse nascenti dalla produzione nazionale, ai nostri antipodi gli uomini hanno un vasto campo sul quale distendersi e non chiedono alla natura che una piccola parte dei doni che essa potrebbe prodi­ gar loro; hanno dinanzi a loro la scelta della mam­ mella a cui attingere il latte che loro abbisogna e si attengono naturalmente a quella che loro sembra più copiosa e più facile a succhiare. Tutto il libro del quale teniamo parola non è che un’ampia e se­ ria dimostrazione degli straordinari vantaggi che presento la vita in Australia, un caldo invito agli europei di emigrare verso le benedette regioni ove le braccia scarseggiano ed ove le ricchezze da far valere sono in numero illimitato; ma su questo pro­ posito torneremo fra poco.

Se l’agricoltura è rimasta negli ultimi anni quasi stazionaria nella Nuova Galles del Sud lo stesso non è avvenuto della pastorizia, l’estensione del suolo appartenente agli allevatori di bestiame*è quasi rad­ doppiato in dodici anni. Dal 1863 al 1873 è pas­ sato da 7,310,000 acri a 13,525,000 ed in propor­ zioni straordinariamente maggiori è cresciuta l’esten­ sione del suolo che lo Stato dà dietro una piccola retribuzione in affitto per uso di pascolo. Dal 1788 al 1848, 42 milioni di acri erano occupati a tale scopo dal 1848 al 1860 si aggiunsero a questi 7 milioni di acri, ma dal 1860 al 1874 furono occu­ pati altri 134 milioni di acri e quest’area totale di 183 milioni di acri che fornisce alimento alle man- dre della Nuova Galles rappresenta un’estensione di terreno assai maggiore dell’ Inghilterra, della Scozia, dell’ Irlanda, del Belgio, dei Paesi Bassi, della Da­ nimarca, della Svizzera e della Grecia messi insieme. La Nuova Galles contava nel 1867 13,612,000 capi di bestiame, di cui 278,000 cavalli, 1,771,000 ani­ mali bovini e 11,563,000 pecore, nel 1876 aveva raddoppiato questo capitale vivente (live stock) e contava 27,874,000 capi di bestiame, di cui 357 mila cavalli 5,134,000 animali bovini e 24.582,000 pecore.

Nè la quantità soltanto della produzione sta a cuore dell’allevatore australiano esso mira attiva­ mente anco a perfezionare la qualità, e già un alto grado in questa via è stato raggiunto nell’alleva­ mento delle pecore : quello del bestiame bovino è ancora suscettibile di grandi miglioramenti e sforzi continui a questo scopo sono fatti dai proprietarii che cercano di comprare gli animali di più bel san­ gue. Nelle esposizioni della Società di agricoltura della Nuova Galles accade di frequente di veder pagare fino a 1100 sterline una bella giovenca ed a 1000 sterline un bel toro. Il mercato australiano per il bove ed il montone va divenendo di giorno in giorno più largo. Da qualche anno a questa parte si è stabilita una nuova industria che assicurerà

nuovi sbocchi agli allevatori; essa è l’ industria del­ l’esportazione delle carni preservate. — Sono state create nella colonia 23 Società aventi per scopo la preservazione della carne ed hanno ricevuto solle­ citazioni per intraprendere molti contratti coll’E u­ ropa; sono peraltro andate assai caute nell’accettarli perchè l’attuale stato dei prezzi assai esagerato rende molto incerto il mercato. Qualche mese fa alcune delle persone più distinte di Sidney furono invitate a visitare uno stabilimento situato sulla riva del golfo in comunicazione ferroviaria colla città, im­ piantato dal signor T. S. Mort con grande impiego di capitati e di diligentissimo studio. Nella refezione che fu servita agli intervenuti furono sperimentati gli ottimi resultati ottenuti dal nuovo processo; del bove, del montone e della càccia che erano stati conservati in un ambiente frigorifico per lo spazio di uno a due anni furono serviti e furono riscon­ trati eccellenti per la qualità, pel sapore e pel co­ lore. Il sistema inventato dal fondatore di questo stabilimento, se continuerà a dare in pratica soddi­ sfacenti risultamenti, come è desiderio di tutti, con­ tribuirà alla prosperità della colonia p’ù ancora che non la scoperta delle più ricche miniere.

E di ricchezze minerali è stata larghissima la na­ tura al fortunato paese; nè sarebbe esagerazione il dire che esso è sotto questo punto di vista uno dei più favoriti del globo. Nulla può dar meglio un’idea dell’importanza di queste ricchezze che la quantità di scoperte fatte da persone sprovviste del tutto di ogni scientifico sussidio. Il campo sul quale l’ industria mineraria può esercitarsi è cosi esteso e così ferace che essa si accontenta per ora di sfiorare il suolo, sono quindi ancora quasi intieramente ignote le ri­ sorse imponenti che la mano dell’uomo potrà incon­ trare penetrando più addentro nelle oscure viscere della terra.

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Í1 marzo 1877 L’ E C O N O M IS T A 291 contenevi» più di 500 ontìie d’oro per tonnellata.

Certo che l’industria, conte per la maggior parte si é praticata fin qui, deve necessariamente trasfor­ marsi, il lavoro individuale del minatore che solo e per proprio conto si è posto alla ricerca dell’oro può dirsi che abbia esaurito gran parte del metallo che col solo aiuto della sua zappa e della sua vanga poteva estrarsi, ma colà dove il minatore isolato è già passato, dove egli ha per così dire estratto la crema delle ricchezze che il terreno offriva, rimane sempre un campo quasi intatto per il lavoratore as­ sistito dal capitale associato e da efficaci meccanismi. L’ industria della ricerca dell’oro sopra una grande scala può dirsi appena nascente nella nuova Galles del Sud e specialmente il ramo di questa industria rivolta alla eseavazìone del metallo nel quarzo. — Presso alcuni è nata l’idea che l’ industria dell’oro debba essere per sua natura effimera e eh’essa noti potesse durare a lungo nel paese, perchè gli strati auriferi non dovessero essere profondi e rimaner presto sfruttati dopo avere sfiorato la superficie del suolo. Ma questa opinione che il quarzo cessasse di contenere dell’oro ad una profondità di 100 o 200 piedi sembra doversi ritenere come assolutamente smentita; in alcune miniere aperte nell’interno della stessa colonia si è trovato ad una profondità supe­ riore di 500 piedi del minerale ricco quanto quello della superficie e della colonia di Vittoria si è sca­ vato della pietra straordinariamente produttiva ad una profondità fra gli 800 ed i 1000 predi. Le re­ centi scoperte fatte nelle miniere di California ser­ vono poi ad insegnarci a quale considerevole pro­ fondità possano trovarsi depositi ricchissimi di mi­ nerale. Se i fatti corrisponderanno alle ponderate aspettative di competenti autorità uno splendido avvenire è riservato all’industria mineraria nella Nuova Galles, il paese è in molte regioni letteral­ mente coperto da roccie aurifere forse non abbastanza ricche alla superfìcie per tentare l’opera del mina­ tore isolato o per sedurre i promotori di Società nel loro stato apparente attuale, ma molte di esse sodo destinate a fornire un’occupazione rimunerativa ad una grande popolazione ed un impiego a moltissimi capitali.

lì prodotto totale delle miniere gallesi dal 1851, epoca della loro scoperta, è valutato a 51,415,000 sterline, la produzione abbondantissima nell’ anno 1872 (1,665,000 st.) è discesa negli anni successivi (1,595,000 sterline nel 1873 ed 1,040,000 sterline nel 1874). Il numero dei minatori era di 15,400 nel 186S, nel 1871 era salito a 21,452 e nel 1872 a 30,629, nel 1875 è tornato a quello che era 10 anni prima, cioè 15,555. Chi vuole esercitare l’ in­ dustria del minatore deve pagare al Governo della colonia un diritto di 10 scellini l’anno e se non ha comprato il terreno da escavarsi deve pagare al Go­

verno una lira sterlina l’anno ogni acre di terra per affitto del suolo aurifero che scava.

Il più abbondante dei minerali delta colonia è il carbone. Molte centinaia di miglia lungo la costa possono dirsi un solo bacino carbonifero, i cui strati per qualità e per profondità sono tali da non averno superiori nei migliori bacini dell’Inghilterra e del Belgio. È nel porto di Newcastle che il carbone* trova il suo deposito ed il suo smercio principale', il commercio ne è aumentato durante gli ultimi quattro anni nel modo il più soddisfacente: se si considera qual ricchezza assicura ad un paese il possesso di questo minerale divenuto oggetto di prima necessità per le nazioni moderne si possono fare i più lieti vaticini sopro l’avvenire del giovane paese. Sono pure abbondanti le miniere di rame e da due o tre anni si sono poste in esercizio delle miniere di stagno molto produttive. Recenti esplo­ razioni dei più competenti geologi hanno posto in chiaro che i ricchissimi depositi di minerale di ferro esistono specialmente nelle parti meridionali della colonia e che questo elemento vitale dell’industria può dirsi esistere praticamente in quantità illimitate. Solo scarseggiano i mezzi di far Valere tutte queste ricchezze e l’industria siderurgica è ancora nella infanzia. Non mancano nemmeno le miniere di pe­ trolio, d’argento, di piombo, di antimonio e le cave di pietre preziose che danno bellissimi esemplari dì diamanti, di smeraldi, di rubini e di zaffiri.

Basti questa rapida rassegna per dare un’ idea delle condizioni singolarmente favorevoli che le ric­ chezze naturali presentano agli abitatori di questo fortunato paese dell’emisfero australe ; daremo in un prossimo articolo qualche cenno intorno alla popo­ lazione chiamata a godere di questi vantaggi, al suo modo di farli valere ed al progresso delle sue istituzioni.

Le ferrovie negli interessi economici generali

Le t t e r a al Dir e t t o r e d e l l’ Economista

Un gran fatto si è compiuto dall’epoca in cui feci una prima pubblicazione (I) sul completamento della nostra rete ferroviaria: il riscatto delle ferrovie per parte del Governo.

In merito a questa decisione ho avuto agio dì esprimere, nel giornale il Sole, la mia opinione: asso­ lutamente favorevole Come principio, ed assai

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292 L’ E C O N O M IS T A I l marzo 1877 singhiera per l’avvenire perchè la riteneva come il

punto di partenza di una radicale riforma in tutto il sistema ferroviario.

Inutile ripetere quanto sia importante ed urgente l’ampliamento della nostra rete, inutile il dire che per conseguirlo con profitto bisogna anzitutto pensare al razionale riordinamento di quella esistente in modo da avere un provento laddove oggi abbiamo una per­ dita. Sono cose note e da tutti intimamente com­ prese.

Ognuno sa benissimo che saremmo sulla buona via qualora potessimo eostrurre nuove ferrovie, non diremo proprio, cogli utili di quelle esistenti, ma almeno senza il timore di aver sulle spalle, oltre al peso delle nuove costruzioni, anche il deficit delle linee in esercizio.

La soluzione del problema sta in un buon argomento dettato dalla conoscenza dei bisogni del commercio e dall'industria e nella pratica applicazione dei mezzi atti a soddisfare questi bisogni.

Ed è per questo che, dopo la benigna accoglienza fatta da persone competenti al mio opuscolo, ri­ torno su quella proposta: di provvedere cioè al- T ampliamento della nostra rete in modo che fer­ rovie a binario normale e ferrovie a binario ristretto debbano marciare di pari passo favorendosi l’ una all’altra, invece di essersi, come pur troppo avvenne finora, di vicendevole impaccio.

Stimo opportuno formulare in quattro righe il concetto svolto nel mio precedente opuscolo.

« Nel completamento della sua rete ferroviaria il nostro paese così accidentato, potrà esso convenien­ temente adottare le solite linee a binario normale anche nelle secondarie diramazioni? lo credo di no. Senza pretesa di restringere in una legge as­ soluta i fattori del corso di una via, credo però di poco scostarmi dal vero asserendo che la spesa di costruzione di un suolo stradale ferroviario, in paese montuoso soprattutto, è in ragione del qua­ drato della larghezza del suolo stesso. Ne segue, per me, l’imprescindibile necessità di ricorrere a vie ristrette.

Onde poi rimediare all’inconveniente del trasbordo portato seco dalle ferrovie a scartamento ridotto, io proporrei di dare accesso a queste ultime sul suolo stradale delle ferrovie ordinarie, mediante il sistema misto a tre rotaie. Il qual sistema consiste nell’ interpolare fra le due rotaie delle ferrovie esi­ stenti una terza guida formante con una delle due laterali quello scartamento, che si verrà adottando per le ferrovie ristrette, e, che noi supporremo di un metro.

Per meglio spiegarci facciamo una ipotesi : sup­ poniamo che in tutta la nostra rete ferroviaria una rotaia centrale formi con una delle laterali lo scar­ tamento di un metro.

Viene da sè, che quelle nostre linee ora in di­ savanzo pel grande costo dei treni normali, trovando la via fatta, potranno stabilire treni economici, cioè con piccoli vagoni, piccole locomotive, gran numero di corse e spese, proporzionalmente minori. Soddi­ sfacendo così pell’aumento delle corse ai bisogni del paese che attraversano diverranno produttive come ferrovie d’ interesse locale e serviranno pur sempre e con maggior profitto di transito ai grandi treni normali.

Le ferrovie economiche, in tanti luoghi progettate ma non- mai costrutte per tema che il loro isola­ mento ne rendesse assai scarso il traffico, non avranno che a far capo in una qualunque delle nostre attuali stazioni per comunicare direttamente coi grandi centri non solo, ma bensì con tutte le altre ferrovie economiche che da essi verranno stac­ candosi.

E le ferrovie economiche non più isolate trion­ feranno.

Pochi anni or sono gli Stati Uniti ancor sotto il peso degli immensi sacrifici pecuniarii imposti a quel paese dalla famosa guerra, votavano se non erro la costruzione di altri 40,000 chilometri di ferrovia.

La Francia, in cui dopo la provvida legge 12 luglio 4867* (promulgata allo scopo di facilitare le iniziative dei Comuni e delle Provincie) Io sviluppo ferroviario era tanto salito da farlo ammontare al giorno d’oggi alla cospicua cifra di 21,000 chilo metri, ci da ora 1’ esempio di volerlo aumentare di altri 18,000 (1).

Il bisogno così imperiosamente sentito da quei paesi è pure il nostro. Anzi, e fortunatamente, da noi l’ iniziativa cittadina e l’ iniziativa parlamentare sono all’ unisono, su questo campo colla iniziativa del Governo.

Ed è da questa comunanza di sentimenti che noi speriamo una prossima e felice risoluzione della tanto importante questione ferroviaria.

L’ attuale nostra rete a binario normale conta circa 8,000 chilometri. Io proporrei di portarla a 10,000, di applicare a tutti questi 10,000 chilo­ metri la terza rotaia e proporrei di più la costru­ zione di altri 10,000 chilometri di ferrovie econo­ miche a scartamento di un metro, in modo da por­ tare la nostra rete ferroviaria al complessivo svi­ luppo di 20,000 chilometri.

Tenterò ora di svolgere brevemente le mie idee sul modo di conseguire convenientemente questo sviluppo.

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11 marzo 1877 1/ E C O N O M IS T A Tutte le nuove ferrovie da costruirsi dovrebbero

essere basate su un piano generale di massima re­ datto dal Governo. A tale redazione concorrebbero i consorzii provinviali e comunali coll’ inviare al Governo i progetti delle ferrovie reclamate dai, bi­ sogni delle diverse località.

Stabilito così il piano fondamentale, il Governo confiderebbe ai Comuni od alle Provincie, riunite in consorzio, lo studio particolareggiato delle ferrovie d’ interesse locale e riserverebbe per se lo studio definitivo di quelle linee cbe possono essere di un grande interesse generale o d’interesse strategico.

Se nel mio precedente opuscolo, pubblicato assai tempo prima della Convenzione di Basilea, dissi che pelle costruzioni delle linee di interesse locale, il soccorso governativo doveva essere minimo, ora che le ferrovie sono divenute proprietà dello Stato devo logicamente invertire le parti e dire cbe il massimo concorso deve venire dal Governo.

Sta ora infatti al Governo nell interesse di tutti di render proficue le iniziative del paese fornendo i mezzi necessari per addivenire ad un rapido com­ pletamento della nostra rete.

Per le nuove ferrovie a binario normale come quelle destinate principalmente ad un interesse ge­ nerale o strategico, le Provincie e i Comuni do­ vrebbero corrispondere una quota assai tenue, la quale potrebbe raggiungere p. es., il 10 per cento della spesa totale di costruzione.

Per le nuove ferrovie a binario ristretto, essen­ zialmente d’interesse locale le Provincie e i Comuni dovrebbero invece corrispondere il 20 oiO sulle spese di costruzione ed armamento ed il 60 (qO sulle spese di espropriazioni.

Ho creduto di dover gravare maggiormente le Provincie ed ¡ Comuni sulla quota di espropria­ zione perchè Provincie e Comuni sono appunto quelli che a migliori patti possono condurre a fine una tale operazione. Quanto maggiore sarà la loro partecipa­ zione alle spese tanto più grandi saranno i loro sforzi per conseguire vantaggiose condizioni.

La ripartizione dei sussidi fra i diversi Comuni e le diverse Provincie dovrà essere fatta in modo che ciascuno sborsi un tanto proporzionale ai beneficii che può ritrarre dall’attuazione della ferrovia che lo interessa. Credo che si possa addivenire ad una equa distribuzione stabilendo che la quota da pa­ garsi dai diversi comuni interessati alla costruzione di una data ferrovia sia inversamente proporzionale alla distanza di tali Comuni dalla ferrovia stessa e direttamente proporzionale invece alla popolazione ed all’ estimo di ricchezza mobile pagato da ciascun Comune.

Oltre ai sussidi di cui sopra, mi sembrerebbe op­ portuno stabilire una legge per la quale:

I o Tutti i terreni demaniali provinciali o

comu-293 unii attraversati dalle nuove ferrovie, verrebbero ce­ duti gì a tui temente.

2° Tutti i boschi tanto demaniali che provinciali e comunali sili in Provincie od in Comuni attraversati dalle nuove ferrovie cederebbero contro le sole spese di taglio e di trasporto tutto quel legname che po­ trebbero fornire atto alla costruzione ed all’armamento delle ferrovie stesse nel tratto da esse percorso su quella Provincia o su quel Comune. (Il maggior va­ lore che verranno acquistando detti boschi dopo la attuazione delle vie ferrate, compenserà largamente questo momentaneo sacrificio).

3° Tutto il materiale occorrente per la costru­ zione delle nuove linee godrebbe sulle attuali ferrovie delle sensibili facilitazioni sui prezzi di trasporto.

1° Tutte le opere d’ arte come ponti e gallerie (escluse bene inteso quelle d’importanza eccezionale) che sulle nuove linee venissero costrutte a doppio uso cioè per ferrovie e per rotabili ordinari sareb­ bero per metà a carico del Governo e per metà a carico della Provincia sulla quale si trovassero.

Ciò posto, e valutando a lire 330 mila il costo chilometrico completo di una ferrovia a binario grande, a Jire 100 mila quella di una ferrovia a binario ristretto (di un metro di scartamento) ed a lire 10 mila al chilometro l’applicazione della terza rotaia sulle ferrovie normali, la quota di spesa che dovrebbe sostenere il Governo sarebbe presso a poco la seguente:

2000 chilometri di ferrovie nuove a binario normale col concorso di

lire 300 mila al chilometro . . L. 600,000,000 10,000 chilom. di ferrovie nuove

a binario ristretto col concorso di

lire 80 mila al chil... » 800,000,000 Posizione della terza rotaia sui 10000

chilometri di ferrovie ordinarie a lire

10 mila per chilometro . . . . » 100,000,000 In tutto L. 1,500,000,000 Non tengo conto del piccolo materiale che do­ vrà scorrere sul' binario ristretto delle ferrovie a tre rotaie per le ragioni esposte nel mio primo opu­ scolo.

Questa somma di lire 1500 milioni potrebbe ve­ nir procurata al Governo mediante una operazione di prestito fatto pel precisato scopo dell’ampliamento della nostra rete ferroviaria. Non credo d’ingan­ narmi dicendo che le simpatie che una tale opera­ zione desterà nel paese e la fiducia che ne seguirà non mancheranno di farla coronare da un felice successo.

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2 9 4 L’ E C O N O M IS T A I l marzo 1877

fino alla concorrenza di 1500 milioni di una nuova carta-moneta garantita sulla proprietà delle ferrovie e sui beneficii che esse sarebbero per dare. Una simile operazione, posta esclusivamente sotto l’egida del Governo onde togliere ogni più lontana idea di speculazione, potrà, qualora con intelligenza e somma prudenza, condotta, facilitarci il conseguimento di altre risorse, non ultima delle quali potrebbe ad esempio essere l’abolizione del corso forzoso.

Come abbiamo visto, per portare la nostra rete ferroviaria al complessivo sviluppo di 20,000 chilo metri, occorrerebbe col sistema da me proposto, lo stanziamento per parte del Governo della somma di 1500 milioni di lire.

Lo stesso sviluppo ferroviario, col sistema attuale richiederebbe la costruzione di circi 12 mila chilo­ metri di ferrovie a binario normale; ammesso sem­ pre il costo chilometrico di tali linee di 530 mila lire la parte spettante al Governo, quest’ultimo do­ vrebbe provvedere al capitale di 3000 milioni.

Il sistema da me proposto realizzerebbe quindi, dal solo punto di vista della costruzione e del com­ pleto armamento la rilevante economia di 2100 milioni.

Esaminerò adesso il mio progetto da! Iato delle spese d’esercizio, ed anzi, dapprima prenderò in considerazione la parto di esse che si riferisce alla sola trazione, come quella sulla quale si può fare un conto che ben poco si scosti dal vero.

E per meglio fissare le idee consideriamo i soli treni ordinari passeggieri.

Dalle stat stiche delle ferrovie italiane rileviamo che le spese di trazione per treno-chilometro am­ montano in media a lire 1 2o. Crediamo di non errare valutando a sole lire 0, 40 le spese di tra­ zione del treno-chilometro sulle ferrovie a binario ridotto.

Sui 10 mila chilometri di ferrovia a binario mi­ sto mi sembra che un servizio regolare e comodo possa essere effettuato da sei treni giornalieri nor­ mali, cioè scorrenti sul grande binario, e da altri sei treni economici scorrenti sulle stesse linee per mezzo della rotaia centrale: in tutto 12 treni gior­ nalieri.

I sei treni normali formano annualmente 6 X 10 mila X 365 = 21,900,000 treni-chilometri che in ragione di lire 1 25 per treno-chilo­

metro d anno... L. 27,575,000 1 sei treni economici formano pure

annualmente 21,900,000 treni-chilome­

tri che a lire 0, 40 danno. . . . » 8,760,000 Sui dieci mila chilometri di ferrovie

economiche credo che un servizio sod­ disfacente possa essere effettuato da otto treni ordinari giornalieri. Voglio nono­

stante tare i calcoli su 10, si avrebbero perciò :

10 X 10,000 X 3 6 5 = 36,500,000

treni-chilometri che a L. 0, 40 danno » 14,600,000 Aggiungiamo a ciò un altro treno

giornaliero onde comprendere larga­ mente tutti i convogli economici spe­ ciali di doppio attacco, festivi che in occasiono di fiere, mercati, eco., eoe., si rendessero necessari tanto sulle fer­ rovie economiche che sulle ferrovie a tre rotaie, il che farà:

1 X 20,000 X 365 = 7,300,000 treni

chilometri che a L. 0, 40 danno . . » 2,920,000 In tutto L. 53,655,000 Vediamo ora quale sarebbe la spesa annua di trazione se l’ampliamento della nostra rete fino a raggiungere i 20,000 chilometri si effettuasse se­ guendo sempre l’attuale tipo a binario grande. Sulle ferrovie italiane il numero attuale dei treni ordinarii passeggieri raggiunge li 8 circa. Nei miei calcoli mi atterrò a tal cifra.

11 numero dei treni chilome'ri sarà in tale caso : 8 X 20,000 X 365 = 58,400,000 che a lire 125 per treno chilometro danno la somma di lire 73,000,000.

Secondo il mio progetto adunque collo stesso sviluppo di ferrovie si avrebbe il vantaggio non solo di avere un numero di corse aumentato della metà (da 8 a 12) ma si avrebbe altresì sulla sola spesa di Trazione l’annua economia di 19,545,000 lire.

Nè questa è la sola economia possibile.

Sulla rete dell’Italia il totale delle spese d’esercizio ammonta per treno-chilometro a circa lire 5,20 cioè a lire 1,95 oltre alle spese di trazione. In questa categoria entrano le spese generali e d’amministra­ zione, il personale di servizio, il mantenimento delle stazioni ed opere d’arte. Sarebbe troppo lungo, in un breve cenno come questo far dei conti appros­ simativi sull’entità delle economie che in tale cate­ goria si potrebbero realizzare colle ferrovie a binario ristretto. Ad ognuno però sembrerà evidente come di rilevanti se ne possano ottenere senza alterare menomamente la regolarità e sicurezza del servizio.

Riassumendo adunque col sistema da me proposto si verrebbe ad ottenere.

Una economia di 2100 milioni sul capitale d’im­ pianto.

Una economia annua di circa 19 milioni di lire sulle sole spese di trazione, nonché altri sensibili risparmi su tutte le altre spese di esercizio, cioè : Amministrazione, Manutenzione, Traffico e generali altri 21 milioni di lire come lo permettono le piccole ferrovie in confronto alle grandi.

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i l marzo 1877 L’ E C O N O M IS T A Di questi importantissimi vantaggi, i primi due

giustamente apprezzati potranno valere ad infondere nel paese quella fiducia che in materia di ferrovie pur troppo mancò finora, sia per l’esempio di quanto costarono le attuali linee in esercizio, e del loro stato passivo, sia per le condizioni tutf altro che floride delle nostre finanze.

Nè meno importante è il terzo vantaggio. Aver un numero di treni assai maggiore di quello che attualmente abbiamo (e tanto più se con minore spesa) vuol dire soddisfare ai bisogni del paese, vuol dire mettere le ferrovie al vero servizio delle in­ dustrie e del commercio, vuol dire, in una parola, rendere queste ultime veramente produttive.

L’industria ed il commercio da una parte e le ferrovie dall altra sono elementi di cui l’uno si svi­ luppa collo svilupparsi dell’altro. Hanno comuni in ­ teressi, a noi tocca metterli sulla via di un con­ tinuo progresso, poiché da questo progresso dipende la ricchezza avvenire dalla nostra patria.

E poiché la questione ferroviaria è all’ordine del giorno, facciamo voti onde essa venga con ogni di­ ligenza studiata e prontamente risolta in modo degno dell’aspettativa del paese.

Dal canto mio mi chiamerò fortunato se le idee modestamente consegnate in queste pagine varranno ed inspirare nella mente del saggio legis’atore quella fiducia che io nutro nell’avvenire delle nostre ferrovie.

Codogno li 45 febbraio 1877.

G. B. Lo d i g i a n i

La marina inglese nel 1876

Se la marina non può venir ricordata per note­ voli imprese compiute lo scorso anno non può non­ dimeno porsi in oblio una serie di fatti i quali non ridondano certamente in lode di chi è a capo di quella amministrazione. Errori sopra errori si sono verificati senza poter rintracciarne sicuramente l’ori­ gine, ed abbenche non sieno accadute notevoli sven­ ture, nelle ultime settimane, per uno di questi er­ rori, poteva succederne una all’equipaggio della cannoniera Goswatz. Ma questo è nulla a confronto dello scoppio a bordo del Thunderer avvenuto in luglio e dei successivi accidenti verificatisi alla mac­ china dello Shah urgentemente richiesto nel Paci­ fico per dare il cambio al Repulse ed all’altro acci­ dente verificatosi nel bacino di Chatham alla fregata Alexandra: tutte cose che dimostrano l’impossibi­ lità in cui si è talvolta di spingere alacremente i lavori dei nostri migliori bastimenti quando lo ri­ chiede il bisogno.

Questi errori e questi accidenti, assieme ad altri

295 molti di minore importanza, dimostrano quanto sia necessaria una più accurata vigilanza in taluni rami dell’amministrazione marittima.

E consolante però notare i progressi delle costru­ zioni navali. Durante l’anno 50 bastimenti furono o cominciati, o varati, o terminati: il numero dei se­ condi è di oltre 20, ciò che dimostra con quanta attività siano spinte le costruzioni.

Fra questi 20 bastimenti, 4 sono corazzati e navi come 1 Inflexible, il Téméraire, il Nelson ed il Non- thampton rappresentano un aumento notevole per la nostra flotta.

Ad eccezione del Northampton analogo al Nelson, gli alti i due bastimenti tormano due tipi affatto nuovi e distinti. L’Inflexible coi suoi cannoni da 81 ton­ nellate e le corazze di 24 pollici, .rappresenta un potente tipo di monitor o bastimento a torri : il Téméraire coi suoi cannoni montati en barbette rappresenta lo sforzo fatto per dispensarci dalla co­ razza; il Nelson ed il Northampton sono due incro­ ci''1 tori in cui questi sforzi raggiungono lo scopo perchè la parte corazzata si limita solamente ai punti vitali.

Abbiamo poi in costruzione due bastimenti in acciaio, l’Iris e il Mercuri), i quali sono quasi ter­ minati e rappresentano due novità nelle attuali co­ struzioni navali. Essi sono costruiti pressoché tutti in acciaio che può essere adoperato nella costru­ zione in seguito ai perfezionamenti introdotti nei suoi modi di fabbricamento. Esso è più economico e per la sua leggerezza avvantaggia la velocità della nave. Nell’agosto l’ammiragliato determinò di co­ minciare la costruzione di 0 corvette, che verranno adoperate per le stazioni della China e del Pacifico e benché esse siano di piccole dimensioni si spera che raggiungano una velocità di 20 miglia all’ora. L’armamento loro consterà di 12 cannoni di piccolo calibro, ma sufficienti a resistere a qualunque ba­ stimento delle medesime dimensioni con cui potreb­ bero misurarsi in combattimento.

Fra i bastimenti varati vi è anche, oltre i 3 sloops Pelican, Tourmaline e Turquoise, la Bacchante, e fra quelli in costruzione, oltre l’Euryalus simile alla precedente, devono notarsi le due corazzate A ja x ed Agamennon simili all’Inflexible, ma più piccole.

Le costruzioni dello scorso anno han dimostrato all evidenza quali svegliate intelligenze si occupino di esse al consiglio d’ammiragliato: sembra che nel­ l’anno in corso nuovi progressi si faranno, special- mente per ciò che riguarda le corazzate.

Nel breve spazio di un anno avvennero tali fatti da rendere oltremodo irte di difficoltà le costruzioni navali.

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dal-296 L’ E C O N O M IS T A 11 marzo 1877 l’ammiragliato di cercare di costruire, se possibile

e necessario, un cannone di dimensioni doppie, fa- ran sì che,- o si abbandonerà la corazza nei basti­ menti di primo ordine, o le sue dimensioni si au­ menteranno in modo da sorpassare di molto le gros­ sezze adottate per 1’ Inflexible e pel Duilio. Se la questiono si decido in quest’ultimo senso, i signori Cammell hanno già dimostrato praticamente la loro perizia nella costruzione di piastre corazzate di 22 pollici e sembra che potranno costruirne anche di maggiori dimensioni.

Ma il più formidabile nemico dei bastimenti da guerra attuali è la torpedine, e nell’ anno passato notevoli progressi sonosi fatti. Il signor Whitehead che si occupa specialmente della costruzione di esse è pervenuto a costruirne una che può raggiungere la velocità di 20 miglia all’ora. Sembra che il Go­ verno abbia stipulato un contratto per provvedersi di simili torpedini, le quali pare che abbiano prin­ cipalmente il vantaggio di non deviare dalla direzione data e non dare alcun indizio apparente del loro cammino.

La loro lunghezza sarebbe di 18 piedi (metri 5,486), cioè 4 piedi (metri 1,22) più delle ordinarie. Importanti esperimenti furon fatti contro lo scafo deirO&ero» a Portsmouth: si adoperò anche il Thun- derer il cui scafo fu ricoperto con una specie di cintura di filo metallico la quale oppose resistenza alla torpedine causandone lo scoppio senza produr danno alcuno.

Durante l’anno in corso la costruzione delle tor­ pedini e dei lancia-torpedini progredirà notevol­ mente.

Grandi progressi infine furon fatti in Artiglieria. Accurati e svariati esperimenti col cannone da ”8 tonnellate e con quello da 81 hanno dati resultati che al principio dello corso anno parevano incredibili. Non solo gli esperimenti con questi mostruosi can­ noni lirón fatti senza che si fosse verificato alcun disastro, ma i cannoni si costruirono con grande facilità a massima accuratezza. Però tutti questi esperimenti furon sorpassati di gran lunga da quelli fatti alla Spezia col cannone da 100 tonnellate co­ struito da sir William Armstrong per 1’ armamento delle torri del Duilio.

(Dal Times).

La Germania e la Esposi/Jone di Parigi

nel 1878

Il signor Ravené, console generale a Berlino per l’Austria-Ungheria, ha testé inviato al conte Andrassy a Vienna una relazione sui motivi che hanno indotto

l’impero germanico a non prender parte alla espo­ sizione universale parigina.

Quella relazione interessante sotto ogni aspetto, e troppo lunga perchè ci sia dato riprodurla per di­ steso. Ci limiteremo perciò a cavarne le parti sostan­ ziali per esaminare se le ragioni addotte dal signor Ravené sieno tali da giustificare 1’ astensione della Germania dalla esposizione di Parigi.

Innanzi tutto l’onorevole relatore nota la frequenza di tali esposizioni, e non dubita di chiamarle una malattia epidemica del nostro secolo ; e cosi si esprime in proposito :

« Fu dicerto grande l'idea che ebbe il principe Alberto di raccogliere nel 1851 in uno stesso recinto tutte le arti e tutte le industrie del mondo. La prima volta tale radunata ebbe l’alto intento di mettere a riscontro le opere e i prodotti delle varie nazioni e dimostrare in quali rami l’una soverchiasse 1’ altra. Inoltre per gl’ industriali fu un vivo stimolo sotto tutti i rispetti. Ma quella esposizione influì più gran­ demente sulla stessa Inghilterra e principalmente sulla sua industria artistica. Così, a modo di esempio, è a quella die il museo di Kensington deve la sua origine, come pure il palazzo di Sydenham co’ suoi giardini, e ancora molte altre istituzioni aeconcie ad innalzare il livello della industria inglese.

« Lo splendido successo della impresa decise la Francia, — forse gelosa di non aver concepito per la prima quella grande idea — a dare nel 1855 lo stesso spettacolo a Parigi, in proporzioni ancora più vaste; e poco dopo si videro succedersi, a intervalli di tempo sempre meno distanti e con estensione ognora più crescente, le esposizioni universali di Londra nel 1862, di Parigi nel 1867, di Vienna nel 1875 e finalmente di Filadelfia nel 1876.

Era appena chiuso il Centennial ground a Fila­ delfia, che la Francia annunciava una nuova espo­ sizione universale per il 1878, senza aver prima consultato i diversi Governi sulla opportunità di così fatta impresa.

« Certo cotesta fu mancanza di tatto, continua il signor Ravené, ma in ogni modo la impresa qui non poteva trovare alcuna simpatia, per questo che tutti sanno che nelle industrie, che sono il principale ornamento di siffatti spettacoli, la Francia ha il primo posto, mentre che noi in quelle sentiamo la nostra inferiorità. Ora il progresso delle esposizioni di un paese è, in generale, dai visitatori giudicato e stimato molto meno per il valore delle cose esposte che per le apparenze eleganti della industria artistica e di quanto altro le è affine. »

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I l marzo 1877 L’ E C O N O M IS T A 297 « Ma quanti sacrifici, esclama, per sì meschino

profitto ! Quali enormi somme ha costato all’Austria la esposizione di Vienna !

« L’impero germanico ha dovuto spendere per la stessa Esposizione quasi 1,100,000 talleri ; di più la Prussia, in particolare, vi ha contribuito con 180,000 talleri, e se noi calcoliamo inoltre le somme che gli altri Stati germanici vi hanno consacrato, raggiun­ giamo in totale una somma di circa due milioni di talleri.

« Ma la spesa toccata agli Stati è molto inferiore ancora di quella sopportata dagli stessi espositori. Se quelle somme fossero state erogate per f indu­ stria nazionale, avrebbero potuto produrre effetti più utili.

« Per citare un esempio, la casa Krupp di Essen ha speso per la esposizione di Vienna circa 30,000 talleri ; le officine di Laura 10,000 talleri, e altret­ tanti una fabbrica berlinese di effetti militari.

« Dopo ciò, conviene tener conto della influenza delle esposizioni, nelle città ove esse hanno avuto luogo, sul prezzo di tutti gli oggetti di consuma­ zione, sul vitto, sugli alloggi e sui salari durante il tempo di quelle mostre.

« A Londra, il concorso degli stranieri, espositori o visitatori, non aveva prodotto un cambiamento sensibile attesa la grande estensione della città. A Parigi però si fece subito sentire di più, ma a Vienna, città meno grande, la Esposizione fece aumentare del doppio e più tutti i prezzi, e in particolare i salari degli operai ; e di siffatto aumento non ebbero a patire soltanto gli stranieri, ma fu grave anche agli stessi indigeni. »

Il signor Ravené, occupandosi specialmente della prossima Esposizione di Parigi, conchiude la sua relazione dicendo :

« Gli organi della stampa che si erano prima mostrati favorevoli alla partecipazione, ora tacciono, e la opinione contraria si manifesta di giorno in giorno più aperta. Unisco alla relazione un esemplare di un articolo pubblicato in questo senso dal signor Sussmann-Helborn negli Annali prussiani, perchè può utilmente consultarsi sull’ argomento; ed ag­ giungo infine che a me consta per informazioni avute, che il Consiglio dei ministri prussiani, sotto la pre­ sidenza dell’imperatore, ha definitivamente rifiutato di partecipare per conto dello Stato alla Esposizione di Parigi nel 1878. Non si deve poi affatto supporre che vi sieno fabbricatori alemanni che desiderino, per qualunque siasi ragione, di mandare alla Espo­ sizione di Parigi i loro prodotti. D’altronde tale desi­ derio non potrebbe essere sodisfatto, se il Governo francese mantien fermo il programma, nel quale dichiara di non volere corrispondere cogli espositori privati se non per mezzo dei Governi ai quali ap­ partengono. »

Le accuse principali fatte dal signor Ravené alle esposizioni universali in genere e a quella di Parigi nel 1878 in specie, si possono riassumere così :

I o Le esposizioni internazionali si succedono a intervalli troppo vicini perche possano mostrare i progressi reali delle diverse industrie ;

2° Le spese che esigono le esposizioni sono tsoppo grandi per essere sopportate per una parte dai contribuenti e per un’ altra dagli espositori. Nè questi, nè la nazione ritraggono benefici proporzio­ nati alla spesa fatta ;

3° Le esposizioni, nelle città ove hanno luogo, producono un eccessivo rincaro di viveri, di alloggi e di tutto quanto è necessario alla sussistenza ;

4° Per quello che si riferisce alla Esposizione di Parigi nel 1878, il Governo francese, trascurando di consultare preventivamente le intenzioni degli altri paesi, ha mancato di tatto;

3° Il solo e meschino vantaggio che risulta da tali esposizioni consiste : nel ravvicinare i popoli e nello eccitamento al progresso intellettuale dalo agli industriali.

L’onorevole console dell’ Austria-Ungheria, come appare da ogni linea della sua relazione, è un figlio di questo secolo, un prodotto di questa epoca am ­ malata, cui nessuna cosa importa più del beneficio materiale che si trae immediatamente da una impresa commerciale, e che sdegna, e mette in basso luogo gli effetti morali, secondo che avvisa il sig. Ravené sproporzionati ai sacrifici fatti.

Il meschino vantaggio del ravvicinamento dei po­ poli e dello eccitamento intellettuale dato agl’indu­ striali acquista agli occhi nostri un tale valore che per esso solo tutte le esposizioni universali ci sem­ brano giustificate; e se la malattia epidemica del nostro secolo consistesse in cotesto ravvicinamento dei popoli, noi nulla faremmo per arrestarne il corso e consacreremmo tutti i nostri sforzi a renderla an­ cor più contagiosa. Il sig. Ravené, da buon chauvin alemanno, preferirebbe forse alle pacifiche lotte della intelligenza gli scontri delle masse brutali in armi? ognuno ha i propri gusti !

È possibile sì che le esposizioni si succedano a intervalli troppo vicini perchè possano mostrare i progressi fatti dalla industria; ma è certo che le guerre sono esse pure sventuratamente troppo fre­ quenti e costano sacrifici di gran lunga maggiori di quelli sostenuti dai popoli per le esposizioni uni­ versali.

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