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Fabrizio Ferrari e Barbara Grugnale

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Academic year: 2021

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Università “G. d’Annunzio” di Chieti - Sede di Pescara

Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Dipartimento di Studi Filosofici, Storici e Sociali

Fabrizio Ferrari e Barbara Grugnale

LA SOSTENIBILITÀ DEL TURISMO NELLA REGIONE ABRUZZO

(stesura preliminare)

WP 2003 – 1 del Laboratorio di Geografia

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INTRODUZIONE (FABRIZIO FERRARI E BARBARA GRUGNALE) 7 Evoluzione del concetto di sostenibilità del turismo. 13 Gli indicatori utilizzati per la valutazione dell’impatto ambientale del settore turistico. 18

LA PROVINCIA DELL’AQUILA (FABRIZIO FERRARI) 24

1. Il turismo in provincia dell’Aquila: aspetti generali. 24 2. L’offerta turistica in provincia dell’Aquila. 25 2.1 La capacità ricettiva della provincia dell’Aquila. 25 2.2 La qualità delle infrastrutture alberghiere in provincia dell’Aquila. 28 2.3 La densità delle infrastrutture turistiche in provincia dell’Aquila. 30 3. La domanda turistica in provincia dell’Aquila. 34 3.1 Caratteristiche della domanda in provincia dell’Aquila. 34

3.2 La domanda turistica alberghiera. 35

3.3 La pressione turistica nelle strutture alberghiere della provincia dell’Aquila. 38

LA PROVINCIA DI TERAMO (BARBARA GRUGNALE) 43

1. Il turismo in provincia di Teramo: aspetti generali. 43

2. L’offerta turistica in provincia di Teramo. 44

2.1 La capacità ricettiva della provincia di Teramo. 44 2.2 La qualità delle infrastrutture alberghiere in provincia di Teramo. 46 2.3 La densità delle infrastrutture turistiche in provincia di Teramo. 48

3. La domanda turistica in provincia di Teramo. 52

3.1 Caratteristiche della domanda in provincia di Teramo. 52

3.2 La domanda turistica alberghiera. 53

3.3 La pressione turistica nelle strutture alberghiere della provincia di Teramo. 55

LA PROVINCIA DI PESCARA (BARBARA GRUGNALE) 59

1. Il turismo in provincia di Pescara: aspetti generali 59

2. L’offerta turistica in provincia di Pescara. 60

2.1 La capacità ricettiva della provincia di Pescara. 60 2.2 La qualità delle infrastrutture alberghiere in povincia di Pescara. 63 2.3 La densità delle infrastrutture turistiche in provincia di Pescara. 65 3. La domanda turistica in provincia di Pescara. 68 3.1 Caratteristiche della domanda in provincia di Pescara. 68

3.2 La domanda turistica alberghiera. 69

3.3 La pressione turistica nelle strutture alberghiere della provincia di Pescara. 71

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LA PROVINCIA DI CHIETI (FABRIZIO FERRARI) 76 1. Il turismo in provincia di Chieti: aspetti generali. 76

2. L’offerta turistica in provincia di Chieti. 77

2.1 La capacità ricettiva della provincia di Chieti. 77 2.2 La qualità delle infrastrutture alberghiere in provincia di Chieti. 80 2.3 La densità delle infrastrutture turistiche in provincia di Chieti. 82

3. La domanda turistica in provincia di Chieti. 86

3.1 Caratteristiche della domanda in provincia di Chieti. 86

3.2 La domanda turistica alberghiera. 87

3.3 La pressione turistica nelle strutture alberghiere della provincia di Chieti. 89 LA PRESSIONE DEL SETTORE TURISTICO SULL’AMBIENTE. (FABRIZIO

FERRARI E BARBARA GRUGNALE) 94

1. I rifiuti prodotti nella provincia dell’Aquila. 94 2. La raccolta differenziata in provincia dell’Aquila. 96 3. I rifiuti prodotti nella provincia di Teramo. 98 4. La raccolta differenziata in provincia di Teramo. 100 5. I rifiuti prodotti nella provincia di Pescara. 102 6. La raccolta differenziata in provincia di Pescara. 104 7. I rifiuti prodotti nella provincia di Chieti. 106 8. La raccolta differenziata in provincia di Chieti. 108

9. La balneabilità delle acque. 110

10. Le acque lacustri 119

CONCLUSIONI (FABRIZIO FERRARI E BARBARA GRUGNALE) 120 Le iniziative in materia turistica e ambientale nella Regione Abruzzo. 120 BIBLIOGRAFIA. (FABRIZIO FERRARI E BARBARA GRUGNALE) 128

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Introduzione (Fabrizio Ferrari e Barbara Grugnale)

I fenomeni legati alla crescita della popolazione urbana sono stati al centro dell’attenzione della Seconda Conferenza delle Nazioni Unite sugli Insediamenti Umani (Habitat II – “The City Summit”), tenutasi a Istanbul nel giugno del 1996, e in tale contesto tra i vari interrogativi sollevati, meritano di essere citati i seguenti:

- come si potrà nel futuro assicurare un adeguato livello di vivibilità alle sempre più vaste aree urbanizzate del pianeta?

- come si potranno realizzare insediamenti umani sostenibili in un mondo sempre più urbanizzato?

Quando, nell’ormai lontano 1987, a Tokyo, dalla Conferenza delle Nazioni Unite per l’ambiente e lo sviluppo fu lanciata la parola d’ordine dello sviluppo sostenibile, si diffuse tra i principali attori un marcato senso di scetticismo, perché l’idea di fondo del Rapporto Brundtland, presentato in quella occasione, che si dovesse cercare di perseguire uno sviluppo capace di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere il diritto alla qualità della vita delle generazioni future, sembrava appartenere più a un magnifico libro dei sogni che non a un programma effettivamente perseguibile di politica economica e sociale nei vari Paesi. Gli anni trascorsi dalla Conferenza di Tokyo hanno, nei fatti, dimostrato il contrario. Oggi, ad essere realisti per davvero, non è nemmeno concepibile progettare le tappe dello sviluppo al di fuori del paradigma della sostenibilità; e non solo nella parte ricca del mondo. E’ infatti sempre più chiaro che, solo un percorso omogeneo di sostenibilità diffusa a livello globale, può portare benefici nel lungo periodo ai paesi ricchi come ai Paesi più poveri. E, quel che più conta, si stanno moltiplicando azioni e strumenti capaci di tradurre in risultati concreti e tangibili i programmi di sviluppo sostenibile: a partire dall’Agenda 21, promossa nel 1992 dalla Conferenza Mondiale di Rio su ambiente e sviluppo, che costituisce un vero e proprio piano d’azione con visione strategica di lungo periodo, finalizzato a integrare nelle varie politiche generali e settoriali gli obiettivi di qualità ambientale, di benessere sociale e di sviluppo economico.

Dimensioni quali quelle delle moderne città, sia per numero di abitanti che per superficie occupata, erano inimmaginabili nel secolo scorso, se si pensa che nel lontano 1800, vi era soltanto Londra che aveva più di un milione di abitanti; secondo le stime delle Nazioni Unite entro il 2025 la popolazione che vivrà in aree urbane supererà il 60% della popolazione

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mondiale: per quell’anno la popolazione urbana sarà all’incirca 5,2 miliardi, di cui oltre il 77% nei Paesi in Via di Sviluppo.

La continua crescita della popolazione urbana, sta cambiando il volto del pianeta e le condizioni di vita di milioni di persone; i “Sistema Paese”, come insieme di città, di aree metropolitane, di regioni, sono coinvolti pienamente in questi processi di cambiamento.

Le città consumano più risorse di quante siano disponibili all’interno dei loro confini, e più cibo di quanto possa essere coltivato, e ancora, producono più rifiuti di quanti possano essere assorbiti a livello locale, causando inquinamento sia a livello regionale che a livello globale, con drammatiche conseguenze per la salute della popolazione e per la biosfera.

Esse dipendono, sostanzialmente, per la produzione di cibo e di altre risorse, e per lo smaltimento dei rifiuti dall’hinterland o dai territori lontani, con ripercussioni sull’intero Eco- Sistema.

Lo sviluppo sostenibile dei singoli Paesi è la più grande sfida dell’umanità per il XXI secolo; infatti, i vari “Sistema Paese” dovranno nel futuro essere in grado di risolvere al proprio interno i problemi che generano (inquinamento, emarginazione sociale, disoccupazione,…), senza trasferirli ad altri o a generazioni future.

Una tale sfida è conseguibile solo con la crescita di una consapevolezza globale in tutti i cittadini sui temi legati allo sviluppo sostenibile e alla possibilità concreta di realizzare un maggior equilibrio tra i processi di “globalizzazione dell’economia”, e la capacità di valorizzare le “risorse locali”, dando vita ad una nuova dimensione economica industriale e sociale: la dimensione “glo-cale”.

Anche il Sistema Paese Italia del XXI secolo, per essere all’altezza, non deve essere passivamente inserito nei networks globali di mercato, ma viceversa, contribuire a un modello di sviluppo sostenibile così come delineato dalle istanze emerse negli ultimi venti anni in occasione delle conferenze sull’habitat: l’Habitat I a Vancouver nel 1976, l’Earth Summit di Rio nel 1992, e l’Habitat II a Istanbul nel 1996. Solo cosi entrerà a far parte della Comunità Mondiale del XXI secolo, contribuendo alla soluzione di quelle che stanno diventando vere e proprie emergenze planetarie, quali, la disoccupazione strutturale, l’emarginazione sociale, il degrado urbano e il degrado ambientale.

L’Agenda 21 ha avuto pertanto, in questi ultimi anni, una particolare diffusione a livello locale, essendosi dimostrata un ottimo strumento di programmazione per il territorio.

L’Europa, in questo quadro, gioca oggi un ruolo di leadership, grazie anche a quella Carta di Aalborg con cui, nel 1991, ha preso il via la campagna per le città europee sostenibili.

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In pratica, le Agende 21 locali, se adottate dalle amministrazioni, sono finalizzate a identificare le priorità ambientali specifiche, da perseguire con programmi e azioni concrete, in una logica integrata con la dimensione sociale ed economica dell’area interessata e attraverso un processo di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini.

Agenda 21 consente quindi, alle amministrazioni pubbliche di capire quali sono i problemi del proprio territorio di riferimento, di individuare le soluzioni e di dialogare con i cittadini circa le priorità, gli strumenti e i risultati effettivamente conseguiti e conseguibili.

Il suo valore aggiunto non dipende solo dal costituire uno strumento di miglioramento della qualità ambientale delle regioni interessate, ma anche quello di rappresentare un percorso consensuale che dovrebbe, condurre alle scelte strategiche per il territorio in un contesto di accordo costruttivo tra le amministrazioni e i cittadini.

Lo strumento messo a punto per costruire la base-dati dell’Agenda 21 locale è la Relazione sullo Stato dell’Ambiente (RSA), vero e proprio screening dello “stato di salute” di un determinato territorio, che si fonda sull’utilizzo di indicatori affidabili e confrontabili.

Le metodologie RSA hanno oggi al proprio attivo un’esperienza applicativa diffusa, che ne garantisce la particolare attendibilità dal punto di vista tecnico-scientifico. La redazione del Rapporto sullo Stato dell’Ambiente consente quindi all’Amministrazione di definire un quadro preciso sulla qualità ambientale del proprio territorio, fornendo una base dati organizzata e implementabile nel tempo. Da questo punto di vista, le metodologie RSA rappresentano oggi un utilissimo strumento di supporto alla decisione: per le amministrazioni, in primo luogo, ma anche per i principali partner del processo decisionale relativo al territorio.

Così è, in particolare, per gli operatori economici e le loro rappresentanze, che sempre più sono chiamati a partecipare a scelte orientate a uno sviluppo comune sostenibile, in una logica di responsabilità condivisa per il futuro delle aree territoriali, in cui tutti gli attori, le istituzioni, l’economia e i cittadini, sono chiamati a fare la propria parte.

Inoltre, alcune recenti ed autorevoli elaborazioni della sostenibilità enumerano una serie di condizioni per preservare l’ecosfera e gli stock di capitale umano:

- le quantità che vengono consumate delle risorse rinnovabili non devono superare quelle che possono essere rigenerate;

- le quantità delle risorse non rinnovabili che vengono consumate, non devono superare la velocità di sviluppo dei sostituti rinnovabili o la velocità di crescita dell’efficienza d’uso di entrambi i tipi di risorse;

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- l’emissione di sostanze nell’ambiente non deve superare la massima capacità di assorbimento delle matrici ambientali; occorre che la scala dei tempi dei processi antropogenici sia bilanciata con la scala dei tempi dei processi di risposta ambientale;

- i massimi incidenti che producono effetti sull’ambiente non possono causare effetti di durata maggiore di una generazione per uomini, piante, animali ed eco-sistemi.

Questi principi mettono in stretta connessione le prospettive di ogni possibile modello di sviluppo durevole e sostenibile con le capacità produttive e riproduttive della terra. E’ stato elaborato, per dare conto del rapporto possibile fra ambiente e sviluppo, il concetto di carrying capacity, che è il numero massimo di ogni data specie che un determinato habitat può sostenere indefinitamente; quando tale limite viene superato le risorse iniziano a scarseggiare e, in seguito, le popolazioni iniziano a declinare.

La descrizione dello Stato dell’Ambiente e delle Risorse di un dato territorio richiede la raccolta e l’organizzazione delle informazioni esistenti in un quadro sufficientemente rappresentativo della situazione reale, che sia al tempo stesso sintetico e comprensibile e che individui le relazioni che intercorrono fra lo stato delle risorse, le attività umane e i fattori di pressione.

Si tratta di un’operazione spesso complessa e delicata, che viene comunemente effettuata attraverso l’utilizzo di una serie di indicatori. Con il termine indicatore si identifica uno strumento in grado di fornire una rappresentazione sintetica del fenomeno indagato, traducendo in un dato facilmente leggibile, solitamente espresso in forma numerica, sia informazioni di tipo quantitativo che di tipo qualitativo. Secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), per essere efficaci gli indicatori devono avere le seguenti caratteristiche:

- Utilità: devono essere facilmente interpretabile da parte dei tecnici, dei politici e del pubblico;

- Rilevanza: devono essere in grado di misurare il trend in atto e l’evolversi della situazione ambientale analizzata rispetto agli obiettivi individuati;

- Solidità scientifica: devono essere basati su standard riconosciuti dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale e devono essere relazionabili con banche dati ed altre informazioni esistenti;

- Misurabilità: i dati necessari per calcolarli devono essere facilmente ottenibili, documentati, di qualità comprovata ed aggiornabili regolarmente.

L’utilizzo di indicatori consente di:

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- ridurre il numero di misurazioni e di parametri che sono normalmente necessari per fornire un quadro esatto della situazione indagata;

- facilitare la divulgazione e la comunicazione agli utilizzatori dei risultati delle indagini;

- monitorare l’evoluzione nel tempo della situazione indagata, facilitando il confronto dei dati.

Gli indicatori vengono raggruppati ed organizzati concettualmente secondo diversi modelli di riferimento. Tali modelli cercano di organizzare la lettura degli indicatori che descrivono la situazione ambientale in una struttura capace di individuare le relazioni di

“causa-effetto” e le attività di “risposta” che devono essere messe in atto per ottenere un cambiamento nella direzione desiderata. Vi sono diverse organizzazioni che si occupano della messa a punto di modelli di riferimento per lo sviluppo di indicatori ambientali, le principali sono:

- a livello internazionale: l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e la Commissione per lo Sviluppo Sostenibile (ONU);

- a livello comunitario: l’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA) e gi Uffici Statistici della Commissione Europea (EUROSTAT).

In Italia merita particolare attenzione il lavoro dell’Agenzia Nazionale per la Protezione Ambientale (ANPA), ora Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici (APAT).

I modelli di riferimento più comunemente adottati sono il modello Pressioni, Stato, Risposte (PSR), sviluppato dall’OCSE, e il modello Driving Forces (cause generatrici primarie): Pressioni, Stato, Impatti e Risposte (DPSIR), sviluppato dall’AEA.

Altro modello utilizzato è quello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e relativo ad un sistema di indicatori per un ambiente salubre; tale modello, denominato DPSEEA (Driving Forces, Pressioni, Stato, Esposizione, Effetti, Azioni), si differenzia da quello DPSIR per la presenza di indicatori che indagano gli effetti sulla salute di determinate condizioni ambientali.

Il modello PSR fornisce una struttura per l’organizzazione e la classificazione delle informazioni e degli indicatori ambientali in tre componenti; il modello favorisce infatti, la distinzione tra le cause, o pressioni, che determinano una certa situazione ambientale, i livelli di qualità, o stato, presenti nell’ambiente considerato, e le soluzioni, o risposte, messe in pratica per il miglioramento della situazione ambientale in atto. La relativa semplicità di

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utilizzo e l’efficacia nella presentazione delle informazioni ne hanno determinato un vasto utilizzo da parte di numerose Amministrazioni dei paesi membri dell’OCSE.

Le tre componenti del modello di riferimento PSR si riferiscono a:

- le Pressioni sull’ambiente, che sono gli effetti delle diverse attività dell’uomo sull’ambiente, quali il consumo di risorse naturali e l’emissione di elementi inquinanti per effetto di attività antropiche;

- lo Stato dell’Ambiente, che misura la qualità delle diverse componenti ambientali (aria, acqua, suolo);

- le Risposte, che sono le attività, le iniziative o anche gli standard di qualità messi in atto o definiti per il raggiungimento di obiettivi che si possono tradurre in riduzione delle Pressioni, e dunque in miglioramenti qualitativi nello Stato dell’Ambiente.

Tali componenti, e i relativi indicatori che le rappresentano, sono connesse da una relazione logica circolare, secondo la quale le pressioni sull’ambiente influenzano lo stato dello stesso; questo, a sua volta, determina le risposte da mettere in atto per raggiungere lo standard desiderato, tramite una riduzione delle pressioni su di esso.

Il modello DPSIR, sviluppato dall’AEA, costituisce di fatto un’evoluzione del precedente modello PSR, ottenuta scorporando dalla componente Pressioni, la quantificazione dei fenomeni che le generano (driving forces), il modello DPSIR presenta quindi i seguenti cinque elementi:

- le Driving Forces (cause generatrici primarie) rappresentano il ruolo dei settori economici e produttivi come cause primarie di alterazioni degli equilibri ambientali.

Spesso si riferiscono ad attività e comportamenti antropici derivanti da bisogni individuali, sociali ed economici, stili di vita, processi economici, produttivi e di consumo che originano pressioni sull’ambiente;

- le Pressioni sull’ambiente sono, come nel modello PSR, gli effetti delle diverse attività antropiche sull’ambiente, quali ad esempio il consumo di risorse naturali e l’emissione di inquinanti nell’ambiente;

- la distinzione tra Stato dell’ambiente e Impatti sull’ambiente permette un approfondimento ulteriore dei rapporti di causa ed effetto all’interno dell’elemento Stato. Nel modello DPSIR si separa infatti, la descrizione della qualità dell’ambiente e delle risorse (Stato), dalla descrizione dei cambiamenti significativi indotti (Impatti), che vanno intesi come alterazioni prodotte dalle azioni antropiche negli ecosistemi e nella biodiversità, nella salute pubblica e nella disponibilità di risorse;

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- le Risposte sono, come nel modello PSR, le politiche, i piani, gli obiettivi e ali atti normativi messi in atto da soggetti pubblici per il raggiungimento degli obiettivi di protezione ambientale. Le Risposte svolgono un’azione di regolazione delle Driving Forces, riducono le Pressioni, migliorano lo Stato dell’ambiente e mitigano gli Impatti.

Evoluzione del concetto di sostenibilità del turismo.

L’idea di usare il turismo come strumento per ottenere uno sviluppo sostenibile del territorio trae le sue origini dal movimento per la conservazione della natura sorto negli Stati Uniti attorno agli anni Settanta del XIX secolo.

In quegli anni, l’idea di usare un turismo direttamente collegato alla natura come mezzo per “costringere” il governo a preservare alcuni territori come parchi nazionali o altre tipologie di aree protette diviene l’obiettivo principale del movimento “conservazionista”, la quale culminò nella creazione del Parco Nazionale di Yellowstone nel marzo del 1872.

Più tardi, negli anni Venti del XX secolo, divenne popolare in Europa una tipologia di turismo intesa a riscoprire le peculiarità delle località, con viaggi programmati in mete caratteristiche come castelli medievali e aree montuose.

Il movimento turistico ha iniziato ad assumere connotazioni di fenomeno di “massa” a partire dagli anni Sessanta e Settanta: proprio in quegli anni cominciavano a sorgere le prime considerazioni scientifiche sull’effettivo impatto di tale settore sui substrati economici, sociali e ambientali in cui esso si inseriva, a motivo del crescente impatto del fenomeno non solo nelle località tutelate dallo Stato, giudicate le più fragili territorialmente, ma anche in altre (in specie quelle balneari), comunque spesso non adatte a sopportare eccessivi carichi di pressione turistica.

Un risorgente movimento ambientale cominciò a manifestarsi in molti Paesi industrializzati negli anni Sessanta, che condusse alla formazione di organismi di preservazione, i quali riuscirono a pubblicizzare con successo le istanze ambientaliste e spesso anche a cambiare le politiche nazionali su tali tematiche.

In particolare, si formava una scuola di pensiero radicale (Turner e Ash, 1973; Cazés, 1989 e 1992), che condannava pesantemente l’espansione del fenomeno turistico, sebbene ponesse l’accento soprattutto sui rapporti di squilibrio tra Paesi ricchi e Paesi poveri, che verrebbero ad essere incentivati dal turismo, mentre scarsa attenzione veniva posta al problema della tutela dell’ambiente fisico e alla gestione compatibile con il territorio di tale settore.

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Altri studiosi, come il De Kadt (1979), rimarcavano comunque le problematiche potenzialmente derivanti dal turismo sul territorio, l’impatto di tale fenomeno e propendevano per soluzioni che miravano a rallentare l’espansione dello stesso e che coinvolgessero maggiormente la popolazione locale.

Il dibattito sull’impatto del fenomeno turistico nei vari contesti ambientali inizia a toccare anche le istituzioni nazionali e internazionali fino a giungere alla Conferenza di Manila (27 settembre-10 ottobre 1980), voluta dall’Organizzazione Mondiale per il Turismo “allo scopo di chiarire la reale natura del turismo in tutti i suoi aspetti e il ruolo che il turismo dovrà interpretare in un mondo dinamico e che va largamente cambiando, così come per considerare la responsabilità degli Stati per lo sviluppo e il miglioramento del turismo nella società attuale come qualcosa in più di una mera attività economica delle nazioni e dei popoli”.

La dichiarazione finale della Conferenza di Manila pone maggiormente l’accento sugli aspetti sociali del fenomeno turistico, ma sottolinea anche che “la soddisfazione delle esigenze del turismo non deve essere pregiudiziale agli interessi economici e sociali delle popolazioni delle aree turistiche, all’ambiente o, soprattutto, alle risorse naturali e ai siti storici e culturali, che costituiscono la fondamentale attrazione del turismo. Tutte le risorse turistiche sono parte dell’eredità dell’umanità; le comunità nazionali devono fare i necessari sforzi per assicurare la loro preservazione”.

Si evidenzia comunque, ancora una volta, il marcato orientamento verso la preservazione sociale e culturale più che ambientale a cui si attiene la dichiarazione di Manila; essa costituisce comunque la base delle successive azioni positive e dichiarazioni intraprese dagli organismi pubblici in materia di turismo sostenibile e stabilisce la reale importanza del territorio del turismo, non più visto come mero “scenario” di vacanza (concetto che verrà poi riproposto in modo pessimistico dalla scuola di pensiero post-fordista), ma come variabile- chiave a scopo precipuo dei viaggi verso le varie località.

A partire dagli anni Ottanta si moltiplicano gli studi sul turismo sostenibile attraverso l’impulso sia di organismi privati che pubblici, in cui un ruolo di primo piano viene giocato, oltre che dall’OMT, anche dalle Nazioni Unite, soprattutto attraverso gli organi dell’UNESCO e, successivamente, dell’UNDP (Programma per lo Sviluppo Umano) e dell’UNEP (Programma per la Tutela e lo Sviluppo dell’Ambiente).

Nel 1987 Ceballos-Lascuràin, ricercatore dello IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura e delle Risorse Naturali) formalizza la definizione di

“ecoturismo”, già apparsa in letteratura a partire dagli anni Sessanta come abbreviazione di

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“turismo ecologico”: “il viaggiare in aree naturali relativamente indisturbate e incontaminate con lo specifico obiettivo di studiare, ammirare e godere del panorama e delle sue piante ed animali selvatici così come di ogni manifestazione culturale (sia passata che presente) trovata in queste aree” (Weaver, 2001, p.5).

A partire da quel momento sono state proposte varie definizioni di “ecoturismo”, sebbene bisogna annotare che tutte enfatizzano tre principali caratteristiche dei siti “ecoturistici”: il sostrato “naturale” (intendendo per esso l’accezione estesa adottata per prima dall’UNESCO, come patrimonio fisico e culturale delle località), la coscienza ambientale diffusa nella popolazione locale e nei turisti che li frequentano, la gestione sostenibile attuata sia da organismi pubblici che privati, spesso chiamati insieme a gestire le emergenze ambientali in stretta e proficua collaborazione.

Bisogna dunque, focalizzare l’attenzione proprio sulla tematica della gestione sostenibile del turismo per trasformare le località in senso ecologicamente efficiente: per molto tempo l’ecoturismo è stato limitato pressoché esclusivamente al settore privato, con poche iniziative da ascriversi ai governi o alle organizzazioni internazionali nel campo dello sviluppo o della promozione di progetti eco-turistici.

Attualmente, comunque, la maggior parte dei governi mondiali si è mostrata interessata a questa particolare tipologia turistica per due ragioni principali: innanzitutto, lo sviluppo di qualunque forma di turismo senza adeguate regolazioni governative può causare gravi problemi ecologici e culturali e, inoltre, il coinvolgimento della popolazione locale può generare un impatto economico positivo alle aree rurali o comunque meno sviluppate, riuscendo nel contempo a preservare l’eredità naturale e culturale delle località.

Negli anni Novanta, a seguito dell’importantissimo Summit di Rio de Janeiro del 1992, che ha rilanciato ancora una volta il concetto di sostenibilità, si moltiplicano le conferenze mondiali e regionali, tendenti ad affermare i principi di eco-compatibilità nel settore turistico.

Nel 1995 si tiene a Lanzarote la Conferenza Mondiale sul Turismo Sostenibile, che perviene alla stesura della “Carta del Turismo Sostenibile”, la quale è successivamente approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite.

In particolare, si evidenzia il ruolo del turismo come strumento che può e deve

“contribuire allo sviluppo sostenibile e integrarsi all’ambiente naturale, culturale e umano;

esso deve rispettare i fragili equilibri che caratterizzano molte destinazioni turistiche…”; si ribadisce, inoltre, che il turismo “deve considerare i suoi effetti sull’eredità culturale e sugli elementi, le attività e le dinamiche tradizionali di ogni comunità locale. Il riconoscimento di

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questi fattori locali e il supporto per l’identità, la cultura e gli interessi della comunità locale deve in ogni tempo svolgere un ruolo centrale nella formazione delle strategie turistiche…”

Inoltre, si evidenzia la necessità della cooperazione di tutti gli attori coinvolti nel fenomeno turistico per la concertazione e la risoluzione delle emergenze ambientali a tutti i livelli, da quello internazionale fino a quello locale.

Nella seconda metà degli anni Novanta anche l’Unione Europea, fino ad allora scarsamente coinvolta nelle tematiche riguardanti il settore turistico, promuove un’importante conferenza a Calvià nell’aprile 1997 su “Turismo e sviluppo sostenibile nel bacino mediterraneo”, allo scopo di concretizzare alcune tematiche relative alla cooperazione seguenti alla nascente “Area euro-mediterranea di libero scambio”, la quale aveva già prodotto sul tema turistico l’importante Carta di Casablanca del 1993, poi inclusa nella

“Dichiarazione euro-mediterranea” di Barcellona del 1995.

In tale conferenza si redige la “Dichiarazione mediterranea sul turismo mediterraneo”, in cui si riconosce che: “la regione mediterranea, la culla di grandi civiltà, è stata testimone di enormi risultati economici, ma ha anche sofferto per il degrado del proprio patrimonio naturale e culturale”.

In essa si riconosce allora il ruolo fondamentale delle autorità locali nella risoluzione dei problemi e nella promozione della sostenibilità nel turismo, attraverso l’avvio dei procedimenti di redazione delle “Agenda 21 Locali”; in campo internazionale, inoltre, si raccomanda fortemente l’Unione Europea di supportare le strategie turistiche sostenibili attraverso il programma di cooperazione mediterranea, denominato MEDA.

In un’altra conferenza tenutasi nel novembre 1997 in Lussemburgo sulle tematiche del turismo, in cui esso venne evidenziato come settore fondamentale di generazione di posti di lavoro nella UE, nel 1999 la Commissione Europea decide di formare alcuni working groups concernenti le tematiche ritenute più interessanti da sviluppare in ambito turistico, tra cui la sostenibilità ambientale.

Nel rapporto finale del gruppo di lavoro riguardante la sostenibilità ambientale (Mercadou, Pelletreau e Vourch’h, 2001) si individuano, tra l’altro, le fasi necessarie per lo sviluppo del turismo sostenibile nell’ambito dell’Unione Europea: innanzitutto, si dovrà elaborare una “Carta Europea dei territori del turismo durevole”, gestito dal “Comitato 21 Europeo per il turismo durevole”, il quale avrà precedentemente dovuto redigere l’Agenda 21 del Turismo valida per l’intera UE; nella seconda fase si dovranno identificare i territori pilota attraverso una valutazione delle “buone pratiche” esistenti riguardo alle tematiche della sostenibilità; in un terzo momento si dovranno collegare a rete i diversi territori pilota

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attraverso le pratiche del partenariato, coordinato da una struttura associativa; in un’ultima fase, infine, si dovrà sviluppare un “marchio ombrello” unico dell’Unione Europea per promuovere le località facenti parte della “rete” del turismo sostenibile, al fine di essere facilmente riconosciute dalla clientela.

Inoltre, vengono individuati gli obiettivi strategici per gestire la sostenibilità nell’Unione Europea e, per ognuno di essi, si individuano le raccomandazioni da seguire per l’ottenimento degli stessi, tracciando anche le azioni positive da svolgersi a livello della UE e nell’ambito di singoli stati o regioni oppure di comunità locali.

Un altro importante convegno tenutosi a Santo Domingo nel giugno del 2001 e patrocinato dall’UNEP dal tema le “Linee guida progettuali internazionali per le attività correlate allo sviluppo del turismo sostenibile”, ha cercato di porre particolare attenzione al problema correlato alla preservazione delle biodiversità.

Il rilancio dell’azione delle Nazioni Unite si è avuto comunque soprattutto a partire dalla proclamazione, avvenuta nel 1998 da parte del Consiglio Economico e Sociale, dell’anno 2002 come “Anno Internazionale dell’Ecoturismo” (IYE).

Come risultato di ciò, a partire dal 1998, si sono tenute molte conferenze regionali in tutto il mondo per discutere di eco-turismo; queste hanno incluso nove conferenze preparatorie, di cui la più importante per l’Europa è stata quella tenutasi a Salonicco nel novembre del 2001.

Nel maggio del 2002 si è tenuto a Quebec City il “Summit Mondiale sull’eco turismo”, momento topico e conclusivo dei lavori condotti a partire dal 1998 e sponsorizzati dalle Nazioni Unite; in esso sono stati sintetizzati i lavori delle conferenze regionali per poi giungere alla “Dichiarazione del Quebec sull’eco turismo”.

Esso si traduce in una serie di raccomandazioni indirizzate innanzitutto ai governi nazionali, regionali e locali, ma anche al settore privato, alle organizzazioni non governative, alle associazioni locali, alle istituzioni accademiche e di ricerca, agli enti e alle istituzioni finanziarie internazionali, alle agenzie di assistenza allo sviluppo e, infine, alle comunità locali.

Tra gli obiettivi più rilevanti enunciati nella Dichiarazione di Quebec City si sottolinea la necessità di promuovere programmi di eco-turismo che contribuiscano attivamente alla preservazione e alla promozione del patrimonio culturale locale, oltre che di quello naturale, e l’auspicio che i siti eco-turistici debbano sviluppare infrastrutture in grado di accogliere visitatori indipendenti (ossia, coloro che usufruiscono delle stesse al di fuori di programmi ecoturistici organizzati).

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Gli indicatori utilizzati per la valutazione dell’impatto ambientale del settore turistico.

Allo scopo di valutare il turismo e le sue interrelazioni con l’ambiente e il territorio in cui tale attività viene ad instaurarsi, si procederà in tale studio alla formulazione di alcuni indicatori, in parte già utilizzati dalla letteratura in materia (ed eventualmente modificati ed adattati allo scopo) e in parte sviluppati ad hoc per il presente lavoro.

Le valutazioni che verranno svolte nel presente studio riguardano fondamentalmente la situazione attuale (o, meglio, dei dati concernenti l’ultimo anno disponibile, il 2001) dell’offerta e della domanda turistica nella Regione Abruzzo.

Per quanto riguarda l’offerta, dopo aver identificato su base comunale le infrastrutture (alberghiere ed extra-alberghiere) disponibili, si procederà alla valutazione della qualità delle infrastrutture ricettive.

La mera disponibilità di posti-letto infatti, non costituisce un elemento di differenziazione dell’offerta turistica: per questo, molte località hanno scelto di caratterizzare il proprio prodotto, presentando via via un’ampia gamma di scelta; nel caso specifico del settore alberghiero, generalizzando si va dai piccoli centri con prevalenza di pensioni e alberghi di piccole dimensioni a gestione familiare fino alle stazioni di lusso con strutture di pregio.

L’indice scelto per rappresentare sinteticamente la qualità delle strutture alberghiere nei vari contesti comunali è quello utilizzato originariamente da Mirloup (1974) e basato sulla classificazione in “stelle”, opportunamente modificato nel caso specifico nella seguente formula:

Ai = ∑ ((Lci / Lct) * 100 * C)

Ai = indice di attrattività della località i-esima;

Lci = numero dei letti complessivi della categoria alberghiera “c” presenti nella località i- esima;

Lct = numero dei letti complessivi della categoria alberghiera “c” presenti nel complesso (regionale) dell’ambito indagato;

C = categoria alberghiera espressa in termini di “stelle” (da 1 a 5).

L’indice varia da 0 al valore massimo regionale che, se fossero presenti tutte le categorie, varrebbe 1.500, mentre in Abruzzo raggiunge solamente il valore di 1.000 perché nel 2001 non risultano esercizi della categoria massima (5 stelle).

Attraverso il calcolo di tale indice sintetico della qualità degli alberghi, si possono classificare sostanzialmente le località in base al loro grado di attrattività relativo alle

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infrastrutture alberghiere (che, comunque, essendo la più rilevante, e spesso l’unica, forma di alloggio turistico nelle province abruzzesi, può considerarsi anche un buon indice per il complesso delle attrattive della località).

L’elevata qualità delle infrastrutture in una determinata località è molto spesso sintomo di un rispetto e di tutela dell’ambiente maggiore di quelle legate al fenomeno del turismo di massa: (è tale l’esempio della Costa Azzurra).

Allo scopo di valutare l’impatto dell’offerta turistica, ed in particolare di quella infrastrutturale, si utilizzano particolari indici denominati di “densità turistica”: essi possono essere intesi in due accezioni differenti di calcolo, ma anche di significato, ossia rapportando il numero dei letti disponibili in un determinato contesto territoriale, all’estensione dell’area oggetto di studio, oppure alla popolazione residente.

Nel primo caso, si tenta di definire l’impatto delle infrastrutture turistiche sul territorio fisico, sebbene questo sia sicuramente dipendente da altre variabili, come l’effettivo volume dell’infrastruttura (e il “consumo” di spazio della stessa), il tipo di terreno e di ambiente su cui insiste, ecc; tale indice viene definito propriamente di “densità territoriale del turismo”.

L’Italia nel 2001 mostra una “densità territoriale del turismo” pari a 13,36 letti per kmq, mentre l’Abruzzo denota un tasso nello stesso periodo leggermente inferiore, pari a 8,80 letti per kmq; nel presente studio, in base ai risultati ottenuti, si propone tale classificazione delle località per questo indice: località con valori sotto l’8,80, densità territoriale nulla o trascurabile; valori compresi tra l’8,80 e 25, pressione territoriale medio-alta; valori compresi tra 25 e 50, centri turistici ad alta densità turistica; valori compresi tra 50 e 100, centri con altissima densità turistica; valori registrati oltre 100 posti-letto per kmq, grande stazione turistica con carico territoriale notevole da monitorare attentamente.

Nel secondo caso, si tenta di confrontare l’attività o l’intensità turistica attraverso la giustapposizione della popolazione locale con il numero dei letti totali a disposizione delle infrastrutture ricettive, che dovrebbe rappresentare la massima capacità di carico di turisti della località analizzata (ma sfuggono a questa valutazione, come noto, le disponibilità di alloggiamento nelle seconde case per mancanza di dati certi e oggettivi); questo indice, denominato di “funzione turistica”, ideato da Defert (1956, 1967), misura l’impatto dell’offerta turistica sul sostrato sociale anziché fisico del territorio oggetto d’indagine, allo scopo di fornire informazioni sulla capacità di assorbire il turismo in termini demografici.

Non è infrequente, infatti, che il turismo possa generarsi in territori estesi, ma scarsamente popolati, in modo da non poter essere supportato nella sua espansione da un valido apporto di manodopera locale (ciò è tanto più vero in contesti territoriali in declino demografico); alla

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scala opposta, una forte densità di popolazione in esigui ambiti territoriali provoca una tensione enorme in termini di capacità di carico dell’ambiente; tale situazione si aggrava se la località diventa meta turistica, cosicché si amplificano i problemi di pressione ambientale già normalmente esistenti.

In Italia nel 2001 si registra un indice di “funzione turistica” pari a 70,61 letti ogni mille residenti, mentre l’Abruzzo si colloca in una situazione con un valore di tale tasso leggermente più elevata, pari a 75,21; dato che l’indice di “densità territoriale” regionale risultava più modesto di quello nazionale, è evidente che l’Abruzzo risulta sottopopolato rispetto all’Italia nella sua interezza.

Riguardo il tasso di “funzione turistica”, interessante appare anche la classificazione dei centri francesi secondo Boyer (1972), che si può andare a trasporre nel caso attuale in tale schematizzazione: centri con valori inferiori a 75,21, ossia quelli con poche attività e funzioni turistiche e scarsamente incidenti in tale settore; centri con valori compresi tra 75,21 e 100, ossia quelli in cui il turismo è un comparto significativo, ma non dominante; centri con valori compresi tra 100 e 500, ossia quelli in cui il turismo è molto rilevante, ma insieme ad altre attività; centri con valori compresi tra 500 e 1000, ossia quelli in cui il turismo domina l’economia locale, mentre scarsissimo spazio è riservato agli altri settori; centri con valori registrati oltre 1000, ossia le grandi stazioni turistiche saturate economicamente da tale comparto.

Entrambi gli indici offrono quindi la possibilità di indagare su aspetti rilevanti della problematica del turismo riguardo all’ambiente di sviluppo e perciò essi andranno letti congiuntamente allo scopo di formulare giudizi sull’infrastrutturazione turistica nelle varie località.

Dopo aver esaminato la dotazione infrastrutturale riguardante la Regione Abruzzo, occorrerà procedere alla valutazione della domanda e alla sua distribuzione territoriale all’interno delle Province e dei singoli ambiti comunali.

Uno degli indici più comunemente utilizzati in letteratura è quello di utilizzazione lorda, applicata nel presente studio alle infrastrutture alberghiere, laddove i dati siano disponibili e non contrastino con la normativa vigente sul segreto statistico; esso valuta comunque precisamente la pressione esercitata sugli alberghi (e sulle località) da parte dei turisti nei diversi mesi dell’anno. Esso è stato formulato nel seguente modo:

Pt = (Pr. / P. L. * Gt) *100

Pt = indice di pressione al tempo t (anno o mese)

Pr. = presenze totali registrate nell’ambito territoriale prescelto al tempo t.

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P. L. = posti letto totali disponibili nell’ambito territoriale prescelto.

Gt = giorni contenuti nel periodo t.

L’indice percentuale dovrebbe perciò variare in una percentuale compresa tra 0 (inutilizzazione totale delle infrastrutture ricettive o mancanza delle stesse) a 100 (massima utilizzazione dell’apparato ricettivo nel periodo).

Di fatto nella realtà si presentano anche casi, in specie nel periodo estivo, di sovra- utilizzazione delle strutture con la creazione di nuovi posti-letto nelle camere che, solitamente pensate per essere singole o doppie si trasformano in triple o perfino in quadruple.

Si è pensato perciò di ipotizzare una classificazione in base alle percentuali risultanti dall’indice di utilizzazione lorda come la seguente:

da 0 a 20 = bassa pressione da 20 a 40 = pressione normale da 40 a 60 = pressione rilevante da 60 a 80 = pressione molto elevata da 80 a 100 = pressione massima

oltre 100 = situazione di rischio ambientale immanente.

Tale indice verrà calcolato e analizzato sia come media annuale sia nei periodi di massimo afflusso e di minimo, i quali variano di volta in volta nelle quattro Province abruzzesi, ma che in generale coincidono rispettivamente con il periodo estivo e con quello autunnale e invernale.

La valutazione dell’impatto dell’uomo sull’ambiente è piuttosto difficile per la mancanza ancora di dati statistici adeguati che consentano una formulazione della stessa estendibile a tutto il territorio osservato.

La scelta di monitorare l’impatto del turismo attraverso l’osservazione della produzione di rifiuti urbani nasce dunque, dall’esigenza di poter analizzare un effetto diretto dell’impatto dell’uomo sull’ambiente alla scala comunale, mentre altri dati, riguardanti fenomeni pur rilevanti per il comparto turistico, sono di più difficile reperimento e comunque spesso non estesi a tutto il territorio regionale (è il caso, per esempio, del traffico stradale, del rumore, della balneabilità, dell’inquinamento fluviale).

In generale un indice molto utilizzato è quello della produzione annuale di rifiuti da parte di ogni residente nel centro (espresso dai kg prodotti mediamente per abitante); tale misura, in realtà, risulta parziale, perché i rifiuti urbani non sono influenzati solamente dalla popolazione locale, ma anche dalle attività che vengono a essere ubicate nelle località.

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Nel tentativo di fornire un indice di impatto del singolo settore turistico sul complesso della produzione di rifiuti solidi urbani, si è pensato di sommare alla popolazione residente il numero dei letti totali a disposizione dell’offerta ricettiva: in tal modo, è come se si ipotizzasse che i letti siano occupati lungo tutto il corso dell’anno e perciò si possa aggiungere alla popolazione locale un numero di turisti pari ai letti disponibili.

Procedendo in tal modo, l’indice di produzione di rifiuti per posto letto verrà espresso dalla seguente formula:

Rtur = (Rtot / P) - (Rtot / P + Pl)

Rtur = Rifiuti prodotti per posto letto turistico;

Rtot = Rifiuti totali;

P = Popolazione residente nel comune;

Pl = Posti letto totali a disposizione.

In realtà, si dovrebbe ulteriormente raffinare tale indice ponderando il numero dei letti con l’indice di utilizzazione lorda (che misurerebbe l’effettiva utilizzazione delle infrastrutture), ma ciò non è possibile laddove non vengono forniti dati relativi a comuni che non abbiano almeno tre infrastrutture ricettive della stessa tipologia (alberghiera o extralberghiera), in base a quanto stabilito dall’art. 9 del D. Lgs. 322/1989 e successive modifiche e integrazioni.

Senza questa correzione (importante soprattutto per gli esercizi a chiusura stagionale) l’indice può apparire in alcuni casi eccessivamente elevato, ma comunque offre un quadro abbastanza realistico delle problematiche in oggetto.

Una volta constatata la situazione relativa alla distribuzione territoriale della produzione di rifiuti nella Regione Abruzzo, si può cercare di analizzare la risposta che gli enti locali, in questo caso i comuni, offrono alle problematiche legate alla gestione delle RSU: la principale risposta valutabile nel caso dei rifiuti sulle politiche attuate dai comuni è la quantità degli stessi che viene avviata alla raccolta differenziata.

Gli indicatori utilizzati sono del tutto analoghi a quelli precedenti anche per un confronto più immediato degli stessi: in particolare, risulta importante conoscere quali procedure vengano adottate (e in che misura) nei centri più attrattivi dal punto di vista turistico, per esaminare se queste forme di tutela siano inserite nelle agende della politica locale o se al contrario esse vengano al momento trascurate perché non se ne avverte la necessità.

Nella Regione Abruzzo nel 2001 sono stati emessi 586.088.234 kg di rifiuti, pari a 464,27 kg all’anno per residente; la raccolta differenziata è stata pari a 53.191.415 kg di RSU (ossia il 9,08 % del totale), decisamente inferiore a quello previsto dal Decreto Ronchi (D. Lgs. 22/97,

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art. 24) per il 2001, in cui il traguardo-obiettivo della raccolta differenziata veniva fissato al 25 %.

Per quanto riguarda la produzione di rifiuti da parte del settore turistico, così come si è proceduto a stimarlo in base agli indicatori sopra descritti, il turismo produce mediamente 32,48 kg per posto letto, mentre la raccolta differenziata turistica per posto letto è in Abruzzo pari a 2,95 kg; tali valori saranno presi in considerazione come medie per l’Abruzzo e si confronteranno con quelli delle varie località.

Resta comunque rilevante la valutazione della balneabilità nel contesto dei diciannove comuni facenti parte della Regione Abruzzo, dato che l’attrattività della costa è ancora il motore principale del comparto turistico delle tre province lungo cui si sviluppa la fascia costiera.

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La provincia dell’Aquila (Fabrizio Ferrari)

1. Il turismo in provincia dell’Aquila: aspetti generali.

Il turismo in provincia dell’Aquila è apparso fin dai primordi come un settore strategico per l’economia per due ordini di motivi, uno geografico e l’altro economico: sotto il primo aspetto bisogna annotare la relativa vicinanza a due grandi bacini emettitori di flussi, ossia quello laziale (in particolare romano) e quello campano; per quanto riguarda il secondo, il progressivo assottigliamento dell’economia tradizionale montana, basata sull’agricoltura e ancor di più sulla pastorizia, a sua volta causa ed effetto al contempo dell’abbandono dei piccoli centri e dell’emigrazione di massa, ha comportato una progressiva transizione economica, che, a differenza di quanto avviene di solito, si è immediatamente traslata verso il terziario (in cui un ruolo preminente gioca il turismo), dato che l’industrializzazione di medie e grandi dimensioni non appare compatibile con i territori accidentati della provincia se non nelle aree vallive circostanti i tre principali centri (L’Aquila, Avezzano e Sulmona).

Lo sfruttamento delle caratteristiche naturali del territorio, ma anche il sostanziale rispetto dell’ambiente naturale come testimonia l’antesignana creazione del Parco Nazionale d’Abruzzo, hanno permesso di improntare un orientamento turistico volto, da un lato, al turismo montano invernale ed estivo, che hanno permesso ad alcune località aquilane di connotarsi tra le principali per tale tipologia turistica nel Centro-Sud e, dall’altro, verso la riqualificazione della cultura e delle tradizioni, anche se spesso ancora tali procedimenti si connotano come in itinere, dei centri minori.

L’offerta alberghiera aquilana si è progressivamente rafforzata, tanto che questa provincia è oggi la prima in Abruzzo per numero di arrivi di turisti negli alberghi, avendo sorpassato la provincia di Pescara in tale categoria; questo risultato è tanto più sorprendente se si pensa che L’Aquila sopravanzava solo Teramo per numero di turisti negli alberghi; bisogna per contro sottolineare come il numero di presenze alberghiere nella provincia dell’Aquila sia inferiore al dato di Teramo a sottolineare la relativa brevità dei soggiorni negli alberghi di tale provincia.

Per quanto riguarda, invece, il settore extra-alberghiero, esso risulta piuttosto modesto e scarsamente significativo, sebbene bisogna sottolineare che sfugge a queste considerazioni il grande movimento “sommerso” relativo alle seconde case, forse in questa provincia più significativo che nelle altre abruzzesi a motivo del ripristino da parte dei turisti della

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funzionalità di strutture non più utilizzate dalla popolazione locale, a motivo del già citato assottigliamento demografico.

Resta comunque prioritaria la diffusione del turismo anche nei centri “minori”, proprio in una funzione fondamentale di rivitalizzazione del territorio e di una maggiore connessione delle varie località, in specie di quelle che offrono prodotti simili in un sistema di stretta contiguità territoriale.

2. L’offerta turistica in provincia dell’Aquila.

2.1 La capacità ricettiva della provincia dell’Aquila.

Il settore alberghiero nella provincia dell’Aquila è attualmente il secondo per numero dei posti-letto in Abruzzo dopo quello di Teramo, potendo contare su 12.524 letti (ossia 42 ogni mille residenti); il settore extra-alberghiero si fonda pressoché esclusivamente sui campeggi, con una capacità complessiva non molto rilevante e pari a 4.375 posti-letto (distribuiti all’interno di soli 14 esercizi), a cui bisogna aggiungere una quota relativamente rilevante di alloggi in affitto (911 letti) e più modesta di alloggi agro-turistici e altre strutture ricettive (Fig. 1).

12524 4375

911 401 314

Alberghi

Campeggi e villaggi turistici Alloggi in affitto

Alloggi agro-turistici Altre strutture ricettive

Figura 1.La capacità ricettiva della provincia dell’Aquila (in termini di posti letto disponibili) nel 2001.

(Fonte: elaborazione su dati ISTAT).

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Occorre dunque, riflettere sulla relativa scarsa diffusione della infrastrutturazione ricettiva cosiddetta “leggera”, in specie di quella dei campeggi (ma il discorso potrebbe valere anche per gli alloggi agro-turistici), che pur avendo il difetto di essere fortemente influenzata dalla stagionalità, essendo fruibile solo nei periodi climatologicamente favorevoli, ha anche l’indiscutibile pregio di offrire un contatto più diretto con la natura; è dunque da vedersi con favore l’espansione di tale formula ricettiva in un territorio come quello aquilano, in cui il turismo “verde” viene visto come elemento di punta caratterizzante il prodotto offerto.

Andando ad esaminare la distribuzione territoriale dei posti-letto alberghieri (Fig. 2), emergono tre centri principali, ossia Roccaraso (con 1.670 letti pari al 13,33 % del totale provinciale), Pescasseroli (con 1.334 letti pari al 10,65 %) e L’Aquila (con 1.266 letti pari al 10,11 %).

Vi è poi un gruppo di località molto importanti, con un’offerta alberghiera numericamente inferiore ai primi tre centri, ma sicuramente rilevante nell’assetto infrastrutturale provinciale:

in tale raggruppamento si trovano Scanno, Rivisondoli e gli altri due centri principali della provincia, Avezzano e Sulmona, sebbene quest’ultimo mostri una capacità ricettiva piuttosto inadeguata rispetto alle proprie potenzialità.

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0 15 30

Chilometri

Posti Letto

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1.700

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850

(( 170

Figura 2. Distribuzione territoriale dei posti-letto alberghieri nella provincia dell’Aquila (2001).

(Fonte: elaborazione su dati ISTAT).

In generale si possono riscontrare alcuni importanti sistemi turistici nell’assetto infrastrutturale alberghiero aquilano: a nord, domina l’offerta ricettiva dell’Aquila, potendo

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contare sulla sua funzione di capoluogo e sulle attrattive del versante aquilano del Gran Sasso-Campo Imperatore e sulla Piana di Navelli, mentre a sud di tale centro si sviluppa il bacino sciistico di Campo Felice e del Sirente, che congiunge il sistema del capoluogo alla area di attrazione della Marsica, polo secondario e indipendente nel quadro provinciale; a sud, vi è il maggiore complesso attrattivo della provincia dell’Aquila, che conta su centri sciistici e naturalistici di grande rilievo (e che comprendono anche il Parco Nazionale d’Abruzzo), in cui in primo piano si denotano Roccaraso e Pescasseroli; infine, vi è un’agglomerazione turistica rilevante, sebbene ancora secondaria nell’assetto provinciale, sul versante aquilano della Maiella, in particolare centrata sulle località di Sulmona e di Campo di Giove.

Per quanto riguarda invece l’offerta ricettiva extra-alberghiera (fig. 3), i centri principali risultano essere Villalago, Tagliacozzo e Pescasseroli, dove vi è una grande disponibilità di letti in alloggi in affitto, mentre negli altri centri risultano ubicate solo alcune grandi strutture di campeggio.

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Chilometri

Posti Letto

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1.000

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500

(( 100

Figura 3. Distribuzione territoriale dei posti-letto extra-alberghieri nella provincia dell’Aquila (2001).

(Fonte: elaborazione su dati ISTAT).

Nel caso delle strutture extra-alberghiere si nota una maggiora concentrazione territoriale di quelle alberghiere nella provincia dell’Aquila, con una sola agglomerazione significativa nell’area meridionale compresa tra Roccaraso e Pescasseroli, a cui si aggiunge il capoluogo con una discreta infrastrutturazione; prevalgono, al contrario, le microstrutture piuttosto

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diffuse e disperse sul territorio, che comunque andrebbero incoraggiate e incentivate, in specie come forma sussidiaria a quella alberghiera nei centri turisticamente più maturi e sostitutiva della stessa nelle località ancora scarsamente coinvolte nello sviluppo turistico, in modo da stimolare tale comparto anche in località minori, come quelle dell’area centrale della provincia.

2.2 La qualità delle infrastrutture alberghiere in provincia dell’Aquila.

Esaminando la qualità delle strutture alberghiere in provincia dell’Aquila, come indicatore più generale della qualità del settore ricettivo in tale contesto territoriale, esso si colloca al secondo posto in Abruzzo (con un valore complessivo di 251,63 sul totale regionale pari a 1000), con una marcata prevalenza di esercizi a 3 stelle (8.144 letti, pari al 65,41 % del totale) e con una discreta dotazione di strutture a 4 stelle (2.200 posti-letto, pari al 17,67 %), superiore, quest’ultima, alla capacità di alloggio totale degli alberghi a 1 e 2 stelle (che complessivamente possono contare su 2.106 letti).

L’evoluzione recente (1991-2001) del settore alberghiero nella provincia dell’Aquila vede un progressivo miglioramento della qualità delle infrastrutture con un notevole incremento degli esercizi a quattro stelle e minore di quelli a tre stelle, mentre sostanzialmente invariato appare il numero delle infrastrutture a due stelle e in decremento, seppure relativamente contenuto rispetto ad altri contesti territoriali, quello degli esercizi a una stella;

interessante è notare come, però, gli stessi esercizi appaiano assumere una dinamica di contrazione come numero medio di letti per infrastruttura nello stesso periodo: così i 4 stelle scendono dai 93 agli 88 letti per esercizio, i 3 stelle da 76 a 68, i 2 stelle da 36 a 31, mentre gli esercizi a 1 stella mantengono una capacità di accoglienza sostanzialmente invariata dal 1991, pari a una media di 20 posti-letto per esercizio.

Da questi dati emergono dunque alcuni spunti di riflessione interessanti: innanzitutto, la volontà, comune a molti altri territori, di incrementare nella provincia il numero degli esercizi di miglior qualità per cercare di contendere a località più famose la clientela di livello medio- alto; a questa, però, si accompagna solo in minima parte l’usuale parallelo decremento delle infrastrutture di medio-basso livello, che resistono soprattutto nei piccoli centri, dove la concorrenza ancora scarsa e il loro “clima” di tipicità e di stretta connessione con il territorio contribuiscono alla sopravvivenza delle stesse; si continuano a preferire, al contrario delle tendenze generalmente in atto, gli esercizi di dimensioni mediamente contenute, ritenuti evidentemente maggiormente in linea con uno sviluppo armonico e rispettoso del territorio circostante.

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Per quanto riguarda l’indice di qualità alberghiera nella provincia dell’Aquila (Fig. 4), esso raggiunge in tale contesto provinciale un valore di 251,63 (su un totale regionale pari a 1000), superata in Abruzzo solo dalla qualità della dotazione infrastrutturale della provincia di Teramo.

La località turistica aquilana che raggiunge il valore più elevato per la qualità della propria offerta alberghiera è Pescasseroli (37,51), che si denota in tal senso come il miglior centro dell’interno in Abruzzo, seppure sopravanzato da diverse località (per la precisione otto) della fascia litoranea; gli altri due centri di eccellenza del turismo aquilano sono Roccaraso (27,18) e L’Aquila (22,62): per il primo occorre comparare il dato con quello di Pescasseroli, la cui storia turistica appare per molti versi parallela, per evidenziare che le traiettorie dei due centri ora invero vanno divergendo, a motivo del maggior sviluppo nel centro del Parco Nazionale d’Abruzzo di strutture di qualità e di contenuta capacità ricettiva negli ultimi anni, al contrario di Roccaraso dove prevalgono ancora esercizi di qualità media e di dimensioni maggiori; per il capoluogo occorre ancora una volta rimarcare, da un lato, il risultato sicuramente rilevante, che la pone tra le prime quindici località d’Abruzzo in quest’indice, ma, dall’altro, anche le potenzialità di sviluppo delle stesse infrastrutture, ancora in parte non espresse.

0 15 30

Chilometri

Indice di attrattività

(classi per interruzione naturale)

da 22,61 a 37,52 da 6,74 a 22,61 da 1,78 a 6,74 da 0,15 a 1,78 senza strutture

Figura 4. Indice sintetico della qualità degli alberghi nella provincia dell’Aquila (2001).

(Fonte: elaborazione su dati Regione Abruzzo).

Nell’offerta alberghiera aquilana va inoltre rimarcato il ruolo di altri centri importanti, seppure gerarchicamente inferiori ai tre principali: Scanno (quarta località della Provincia per

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qualità alberghiera con un indice pari a 16,99) e Rivisondoli, che completano il quadro del sistema turistico meridionale aquilano; Avezzano, Tagliacozzo e Scurcola Marsicana (con un solo esercizio, ma a quattro stelle) nella Marsica; Rocca di Mezzo e Ovindoli nell’area del Monte Sirente di saldatura tra quella aquilana e quella marsicana; Sulmona e Campo di Giove, sul versante aquilano delle montagne del Morrone e della Maiella.

Ancora una volta si può rimarcare la cantonalizzazione dello spazio turistico aquilano, che, se da un lato può essere vista negativamente perché espressione di un continuo processo di potenziamento di alcune località a danno di altre, che rimangono unicamente oggetto di mete sporadiche e marginali di circuiti turistici, spesso con partenza e arrivo nei centri già attrezzati turisticamente, dall’altro può anche essere intesa come meccanismo (inizialmente del tutto spontaneo, sebbene negli ultimi tempi si inizi a concepire l’idea di prodotto turistico

“integrato”) di identificazione di sub-aree con proprie peculiarità e caratteristiche, che possono nel tempo diventare veri e propri “sistemi turistici”, i quali, comunque, non dovrebbero entrare in conflittualità tra loro ma contribuire al miglioramento generale del comparto turistico nella provincia dell’Aquila.

2.3 La densità delle infrastrutture turistiche in provincia dell’Aquila.

Sulla vasta superficie territoriale (5.034,46 kmq, pari al 46,64 % di quella regionale) della provincia dell’Aquila sono insediati esercizi ricettivi per un totale di 18.525 posti-letto; ne deriva una sostanziale scarsa occupazione degli spazi, con un indice di densità territoriale pari a 3,68 letti per kmq, ben al di sotto sia del valore nazionale che di quello regionale.

Tale valore è comunque giustificato dalla difficile configurazione orografica del territorio aquilano, in prevalenza montuoso, che non permette una sistematica occupazione degli spazi tranne che negli altipiani e nelle vallate fluviali; a ciò si deve aggiungere la considerazione che gran parte della provincia ricade in aree protette, che delimitano fortemente la costruzione di nuovi edifici.

La distribuzione territoriale dei posti-letto nella provincia dell’Aquila evidenzia comunque alcuni squilibri territoriali (Fig. 5); innanzitutto bisogna rimarcare come 33 comuni, per un totale di 990,56 kmq (pari al 19,68 % del territorio provinciale) non hanno nessuna tipologia di infrastrutture ricettive (i più estesi di questi sono Lecce nei Marsi, Pettorano sul Gizio e Collelongo).

Gran parte dei centri (65 per la precisione) mostrano una densità territoriale al di sotto della soglia regionale dell’8,8 letti per kmq, tra cui si annoverano il capoluogo e Avezzano; se si legge tale dato congiuntamente con quello precedente, si evince che ben 4.537,97 kmq del

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territorio provinciale, pari al 90,14 %, non è interessata da una densità territoriale turistica marcata.

0 15 30

Chilometri

Letti per kmq da 25,00 a 50,00 da 8,80 a 25,00 da 0,01 a 8,80 senza strutture

Figura 5. La densità territoriale del turismo in provincia dell’Aquila (numero di letti totali a disposizione per kmq).

(Fonte: elaborazione su dati ISTAT e Regione Abruzzo).

Il dato, sicuramente positivo e che permette di affermare che la provincia dell’Aquila potrebbe sicuramente espandere, da un punto di vista strettamente fisico, la propria infrastrutturazione turistica ricettiva; sicuramente, date le caratteristiche morfologiche del territorio, sarebbe preferibile incoraggiare l’espansione di infrastrutture “leggere”, in particolare gli alloggi agro-turistici e i beds and breakfasts.

Gli unici casi in cui si registra una densità territoriale turistica alta (compresa tra i 25 e i 50 posti-letto per kmq) sono Roccaraso (con il valore massimo provinciale pari a 40,40 letti per kmq), Villalago e Villetta Barrea; bisogna comunque sottolineare come in questi due ultimi centri prevalgano strutture di campeggio, il cui impatto incide sul territorio, con l’eccezione del periodo di massimo afflusso, in maniera molto meno marcata e meno persistente rispetto agli edifici alberghieri, predominanti a Roccaraso.

L’analisi della pressione provocata dalle infrastrutture ricettive, come si è scritto, non appare dunque particolarmente significativa in termini di consumo fisico del territorio, ma non altrettanto si può affermare per quanto riguarda il tasso di funzione turistica (Fig. 6).

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0 15 30 Chilometri

Letti per 1.000 residenti da 1.000,00 a 1.855,35 da 500,00 a 1.000,00 da 100,00 a 500,00 da 75,21 a 100,00 da 0,01 a 75,21 senza strutture

Figura 6. Il tasso di funzione turistica in provincia dell’Aquila (numero di letti totali a disposizione per 1000 residenti).

(Fonte: elaborazione su dati ISTAT e Regione Abruzzo).

In effetti, bisogna premettere che la situazione demografica in provincia dell’Aquila appare piuttosto critica, dato che si è registrato al censimento del 2001 una popolazione residente pari a 297.424 unità, per la prima volta in flessione dalla rilevazione censuaria precedente (nel 1991 la popolazione era di 297.838 unità); in effetti, anche se il decremento è stato comunque modesto (ossia pari allo 0,14 %), bisogna aggiungere che in realtà sono soprattutto i centri minori a soffrire di una marcata riduzione del proprio tessuto demografico, mentre i centri maggiori continuano ad assorbire popolazione proveniente proprio dai primi (a testimonianza di ciò vi è il fatto che ben 52 centri non raggiungono i mille residenti, con il caso limite di Carapelle Calvisio che è addirittura sotto le cento unità, mentre L’Aquila mostra un incremento del 2,53 % e Avezzano del 3,11 %).

Tutto ciò comporta un’attenta valutazione dei valori dell’indice di funzione turistica al di là del valore provinciale, che risulta in effetti ben al di sotto del valore regionale e di quello nazionale (pari a 62,28 posti letto ogni mille residenti); in effetti, laddove le infrastrutture ricettive si vadano a ubicare nei territori maggiormente deteriorati dal punto di vista demografico, si potrebbe determinare una situazione per cui il turismo non possa essere sostenuto dalla popolazione locale per l’insufficienza di manodopera (aggravata dal fenomeno di progressiva senilizzazione di tali centri), aprendo la strada per l’arrivo di imprenditoria e

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