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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.04 (1877) n.165, 1 luglio

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A S E T T I M A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno IY - Voi. V ili

D om enica 1 lu g lio 1877

N. 165

LA RIFORMA AMMINISTRATIVA

Allorquando la coalizione del 18 marzo, ebbe chiamato al potere un partito che nelle lotte in­ cruenti ma perseveranti e spesso accanite del Par­ lamento s’era schierato sempre contrai governanti ne avea combattuta la politica estera, i sistemi eco­ nomici, ne avea attraversato ogni piano d’ ammini­ strazione, nacque nel paese una speranza che gli errori dei vecchi sarebbero stati riparati dai gio­ vani, che la sinistra al Governo avrebbe iniziata e forse compiuta la riforma amministrativa in Italia.

D’ altronde se quella indigesta congerie di leggi, di regolamenti, di circolari, se quel complicatissimo meccanismo con c u i, si estrinseca l’azione dello Stato, avea trovato nella opposizione Aristarchi così severi, avversari così formidabili, non era egli giusto d’ attendersi, che 1’ Opposizione stessa fatta Go­ verno avrebbe posto mano a torlo di mezzo, a sem­ plificare questo congegno che a furia di perfezio­ namenti è diventato un vero ostacolo agli affari, un onere più che un aiuto ai membri del nostro con­ sorzio politico ?

E il paese, quel paese il quale non encomia e non combatte un sistema ed un provvedimento, per­ chè ne è autore un amico, od un avversario, ma piuttosto secondo lo riconosce buono o cattivo alla prova, nutriva ferma fiducia che questa riforma sarebbe venuta.

Senza lodare infatti coi fanatici tutti gli atli dei Gabinetti che si seguitarono in Italia dalla morte di Cavour in appresso, senza condannare a priori l’ operato d’ uomini i quali se non altro hanno la gloria d’ avere unificato sette diverse amministra­ zioni senza molti dissesti, senza gravi ingiustizie, è certo che le cose amministrative non sono in uno stato eccellente in paese.

L'abbassamento morale che tiene sempre dietro come inevitabile conseguenza ai profondi rivolgi­ menti politici, lo spirito di formalismo che costi­ tuisce quasi una seconda natura per i figli del vec­ chio Piemonte, le tradizioni tutt’altro che edificanti di taluni tra i pubblici uffiziali del regno di Napoli e

di altre provincie annesse, rendendo necessari nu­ merosi e severi controlli, moltiplicando più del bi­ sogno le formalità preservative, le cautele per parte dello Stato, hanno ingenerato una tale condizione di cose che realmente è d’ inciampo al poderoso svolgimento delle nostre forze, al libero corso dei nostri affari.

Quel simpatico scrittore, che è Jack la Bolina, in un brillante bozzetto marittimo intitolato I galloni del caporale Magrini, ha fatto la critica più severa ed in pari tempo più giusta che mai potesse imma­ ginarsi della pedanteria di talune tra le disposizioni del nostro regolamento di contabilità generale, ma i galloni del caporale che costavano allo Stato di sole spese postali lire 3 80, mentre con 33 cente­ simi potevano comprarsi dal primo rigattiere capi­ tato tra i piedi, non sono che uno dei mille esempi che si potrebbero addurre.

Un vetro ohe si r'ompa in un ufficio governativo e che il portiere potrebbe far rimettere in un’ora e’* con pochi soldi di spesa, fa mettere in moto tre o quattro funzionarii dello Stato, fa imbrattare sette od otto fogli di carta, assume addirittura ia stessa importanza come se si trattasse d’ un cilindro del Duilio, o d’un palazzo dello Stato e per giunta la­ scia un paio di settimane almeno esposto un povero travet al vento di settentrione che soffia per la rottura. Un cittadino che per riedificare il tetto della propria casa abbia la cattiva idea di comprare cinque o sei piante del vicino ospedale, prima di avere sul proprio piazzale i travi occorrenti, deve attendere quattro o cinque mesi perchè sotto-prefetto, prefet­ tura, deputazione provinciale abbiano dato corso alla domanda relativa dell’Opera pia, autorizzata questa alienazione patrimoniale, deve attendere che le autorità, vigili custodi dei boschi, abbiano per­ messa l’opera demolitrice dello spaccalegna, e ciò sempre nel caso ben inteso che non nascano com­ plicazioni maggiori, che le cose corrano liscie e per la più breve.

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esigenze, queste cautele devono avere un limite molto ristretto se non si vuole fare dello Stato un nemico, sacrificare l’individuo alla onnipotenza del Governo.

È questo limite che nelle trasformazioni dei vari servizi si è alquanto perduto di vista, è questa la colpa principale dei passati Gabinetti, i quali obbe­ dendo per avventura a falsi concetti economici cre­ devano suprema necessità il bene dello Stato anche a scapito di quello degl’ individui, senza avvertire che il male di questo si riverbera sul loro consorzio che costituisce appunto l’unione politica, lo Stato. A questi inconvenienti gli autori della crisi del 18 marzo si proponevano di rimediare onde meritarsi il nome di riparatori con molta jattanza assunto ad impresa della propria bandiera, ma in oltre quin­ dici mesi trascorsi da quella data, che cosa hanno fatto quei signori per semplificare questa ammini­ stri. zione, per distruggere quel formalismo che spazza il buon volere di tutti, aggrava di inutili spese lo Stato, si oppone spesse volte allo svolgimento della nazionale ricchezza ?

La rivista sarà breve, perchè si tratta soltanto di due o tre progetti di legge presentati più per la forma clic non per desiderio di vederli attuati e che riguardano l’amministrazione comunale e pro­ vinciale, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti.

Da un pezzo coloro che s’intendono di cose am­ ministrative predicavano la necessità di abolire le sotto prefetture, un ufficio che se aveva una ragione d’essere nelle condizioni politiche ai primi momenti che seguitarono le annessioni, non ne hanno più alcuna in oggi che l’ Unità s’ è afforzata, che gli animi si sono educati nell’ idea che il bene della Nazione deve avanzare quello del campanile. L’abo­ lizione però di questi uffici di trasmissione, il cui solo e pratico risultato è quello di far perdere cinque o sei giorni nella trattazione d’ ogni affare, se non può incontrare opposizione nel campo teorico, quando scendiamo alla pratica, può suscitare un vespaio, di invidie, di piccoli interessi, di suscettività municipali, che soltanto un forte e poderoso Governo può sof- focare.

Il deputato che in tesi astratta è convinto della convenienza di abolire la sotto prefettura, venuto al concreto pensa che tutte bisogna sopprimerle ma che viceversa quella del borgo in cui è nato, in cui abitano i suoi elettori ha delle buone ragioni per essere conservata. Il proprietario dello stabile in cui alberga il sotto prefetto, è suo congiunto, forse un elettore influente, e non conviene disgustarlo con votare una legge che lo priva del suo buono in­ quilino.

L’albergatore del luogo lucra qualche cosa sugli impiegati e sui clienti che accorrono alla sotto pre­ fettura. Un rappresentante del Governo nel capoluogo,

può essere un eccellente mezzo per ottenere una Croce; insomma vi sono delle ragioni che assiepan­ dosi nell’animo del deputato ne scuotono la fede e possono fargli mutare d’ idee, tanto più facilmente se la sua elezione fu molto contrastata, se pochi voti gli han dato la vittoria sul suo competitore.

Egli sa infatti che ai nuovi Comizii il rivale di ieri si presenterà ancora a contrastargli la palma, che il voto dato alla Camera e che priva il comune dei vantaggi e del lustro derivante dalla sotto prefet­ tura, colorito a dovere, sarà un’arma potente a com­ batterlo ; egli sa che se, teoricamente parlando, gli interessi offesi non producono mai una rivoluzione, possono però e benissimo produrre una rivolta degli elettori contro di lui, e che con tutta probabilità il proprietario, l’albergatore, l’ambizioso che si credeva un uomo d’ importanza soltanto perchè un paio di volte all’ anno potea sorbire il suo caffè col sotto prefetto, lo abbandoneranno nella mischia, come esso gli ha abbandonati nel di della prova, e questa vi­ sione del futuro può avere una grande influenza sulle convinzioni del deputato, modificarne sensibil­ mente l’animo nel momento solenne.

Era quindi ben naturale che Lanza, Sella, Min- ghetti, gli uomini insomma che durante l’ ultimo quinquennio si alternarono al potere, non si sentis­ sero la forza e il coraggio di abbordare il serio pro- ble'rna. — L'opposizione in Parlamento era troppo numerosa e troppo audace, gli amici troppo fiacchi ed incertLper arrischiare l’ esperimento. C’ era ita tro­ varsi soli, e vedere tra le esitanze dei ministeriali e la guerra ac 'anita degli avversari, naufragare un’idea la quale forse non era giunta ancora a tutta la sua maturità, ma che non poteva mancare del trionfo in un vicino avvenire.

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1 luglio 1877 L’ E C O N O M IS T A

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profondo crepaccio, la disgrazia di cui si notano i primi sintomi sarà divenuta una malattia generale e importante, e quella saggia riforma resterà ancora un pio desiderio per altri cinque anni. — Un’altra legge destinata nel pensiero dei ministri a semplifi­ care grandemente l’amministrazione, era quella che modifica l’ordinamento e muta in parte le attribu­ zioni del Consiglio di Stato.

Ebbene dii sa dirci che cosa è diventata questa legge, che l’on. Depretis ha presentato ad un tempo colla sua esposizione finanziaria?

Che cosa è accaduto dell’ altra legge sulla Corte dei Conti deposta a Montecitorio in quella stessa occasione?

Alieni da partigiano passioni, scevri da ogni le­ game con paitili politici, non possiamo esimerci di fronte a questi fatti di esprimere il nostro ramma­ rico, perchè in Italia, mentre cosi urgente è il bisogno di occuparsi e sul serio della semplificazione della gran macchina Stato, mentrq le riforme am­ ministrative sono per noi più necessarie dei cannoni da costa, o delle corazzate gigantesche, si siano per­ duti oramai quindici mesi in ripieghi, mezzi termini, discussioni accademiche, si sia intrattenuta la Camera di filantropiche cose, di leggi più o meno inoppor­ tune, senza accostarsi d’un passo alla discussione del grande problema, perdendo anzi l’ occasione di farlo

È un serio conto che Ministero e Parlamento si sono aperti in faccia al paese, e Dio voglia che non abbiano e presto a pentirsene !

LETTERA

d e l l ’ o n o r e v . P IE R O TORR1G1AN1

al sig. Mi c h e l e Ch e v a l i e r

Roma, 23 giugno 1877.

Illus'.re sig. M ichele C hevalier

Nel Journal des Économistes lessi, con vivo inte" resse, quando fu stampato nel fascicolo del 13 aprile di quest’anno, lo scritto di lei in risposta al sig. Alberto Courant, negoziante all’Havre.

L'Economista che si pubblica nella città di Fi­ renze, ha diramata la traduzione della sua lettera, nella quale sono svolte le migliori idee economiche intorno ai nuovi trattati di commercio, dei quali si deve interessare e molto s’ interessa la nazione ita­ liana.

Ricordo con mia viva soddisfazione ch’ebbi l’onore di essere quale commissario governativo nella Espo­ sizione universale in Parigi, nel 1867, in rapporti

con lei, eletto a capo di tutto l’andamento della Esposizione medesima.

Prima di conoscerla di persona, avevo studiato e ammirato gli scritti di economia politica, i quali hanno elevato il suo nome fra i principali scienziati del nostro secolo.

Nel marzo di quest’anno il negoziante Alberto Courant, ha osato dichiarare ch’ella si applica, quale fautore di libertà economica, a distruggere sotto l’ insegna del libero scambio, i rami più fruttiferi e le forze più vive dei lavori nazionali.

I lettori di questo stesso giornale, con cui ho l’onore di dirigere a lei una mia lettera, avranno con molta soddisfazione approvato la fecondità della sua risposta, la quale si estende agli effetti che si moltiplicano nella produzione, nella distribuzione e nella consumazione, quanto più si estende la pro­ tezione delle industrie nelle tariffe doganali dei trattati di commercio.

Amo anch’ io di ripetere che la via del protezio­ nismo conduce ad aggravare molta parte del pub­ blico, il quale alle tante imposte dello Stato, che sottraggono molta parte della ricchezza per mante­ nere i servizi governativi, subisce l’aggiunta di quella che sotto l’ aspetto di protezione alle industrie, è una nuova imposta, a vantaggio dei cittadini che le esercitano ed a danno di tutti gli altri. — Per que­ sta realtà di cose si deve considerare il protezio­ nismo industriale come un tributo, negli studii eco­ nomici finnnziarii, ed è bene nelle scuole non limitarsi a ripartire le imposte fra lo Stato, le Provincie e i Comuni, ma mostrare l’aggiunta di quelle che di ordinario si nascondono sotto l’aspetto di protezione per le industrie.

I diritti doganali quando si elevano, fan pagare di più, non solamente le mercanzie portate dal­ l’estero, ma quelle che si creano nel paese.

Sono molti i lamenti che si diffondono quando le imposte governative fan subire diminuzioni di red­ diti nei commerci, ma l’errore dannoso è di pre­ tendere che le tariffe doganali porgano dei compensi di quelle sottrazioni alle industrie, perchè questi compensi che giovano ad una parte della popola­ zione aumentano i danni e i sacrifizi di tutta l’altra. È questo un campo vastissimo che merita d’es­ sere studiato, come lo è anche in Francia in tutte le sue parti. Finché non si fa che indagare le in­ chieste industriali, si penetra nei movimenti che dagli industrianti si presentano, senza estendersi al di là per conoscere ed equilibrare tutti i rapporti fra i produttori e i consumatori.

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doganali elevando i prezzi delle mercanzie traspor­ tate dall’estero, al difuori dei limiti fissoti, aumen­ tano le forze delle industrie col far pagare di più i prodotti ch’entrano nei mercati. Bisogna anzitutto tener ferma l’equiparazione d’ imposta per tutti i contribuenti, in proporzione dei loro redditi, ed è pur troppo da molti dimenticata, non avendo in mira che di giungere sulla via del protezionismo ad eliminare ogni effetto sinistro generato nelle in­ dustrie dalla differenza delle forze produttive.

Illustre signore! Nel dirigerle questa mia lettera 10 provo molta attrazione per diffondermi coi pen­ sieri ai tanti argomenti che si presentano pei nuovi trattati di commercio. Ma ella, illustre scienziato, che fin dal 4860 si occupò dei trattati fra la Fran­ cia e l’ Inghilterra, mi perdonerà se oso penetrare in una parte che reputo di somma importanza e della quale non ho visto ancora che siansi studiati tutti gli effetti dell’avvenire, col vivo desiderio che ella ne esprima pubblicamente il suo parere. Io alludo ai mutamenti che cercano di effettuarsi dai dazi ad valorem in dazi specifici.

La prima volta che fu indicato questo grave mu­ tamento di cose, lo ricordo fu in una delle discussioni sviluppata nella Società economica di Parigi, a cui 11 mio nome ha l’onore di appartenere.

Poche cose furono dette, ma però non venne ta­ ciuto che le industrie dovevano subire effetti da questa variazione dei dazi meritevoli di esser bene e molto studiati.

Il distinto collaboratore del Journal des Econo- mistes, il signor conte de Butenval, già ministro plenipotenziario, in uno dei suoi articoli sulle nuove tariffe doganali in Francia, al maggio del 4875, tenendo per fermo che devono essere concepite e preparate in uno spirito esclusivamente fiscale, ha esposto e sviluppate alcune domande fra le quali mi preme notar quella del tenore seguente:

« Devonsi conservare i diritti ad valorem o con­ vertirli in diritti specifici? »

L’autore dell’articolo che sto indicando si propose di svolgere in altro momento questa questione, da lui giustamente battezzata per tecnica e spinosa. Non aveva ancora le indicazioni che molte delle Camere di commercio han presentate al Governo senza limi­ tarsi a confrontare il numero di quelle che si di­ chiarano favorevoli e delle altre che sostengonsi av­ versarie a convertire in dazi specifici, gli altri da più tempo ad valorem, essendo necessario indagar bene se la diversità di questa sentenza nelle Camere di commercio non derivi dalla natura dei prodotti che prendon di mira specialmente quelli che ne compongono la maggioranza.

Nel mese di marzo dell’anno scorso 1876 l’au­ tore stesso pubblicò un altro interessante articolo sul giornale medesimo, relativo alla riforma doga­

nale con rifusione delle tariffe, o rinnovamento dei trattati di commercio. Anche in questo scritto, non trovasi nessuna parte del mutamento della natura dei dazi. È nel maggio di quest’anno in corso, che scrivendo il conte di Butenval sul progetto di legge regolatrice della tariffa generale delle dogane, ha destinato l’ultimo periodo del suo articolo all’esame della conversione dei diritti ad valorem, negli altri specifici, la loro elevazione ed il danno della rappre­ saglia.

Quest’autore non ha raccolto ancora dei dati tec­ nici speciali per procedere a molti dettagli su questo argomento, passando dalla teoria alla pratica.

Porge un esempio di fabbricazione di vetri o cri­ stalli coll’esportazione e la importazione. Nel riferire testualmente la parte relativa dei processi verbali del Consiglio superiore in Francia ai giorni 40 e 45 del luglio 4 870, vedesi da un lato che i fabbri­ canti di cristalli han dichiarato di non abbisognare la protezione doganale, accettando già l’assenza stessa di ogni dazio. I fabbricanti di vetri fecero rimar­ care che adottata la conversione del diritto ad va­ lorem in diritto specifico, verrebbe quello del dieci per cento portato al 26 per cento e il mercato fran­ cese ben lontano per bastare alle vetrerie, la espor­ tazione offre gli sbocchi principali e dovrebbesi evi­ tare la provocazione con diritti eccessivi, di sollevare analoghi diritti di entrata dai paesi stranieri.

Mentre in Francia dall’estero si computa nell’en­ trata di cristalli e di vetri un milione di lire, per la esportazione delie stesse materie si ascende fino a quattordici milioni.

Il conte di Butenval si propone di esaminare in seguito altre cifre delle tariffe di derrate alimentari, di carbon fossile, di ferro, di fili cotonieri, ossia di sostanze relative al nutrimento della popolazione e ad elementi necessari per le forze di produzione.

Dopo ciò, io amo dirigere una mia preghiera, a lei illustre scienziato, che ha mostrato sempre d’in­ teressarsi per la migliore applicazione dell’ Economia politica.

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pagheran meno, o gli altri di qualità inferiore pa­ gheranno più, di quanto dovrebbe essere corrisposto pei relativi valori. È necessario quindi pensare agli effetti che questo andamento di dazi produrrà nelle varie industrie. Mentre pei progressi, economici è necessario aggravar poco le piccole industrie, questa applicazione dei dazi specifici, rovescierà tutto l’an­ damento che con piena regolarità dev’esser adoprato, quando i dazi si proporzionano alle diversità dei valori che le mercanzie presentano. Non è a negarsi quali e quante difficoltà si presentano per le cure adoprate dagl’impiegati doganali, onde conoscere fin dalla loro origine il valore delle mercanzie che si producono e si raccolgono passando da uno ad un altro paese, ma mentre i regolamenti bene studiati e bene applicati, possono eliminare molte delle dif­ ficoltà che s’incontrano, ò senza dubbio funesto pei progressi industriali, generar differenze che invece di mantenere la proporzione fra le qualità delle mercanzie e la quantità del dazio, di procedono a rovescio di equità e giustizia, alterando la propor­ zione dei dazi in modo da far pagar meno ciò che deve pagare di più, e far pagar più ciò che deve pagar meno.

Il protezionismo richiesto per la serie delle indu­ strie affinchè aumentino nei loro sviluppi e nei loro progressi, è giustamente combattuto, ma 1’ applica­ zione dei dazi specifici, condurrà ad arrestare le basse industrie, con danno dei consumatori che dovranno pagare di più gli oggetti di prezzo infe­ riore, dovendo cercare il produttore i compensi dei pagamenti che subisce per le quote elevate dei dazi specifici.

Dai produttori passando a considerare gli effetti dei dazi specifici pei consumatori, è inevitabile di considerare che dovendosi nelle categorie delle mer­ canzie sottoposte alle dogane, fissar delle medie con facilitazione delle esigenze fiscali e dell’amministra­ zione doganale, i prodotti di superiore qualità pa­ gheran meno della proporzione dovuta fra l’ammon­ tare dei dazi, e il valore delle mercanzie. Al con­ trario dì questa diminuzione favorevole ai consumatori più ricchi, si verrà a fare spendere di più ai con­ sumatori che comprano mercanzie inferiori, con dazi necessariamente per queste più elevati. Anche un tale punto, fra i molti a studiare e dimostrare pel cambiamento fra i dazi ad valorem in dazi specifici, parafi degno delle sue osservazioni, o illustre signore.

Quando un nome distintissimo come il suo, si manifesta nelle indagini e nelle dimostrazioni della scienza economica, gli scritti sono più diffusi e letti dai moltissimi che trovansi certi di arrivare a co­ noscere il vero, ed è dopo questa conoscenza che i Governi devono uniformare le parti esecutive delle quali s’ incaricano, in conformità del vero medesimo.

I Governi non devono limitarsi a considerare i >

dazi specifici, nelle loro applicazioni per renderne più facili le esigenze, a seconda delle previsioni di derrate sottoposte alle dogane, insieme a tutti gli altri movimenti economici che subiscono pagamenti fiscali. Chi si occupa di servizi governativi non deve mettere al disopra dell’ interesse pubblico, le facili­ tazioni delle parti amministrative, le quali devono adoperarsi allo scopo principale di applicare le leggi più feconde di bene al paese.

Non mi diffondo di più nelle tante idee che si collegano all’ argomento dei dazi doganali, e se questa parte fondamentale dei trattati di commercio verrà svolta da lei, illustre autore di Economia politica, si diffonderà la luce scientifica per la migliore appli­ cazione dei principi di più grande utilità per le in­ dustrie, i loro prodotti, ed i commerci.

Ho 1’ onore di ripetermi colla massima stima Suo dev.mo P. Toerigiani

Società di Economia politica di Parigi

R iu n io n e elei 5 giugno

sotto la presidenza del signor Leone Say

Secondo il desiderio manifestato nella riunione del 5 maggio è all’ ordine del giorno la questione del rinnovamento dei trattati di commercio.

11 sig. Lavollée dice che il rinnovamento dei trat­ tati di commercio non dovrebbe presentare nessuna difficoltà se si dovesse tenere in mente soltanto il vantaggio degli scambi internazionali ed i resultati ottenuti in tutti i paesi dopo le riforme operate nel 1860.

Ma nelle condizioni politiche, finanziarie ed indu­ striali in cui si trovano la maggior parte degli Stati di Europa, il solo punto da esaminare si riduce a questo, se sia cioè possibile di concludere trattati definitivi attuando riforme più considerevoli, oppure se non sia più prudente di prorogare adesso per 4 0 5 anni i trattati che stanno per ¡scadere salvo a studiare un nuovo ribasso di tariffe qnando le cir­ costanze lo permetteranno.

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slazione doganale, vorrebbero introdurre nei nuovi | trattati dei dazi più protettori.

Fra i tanti reclami degli industriali il Consiglio superiore del commercio ne ha accolto qualcuno nell’emettere il suo parere sulla nuova tariffa. Non è inutile neanche di notare che all’estero e special- mente in Italia e in Germania i protezionisti trovano degli argomenti in proprio favore nei bisogni finan­ ziari dei loro Governi e questi a parole dicono di non volersi allontanare dal libero scambio ma in fatto o per le esigenze del fisco o per altre ragioni sareb­ bero disposti a rialzare le tariffe.

In tali condizioni non sarebbe prudente di lasciare troppo discutere i dazi doganali per attuare una ri­ forma più radicale, perchè vi sarebbe il pericolo di far perdere terreno alla causa liberale. E i prote­ zionisti non mancherebbero certo di trar partito dalla triste condizione in cui, in un momento di crise quasi generale, si trovano talune industrie. Sembra al si­ gnor Lavollée più sicuro e più pratico di conservare le posizioni acquistate e di mantenere per il momento lo statu quo.

Il sig. Giuseppe Garnier crede che non sia punto necessario di fare un’inchiesta come taluno vorrebbe perchè l’ inchiesta è fatta quando si prendano i resultati ottenuti in Inghilterra. La questione del resto è agitata da 100 anni ed è stato dimostrato perentoriamente e melodicamente che ogni protezione è una spoliazione mascherata, è un inciampo per la maggior parte delle industrie ed è spesso una illu­ sione per quelle che credono di profittarne.

Il sig. Garnier non vorrebbe restare allo statu quo. Siccome le tariffe del trattato del 1860 costituiscono una protezione di IO, Io e 20 per cento, e forse più, i negoziatori francesi hanno abbastanza margine per accordare diminuzioni, e per provocare riduzioni dal fisco inglese, riguardo ai vini, e dal fisco italiano che cadrebbe volentieri nel protezionismo.

L’ opinione pubblica in tutta l’ Europa ha fatto grandi progressi verso il libero scambio. E a pro­ posito dell’opinione pubblica, il sig. Garnier segnala la tattica dei protezionisti di fare del libero scambio un principio bonapartista e di comprometterlo con questa causa politica. La libertà commerciale è un domma degli economisti del secolo x ix , è uno dei principi dell’ 89, ma fosse anche di origine diabolica bisognerebbe accettarla perchè è giusta ed utile.

Il signor Lavollée fa notare che la sua opinione, relativa allo statu quo delle tariffe convenzionali non toglie la prospettiva o la speranza di un progresso nelle riformo liberali ed è certo che in questo mo­ mento ogni nuova riduzione di dazi urterebbe contro vive resistenze. Quanto a un’ inchiesta crede che non si possa rifiutarla. Il dovere e 1’ onore di un regime politico esigono che tutti gli interessi siano ascoltati: soltanto per lo statu quo la discussione sarà

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corta e facile perchè l’ esperienza di 17 anni illu­ minerà il legislatore con una dimostrazione che tron­ cherà ogni obbiezione, mentre volendo fare una nuova riforma si correrebbe rischio, soprattutto alla vigilia di un periodo elettorale, di sollevare gravi conflitti.

Il sig. Lavollée dichiara nuovamente che ha trat­ tato la questione solo dal punto di vista dell’oppor­ tunità. In sostanza la pensa come il signor Garnier relativamente al libero scambio e può aggiungere che per studi fatti durante l’ inchiesta del 1860 ha acquistata la convinzione che le tariffe doganali sono divenuto inutili come mezzi di protezione. L’ industria di ogni paese trova una protezione suf­ ficiente nelle spese di trasporto, di commissione, ecc. che debbono sopportare i prodotti concorrenti dei paesi esteri. Le relazioni internazionali d’accordo con gli interessi della universalità dei consumatori esi­ geranno la soppressione di tutte le tasse che non siano fiscali. Non bisogna però correr rischio di compromettere questa riforma volendo attuarla in condizioni ed in momenti che non le sarebbero punto favorevoli.

Il sig. Marchal dice che la statistica potrebbe indurre in errore se i fatti materiali che essa rivela non fossero spiegali. Per esempio i protezionisti af­ fermano che la decadenza dell’ industria del ferro nell’ ovest della Francia è dovuta all’ abbassamento dei dazi doganali, mentre invece è dovuta a tutt’altre cause indipendenti dai trattali del 1860.

Il sig. Marc Maurel membro della Camera di commercio di Bordeaux risponde alla domanda fat­ tagli dal presidente e riferisce l’opinione della Ca­ mera di Rordeaux sulle condizioni alle quali do­ vrebbero esser conclusi i trattati di commercio che si stanno negoziando. Rammenta che un anno fa (1) la Camera di Bordeaux emise il parere che si do­ vesse fare un nuovo passo nella via feconda della libertà commerciale e ribassare i dazi protettivi, sta­ biliti in favore di certi articoli fabbricati in Francia, a un massimo di 10 per cento. E dopo i risultati di uno studio comparativo sulle condizioni della produzione in Inghilterra e in Francia la Camera di commercio ha pensato che questo massimo non dovesse oltrepassare il 5 per cento, che in sostanza manterrebbe il dazio protettore a 10 e 15 per cento secondo l’oggetto importato. Non si deve infatti di­ menticare che le spese di trasporto, d’ assicurazione e di commissione costituiscono un dazio protettore naturale, il solo legittimo, di 5 o 10 per cento.

Esaminando i quattro grandi capitoli del progetto di tariffa generale la Camera di Bordeaux domanda che le materie animali e le materie vegetali

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merate nei primi dne capitoli siano ammesse in fran­ chigia al più presto possibile, quanto a! capitolo III {materie minerali) constata che sono tutte indi­ spensabili alle industrie francesi, ma per spirito di conciliazione ammetterebbe la soppressione graduale e successiva dei dazi sul carbon fossile dal 1878 al 1881, ed una riduzione soltanto della metà dei dazi attuali sulla ghisa, sul ferro e sull’acciaio quan­ tunque sia convinta della necessità della soppressione immediata dei dazi sulla ghisa e sull’ acciaio.

Per quel che riguarda le materie fabbricate, enu­ merate nel capitolo IH, ecco I’ ordine nel quale la Camera di commercio ili Bordeaux desidera che siano successivamente sgravate : 1° le materie fab­ bricate che entrano nell’ alimentazione; 2° quelle che servono di materia prima alle altre industrie; 3° quelle che servono al vestiario ; 4° quelle che servono per la mobilia e finalmente 5° quelle che servono alle costruzioni di immobili.

La Camera di commercio di Bordeaux insiste inoltre sulla necessità di ribassare in larga misura i dazi esorbitanti che colpiscono i filati esteri, dazi che il Conriglio superiore vorrebbe aumentare del IO per cento con grave danno dei tessitori francesi e dimostra con cifre e fatti che i filatori francesi non risentiranno nessun danno da qnesto ribasso di dazi.

La Camera di Bordeaux vuol vedere la Francia avviarsi gradatamente, ma risolutamente, verso la libertà completa degli scambi perchè è sicura che ne deriverà il bene del paese e specialmente quello della marina mercantile aumentando l’esportazione.

Il s i g Lecesne non crede all’utilità delle inchieste, ma vuol consultare la statistica doganale, la quale ci dirà quali sono le industrie che possono cammi­ nare da sè sole e quali hanno bisogno di essere sorrette. Se vi fosse un mondo nel quale tutti gli uomini fossero economisti si potrebbe fare a meno dei trattati di commercio e attenersi alla tariffa ge­ nerale : si potrebbe anche dire che in questo mondo ideale non vi sarebbero dogane. In mancanza di meglio cerchiamo di ribassare sempre i dazi.

11 sig. Lecesne si dichiara avversario della clau- sula della « nazione più favorita » perchè appunto la crede un ostacolo a questo continuo ribasso dei dazi che deve essere lo scopo delle nuove con­ venzioni.

Il sig. Nottelle dice che bisogna progredire verso la libertà commerciale e segnala le precauzioni da prendere nelle inchieste relative alle industrie che hanno interesse a nasconder la verità.

Il sig. Garnier dice che le dogane sono la peg­ giore delle imposte ma che non si potranno sop­ primere fino al giorno nel quale si proporrà una nuova sorgente d’entrata o una economia corrispon­ dente. Contro V opinione del sig. Lecesne tiene alla clausula « della nazione p iù favorita » che fa par­

tecipare i vecchi trattati ai vantaggi dei nuovi. Nota finalmente come a torto si chiami « concessione » ogni nuova riduzione. Se vi è una concessione a favore dell’ industria estera vi è anche un vantaggio per l’ industria nazionale. Gli inglesi riducendo i dazi sui vini fanno una concessione a sè stessi pro­ curandosi i nostri prodotti a miglior mercato. La parola « concessione » nasconde un sofisma prote­ zionista; bisogna sostituirle la parola « vantaggio. »

Il sig. Leone Say cita in appoggio delle parole del sig. Garnier ciò che gli diceva un giorno il sig. Mallet uno dei negoziatori inglesi. « Voi ci « parlate di concessioni a proposito delle riduzioni « dei vostri dazi, notate però che ricevendo più fa- « cilmente le nostre merci voi fate delle concessioni « a voi stessi e ai vostri prodnttori. »

Il sig. Liegeois sviluppa le idee dei buoni econo­ misti sulle inchieste, in quanto esse consistono a domandare agli industriali in che misura desiderano che la nazione gii aiuti a far buoni affari. Che si faccia un’inchiesta quando si tratta di comporre una contestazione fra due parti, s’ intende; ma qui delle due parti, che sono da un lato l'interesse gene­ rale e dall’altro un certo numero d’interessi privati, non se ne sente che una e non si ascolta quella di cui ci si dovrebbe maggiormente preoccupare. Se si vogliono fare inchieste si dovrebbe soltanto cercare di conoscere quali sono le cause che si op­ pongono allo sviluppo di certe in lustrie. Lo Stato può e deve soltanto incoraggiare l’industria nazionale sopprimendo gli ostacoli e moltiplicando le vie di comunicazione a buon mercato, non già con i dazi protettori o compensativi. L’ Economia politica non ammette, in fatto di dazi doganali, che dazi fiscali moderati.

Il sig. Lìmousin vorrebbe uno Zollverein europeo con una tariffa internazionale uniforme. Basterebbe estendere il regime già applicato agli zuccheri. Nello stato attuale delle cose crede che 1’ obbiezione sol­ levata contro la clausula della nazione più favorita non sia senza valore dal punto di vista della sicu­ rezza che convien dare alle industrie che hanno basate le loro operazioni sopra una determinata tariffa.

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8 L’ E C O N O M I S T A I luglio 1877

quale siamo tutti d’accordo, ma la questione pratica del rinnovamento dei trattati di commercio.

Egli domanda: si debbono rinnovare, i trattati? Certamente e prima di tutto con F Inghilterra; il trattato concluso con lei servirà di punto d’appoggio per gli ulteriori negoziati. Il sig. Say pensa che il trattato con Flnghilterra non debba esser rinnovato sulla base dello statu quo, ma per decidere quale ribasso di tariffa il Governo francese potrà accor­ dare bisogna tener conto della situazione finanziaria interna ohe impone per ora certi limiti. Bisogna anche evitare per quanto è possibile le coalizioni d’ interessi non tormentando troppa gente.

Qualche paese si è spaventato della nostra tariffa generale la quale è tutf altro che liberale, ma' un negoziatore inglese ha detto giustamente che la tariffa generale sarebbe tanto più temibile quanto più fosse moderata perchè allora si sarebbe più disposti ad attenervisi. Quanto alla clausula « della nazione p iù favorita » non v’ è nessun interesse a rinunziarvi nel momento attuale.

Il sig. Federico Passy fa qualche osservazione a ciò che ha detto il sig. Lecesne. Lo ha sentito con dispiacere parlare di dazi compensativi, espressione che dovrebbe esser bandita dal vocabolario degli economisti partigiani della libertà commerciale.

Secondo il sig. Lecesne vi sarebbero delle indu­ strie che non possono vivere, ma che è dovere d’una nazione di far vivere con incoraggiamenti artificiali; e questa, come ha già notato il sig. Say, è prote­ zione bell’ e buona.

I liberisti non possono sottoscrivere a una tale teoria sebbene possono operare il passaggio dal male al bene con certi temperamenti.

In principio però non possono ammettere che si debba intervenire nella ripartizione del lavoro e so­ stenere, a spese dei consumatori e delle industrie realmente nazionali, quelle che non sono tali.

Quanto alla clausula della nazione più favorita crede si debba mantenere perchè ridonda in un . . . vantaggio. Checché ne possano pensare coloro coi quali trattiamo, il nostro interesse, come ha detto giustamente Robert Peel, non è dubbio. Esso con­ siste nel vendere e nel comprare dove troviamo migliori condizioni. Non si tratta già di procurarci delle simpatie politiche, ma di stabilire delle buone relazioni economiche ha detto il sig. Lecesne ; ma dal punto di vista delle relazioni politiche le rela­ zioni economiche hanno la loro importanza. Più gli intessi si intrecciano e più diventa difficile di rom­ pere senza gravi ragioni, i rapporti che esistono fra i popoli.

Cobden ed i suoi discepoli hanno sempre detto : Free trade thè great peace maker.

LE CASSE DI R;SPARMI0

i.

Abbiamo ricevuto in questi giorni dal Ministero d’ Agricoltura e Commercio un’ importante statistica sulle Casse di Risparmio. Questo lavoro compilato con moltissima cura dall’ ufficio centrale di statistica, di- | retto dall’operosissimo prof. Bodio, contiene molte ed interessanti notizie sulle Casse suddette a tutto il 1875 per l’ Italia e non pochi confronti con 1’ estero fino al­ le situazioni più recenti.

Il numero delle Casse italiane alla fine del 1875 ascendeva a 526, senza contare le banche popolari ed altri istituti di credito, che compresero in questi ultimi anni tra le loro operazioni il ricevere depòsiti a ri­ sparmio distinti dagli altri conti correnti.

I dati intorno all’ origine delle Casse di Risparmio in Italia, prendendo come punto di partenza la fine dell’ anno 1825, presentano le cifre seguenti al ter­ mine di ciascun periodo quinquennale:

A nni Num ero delle Casse A nni Numero delle Casse

1825 i l 1855 09 1830 17 1860 126 1835 21 1865 185 1840 33 1870 247 1845 71 1875 826 1850 86

I periodi di maggiore incremento furono adunque nel quinquennio 1840-1845 e dal 1860 al 1875.

Delle Casse di Risparmio alcune furono istituite per iniziativa privata ; altre ebbero origine da Monti di pie­ tà o da pie fondazioni; altre furono istituite per opera de’ comuni delle Provincie o del Governo.

Vediamo ora la ripartizione del numero delle Casse di Risparmio per compartimenti alla fine del 1860 e del 1875.

C om partim enti N um ero delle Casse

1860 1875 Piemonte 24 Liguria 4 6 Lombardia 18 86 Veneto 6 9 Emilia 18 52 Umbria 10 14 Marche 22 38 Toscana 28 56 Roma 5 8 Provincie napoletane 1 27 Sicilia » 4 Sardegna 2 2 Regno 126 326

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1 luglio 1877 L’ E C O N O M I S T A 9

abbiamo tuttora, cioè alla fine del 1875, undici pro­ vince sprovviste di Casse; e sono quelle di Belluno, Benevento, Caltanisetta, Catanzaro, Foggia, Lecce, Napoli, Reggio-Calabria, Siracusa e Trapani.

Non sarà inopportuno esaminare le cifre del ca­ pitale di prima dotazione delle Casse di Risparmio, e come il patrimonio di queste istituzioni sia venuto successivamente accrescendosi per la eccedenza degli utili sulle spese. Il capitale primitivo delle Casse ncn fu che di lire 1,758,671. Alla fine di ogni anno dal 1863 al 1875 aveva raggiunto le seguenti cifre:

Patrim onio Patrim onio

A nni lire A nni lire

1863 13,647,450 1870 37,012,787 1864 15,311,761 1871 31,147,855 1865 17,055,927 1872 35,617,126 1866 17,937,931 1873 37,659,912 1867 18,975,529 1874 41,604,872 1868 1869 20,720,241 22,889,886 1875 46,068,891

Nel corso di tredici anni il patrimonio delle Casse di Risparmio è più che triplicato, e gli aumenti prin­ cipali si sono verificati negli ultimi sei anni. Le Casse di Lombardia sono quelle che concorrono principal­ mente alla formazione di questo patrimonio. Infatti sopra 46 milioni, che a tanto ammonta il patrimonio totale delle Casse del Regno alla fine del 1875, oltre 20 milioni e mezzo di lire spettavano alle Casse di Risparmio di quella regione. Vengono di poi le Casse del compartimento dell’Emilia con 8 milioni e mezzo di patrimonio; quindi quelle della Toscana con quasi sei milioni di lire, quelle di Roma con 4 milioni di lire e quelle del Veneto con oltre un milione e mozzo di lire. Lo Casse di Risparmio del Piemonte avevano un patrimonio di un milione e 300 mila lire, e di una egual somma si costituiva il capitale pa­ trimoniale delle Casse esistenti nelle Marche.

Le notizie riguardanti il credito dei depositanti sono state ampiamente svolte nel volume che abbiamo sottocchio. Indubitatamente è questa la parte prin­ cipale del lavoro statistico che andiamo esaminando; essa è la più eloquente di tutte poiché ci presenta l’ammontare dei risparmi che si accumulano presso queste istituzioni.

Ecco l’ammontare del credito dei depositanti, che si costituisce del capitale e degl’interessi non ritirati, dal 1825 sino al 1870, al termine di ogni quin­ quennio, e d’anno in anno per gli ultimi cinque anni:

Credito Credito

A n n i dei depositanti A nni dei depositanti

lire lire 1825 2,691,182 1865 224,942,827 1830 4,864,291 1870 348,121,099 1855 9,005,721 1871 397,544,652 1840 18,953,057 1872 446,513,550 1845 38,603,002 1873 450,077,323 1850 40,030,598 1874 467,119,807 1855 1860 94,598,697 157,205,040 1875 527,201,385

Queste cifre non hanno davvero bisogno di molte parole per rilevarne la loro importanza; negl’ultimi 15 anni, cioè dal 1860 alla fine del 1875 i depositi a risparmio sono più che triplicati: da 157 milioni, hanno raggiunta la cifra di 527 milioni. Sono adun­ que 370 milioni di lire che le popolazioni italiane hanno versato nelle Casse di Risparmio dopo la co­ stituzione del nuovo Regno !

Vediamo piuttosto come si ripartiva per compar­ timenti il credito dei depositanti e come abbia pro­ gredito in ciascuno di essi dal 1880 al 1875.

Com partim enti Credito dei D epositanti

Piemonte . . . 1860 L. 4,200,763 L. 1875 34,920,488 Liguria . . . » 2,201,772 » 14,339,977 Lombardia. . • » 85,904,380 » 236,201,310 Veneto . . . . » 5,164,135 2> 22,638,748 Emilia . . . . » 20,616,907 » 64,232,523 Umbria. . . . » 1,668,970 » 7,144,568 Marche. . . . » 2,750,453 » 14,138,229 Toscana. . . . » 23,478,536 » 86,835,674 Roma . . . . » 13,174,920 » 30,729,719 Abruzzi e Molise. — » 278,165 Campania . . . — » 391,566 Puglie . . . . — » 617,108 Basilicata . . . — • — » 52,175 Calabrie . . . — - — » 321,949 Sicilia . . . . — — 2> 9,956,196 Sardegna . . . » 44,198 » 4,422,990 Regno L. 157,205,040 L. 527,201,383

All’ aumento di 370 milioni di lire che presentano i risparmi nel corso degl’ ultimi quindici anni, con­ corsero per 140 milioni le Casse di Risparmiò di Lombardia, per 53 milioni quelle della Toscana, per 44 milioni quelle dell’ Emilia e per 30 milioni quelle del Piemonte.

Le Casse di Risparmio del compartimento di Roma presentano un aumento di 17 milioni e mezzo di lire. A riguardo di questo compartimento è bene osservare che l’ aumento suddetto spetta per 8 mi­ lioni e mezzo al decennio 1860-70, e per 9 milioni all’ ultimo quinquennio 1870-73. Merita pure di far | noto come i quasi 10 milioni di risparmio deposi­

tati presso le Casse della Sicilia furono raccolti per due terzi nell’ultimo quinquennio, poiché alla fine del 1870 il credito de’depositanti presso quelle casse si limitava a tre milioni e mezzo di lire.

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10 L’ E C O N O M IS T A 1 luglio 1877

il numero dei libretti esistenti alla fine degli anni 1863 a 1875 e il loro valore medio.

L ib re tti Libretti

A nni Num ero V alore medio A nni Num ero V alore medio

lire lire 1863 384,812 489 1870 571,217 608 1864 404,839 494 1871 616,189 643 1865 435,830 516 1872 676,237 680 1866 427,830 525 1873 680,116 661 1867 436,922 544 1874 705,189 662 O C o co 475,452 581 1875 769,257 685 1869 512,853 579

II numero dei libretti ha progredito >ogni anno, come pure un progressivo aumento si scorge nel loro valore medio. In tredici anni il numero dei libretti di risparmio è raddoppiato, e il valore medio di ciascuno di essi è aumentato di 200 lire.

Esaminando poi le cifre relative a ciascun com­ partimento vediamo che il valore medio di ogni li­ bretto era maggiore, alla fine del 1875, nella Sar­ degna (1. 2,536 per libretto), nel Veneto (I. 1,117), in Sicilia (I. 1.094), nella Liguria (I. 951), nella Lom­ bardia (I. 813), in Roma (1. 751) e nella Toscana (1. 673). Il minimo valore medio di ogni libretto di risparmio è indicato pel compartimento di Rasilicata (1. 229), e in tutti gli altri compartimenti la media non raggiungeva quella del regno, che ascendeva pel 1875 a lire 685 per ogni libretto.

Nel 1875 presso le Casse'di Risparmio vi erano accesi 2,87 libretti per ogni cento abitanti. A fronte però di questa media generale del Regno, il com­ partimento della Lombardia presenta una media di 8,39 libretti per cento abitanti e la Basilicata si limita a 0,03 libretti per cento abitanti. Il credito dei deposi­ tanti presenta pel 1875 la media generale del regno in lire 1,967 per cento abitanti. La Toscana segna sotto questo aspetto la maggior proporzione, (1. 4,032 di risparmi per cento abitanti) mentre è sempre la Ba­ silicata che dà il rapporto minore (I. 6 di risparmi per cento abitanti).

SOCIETÀ SICILIANA D’ECOKOMIA POLITICA

SEDUTA DEL 17 GIUGNO 1877

Presidenza del p rof. G. Bruno

II presidente apre la seduta, annunziando come il municipio di Siena abbia offerto alla Società il discorso sopra la Maremma di Siena di Sallustio An­ tonio Bandini, ripubblicato nell’ occasione del se­ condo centenario della nascita del celebre economista liberale, solennizzato il 19 aprile 1877 e alla cui festa la nostra Società erasi fatta rappresentare.

ludi presenta un lavoro del Cohden Club di Lon­ dra, e una circolare c’el medesimo Club, con la quale si prega la Società di far valere la sua in­ fluenza, acciò nei trattati commerciali da rinnovarsi tra l’Italia, la Francia e l’Inghilterra prevalgano i principii del libero scambiò; e infine due lodate me­ morie del socio cav. Pietro di Marco sopra argo~. mento di diritto internazionale e marittimo.

Il cav. De Filippi da socio ordinario è passato ad onorario, per mutata residenza, e il signor Can- nizzo è nominato socio ordinario.

Poscia il presidente presenta il resoconto del Co­ mitato promotore del busto eretto a Giuseppe Gioe- ni, e la Società rimanendone soddisfatta, delibera unanimemente, sulla proposta dei soci Abbate e Perez un volo di lode pel comitato medesimo per la soler­ zia con la qua'e in tenpo si breve seppe attuare questo pensiero.

È presentato altresi il bilancio della Società per l’anno 1877 che viene approvato. In questa occa­ sione il presidente annunzia come il Municipio Paler­ mitano, di cui è capo il comm. Perez nostro pre­ sidente onorario, abbia votato L. 200 in favore della Società, associandosi al Giornale della Società ed acquistando pubblicazioni anteriori.

Indi è aperta la discussione sul seguente argo­ mento, posto all’ordine del giorno: 1 latifondi e ia colonizzazione agricola.

Il presidente accenna l’importanza dell’argomento per dissipare certe opinioni che affermano essere il latifondo un male, e che la Sicilia per questo aspetto si trovi in una condizione eccezionale di fronte al resto d’Italia, ricorda che la Giunta d’inchiesta dal 1875 ne feee oggetto di studi; delinea l’attuale ten­ denza ad una legislazione che favorisca lo sminuz­ zamento della proprietà, senza studiare se ciò sia un danno o un utile economico, e come infine per dividere le terre si propongano dei mezzi artificiali da rasentare col socialismo. Dice della grande e pic­ cola proprietà e come esse per gli opposti interessi del povero e del ricco si mantengano in quella esten­ sione più consentanea alle condizioni economiche locali. Di una questione economica si è fatta una questione sociale, mettendo la Sicilia in una condi­ zione eccezionale e proponendo mezzi che ripugnano al diritto e ai principi’! della scienza.

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1 luglio 1877 L’ E C O N O M IS T A 11

poi in Sicilia questo latifondo eccezionale? Ha raf­ fronti nel resto d’Italia e nelle altre regioni? In Europa e in Italia non ci è altro latifondo pericoloso che il siciliano? Le statistiche non lo depongono. E qui con cifre addimostra, che la proprietà terriera in Italia ed in Europa si trova divisa a un di presso nelle stesse proporzioni di come si trova in S.cilia; e mostra come in Lombardia le 300,000 ettare di terra sieno divise in 552 mila particelle che possono benissimo rappresentare proprietari, si che in media ogni porzione ha circa 4 ettare; in Toscana la media è 11, nel Lazio è maggiore; nella campagna romana 2o,000 ettare sono divise in 340 persone, la media è 666 per ogni persona; vi sono anche tenute di 700 ettare, dunque il latifondo siciliano non è un fenomeno singolare.

In Inghilterra i rapporti sono molto più alti, e nessuno grida alla eccezionalità. La media siciliana è bassa volendo dividere l’estensione di 1,800,000 ettare pei 608,000 possessori. E l'allarme è maggiore, perchè dopo 24 anni, dal 1852, il numero dei pos- sesori si è diminuito di 22,000; la tendenza allo accentramento delle proprietà si vede apertamente, il pericolo cresce il latifondo ingrandisce.

Anche questo fenomeno non è solo di Sicilia, ovunque si trova questo fatto, e se ne attribuisce la causa all enorme aumento della fondiaria che non si può sostenere dai piccoli proprietarii. E dopo altre dimostrazioni cocchiude, che il latifondo non contiene una quistione sociale, ma un fenomeno comune, che sta in rapporto alle condizioni agrarie e non vi sono mezzi legislativi da adoperare.

L avvocato Maggiore Perni, convinto come la qui­ stione del latifondo non sia sociale ma agraria, e come a nulla giovino le leggi anche violente per voler mutar lo stato di cose creato dalle condizioni dei luoghi, crede incompleti gli elementi statistici addotti per provare che la Sicilia intorno a’ latifondi si trovi in condizioni uguali o inferiori alle altre regioni italiane. Egli mostra come la media non esprima la verità; non basta l’estensione del territorio divisa pel numero dei possessori per avere la divi­ sione della proprietà terriera; per dire se il latifondo predomini. Possono poche ettare di terreno essere divise fra migliaia di possessori, e un’enorme massa di proprietà fra pochi : bisogna dividere per classi, dire come la massa dede terre è distribuita fra i varii possessori; allora solo si può paragonare, con le medie non si sa la verità. Sviluppato questo, dichiara come per il resto d’Italia non ha elementi per trattar la tesi da questa parte, ma in rispetto alla Sicilia si può dir qualche cosa. E sebbene tra noi il ca­ tasto urbano sia fuso al rurale, pure l’estensione delle terre si conosce, come si conosce altresì la rendita urbana distinta dalla rurale. Da un buono studio su questi elementi risulterebbe in cifre tonde,

riducendo a 600,000 i possessori, che le ettare 1,800,000 vanno così distribuite: proprietari al di­ sotto di mezza ettara di terreno 350 mila, di una ettara e mezza 100 mila, di una 1|2 a 3 posses­ sori 65 mila, da 3 ad 8 possessori 50 mila, da 8 a 17 possessori 15 mila in tutto sino a 17 ettare 580 mila proprietari, ai quali si distribuisce una proprietà di ettare 800,000; mentre il rimanente di 1,000,000 di ettare si partisce fra 20,000 con una maggiore sproporzione nelle classi superiori. Questi risultati mostrano che il latifondo esiste, e forse in proporzioni maggiori delle altre regioni italiane; on simile lavoro occorrerebbe per avere completa la verità. E continuando sullo stesso esame, dice: a che preoccuparci del sapere che 22 mila partito di catasto dal 1852 ad oggi sono spa­ rite in Sicilia? a che tanto gridare ai concentramento della proprietà? Se le 22 partite appartengono a 350 mila possessori al di sotto di un’ettata di terreno per passare negli altri 230 mila possessori entro le 17 ettare? La proprietà non può dirsi che si con­ centra, bisogna provare che i 22,000 sieno passati alle classi superiori, a quelli che possiedono al di là delle 1000 ettare? I dati statistici poco provano in questa materia, quando non sono sminuzzati, le medie non danno la verità ; basta meglio il concetto economico. Il latifondo in Sicilia esiste, non è un pericolo, non è un male, è un bisogno agrario, come dice il barone Turrisi, non vi è sotto una quistione sociale, nè anco economica, e qui si è d’accordo col sig. Di Menza. La quistione della divisione della terra in rapporto alla proprietà è ben diversa di quella in rapporto alla coltura e alla economia; nes- ; sun provvedimeu'o legislativo può adoperarsi, l’azione del tempo e della libertà porterà lo sminuzzamento e il concentramento necessario alle condizioni di osmiO località.

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12 L’ E C O N O M I S T A 1 luglio 1877

attuali condizioni dell’Isola. Mutate le condizioni, il latifondo dirnnuirà per dar luogo ad uno sminuzza­ mento conforme ai nuovi bisogni. La proprietà tende adunque a concentrarsi, il bisogno della grande col­ tura spinge al concentramento, e questo fatto è co­ mune. Ma non bisogna vedervi nulla di esagerato ; le particelle di proprietà che spariscono dai catasti non sono solo effetto di concentramento, questo non è che apparente; alle ragioni addotte per ¡spiegare questo fatto, bisogna aggiungere quello delle volturo catastali, che per legge divennero obbligatorie dopo il 1863, mentre prima erano volontarie; sicché tutte le volturo che per l’innanzi non si erano fatte si sono verificate tutte ad una volta, e cita il fatto suo personale, adducendo, che ove prima pagava con 10 o 12 ricevute la fondiaria, oggi la paga con tre, senza che la sua proprietà per ciò stesso si sia più concentrata. La questione del latifondo, insiste, è agraria ; quando la cultura arborescente si sarà dilatata e la pastorizia di nomade diverrà ferma il latifondo sparirà, come è cominciato a sparire per dar luogo agli ulivi e agli agrumi.

Il Consigliere Di Menza aggiunge, che poi la Si­ cilia non è un paese eminentemente agricolo come si vuol far credere, ha l’industria estrattiva, la ma- nifattrice, la commerciale; o difatti le statistiche e i censimenti mostrano che gli agricoltori siciliani in rapporto a quelli delle altre contrade d’Italia sono un 23 per 100 di meno, e che anche i poveri, re- ■ lativamente presentano una considerevole diminu­

zione; in modo che la quistione del latifondo perde l’ importanza e la questione sociale sparisce.

Il barone Tur-risi credo poco all’esattezza delle cifre ufficiali, nè può ritenexe tanta marcata diffe­ renza in riguardo agli agricoltori vi ha una grande massa di agricoltori che figurano tra i proprietàrii, e sono enfiteuti, i quali dopo di aver lavorato nel proprio fondo coltivano gli altrui.

L’avv. Maggiore-Perni, in appoggio a quanto dice il barone Turrisi, aggiunge che questo raggruppare delle singoli proporzioni a classi, che si fa alla sta­ tistica centrale, non esprime la verità; tante varie occupazioni chiamate con diverse nomi, che spesso non s’intendono, si piazzano nei gruppi industriali con poco criterio. Egli rammenta un fatto che nella provincia di Messina fu trovato nel censimento un numero strabocchevole di denominati braccianti e non furono piazzati fra gli agricoltori, mentre erano tali, e noi il sappiamo.

La non giustificata eccedenza nelle altre classi porta la diminuzione fra gli agricoltori. Oltre gli en­ fiteuti, vi sono i così detti trafficanti agrari, che sono agricoltori, e figurano nei commercianti, e gli stessi marinai nelle campagne marittime fanno anche da agricoltori nei tempi che cessano i lavori di mare e cita qualche esempio; infine ogni agricoltore, che

ha una qualunque arte o mestiere, preferisce deno­ tarsi muratore o calzolaio, e non agricoltore, mentre anch’egli coltiva la terra. 1 censimenti sebbene con unica legge, nei particolari sono fatti con diversi criteri spesso erronei ; in gran parte domina l’igno­ ranza in coloro che raccolgono le prime notizie in­ dividuali, e l’errore dai comuni passa alle provincie e risulta più marcato nella riunione generale. Poi crede, che questo fatto di avere meno agricoltori, in un paese che deve essere agricolo, deporrebbe contro il nostro stato; ma il fatto fortunatamente non corrisponde alle statistiche.

Il consigliere Di Menza non è alieno dal credere che delle inesattezze vi possono essere nella divi­ sione delle popolazioni per classi ; ma egli non ap­ poggiava il suo concetto a questo solo fatto, ma alla statistica dei poveri, a quelle criminali, e tutti con­ fermano che in Sicilia non v’è questione sociale, e che la popolazione di Sicilia non vive di sola agri­ coltura, anzi questa industria in complesso l’occupa meno delle altre.

Il presidente riassumendo la discussione rileva, com’essa confermi l’importanza della questione. Pare a lui che tutti i preopinanti abbiamo affermato la esistenza del latifondo; però il barone Turrisi ne fa una questione agraria, il signor Di Menza una questione statistica, considerandola come un dato meno allarmante che in altre parti d’Italia e di Eu­ ropa. Però il prof. Bruno osserva che ammessa resi­ stenza del latifondo dovrebbe studiarsi, se sia un male o un bene. Se per lungo tempo, siccome sa­ stiene l’on. Turrisi, il latifondo resterà come con­ dizione connessa con la pastorizia, farebbe uopo studiare se codesta condizione è deplorevole, ovvero se la condizione economica delle classi agricole si trovi più o meno infelice delle altre contrade del­ l’Italia.

Difatti si asserisce che il latifondo attuale rende misere le popolazioni rurali, e che la loro miseria è cagione della poca sicurezza che si deplora. Ecco adunque che la questione non è soltanto agraria, ma economica e politica. Se si può provare che la terra in Sicilia ha seguito le naturali evoluzioni che si connettono colle condizioni telluriche eclimatologiche, e colla disponibilità dei capitali per l’agricoltura; se si può provare di conseguenza che i latifondi sono assai minori di numero e di estensione che non erano 30 o IO anni addietro; e chela vita dei contadini non è poi miserabilissima; sen e potrebbe dedurre che il lotifondo non è un fenomeno per­ manente, non è un male necessario, non è qnel problema lamentevole che allarma certi filantropi, ma è invece un portato naturale del movimento ter­ ritoriale.

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1 ludio 1877 L ’ E C O N O M I S T A 15

nella tendenza per la grande industria, che si attua anche nell’agricoltura non sia utile l’esistenza del latifondo, considerato come una difficoltà di meno a sviluppare il sistema della grande coltura, non essendo molto agevole di conciliare fra noi questo sistema con la piccola proprietà.

Il presidente crede quindi utile di continuare in altra seduta discussione sopra un argomen todi tanta attualità, ed invita l’on. Turrisi e gli altri soci com­ petenti a volersene occupare.

11 barone Turrisi, secondando l’invito del presi- sidente, promette esporre largamente sul proposito le sue idee in altra tornata, stante l’ora tarda.

RIVISTA ECONOMICA

Il riscatto delle ferrovie in A u stria e in S v izzera. — Le finanze del Portogallo ed il suo nuovo im prestito.

Il Parlamento austriaco ha consacrato una lun­ ghissima discussione alla questione del riordinamento delle strade ferrate; la smania delle innovazioni è naturalmente contagiosa ed in questo momento in cui alle idee del riscatto e dell'esercizio governativo si fa così festosa accoglienza in buona parte d’ E u­ ropa non c’era da aspettarsi che il Parlamento au­ striaco volesse ispirarsi a diversi principii e cercasse di respingere nei più stretti limiti in questa materia l’ ingerenza governativa per la quale non ha mo­ strato una grande ripugnanza anco in altre materie. La nuova legge teste votata autorizza il Governo non solo ad esercitare, ma anco a riscattare quelle linee a cui somministra una garanzia ogniqualvolta sia stato costretto a colmare il deficit di queste linee per un certo numero d’anni.

Dal rapporto che la Commissione parlamentare ha fatto per lo studio del progetto governativo, accet­ tato con poche modificazioni, risulta che l’ insieme del capitale impiegato in Austria nelle costruzioni ferroviarie e garantito dallo Stato ascende a 492 8 milioni di fiorini in azioni e 676 I I milioni in ob­ bligazioni; insieme 1,168 9 milioni di fiorini pari a circa 3,537 milioni di franchi. La somma sborsata dal Governo austriaco nel 1876 a titolo di garanzia ferroviaria fu di 19 4 milioni dì fior, in argento (48 mil. I[2 di franchi). Le condizioni nelle quali è ac­ cordata la garanzia governativa ai capitali impiegati in ferrovie è assai più sfavorevole in Austria che in altri paesi per gli azionisti od i portatori di ob­ bligazioni i quali, per quanto sia maggiore il saggio della garanzia rischiano di non conseguire l’ intera partecipazione che a loro sarebbe normalmente devoluta

poiché lo Stato, la maggior parte delle volte guarentisce soltanto l’ interesse del capitale nominale che viene costituito nell’atto di concessione e se, come spesso accade, una ferrovia ha emesso un maggior numero., di azioni di quelle che basterebbero a completare il suo capitale nominale la sovvenzione governativa non basta a pagare tutti gli interessi nella misura in cui sarebbero dovuti. Le sommo pagate dalla Francia in garanzie ferroviarie dal 1863 al 1873 ammontarono a 523 milioni di franchi, cioè una media di 52 3 milioni l’anno; in Prussia. la sovven­ zione annua può esser calcolata in media a IO 13 milioni di marchi (oltre a . 20 milioni di franchi). In Austria la garanzia ferroviaria dall’anno 1869 al 1876 costa in media allo Stato la somma annua di 6 02 milioni di fiorini (lo milioni di franchi) ed in Ungheria 8 11 milioni di fiorini (20 milioni di franchi). In Francia alla fine del 1873 erano aperti al pubblico 19,810 chilometri di vie ferrate, in Au­ stria alla stessa epoca 10,808 chilometri. L’Austria ha ancora un certo numero di linee sovvenzionate che trovano la garanzia insufficiente perchè il loro prodotto lordo non basta nemmeno a sopperire alle loro spese; questa incertezza ha messo in grande allarme i creditori esteri e danneggiato il credito ferroviario dell’Austria producendo uno stato di cose al quale si è sentito il bisogno di porre riparo me­ diante una radicale riforma legislativa. Quando un sistema ha fatto cattiva prova, sebbene non sia sem­ pre facile il trovarne uno migliore si abbandona vo­ lentieri e si abbraccia facilmente il primoche si presenta dinanzi, sperandolo tale.

L’oggetto principale della nuova legge è di tro­ vare il mezzo di colmare il deficit nelle spese delle ferrovie. Allorquando lo Stato interviene a colmare questo deficit acquista con ciò il diritto di eserci­ tare esso stesso la ferrovia che si è gettata nelle sue braccia se tale soccorso è stato richiesto du­ rante un periodo di 5 anni o anche in tal caso di farla esercitare da un’altra Società. Molte linee si trovano già in condizione sì trista, fra cui la li­ nea Lemberg,-Czernowitz-Jassy, la linea arciduca Rodolfo quella settentrionale per la Moravia e la Slesia ed altre.

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