L'ECONOMISTA
GAZZETTA SETTI MANALE
SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, RANCHI, FERROVIE. INTERESSI PRIVATI
Anno IV - Voi. VII
Domenica 10 giu g n o 1877
N. 162
Della logica dello nuove scuole economiche
Nelle controversie che in questi ultimi anni vi furono in Italia intorno alla ingerenza dello Stato ed allo estendersi delle sue attribuzioni, si dall’una che dall’altra delle parti contendenti si risali sino a quei principii nei quali ha fondamento la pubblica economia, posti in forse ed anche recisamente ne gati dagli uni, invocati dagli altri a conforto e so stegno della propria tesi.Nei ragionamenti che tengonsi intorno ad al cun pratico argomento giova talvolta il non far uso di teoremi generali, ove da tutti non vengano ammessi, sia per ¡sfuggir taccia di far cedere le realtà della vita alle astrazioni della teoria, sia per chè più facile in questi casi riesce il persuadere altrui riducendo il principio invocato a valere pel solo caso considerato e dandone una parziale dimo strazione; giova, per altro, non dimenticare che quella sola è scienza che riconduce i fenomeni a leggi generali, dovendosi all’arte lasciare quelle in duzioni che non risalgono oltre ad empirici precetti. Perciò dunque quando, anco per breve tempo, ha tregua la lotta intorno ai pratici quesiti, non inutile riesce il sollevarsi alquanto nelle serene regioni della pura scienza, posando l’armi già impugnate a favore della parte nostra, dimenticandone le passioni, e ri volgendo la mente più che a propugnare una de terminata dottrina, a quelle indagini medesime dalle quali essa riceve e forma e vita.
Ora appunto vorrei brevemente esaminare alcune delle accuse che si muovono alla economia politica, ricercando quali prove logiche le confortano e quanta verità in esse contengasi.
Nel far ciò mi sono studiato di porre in pratica il precetto del Mill, secondo il quale quando vo gliamo considerare un’ opinione qualsiasi, dobbiamo innanzi tutto fingercene fautori e ricercare allora quali ragioni potremmo addurre in suo favore ; ma pur troppo in molte parti sono certo di essere ri masto assai inferiore al mio compito.
La nuova scuola economica sorta in Germa nia, talune volte non è parca di quelle espressioni
vaghe, indeterminate, nebulose, che forse incontransi negli scritti della maggior parte de’filosofi tedeschi: a me, la confesso schiettamente, non riesce inten derle e, disgraziatamente, que’ nostri egregi italiani che tra noi recarono la nuova scienza, tradussero bensì le parole ma, forse mancando loro il tempo, non diedero forma italiana anco al pensiero. Dice l’ono revole Luzzatti che la mente dei dotti tedeschi è come nube carica di elettricità; non posso nascon dervi che la mia vista discerne meglio al gaio raggio de’nostri soli, che non al fioco lume di un’aurora bo reale.
Le accuse contro l’ economia politica sono, per altro, formulate in modo chiaro e preciso da Augusto Comte, che meritamente in ciò può dirsi il pre cursore della moderna scuola germanica.
Niurio più di me ammira il potente ingegno del fondatore della filosofia positiva, e riconosce quanto a lui debba l’umano sapere; egli è dunque con animo trepidante che, non convinto dalle ragioni da lui recate innanzi per accusare la scienza economica, mi accingo a dichiararvene il perchè.
L’obiezione principale fatta da Augusto Comte è, che il metodo seguito dagli economisti presenta i più decisi caratteri dei concetti puramente metafi sici (I), e nel suo sistema filosofico ciò basta per condannare irremissibilmente l’ attuale scienza eco nomica, poiché avendo egli già stabilito prima la proposizione che le scienze compiono la loro evolu zione passando per tre stadi : il teologico, il meta fisico ed il positivo, ne resulta che la economia politica si trova ancora in uno stadio inferiore, e deve mutare radicalmente sistema per acquistare dignità di vera scienza.
690 L’ E C O N O M I S T A IO giugno 1877 susciti nell’animo del lettore 1 idea di cui vuoisi J
trarre profitto; è questa una specie del sofisma detto « per confusione di termini » la quale potrebbe aver nome di sofisma per associazione d idee, e che non di rado, se non erro, s’incontra nei ragionamenti della nuova scuola. Cosi Ion. Luzzatti es dam a. « Quegli economisti i quali credono di descrivere a fondo l’universo con poche frasi sono suprema mente ridicoli » (I) Ecco una frase molto efficace, che vi suscita subito in mente la boriosa ignoranza di colorò che tutti i fenomini della natura spiega vano con poche astrazioni metafisiche. Così nella fisica dicevano avere la natura orrore del vuoto, ed in epoca più recente, i fisiologi, per tutto ciò che non intendevano, avevano ricorso all’intervento di una pretesa forza vitale, ed i medici invocavano la vis medicatrix naturae. Ma di grazia, non ci la sciamo trascinare dall’eloquenza dello scrittore ed esaminiamo freddamente che cosa voglia significare la frase in questione. Se essa si riferisce alle de duzioni della scienza economica, ci appare assolu tamente errata. La biblioteca dell Economista, sulla quale noi giovani abbiamo imparato la scienza, conta parecchi volumi, per cui (questa è un induzione pura mente sperimentale) le frasi in essa contenuta non debbono essere poi tanto poche.
Oppure con quella frase vuoisi significare essere ridicola l’economia che riduce i fenomeni a pochi principii generali, ed allora, o signori, quale scienza sarebbe più supremamente ridicola di quella che trascende oltre ai limiti del nostro sistema plane tario, ed i moti di tutti i corpi celesti riduce ad un unico principio, al principio cioè che essi si attrag gono in ragione diretta delle masse, inversa del quadrato delle distanze? Ma che vo io ricordando l’astronomia? Quale scienza umana merita questo nome se appunto non riesce con poche frasi a de- scivere i molteplici fenomeni della natura ? Sin la chimica segue, ora, questa via, e da poche consi derazioni sull'atomicità degli elementi deduce l’ in tiera serie decomposti organici, così giunse perfino a scuoprirne e prepararne alcuni. Chi si vuol for mare un chiaro concetto della differenza che passa tra una scienza ed una raccolta di fatti empirici ; può paragonare un libro di chimica moderna, con un altro, anche di pochi anni fa, ma anteriore al l’adozione della nuova teoria atomica.
Finalmente se si vuol dire che i lenomeni so ciali sono estremamente complessi, questa è cosa verissima, che riguarda peraltro non la scienza eco nomica, bensì le applicazioni che se ne fanno, nelle quali conviene naturalmente, tenere conto di tutte quante le scienze, nonché sociali, anche naturali e fisiche. Ma allora manca il soggetto della frase
del-l’on. Luzzatti, non essendovi alcuno che creda, o mostri credere, che i fenomeni che accadono nella società dipendano esclusivamente dalla scienza eco nomica, senza che le altre scienze si debbano pren dere in considerazione.
Ma così vuole la limitata mente umana, i feno meni della natura debbonsi scindere nelle varie parti che li compongono e queste conviene separatamente studiare; la sintesi è indispensabile, ma ad essa deve precedere l’analisi.
In questo modo accade che noi abbiamo una meccanica de’corpi rigidi, sebbene di questi corpi nella natura non ne esistano. Un problema singolare mostrò la fallacia non già di questa scienza, ma di alcune sue non giustificate applicazioni. Abbiasi un corpo solido che riposa su un piano per tre punti non in linea retta (con grossolano esempio, una ta vola a tre piedi)— una semplicissima scomposizione del peso applicato al centro di gravità ci dà le pres sioni sovra ogni appoggio; ma se il corpo riposa su quattro o più punti, se la tavola ha quattro gambe la meccanica razionale de’corpi rigidi lascia indeter minate le pressioni sovra ognuno degli appoggi. Eppure ciò in natura non può accadere; dunque a quale spiegazione ricorrere? A questa, che vuoisi tener conto dell’elasticità della materia, ed allora alcuni casi semplici analoghi, come quelli di un grave sostenuto da quattro o più fili vengono completa- mente risoluti.
Quando si principiò a prendere in considerazione l’elasticità ne’problemi di meccanica, seguì una rea zione, analoga in parte a quella che vediamo ma nifestarsi negli studi economici. Senonchè era più scientifica. Ad alcuni pareva che l’antica meccanica de’corpi rigidi non avesse più valore: pure questa sussiste tuttora e, sin dove possiamo nell’avvenire spingere lo sguardo, pare debba seguitare ad essere uno dei rami più importanti della meccanica razio nale. Ciò segue perchè studia una parte de’fenomeni che necessità della mente nostra vuole divisa dalle altre, e perchè gli effetti delle, sue leggi non ven gono già distrutti da quelli delle leggi di diverse scienze, ma bensì gli uni agli altri si sovrappongono.
Più non dirò intorno alla meccanica ; essendosi anche troppo abusato nel paragonarla alla economia politica; piuttosto mi giova spendere poche parole intorno ad una nuova scienza che quasi abbiamo veduto costituirsi sotto i nostri occhi, e con questo esempio fare ritorno all’esame dell’obiezione, già ac cennata, del Comte.
10 giugno 1877'. L’ E C O N O M I S T A 691 tutti l’ammettevano. Per altro iflsiei prima qel
1810 erano mollo lontani dal crederlo vero per il molo ed il calore e men che mai per la luce e l’elettrico; anzi è appunto la termodinamica stessa che è valsa a farei conoscere questo principio sotto la sua forma moderna della conservazione dell'ener gia; ed oggi stesso ne’ fenomeni della vita viene da taluni con titubanza ammesso e qualche volta per fino negato.
Ora può anche darsi che qualche metafisico, me diante considerazioni sull’economia dell’ universo, pretenda dare al principio ricordato, ora che la esperienza glie lo ha insegnato, una dimostrazione a priori, ma certo questa non ha suo luogo nelle scienze positive.
Proseguiamo; dopo avere stabilite alcune equa zioni coll’ aiuto di questo primo principio, siamo costretti di ricorrere ad un secondo anche meno evidente in sè. Questo si annuncia dicendo che il calorico non, può passare da sè stesso da un corpo freddo ad uno caldo. È tanto poco assiomatico che 10 Hirn, distintissimo Cultore della nuova scienza, principiò col negarlo ed alcuni fisici pensarono di ricorrere ad altri principiì. Se vi pare maggior mente evidente, a priori, potete ammettere col Clausius che la forza di azione del calorico è pro porzionale alla temperatura assoluta e che la quan tità di calorico esistente in un corpo non dipende che dalla temperatura di questo. Eppure sovra così fragile base s’innalza una scienza fra le più certe che abbia l’uomo ! Egli è che la prova delle verità di quella scienza non sta già nei due principii ge nerali ricordati, ma bensì in ciò che tutti i fatti noti sono da essi spiegati e che tutte quante le loro conseguenze furono verificate dall’esperienza, quando questa fu possibile ad eseguirsi.
Non vorrei che mi deste del padre Zappata, il quale predicava bene e razzolava male, e dopo aver notato in altri il sofisma per associazione d’ idee, fermandomi qui, non vorrei farne anch’ io uno bello e buono. Noi non abbiamo preso in esame a'tro che un esempio, che può . servire a schiarire le idee, ma non saremmo a nulla se non vedessimo che il nostro ragionamento si applica eziandio alla econo mia politica. Per primo diciamo dello Smith. Il suo libro sulle ricchezze delle nazioni consta, è vero, di molte deduzioni di alcuni pochi principii generali ed ammettiamo pure che questi gli sieno apparsi, come vuole il Comte, quali concetti metafisici ; non si potrà peraltro asserire che vi manchi il riscontro dei fatti; anzi si giunge a tanto che vi è disputa intorno al vero metodo seguito dallo Smith, rite nendo G. B. Say che sia l’ induttivo, mentre il Buckle sta pel deduttivo. Se avessi a dire il mio parere, starei col Buckle; sembrami per altro inutile 11 questionare su ciò; poco importa la via per la I
quale si giungo alla scoperta della verità, e la storia delle scienze ci mostra che talune volte può anche essere fra le più strane, ma ciò che preme è la prova delle proposizioni enunciate, e questa, nelle scienze concrete, consta sempre di due parti : si collegano i teoremi a qualche principio generale di causalità e si fa vedere che tutte le loro conse guenze. sono verificate dall’esperienza. Nel far ciò si può talune volte indurre dai fatti un teorema e poi mostrare che è conseguenza di un principio ge nerale, oppure dedurlo da questo e verificarlo col. l’esperienza. Una di queste due cose può indifferen temente precedere l’altra, ma è indispensabile che vi sieno tutte e due.
Godo di trovarmi in questo d’accordo .coll'illu stre senatore Lampertico; sennonché alcuni degli., esempi che egli adduce a prova della nostra tesi, non mi paiono deimeglio scelti.^ Egli scrive: « E per quanto sia difficile l’ind.uzÌoqo.( nei fatti ecpijo- mici, non se ne hanno esempi sicuri e fuor di que stione? Si introduce il corso forzoso dei biglietti, Banca e tosto la moneta metallica se ne va.... Si, rincara oltre il giusto prezzo una merce, e tosto sf, verifica o una diminuzione nello spaccio o una be nefica concorrenza nella produzione » (1).
Fermiamoci a queste due proposizioni; della prima si può dire una cosa sola: che non è vera e lo prova, fra altri esempi quello della Francia, ove il corso forzoso non scacciò punto la moneta metallica ed anzi in questi ultimi tempi il biglietto godeva di un piccolo aggio. Il perchè ciò accadde ed il come al trettanto non segue in altre condizioni, la economia politica colle sue deduzioni chiaramente lo manifesta.
La seconda proposizione mi riesce diffìcile inten derla, non sapendo che cosa sia il giusto prezzo di uria merce. Nel 1873 il ferro costava L. 48 al quin tale, ora ne costa 20. Quale è il suo giusto prezzo? Eppoi che è sempre vero che aumentando il prezzo di una merce (tolgo la parola giusto) ne scemi il consumo o ne aumenti la produzione? L’antica eco nomia, quella scienza che si dice cristallizzata, distin gueva varie sorta di merci, tra le quali alcune di prima necessità, come, sarebbe il grano. Per queste un lieve aumento nel prezzo non reca, spesso, nè una di minuzione nel consumo, nè un aumento della pro duzione, che, in ogni modo, avrebbesi solo nell’anno prossimo; vi è effettivamente una diminuzione nel consumo, ma questa non sul grano, bensì su altre merci che sono per l’uomo meno necessarie.
Tuttavia credo anch’io coll’on. Lampertico, per mettete che lo ripeta, che anche nell’economia po litica si trovino buone induzioni e, non fosse altro, molte ne abbiamo della statistica, e così giungiamo
692 L’ E C O N O M I S T A 10 giugno 1877 a conoscere alcune verità empiriche che forse non
ci sarebbe dato scoprire per altra via. Un altro esempio e lascio quest’argomento.
Circa alle industrie esercitate dallo Stato presso i popoli civili moderni può stabilirsi la seguente proposizione: Quando lo Stato esercita un’industria, il costo di produzione del prodotto è generalmente più elevato ed i progressi più lenti, che quando questa sia esercitata dai privati.
Possiamo qui, a nostra scelta, seguire la via in duttiva o quella deduttiva. Secondo la prima, noi cominciamo a paragonare presso un determinato po polo, le industrie governative con le analoghe eser citate dai privati, e troviamo in questo caso veri ficarsi la proposizione enunciata, ma ciò potrebbe dipendere da una speciale qualità di quel determi nato Governo: gli uomini che lo compogono po trebbero essere non intelligenti od incapaci per le operazioni industriali, oppure potrebbe esservi qual che altro vizio proprio di quel Governo. Eliminiamo queste difficoltà, estendendo le nostre osservazioni sia nel tempo come nello spazio: mostriamo cioè che il teorema si verifica qualunque sieno gli uo mini, o i partiti, che reggono la cosa pubblica nel paese da prima considerato, ed osserviamo altresì che la nostra proposizione sussiste per altri paesi diversi per indole degli abitanti e costituzione del Governo. Ma la proposizione cosi indotta da questo insieme di fatti e d’esperienze non avrebbe ancora in suo favore una grande probabilità di verità. Essa l’acquista quando si faccia vedere che può dedursi da leggi più generali, la qual cosa può anche farsi per prima, ed allora è la verificazione sperimentale che diventa un indispensabile complemento di que sta deduzione.
Tentai altre volte di fare alcunché d’analogo, pren dendo specialmente in esame le industrie esercitate dallo Stato italiano, e cito ora quello scritto, benché cosa mia, solo per notare come sotto lo aspetto teo rico sia assai incompleto, non essendovi abbastanza sviluppato l’esame de’fatli che riguardano gli altri paesi all’infuori del nostro e la parte deduttiva es sendo tronca ed appena accennata.
La seconda obbiezione di Angusto Comte è re lativa alla contingenza della scienza economica. Al l’alto ingegno dell’autore francese non sfuggiva che, come prima avverti il nostro Vico, lo sviluppo delle società umane si compie-secondo leggi fisse e de terminate al pari di quelle che a noi già rivelò la fisica; e certo non ultimo fra i titoli di gloria del Comte si è quello dell’indirizzo da esso dato agli studi storici e l’essere stato in tal modo l’ispiratore dell’opera magistrale del Buckle.
Il parlare della contingenza della scienza econo mica è forse improprio, meglio sarebbe applicare quella parola alle sue applicazioni. I teoremi della
scienza sono sempre veri ma se più neh si verifi cano le condizioni che suppongono viene meno l’og getto della scienza stessa, così è evidente che non vi sarebbe luogo di discorrere di distribuzione della ricchezza presso un popolo che non conoscesse la proprietà individuale, come senza scopo sarebbe la ottica ove mancasse la luce. Questi sono casi anche troppo estremi ma a nessuno cerio verrebbe in mente di applicare l’economia politica dei popoli civili agli indigeni della Nuova Olanda od ai nostri antenati preistorici. Vi è dunque una scienza più generale le cui proposizioni hanno per ca-i partico larissimi i teoremi della economia politica quale la conosciamo. Per spiegarmi meglio con un esempio dirò che un giorno potrebbe esservi una scienza delle vibrazioni dell’etere e de’corpi ponderabili i cui teoremi generali comprenderebbero, quali casi parti colari, le proposizioni che attualmente conosciamo della termod'namica, della teoria della trasmissione del calore, dell’ottica e forse anche della cristallo grafia.
Se nonché queste scienze tanto generali, utilissime per portarci ad un chiaro concetto delle leggi della natura nelle applicazioni giovano poco, e, come già osservò Bacone, sono gli axiomata media i più utili, per cui quand’anche conoscessimo quella scienza in cui, quale caso particolare rientra l’attuale economia politica, qoest’ultima non perderebbe alcunché del proprio valore e dovremmo sempre ad essa ricor rere per le pratiche applicazioni.
L’ohbiezione del Comte appare anche più vera e maggiormente si estende colle moderne dottrine della evoluzione. Senza nemmeno ammettere la variabilità della specie, concedendo anche solo quella delle razze, e pare davvero impossibile negarla, come vor* rebbesi sostenere che l’uomo civile attuale è iden tico nelle sue facoltà al suo antenato preistorico? Ed allora non è evidente che variando il soggetto stesso della scienza economica anche questa deve variare? Ma adagio ai mali passi. Se l’uomo pre sente è diverso da quello preistorico non vuol dire perciò che non somigli quasi perfettamente all’uomo di pochi secoli fa e se i motivi che muovono un inglese sono essenzialmente diversi da quelli che muovono un indigeno delle isole Fidjii non ne se gue che debbano essere anche diversi quelli che regolano la condotta degli italiani, specialmente in materia economica. Instituisca pure la nuova dottrina l’economia de’popoli e degli Stati purché non si pretenda che questa debba mutare ad ogni volgere di passo, che Firenze e Peretola abbiano ognuna diritto ad una speciale economia, o che le proposi zioni vere al tempo di Adamo Smith sieno oggi giorno diventate false.
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693 riti veramente questo nome, il solo averne messo
in sodo l’esistenza è opera di somma importanza e sarà imperitura gloria del nostro secolo; al presente ci sono note soltanto alcune proposizioni empiriche e, perciò, di valore assai limitato. Non bisogna in vero dimenticare che se lo sviluppo delle umane società si compisse in un ciclo chiuso, come cre deva il Vico, se i medesimi avvenimenti si ripe tessero, l’osservazione de’fenomeni passati potrebbe portarci ad una legge di questi assai completa, av verrebbe come di una curva chiusa di cui sono note le posizioni di molti punti sparsi su tutto il perimetro, nel qual caso coll’interpolazione si può ottenere un equazione abbastanza approssimata della curva. Similmente se questa non è chiusa ma fra due punti dati se ne conoscono altri si può ottenere la posizione de’ punti intermedi, e questa chiamasi interpolazione fra i limiti, ma se dalla conoscenza di quei tratto di curva vuoisene arguire la forma al di là dei punti estremi, con una interpolazione fuori dei limiti; il procedimento diventa molto incerto e, spesso, assolutamente fallace. Pur troppo è di questo genere la via seguita quando dalla osservazione di alcuni pochi fatti storici si tenta dedurre la via che nel futuro, percorrerà l’umanità, ma un errore di importanza anche maggiore parmi quello in cui spesso incappa la nuova scuola di confondere gli avvenimenti che probabilmente seguiranno con quelli che sarebbe desiderabile seguissero pel maggiore benessere degli uomini o di una nazione. Il tempo stringe e non mi dilungherò in questo ragionamento, di cui più oltre dovrò citare un esempio, solo mi basti accennare che si tocca qui all’argomento del come si possa conciliare il libero arbitrio, quale è comunemente inteso, colla regolarità e l’inflessibilità delle leggi sociali. Non sarebbe ora il momento di prendere a discorrere, incidentalmente, su questioni di tanta importanza, ma qualunque opinione si abbia non si vorrà certo negare che l’uomo esercita una azione più o meno grande sullo svolgimento degli avvenimenti e che quindi nel decidersi a questa egli debba risolversi considerando se lo scopo a cui mira è in sè buono e giovevole agli interessi dell’ uni versale.
Cosi, o Signori, noi seguaci dell’antica parte li berale, poiché ora ve n’ha una nuova che della cosa prende il nome non la sostanza, non possiamo ne gare che la causa della libertà vada perdendo terreno in Europa e possiamo anche prevedere che non ostante gli sforzi della parte nostra, dovremo subire altri vincoli ed un accrescimento dell’autorità governativa ma dovremo perciò forse acconciarci a rimanere inerti, lasciandoci sopraffare da una specie di fata lismo? E chi può dire che la resistenza deliberali, se non impedisce il male non giovi almeno a me nomarlo ?
Eccomi in ultimo a discorerre del celebre motto: lasciar fare, lasciar passare. Oramai esprimere questo concetto in Italia senza anatemizzarlo subito è quasi un dar prova di coraggio civile; vi sono giornali quotidiani i quali, benevolmente, suppongono che i liberali vogliano lasciar fare gli assassini, la sciar passare i ladri, ed il Sig. Lo Savio nel gior nale degli Economisti di Padova in forma più mite ma, ahimè! non ancora scientifica, esclama: « Que sta febbe di lucri e di guadagni eccitata dall’egoi smo, non vedete che ci toglie tutto, onore, libertà famiglia, giustizia, pubblica fede ? E gli economisti rispondono lasciate fare, lasciate passare... Quale è mai oggi la buona fede nel commercio? Ha essa veramente per base la morale ? I discepoli di Smith rispondono: lasciate fare, lasciate passare... » e via di questo passo che è un gusto a leggerlo.
Discorriamo un po’ più sul serio. Che questa proposizione del De Gournay non sia scientifica, come ben nota il Cairnes, è cosa che può anche aversi per evidente. La scienza non dà precetti, essa insegna solo che date alcune condizioni seguiranno determinati effetti; spetta poi all’arte il valersi di questi teoremi per stabilire i modi pratici di rag giungere il desiderato scopo. Parmi altresì dovere ampiamente accogliere l’osservazione dello Stuart Mill e del Comte che la dottrina del lasciar fare, lasciar passare, lungi dall’essere vera assolutamente abbia bisogno, nelle applicazioni, di non lievi restri zioni. Ma concesso tutto ciò mi fermerei e vorrei esaminare se in molte e molte parti dell’arte di Go verno questo pratico precetto non rappresenta ancora la migliore massima a cui conducano le umane cono scenze. Cosicché lungi dall’essere presa questa pro posizione come base, a priori, della economia po litica sarebbe invece da considerarsi come il resul- tamento non solo di questa ma, altresì, anche di tutte le altre scienze sociali.
Quando si parla dell’ingerenza dello Stato si fà uso di un termine non perfettamente determinato. Se per Stato s’intendesse il complesso del Governo e delle varie autorità provinciali e comunali avremo dinanzi realtà precise, ma talune volte, invece, pare che Stato stia per sinonimo, in genere d’organamento sociale, come quando la nuova scuola pone in ri scontro le preprie teorie che dice organiche con quelle dell’economia classica che chiama atomistiche. Conviene quinJi tener conto di questo duplice si gnificato della parola Stato se non si vuole andare incontro a facili confusioni.
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sto grado l’organamento è un ostacolo indiretto; e ne cita esempi molto concludenti, nei quali alcune re gole generali, prima giovevoli, come conducenti al- unifornità, divengono poscia uno dei principali osta coli ad ogni ulteriore progresso.
La teoria del Bagehot sulle origini della civiltà conforta questa opinione. Egli principia col notare come nei tempi antichissimi ne’quali i nostri ante nati, quasi più belve che. uomini, molto s’ asso migliavano ai selvaggi attuali, ciò di cui avevano maggior bisogno per iniziare il progresso, fosse un potere fortemente costituito, che ne disciplinasse gli animi, ne domasse gli istinti feroci, e, per lungo andare di successive generazioni ne modificasse la natura in modo che questi uomini acquistassero quel potere su loro medesimi, quella temperanza e quello spirito di sacrifizio, senza i quali non vi è possibile incivilimento. — Questo lavoro pre paratorio seguì per la maggiore parte dei popoli ma quei soli, pochissimi, divennero civili pei quali le regole inflessibili che regolavano ogni atto umano compiuto il loro uffizio, di diciplinare gli animi, andarono gradatamente scemando di rigore per far luogo alla libertà, allo spirito di indagine, alla ori ginalità, all’individualismo, mentre il potere, assoluto, purchessia, il quale aveva domato e spento gli i- stinti brutali e feroci contrari alla umana società veniva sostituito da ciò che il Bagehot chiama un Governo di discussione.
Questa tesi dell’autore inglese pormi probabilmente vera ma riconosco subito che per essere tenuta per certa avrebbe bisogno di molte e molte prove che sono finora manchevoli. Ad ogni modo a noi basta che finora possa essere vera per aver subito una prova che accrescendo alla cieca il potere dell’organa mento non sempre si giova all’umano progresso. Dopo aver fatto insieme i primi passi vi fu una divergenza nella via delle società, alcune prosegui rono a dare forza al potere sociale sovra ogni atto della vita individuale e si ebbero le civiltà orientali come la chínese, o quelle dell’America come la peruviana; in altre, che ci appaiono quali casi sin golarissimi nella storia, l’individualismo e la libertà vivificarono la materia già elaborata nel primo pe riodo dell’evoluzione sociale e si ebbero la civiltà greco-romana, e quella più moderna anglo-sassone coi suoi principi! di selfgovernement. Ho scelto questo esempio della teoria del Bagehot perchè a dir vero spero con esso prendere due piccioni a una fava, mostrare cioè non solo che accrescimento di civiltà non è sempre sinonimo di accrescimento di orga namento, ma fare altresì vedere quanto convenga andare guardinghi nell’indurre dai fatti passati i venturi e conoscerne l’importanza.
L’on. Morpurgo in un pregevolissimo suo scritto: L ’Italia e le riforme amministrative, discorrendo
iO giugno 1677 del decentramento, nota come questo bènchè invo cato in Francia del pari che in Italia non si ottenne, cita il Dupont White che scrive : « Buoni o cattivi i monarchi passano, le monarchie stesse scompaiono ma l’accentramento rimane, » nota come dagli av versari di questo si possa sin’ora dire vox clamantis in deserto, e quasi pare volerne concludere essere fatale che l’accentramento sussista od anche si ac cresca. A me, per i motivi che dianzi accennai, non pare che questa conclusione scaturisca logicamente dalle premesse. Che vi sia una tendenza all’accen tramento non è d’uopo di troppe parole per dimo strarlo, ma che essa sia giovevole all’uman genere è quello che devesi provare. Il dirci che in Francia « le dinastie cadono, i liberali, o almeno quelli che tali si dicono, salgono al potere, e l’opera riforma trice caldeggiata con ardenti polemiche, approda al poverissimo risultato di una diversa genesi elettiva dei sindaci ; » ci mostra bensì il potere della buro crazia in Francia ma rimane a sapersi seia sua azione riesce a quel paese benefica o malefica. Torniamo collo spirito molti secoli addietro, all’aurora della nostra civiltà; quanti argomenti simili a quello che esami niamo; ma di ben maggior forza, si sarebbero al lora potuti porre innanzi per distogliere la società dalla nuova via in cui si poneva col far cedere di nanzi alla discussione degli individui le inflessibili regole de’vieti organamenti religiosi-sociali ? Avreb- besi potuto mostrare ai riformatori lunga serie di popoli vinti e disfatti per l’affievolimento de’poteri della società, più in quà ad Atene poteasi contrap porre Sparta ed ai popoli liberi tutti le legioni vit- trici di Cesare, ma non potevano i contemporanei di Augusto spingere sì oltre nelle tenebre dell’av venire gli sguardi per riconoscere che l’impero cam pava consumando gli elementi nati e cresciuti al sole della libertà, e che, non riproducendosi questi, miserissima fine l’aspettava quando fosse del tutto sfruttato il potente impulso della Repubblica romana ; e certamente spegnevasi quella civiltà e, abbando nata a sè stessa, decadeva al disotto della chinese, se i popoli dell’impero romano non erano vivificati e salvati dall’infusione di un sangue germanico.
Sin qui sull'organamento delle Società in genere, ma badiamo bene che l’organamento può sussistere e potente e giovevole, anche all’ infuori di ogni azione governativa. Può parere strano che l’onorevole Mor purgo, nello scritto testé ricordato, combattendo co loro che vogliono diminuire l’ ingerenza governativa e chiedendosi chi potrà fare le veci del Governo, non trovi nella sua risposta da far cenno se non delle autonomie locali.
10 giugno 1877 L’ E C O N O M IS T A 695 Clearing-House a Londra e Manchester; non vi è
Governo al mondo che abbia saputo mai ottenere con così pochi e semplici mezzi risultamenti di tanta importanza e forse, considerando più da vicino le cose, troverebbesi che nella maggior parte dei casi di organamento governativo la proporzione è rovesciata, e che cioè con largo dispendio di tempo e di denaro ottengonsi meschinissimi frutti. Quindi anche per quegli organamenti chestimansi necessari al vivere social*1 vi è da porre il quesito se spetti agli individui od al Governo il costituirli. Devesi inoltre considerare se le nuove attribuzioni che si vogliono affidate al Governo non saranno, per avventura, di nocumento alle qualità che esso deve possedere per adempiere la sua missione di tutelare l'ordine pub blico e curare che sia resa giustizia ad ogni sin golo cittadino. Andate a chiedere, a chi s’ intende dell’allevamento degli animali, un cavallo perfetto da corsa e da tiro, un cane che all’agilità del le vriero unisca la ferocia del Bull Dog; un bove che abbia le migliori qualità delle ottime razze da in grassare e di quelle più capaci al lavoro e vedrete qual meraviglia accoglierà la strana ed impossibile domanda. Yi si oppone la gran legge della divisione del lavoro che pare estendersi a tutto l’universo. Forsechè il Governo solo a questa si sottrarrebbe? Deve, sì o no, la cura della pubblica cosa essere distinta da quella dei privati negozi? — E quando avrete trasformato lo Stato attuale in una grande ■compagnia d’ industria, non sorgerà prepotente il bisogno di un nuovo ente, il quale esclusivamente si dedichi a quelle missioni che malamente verrebbe allora a compiere il nuovo Stato? Queste difficoltà a molti non sfuggono e l’onorevole Luzzatti, quasi le sentisse d’ istinto, negli articoli che scrisse nel giornale il Sole sull’ordinamento delle strade ferrate proponeva che queste fossero affidate ad una am ministrazione autonoma e, dentro certi limiti, indi- pendente dal Governo. Più tardi l’egregio autore ragionando delle concessioni d’acqua, scriveva : « Lo stato delle cose quale è oggidì, non conviene ad una nazione, nella quale tutti i cittadini hanno in sommo della bocca il desiderio del decentramento e pochi lo coltivano veracemente nel fondo del cuore. Una questione d’acqua è divenuta un gravissimo affare di Stato, perchè almeno due Ministeri vi sono profondamente e particolarmente implicati, quello dei lavori pubblici e quello delle finanze. Ora tut- tociò che si attiene al Ministero dei lavori pubblici si segnala e si specifica per una lentezza così so spettosa e cauta che, gli affari più semplici vedono passare i mesi senza alcuna soluzione. Quando il servizio delle ferrovie si debba attribuire al Governo, non è lecito pensare che ciò avvenga, senza de trimento del paese, se come chi scrive ha proposto non si costituisca una amministrazione spigliata di
uomini tecnici e responsabili, disimpacciati dalle tradizioni del Ministero dei lavori pubblici (I). »
Or bene, l’organamento che vagheggia l’onorevole Luzzatti esiste già: è quello delle private Società e la legittima influenza che deve avervi il Governo rappresenta, in certo qual modo, le relazioni che esso dovrebbe mantenere con la nuova amministra zione che vuoisi creare.
11 più delle volte quando si discorre dell’inge renza dello Stato si prende questa parola come si nonimo di Governo.
Gli autori tedeschi dicono e l’ onorevole Lamper- tico nella sua Economia dei popoli e degli Stati, ripete: dovere la nuova scienza tener conto che ai Governi di privilegio si sostituì la sovranità. Alcune volte, e con maggiore efficacia, odesi l’argomento essere vano temere il Governo, poiché nei reggimenti liberali lo Stato siamo noi. Se questa proposizione si riducesse a forma di sillogismo, vieto sistema, ma che qualche volta è sempre buono per ¡svelare i sofismi, farebbe una strana figura. Proviamovici un poco; ci hanno detto che la nostra scienza era cri stallizzata, ora che risaliamo, nientemeno che sino ad Aristotile, diverrà pietrificata addirittura. Ecco come si potrebbe dire: Coi reggimenti liberali lo stato siamo noi, non abbiamo nulla da temere da noi medesimi, dunque non abbiamo nulla da temere dallo Stato. Il sofisma si vede chiaro, esso viene dalla parola noi, che riceve due significati. Quando si dice che lo Stato, o il Governo siamo noi, si intende la maggioranza, mentrechè se si asserisce che nulla abbiamo da temere da noi medesimi, si intende evidentemente che gli uomini non hanno da temere ciò che da tutti loro senza eccezione alcuna è voluto, poiché altrimenti è troppo chiaro che vi sono molti e molti casi di oppressione delle mino ranze per parte delle maggioranze, i quali dimostrano che quelle possono avere fondati motivi di forte mente temere queste. Scusate questa piccola digres sione logica e veniamo a considerare coi fatti sino a qual punto il cambiamento d’ indole del Governo può influire sui risultamenti della scienza economica.
Il Governo vuoisi generalmente considerare sotto due aspetti: rappresenta gli interessi delle varie classi dei cittadini ed ha una missione legislativa d’ indole generale; per il primo vi è incontestabile progresso, mentre la cosa è piuttosto dubbia pel secondo.
Spinti da ciò che moderni naturalisti hanno chia mato la lotta vitale, gli uomini tendono ognora a valersi a loro prò del potere che dà il Governo della cosa pubblica, e se esso trovasi esclusivamente nelle
696 L’ E C O N O M I S T A IO giugno 1877 mani di una classe di cittadini si può asserire che
questa ne userà largamente a suo vantaggio, se non è contenuta da qualche forza esterna, quale sa rebbe una pubblica opinione fortemente avversa. La storia ci presenta esempi in copia a conforto di quest’opinione; ne abbiamo attualmente sott’occhio nell’amministrazione dei comuni d’Italia. Ove domina il medio ceto della borgata, ove il proprietario lontano dalle terre prende poca o nessuna parte alle elezioni od alle deliberazioni del Consiglio comunale si fà la fon tana, si sprecano denari in feste e si trascurano le stra de ove dominano i possidenti, e vi è profonda divisione tra le classi sociali come in alcune provincie del napoletano e della Sicilia, il proletario non sa se sia peggiore la nuova tirannia locale dell’antica politica. Certo vi sono menti elevate che intendono come, anche dal Iato del puro interesse, sia una cattiva spe culazione quella del volgere il potere del Governo a vantaggio degli interessi di una classe particolare; ciò che essa per tal modo guadagna è più che com pensato dal danno che riceve come parte dell’intera società, poiché soli quei popoli ove gli interessi di tutti sono equamente tutelati possono sperare vita prospera e civile. Ma il valore di quest’osservazione viene scemato dal fatto che bene spesso la classe governante fa leggi, o compie atti di amministra zione, in proprio favore, ingenuamente, credendo, onestamente, di giovare all’universale.
Ora non potrei qui spiegare come a me pare che quest’opinione si generi; credo, per altro, sia da tenerne conto e che ben considerato può farci co noscere la ragione di molti fatti e portarci ad essere più temperati nei nostri guidizi. Dal lato della rappre sentazione degli interessi, come dianzi accennavo, pare certo che vi sia un notevolissimo progresso nei governi moderni, benché siamo ancora assai lungi dalla perfezione, sentendosi ora da molti egregi pensatori il bisogno di più efficacemente avere nel governo rappresentate le minoranze, e sebbene vi. sieno ancora molte perturbazioni, ottenendo alcuni interessi una preponderanza assai maggiore di quella che legittimamente loro spetterebbe. Non vi è quindi più da temere, al presente, che l’aziono economica dello Stato sia usufruitala ad esclusivo vantaggio di una classe di cittadini, abbiamo almeno il conforto di pensare che saranno parecchi a goderne e che è anche probabile, non certo, che insieme formino la maggioranza del paese.
Sotto l’aspetto legislativo se i governi moderni non sono inferiori ai passati bene spesso sono lungi dall’esservi superiori. È noto che i Parlamenti sono singolarmente incapaci per fare delle leggi complicate che riescano almeno discrete. Il più delle volte gli uomini di elevato ingegno che vi si trovano, per po tere avere la maggioranza, sono costretti a tenere una via di mezzo, ad emendare le leggi che propongono
in tal modo che i risultamenti sono meschinissimi, se pure non riescono anche contrari all’ intento. Questa difficoltà non era sfuggita al Mill, che proponeva perciò alcune modificazioni circa alla competenza dei Parlamenti nel fare leggi. Il Gomte, come è noto, era acerrimo avversario del Governo parlamentare da esso considerato come assurdo, ed è vero che tale appare ove si consideri esclusivamente sotto l’aspetto del regolare la vita degli uomini riuniti in società. Dove occorre specialmente la scienza, le elezioni, sul genere di quelle politiche, sono lungi dall’essere il miglior modo di scegliere gli uomini, e I’ esempio degli Stati Uniti d’America prova che non sono guari migliori per la scelta dei magistrati. Invece son più sempre il solo mezzo conosciuto per ottenere una qualunque rappresentanza degli interessi dei cit tadini.
Per conseguire il bene del paese conviene oltreché volerlo, conoscerlo e sapere i modi di raggiungere 10 scopo. Ammettiamo pure, fatte le debite riserve, che la prima condizione sia adempiuta nei Governi moderni; la maggior parte non è nè per questi nè pei pa ssati e nella maggior parte dei casi Nessun uomoconosce con quali mezzi in una umana società si può ottenere un determinato effetto. Notevolissima è la legislazione sui poveri in Inghilterra, la quale ci mostra come le ottime intenzioni dei governanti sortirono pessimi effetti. Esempi ve ne sono sinché si vuole; permet tetemi di citarne almeno uno. Quando l’uso delle caldaie a vapore principiò ad estendersi in Francia, 11 Governo di quel paese, che non è mai tardo nel sottomettere qualsiasi novità ai suoi regolamenti, pensò bene di fissarne la spessezza delle pareti.
Lo scopo era ottimo; tutelare la vita de’cittadini; lodevolissimi i mezzi : i più ragguardevoli scienziati furono incaricati di fare degli studi sulla tensione del vapore, ed il Governo stabili per la spessezza delle pareti di una caldaia una formula che certa mente, per que’tempi, era la migliore che si potesse ottenere. Aveva per altro un difetto, comune alle prescrizioni legislative in genere ; era ferma, rigida, immobile, mentre il mondo camminava. In molte cose i progressi sono lenti, talvolta appena sensibili, ma in questi ultimi anni la metallurgia fece passi da giganti e la costruzione delle caldaie migliorò rapidamente.
compromet-10 giugno 1877 L’ E C O N O M IS T A 697 tono la resistenza quanto più sono gr sse; per cui,
fatte le debite proporzioni, è più sicura una caldaia di lamiere sottili ed ottime che non di lamiere grosse e mediocri. Da ciò seguiva che il regolamento fran- j cese otteneva un risultamento direttamente contrario allo scopo, che cioè invece di aumentare scemava la sicurezza nell’uso delle caldaie. Ora aiutando anche l’introduzione dell’acciaio per la costruzione delle caldaie, il governo francese ha finalmente ricono sciuto, cosa non solita, che simili regole sono da lasciarsi all'iniziativa privata ed ha abrogato le di spozioni prima vigenti. Perchè l’esempio sia compiuto e per mostrare ancora una volta che organamento è tult’altro che sinonimo d’ingerenza governativa ag giungerò che in Inghilterra ed in altri paesi, ove il governo non ha cura della spessezza delle caldaie, gl’iuduslrali hanno fatto fra loro delle società allo scopo di visitare periodicamente le loro caldaie, pro varle, e coll’assistenza di uomini pratici suggerire i mezzi più acconci a rimuovere ogni pericolo di esplosione. Queste società sono ora lodatissime e la azione che esercitano si è dimostrata heu altrimenti efficace di quella delle leggi francesi!
Ma m’accorgo che vi ho intrattenuto di esempi stranieri; la nuova scuola li vuole nostrali, e l’ono. revole Lampertico perciò scrisse Ae\\’Italianità della scienza economica; permettete dunque che manchi alla mia promessa di limitarmi ad un solo esempio, e che un altro ne rechi, pigliandolo fra quelli, pur troppo numerosi, che abbiamo in paese.
Le primissime ferrovie ebbero le guide di ghisa, ma ben presto si riconobbe che erano di un pessimo uso e presentavano non lievi pericoli per la sicu rezza de’ viaggiatori. Suppongo sia per questo motivo che i governi prescrissero, ne’ capitolati d’appalto, che le guide dovevano essere di ferro malleabile. Notiamo, incidentalmente, che nei nostri capitolati d’appalto, probabilmente per un errore di copista, si legge, con un’invidiabile costanza che le guide deb bono essere di ferro battuto. Non vorrei asserire che di queste non nesieno mai state fatte, ma certamente queste ora sono roba da museo; le guide si fanno con ferro laminato e non conosco ferriera al mondo che abbia la singolarità di fabbricarle battendole al maglio ! Ma lasciamo stare questa che è quistione di parole. Ora le guide di ferro sono in massima parte sosti tuite da quelle d’acciaio le quali presentano mag giore resistenza, sono più omogenee e quindi sono molto più sicure di quelle di ferro. Il governo se guita per altro sempre ad imporre ne’ capitolati che le guide sieno di ferro, e non più tardi dell’anno scorso un deputato, amico mio, non potè ottenere che fosse almeno lasciata libera la scelta tra il ferro e l’acciaio per una nuova linea concessa nell’Alta Italia. Ecco dunque una prescrizione del governo che, se si osservasse rigorosamente, il che veramente,
delle leggi italiane non suole accadere, andrebbe coutro al suo scopo, di tutelare cioè la sicurezza dei viaggiatori. In pratica vi sono coi commissari go vernativi degli accomodamenti e le grandi linee di strade (errate italiane lanno largo uso delle rotaie d’acciaio.
L’On. Morpurgo nello scritto che già citai, nel combattere le teorie del decentramento paragona i risultamenti dell’ amministrazione dei comuni con quelli ottenuti dal Governo. Non avrei mai creduto che questo avesse mai compiute tante e sì belle cose.
Udite un po’:
« L’istruzione professionale non sorse o non at tecchì sinché il Governo non prodigò incoraggia menti e concorsi. L’allevamento equino incominciò ad invigorirsi soltanto colle stazioni fondate dal Governo.... Il rimboschimento degli Appennini ri mase, in talune regioni, una speranza sinché il Go verno non fondò i Gomitati forestali col mezzo di sussidi accordati alle provineie. All’ incuria per le migliori fonti di produzione fu pari la crudeltà contro fanciulli incapaci di tutelare la propria esistenza. » Per l’appunto oggi mi capita sott’occhio il reso conto dell’adunanza dell’Associazione dei costruttori meccanici ed arti affini, tenuta il 3 marzo 1877,
ed ecco cosa vi si legge:
« Vista la mancanza quasi totale in Italia di un buon insegnamento pratico meccanico e industriale che tenda ad armonizzare la scuola colla officina;
« Visto il nessuno aiuto che portano ai costruttori meccanici i giovani che escono dagli Istituti Tecnici, per cui sono costretti a formarsi piuttosto gli allievi nelle proprie officine con dispendio reciproco, ma unilaterale, di teorie da una parte e di pratica dal l’altra;
« L’assemblea invita la presidenza a farne rimo stranza al Governo perchè in luogo degli attuali isti tuti tecnici si impiantino delle vere scuole profes sionali come negli altri paesi industriali, coi quali si deve concorrere. »
0 allora come va questa faccenda che l’istruzione professionale è sorta ed attecchita in Italia mercè, gli aiuti del Governo, mentre poi gli industriali di còno che non esiste? Eppure essi possono dirsi con sumatori dei prodotti che voleva ottenere il Governo cui suoi istituti e quando una merce non soddisfa al consumatore l’industria si può dire sbagliata. Avrete anche letto le belle lettere del senatore Rossi sovra questo argomento, gli rispose il prof. Villari proponendo una specie d’inchiesta, ma a dire ii vero non mi parve che sorgesse nessuno ardente propu gnatore dell’ordinamento attuale, ed il Governo stesso non vi deve avere gran fede poiché lo muta e lo rimuta ogni anno.
698 L’ E C O N O M IS T A proporsi di ottenere e la Camera dei deputati opina
nella grave quistioue. Razze di animali migliorate o create da privati allevatori, particolarmente in In ghilterra, se ne conoscono molte, ma le razze di cavalli perfezionate dal Governo italiano sono piut tosto ignote.
Sarete lieti di sapere che il rimboscamento in talune regioni dell’Appenino non è più una speranza, e allora parrà anche meno urgente l’invocata legge forestale.
In quanto all’incuria per le migliori fonti di pro duzioni non so quale cura del Governo vi si possa contrapporre. Forse quella per le fabbriche di cicoria che vanno ora scomparendo d’Italia, mercè un si stema fiscale che impoverisce i privati e nulla frutta al Governo? Oppure quella per la distillazione del l’alcool, o quella per la fabbricazione delle paste?
L’Italia reale, ecco la vera incognita, dice giusta mente l’on. Morpurgo; sta bene ma non sono le statistiche ufficiali (dio gioveranno a farcela conoscere se portano ai risultamene accennati.
La legge sul lavoro dei fanciulli a cui si accenna nelle parole testé riferite anche noi la vogliamo ma, così segue anche per l’istruzione obbligatoria, per motivi diversi da quella invocati dalla nuova scuola e quindi con altre modalità. Non è certo che una legge che limiti il lavoro dei fanciulli sia diretta- mente giovevole a (questi od alla classe povera in genere; dipenderà principalmente dall’influenza che potrà avere sull’accrescimento della popolazione. Del resto può anche essere meglio avere l’animo insel vatichito, come dice l’onor. Luzzatti, de’fanoiulli che lavorano nelle manifatture, che il patire la fame, magari con l’animo senza punta traccia di selvati chezza. Quello che per altro pare sicuro si è, che nella società civile vi è un grande interesse gene rale alla protezione per parte delio Stato dei deboli contro le prepotenze de’forti e de’minori contro chi ne ha la tutela, e per questi motivi e non per altri invochiamo la repressione legale di simili abusi, ove si verificano.
La legge sul lavoro dei fanciulli più ancora di altre, ebbe in suo favore invocato l’esempio delle nazioni stranieri. L’on. Luzzatti scrive a questo pro posito: « La grande Italia non può essere minore della piccola Danimarca, nè senza vergogna si pos sono tollerare simili paragoni. » Ecco una frase eloquente in cui a me pare, si giuoca un poco sulle parole come chi volesse confondere un uomo grande con un grand’uomo. Che la grande Italia non possa essere minore della piccola Danimarca è cosa che può anche aversi in conto di un assioma matemetico, se il paragone s’istituisce tra la superficie o la po polazione dei due paesi; ma se invece si riferisce alle qualità morali od al grado di civiltà, non so davvero perchè l’Italia dovrebbe essere detta un gran
IO giugno 1877 paese di fronte alla Danimarca. Felici noi se tutta la nostra penisola si trovasse in condizioni buone quanto quelle dell'Olanda, della Svizzera, della Da nimarca, tutti piccolissimi paesi ! Entrando poi nel merito della quistione vorrei osservare come questi paragoni colle nazioni straniere vadano ognora per dendo valore per l’uniformità che tende a stabilirsi in Europa e perchè, col gran commercio d’idee che vi cono tra i vari popoli, accade che si eccitano vicendevolmente a compiere cose che forse ognuno da sè non avrebbe fatte.
Da noi poi, talune volte, si corre troppo e si prende per terminato quando non è ancora ben principiato. Ricorderete che quanto si trattò di ri scattare le ferrovie in Italia pareva, a sentire alcuni, che presso tutti gli altri popoli lo Stato era per en trare in quella via e sarebbe stata una vergogna per l’Italia di non accettare un tanto progresso. In tanto per non essere gli ultimi siano stati i primi e, a dir vero, non pare che il nostro esempio trovi molti imitatori.
Ma l’ora è tarda e m’accorgo che anche troppo abusai della pazienza vostra. Tentai di esporvi bre vemente perchè le teorie della nuova scuola non mi persuadano ma non crediate per ciò che io sia per negare ad essa ogni pregio; forse noi liberisti non contenuti da forze contrarie potremmo facil mente trascendere, come viceversa accadrebbe ai nostri avversari. L’organamento, l’ingerenza dello Stalo e l’individualismo debbono avere i loro seguaci e pel bene del nostro paese ci sia concesso augu rarci che la lotta tra essi sia larga, viva e feconda, onde gli errori vengano distrutti e rimanga finalmente quella parte di vero che in queste diverse dottrine si trova.
Vi l f r e d o Pa r e t o (1 )
RIVISTA B ELIOGRAFICA
Cultur und wanderskiszen von Ma x Wi r t h. —
W ien 1876.
Un articolo di giornale se difetta il più delle volte di quella riflessione lunga e matura di cui le opere di molta lena devono necessariamente essere il pro dotto, ha spesso in compenso una certa aria di ri goglio e di vita che a queste non di rado viene meno. Scritto sotto l’influsso di una eccitazione mo mentanea spesso di una passione bollente, quasi sempre a proposito di un qualche argomento di in teresse attuale e vivissimo esso porta in sè scolpita 1
(1) Questo discorso del nostro egregio amico fu pronunziato all 'Accademia dei Georgofili.
40 giugno 1877 L’ E C O N O M IS T A 699 meglio che non potrebbe ogni altra opera qualsiasi,
T impronta di colui che l’ideò e lo compose. L’ori ginalità vi si scorge sempre spiccata, T ispirazione, buona o cattiva che sia, intera e genuina non tar
pata dall’opera della riflessione e della lima : lo scrittore vi appare quale esso è veramente, con tutti i suoi pregi, con tutti i suoi difetti, con tutte le sue facoltà nel loro svolgimento più completo, talvolta eccessivo ; si vede che mentre era intento a scrivere il sangue gli scorreva più veloce del solito nelle vene e rendeva pronta l’immaginazione, l’idea facile, ràpido e vivace lo stile. Il giornalismo moderno il quale, specie in Francia, in Inghilterra ed in Ger mania, conta nelle sue file nomi così chiari ed au torevoli, fornisce larga copia di esempii, soprattutto nei campi della politica, della letteratura e dell’eco nomia sociale, di questi prodotti dell’ attività intel lettuale di un’istante, i quali meritano di vivere una vita più lunga di quella effimera a cui per avven tura furono destinati. E più volte di raccolte di colali scritti furono composti dei volumi letti poi non di rado con molta utilità, quasi sempre con in teresse e diletto grandissimo.
È appunto uffa raccolta di simile natura quella che ci presenta il sig. Max Wirth sotto il titolo ri portato in cima di questo cenno bibliografico. Il nome dell’autore è giustamente celebre. Già famoso per molte pregevolissime opere di economia politica, il sig. Max Wirth è collaboratore, per la parte eco nomica, della Nette Freie Presse di Vienna. Ma gli scritti che egli ha testé radunati nel volume di cui parliamo e che apparvero già quasi tutti sia nella Fette Freie Presse sia in altri periodici tedeschi, inglesi o svizzeri non sono tutti di argomento eco nomico. L’autore ha chiamato il suo libro Wander- skizzen (schizzi di viaggio) e sotto questo titolo ha collocato soggetti di natura svariatissima. Il volume incomincia colla narrazione di una visita a Riccardo Gobden fatta dall’autore al celebre economista - in glese nel 1861. Vi si parla con grato ricordo della cortese ospitalità che il Wirth ricevè dal Cobden in una villa che quest'ultimo possedeva presso una piccola citta del Sud dell’ Inghilterra e dove egli si trovava allora colla moglie e coi figli. Del Cobden come economista si dice poca cosa, ma vi sono in teressanti ragguagli intorno al carattere semplice e sincero di quell’uomo straordinario, sulle abitudini della sua vita, sopra la sua famiglia.
A questo primo articolo tengono dietro fra gli argomenti prettamente economici articoli in cui si ragiona dell avvenire della libertà del commercio in Germania ed in Austria, delle origini del ben essere nazionale nei suoi rapporti colla politica, della que stione sociale, dei pionieri di Rochdale, della storia dei prezzi (di questo argomento che dà materia a uno dei più pregevoli scritti del volume si discorre
a proposito dell’ esposizione del 1873) delle condi zioni dei lavoratori della terra nel Gran Brettagna e in Germania, del tipo d’oro in Austria, del Carey e dei fanatici della carta moneta in America.
Unitamente a questi soggetti ve ne sono altri esclusivamente storici e politici. Tre bellissimi arti coli trattano con serenità di giudizii e con acume di critica della questione Arnim nelle differenti fasi per le quali essa trascorse. Un altro contiene una breve ma esatta ed interessante biografia dell’ inge gnere Granoni.
Vi sono articoli amenissimi di viaggi e ili descri zioni. Un viaggio fatto a Pietroburgo, in occasione del congresso di statistica dà materia ad una vivace pittura delle principali città dell’ impero russo, un escursione al Nord del principato di Galles fornisce il soggetto di una narrazione che è fra le più pia cevoli del volume; un’ altra in Svizzera di due vi vacissimi articoli intitolati. otto giorni nel ghiaccio e nella neve. Il coraggio del capitano Webh che nel 1873 traversò a noto il canale di Dover è celebrato in un articolo intitolato : il re dei nuotatori.
Noi non citeremo altro. Gli scritti di cui abbiamo fatto cenno bastano per dare un’idea di questo vo lume del Wirth che merita di esser letto non meno di quello che sono le altre maggiori opere dell’ in signe scrittore. Questi Wanderskizzen corrispondono veramente all’antico dettalo: misce utile dulci per chè alle fonti del diletto vi vanno unite quelle di un’ erudizione svariata ed opportuna sopra argomenti di grande interesse.
Die Sil b e b- Entw erthungs- Fr a g e. — K r iti sche Übersicht der währungspolitischen Ansichten der namhaftesten europäischen und amerikani schen Nationalökonomen von D. Karl Walcker. — Strassburg, 1877.
•
È una monografia chiara, succinta, ove si rias sume la questione del tipo monetario e del deprez zamento dell’argent". — L’opuscolo è diviso in sei capitoli. Si parla nel primo dei diversi tipi metallici che possono cadere in questione, cioè il tipo d’oro con monete frazionarie d’argento, il tipo d’oro puro con monete frazionarie di una lega d’oro, il tipo di argento e il doppio tipo d’oro e d’argento.
700 L’ E C O N O M I S T A 10 giugno 1877 che inducono l’autore a scendere a questa conclu
sione si riducono a tre: 1° L’ invasione impossibile ad arrestarsi della moneta d’oro negli Stati che hanno il solo tipo d’crgeato come la China, l’ India, l’ America del Mezzo e del Sud, ece.; 2° La lenta demonetizzazione delle monete d’argento nei paesi che hanno il tipo d’oro misto, demonetizzazione che dovrà necessariamente accrescersi coll’aumento del deprezzamento dell’argento; 3° La necessità in cui si trovano tutti gli Stati civilizzati e. quelli special» mente che stanno in maggiori relazioni fra loro di stabilire di tanto in tanto anche senza ricorrere al doppio tipo nazionale o internazionale uno stesso rapporto approssimativo tra il valore dell’oro e quello dell’argento, e ciò affine di impedire la so verchia esportazione di quello dei due metalli che è deprezzato.
Noi non consentiamo in queste opinioni del signor Waleker. Nella questione monetaria noi fummo sem pre partigiani dell’adozione del solo tipo d’oro. È già scorso non breve tempo dacché riassumemmo in queste colonne un lucidissimo scritto del signor Esquirou de Parieu, membro deil’ Istituto di Fran cia, alle cui dotte argomentazioni in favore della adozione del tipo unico d’oro ci associammo piena mente. L’adozione del doppio tipo presenterà sem pre l’inconveniente del deprezzamento e quindi della demonetizzazione dell’uno e dell’altro dei due me talli, poiché avverrà necessariamente che il rapporto reale dei loro valori non si troverà che raramente a coincidere col loro rapporto legale. Di qui l’adito aperto a speculazioni che potranno portare nel mer cato perturbazioni di non lieve momento. Questi stessi inconvenienti si verificano senza dubbio anche col solo tipo d’oro con monete frazionarie d’argento, ma certo si verificano in proporzioni considerevol mente minori, specialmente quando la coniazione dell’argento sia ridotta entro quei ristretti confini rigorosamente imposti dal bisogno delle piccole con trattazioni. È un fatto che il doppio tipo monetario che or sono sessantanni regnava da signore dispo tico in quasi tutta l’Europa è stato dal 1815 al 1860 sostituito a vicenda, ora dal solo tipo d’argento, ora dal solo tipo d’oro, finche da 15 anni a questa parte si va manifestando un movimento a favore di que st’ultimo.
La questione però, sarebbe inutile dissimularlo, è una delle più gravi dell’economia politica d’oggi- giorno, e se tra i propugnatori della unicità del tipo monetario possiamo citare nomi come Chevalier, Leroy-Beaulieu, Levasseur, Esquirou de Parieu, tra gli oppositori si schierano Wolowski, Leone Say, Cernuschi, Max Wirth.
E qualunque sia l’opinione che si possa professare è d’uopo riconoscere che il dottor Waleker ha fatto dell’ importante soggetto uno studio coscienzioso ed
ha sostenuto la sua tesi con largo corredo di dot trina e di argomenti.
M. Rizzari. — Inchiesta parlamentare sulla con dizione delle classi operaie agricole in Italia. —
Milano, 1877.
L’inchiesta agraria dopo il voto favorevole del Senato è un fatto deciso. Però nel Senato non man carono osservazioni in contrario, e queste sembrano ragionevoli all’egregio autore di questa interessante monografia, nè noi sapremmo dargli torto.
Certo nelle presenti condizioni del pubblico erario non conveniva fare una grave spesa ; ma ristretta dentro i limiti proposti, è egli sperabile che la com missione possa veder molto da se, ovvero non sarà essa costretta a starsene in gran parte a indicazioni poco sincere, per incuria o per ignoranza della vera condizione delle cose, trattandosi di munieipii, ovvero per interesso, trattandosi di proprietari o di lavo ranti?
Eppoi, bisogna osservare che tutti sanno ormai quale sia la condizione dei lavoranti agricoli nelle varie provinole italiane; sanno come essa sia in pa recchie fra queste miserabile e degna di pietà. Ora, si domanda l’egregio autore, questa inchiesta bandita con tanta so'ennilà non desterà speranze non attua bili ? E quando le classi dei lavoranti agricoli si persuaderanno che il Governo ed il Parlamento non possono nulla per porre un rimedio ai loro mali, non sarà piuttosto cresciuto che scemato il pericolo di una questione sociale?
Che se la Commissione cercasse invece di proce dere ad una esatta statistica delle produzioni agrarie nelle sue diverse ramificazioni ed attinenze, lo scopo sarebbe, più utile, ma sarebbe costretta a ricorrere ai medesima mezzi a cui ricorre il ministero di Agri coltura e Commercio, le cui statistiche pel modo con cui son fatte non sono davvero oro di coppella.
Quando poi la Commissione avrà dimostrato gli effetti perniciosi di certe tasse e specialmente di quelle del macinato e del sale non che del corso forzato sulla condizione dei lavoranti agricoli, il Go verno potrà forse portarvi un rimedio nelle presenti condizioni delle finanze? E quando avrà dimostrato i benefici effetti della mezzeria o dei sistemi che ad essa si avvicinano, potrà forse lo Stato imporli a dispetto dei proprietari?