• Non ci sono risultati.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA SCUOLA DI SCIENZE UMANISTICHE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2023

Condividi "UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA SCUOLA DI SCIENZE UMANISTICHE"

Copied!
116
0
0

Testo completo

(1)

1

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA

SCUOLA DI SCIENZE UMANISTICHE

DIPARTIMENTO DI ITALIANISTICA, ROMANISTICA, ANTICHISTICA, ARTI E SPETTACOLO

Corso di Laurea Magistrale in Letterature moderne e spettacolo

Tesi di Laurea

ADATTAMENTI E RISCRITTURE AUDIOVISIVE: IL CASO DI STEPHEN KING TRA GENERI, AUTORI E PRODOTTI TELEVISIVI

Relatore: Prof. Gabriele Rigola Correlatore: Prof. Luca Malavasi

Candidato: Alessandro Ravera

Anno Accademico: 2021/2022

(2)

2 Indice

Introduzione……… 4

CAPITOLO 1 – La questione dell’adattamento ……… 5

1.1 Principi e percezioni di una pratica di successo……… 5

1.2 Scrittura e immagini, come funziona l’adattamento………. 9

1.3 Eliminare la necessità di confronto………..17

1.4 Gli autori e l’adattamento……… 21

CAPITOLO 2 – Stephen King, il profilo del re del brivido……… 25

2.1 La biografia e i traumi di un futuro scrittore………25

2.2 Le influenze e la formazione letteraria di Stephen King………..29

2.3 Le dipendenze e le ossessioni di Stephen King………36

2.4 La letteratura di Stephen King………..37

2.5 It, Il capolavoro di Stephen King……….46

CAPITOLO 3 –Il cinema tratto da Stephen King………51

3.1 Il complesso rapporto tra King e il cinema………...51

3.2 King e gli autori, quando lo scrittore viene sottratto a sé stesso………..54

3.3 L’autore restituito a sé stesso, Darabont, Rainer e il mainstream………61

3.4 Il cinema minore tratto da Stephen King……….71

3.5 Serie, miniserie e film tv, Stephen King sul piccolo schermo……….79

(3)

3

CAPITOLO 4 – Adattamenti e riscrizioni, analisi del mondo audiovisivo kinghiano………89

4.1 Kubrick e King, la doppia visione di Shining………89

4.2 King e il cinema mainstream, It e Il miglio verde, due approcci diversi………...92

4.3 Mostri assetati di sangue, il cinema minore di Stephen King………97

4.4 I molteplici volti di Stephen King sul piccolo schermo………102

Conclusioni ………107

Bibliografia e filmografia ………..109

Ringraziamenti………115

(4)

4 INTRODUZIONE

Nato il 21 settembre 1947 a Portland, nel Maine, Stephen Edwin King è uno scrittore cresciuto e formatosi attraverso il cinema e in un certo senso il cinema stesso è cresciuto attraverso Stephen King.

Il suo contributo alla settima arte è documentato, ad oggi, da oltre sessanta pellicole cinematografiche e circa trenta produzioni televisive, che lo rendono l’autore letterario più adattato in assoluto. Il fine di questa trattazione è quello di analizzare in che modo la sua narrativa sia stata di fondamentale importanza per la pratica dell’adattamento, per tutta la produzione audiovisiva in generale e come sia stato possibile che ad avvicinarsi alla sua scrittura siano stati registi e autori provenienti dai più disparati settori della produzione cinematografica e televisiva. Le sue opere e le relative trasposizioni si distribuiscono lungo un arco temporale di oltre quarant’anni e hanno rappresentato un riflesso sia della letteratura popolare, sia del grande e del piccolo schermo. William Goldman sostiene che per il folklore americano, a Stephen King si debba riconoscere la stessa importanza di Mark Twain. Nel corso di tutti i suoi anni di carriera letteraria, lo scrittore del Maine ha creato macrouniversi e microuniversi, attraverso le forme più disparate della narrativa, dal romanzo alla raccolta di racconti, conferendo nuova linfa vitale agli archetipi della letteratura popolare e orrorifica. I mostri, vampiri, licantropi, extraterrestri e psicopatici che popolano le sue storie assumono una nuova identità e vengono raccontati attraverso un nuovo punto di vista.

La sua scrittura si compone di elementi associabili al linguaggio cinematografico, come se la narrazione assumesse movenze simili alla macchina da presa e fosse in grado di delineare le sequenze allo stesso modo della tecnica del montaggio.

La parola kinghiana crede nella propria qualità autentica e nel proprio senso evocativo e, di conseguenza, ogni universo da lui designato tramite la scrittura risulta autentico ed inimitabile.

Lo scrittore e i filmakers parlano quindi la stessa lingua; si vedrà come sia stato compito poi di questi ultimi decidere se ascoltare le sue parole e replicarle attraverso le immagini, oppure ridurre l’autore al silenzio per far valere il proprio punto di vista.

È quindi necessario analizzare in un primo capitolo quali siano i principi della pratica dell’adattamento, come siano stati applicati nel corso degli anni e come tale pratica dovrebbe essere recepita da un qualsiasi spettatore. Solo successivamente si passerà ad osservare da vicino il profilo biografico di Stephen King, in modo da condurre un’indagine più esaustiva possibile sulla sua letteratura e su come questa prenda (o perda) vita sul grande e piccolo schermo, al fine di individuare la ragione per cui un autore come Stanley Kubrick, un professionista come Frank Darabont, un mestierante artigiano come Lewis Teague e una piccola produzione di una tv via cavo americana abbiamo rivolto, seppur non simultaneamente, il proprio sguardo alla letteratura di Stephen King.

(5)

5 1 LA QUESTIONE DELL’ADATTAMENTO

1.1 PRINCIPI E PERCEZIONE DI UNA PRATICA DI SUCCESSO

Prendere in esame l’opera di Stephen King e il modo in cui essa viene a traslarsi nel panorama audiovisivo contemporaneo necessita, innanzitutto, di un’analisi approfondita di quella pratica che viene definita “adattamento”, comunemente conosciuta come la trasposizione di un’opera letteraria su schermo.

Il primo elemento che è opportuno mettere in evidenza è il fatto che la questione dell’adattamento cinematografico fa riferimento ad una pratica esistente da sempre. Si potrebbe infatti affermare che tale pratica sia antica quanto il cinema stesso, quando già negli anni Venti, Friedrich Murnau dava vita al suo Nosferatu, adattando, seppur abusivamente, il Dracula di Bram Stoker. La pratica ha continuato ad imperversare nella fervente Hollywood degli anni Quaranta, ai tempi degli “scrittori in catene”1 e ancora oggi il cinema mainstream americano e tutta la cinematografia contemporanea guardano con molta attenzione a tutta la produzione letteraria. Il motivo della sua esistenza e ormai secolare sopravvivenza è dovuto alla capacità della pratica dell’adattamento di rispondere ad una necessità che ha afflitto il cinema di finzione fin dagli esordi: un bisogno continuo di materia prima, personaggi, situazioni, intrecci o, più semplicemente, idee. Questa sua caratteristica la rende incredibilmente interessante per qualsiasi soggetto implicato nella produzione audiovisiva, da un autore svedese come Ingmar Bergman, ad un altro genio americano come Francis Ford Coppola, fino all’intero complesso produttivo di Hollywood. In secondo luogo, la pratica dell’adattamento rappresenta una sorta di garanzia produttiva, che sancisce un certo successo del prodotto filmico.

Questa sembra ormai una realtà consolidata: infatti, alla luce di alcuni dati forniti da Linda Seger, script consultant americana, sembrerebbe che un film tratto da un’opera letteraria si dimostri più incline alla possibilità di ottenere un plauso della critica o quanto meno del pubblico2.

Come si vedrà, le opere tratte da Stephen King rientrano a pieno titolo in questo macro-insieme. Non esiste un’opera tratta da uno scritto dell’autore, ad eccezione di alcune operazioni televisive, che non abbia ricevuto per lo meno il successo in termini economici al botteghino alla sua uscita nelle sale.

Infatti, alcuni maggiori incassi della storia del cinema contemporaneo appartenenti all’insieme dell’adattamento rappresentano la veridicità di quanto affermato da Linda Seger: dal 2002, per citare

1 La questione relativa agli scrittori in catene fa riferimento alla condizione lavorativa degli scrittori e sceneggiatori nella Hollywood degli anni Quaranta, attentamente controllati dal rigido sistema produttivo vigente durante il loro lavoro di scrittura del film. Tale questione è contenuta nel saggio di G. Alonge Scrivere per Hollywood, Marsilio Editori, Venezia 2012.

2 L. Segr, The Art of Adaptation, Turning Fact and Fiction into Film, Henry Holt, New York 1992.

(6)

6

una delle più famose tra le saghe cinematografiche, il franchise di Harry Potter, tratta dai romanzi di J.K Rowling ha incassato globalmente 7.7 miliardi di dollari3.

Questo meccanismo di successo commerciale garantito sussiste poiché gli adattamenti di opere note funzionano in modo simile ai generi: predispongono le attese del pubblico attraverso un sistema di norme e convenzioni che regolano l’incontro dello spettatore con l’adattamento di cui sta avendo esperienza4. Se, a primo impatto, i presupposti dell’adattamento possono apparire semplici, realizzare un film a partire da un prodotto letterario rappresenta un campo in cui vengono a convergere numerose necessità e situazioni, dettate da un principio che appare, anch’esso, semplice: vedere non è leggere.

Il modo in cui vediamo un avvenimento svolgersi sullo schermo o un personaggio agire si caratterizza per una diversa percezione rispetto a quello che si è provato leggendo il romanzo.

Esistono elementi di rappresentazione e fruizione che, parlando dell’adattamento, vengono a incrociarsi e mettono in discussione una serie di elementi, che la studiosa Linda Hutcheon definisce

«gradi e qualità diverse di immersioni»5. Infatti, l’atto della lettura di un testo scritto ci fa immergere nell’universo che stiamo fruendo in un determinato modo, attraverso la nostra immaginazione, mentre osservare la realtà sullo schermo cinematografico, non essendo essa immaginifica, vuol dire immergersi simultaneamente in un universo visivo e uditivo differente, investito, come si vedrà, di una serie di privilegi che la letteratura non presenta.

Linda Hutcheon ritiene infatti che il grado di immersione decretato dalla fruizione dell’opera cinematografica condizioni in maniera indelebile la percezione personale e condivisa dello scritto letterario alla base, poiché la notevolissima capacità espressiva del cinema (azioni, volti, dialoghi, oggetti, musica, luci) definisce i tratti visivi di un’opera e li rende ampiamente condivisi.

La questione percettiva, data quindi da un diverso metodo di fruizione dell’opera, rappresenta la prima, anche se ovvia, differenza tra il libro e lo schermo, e in base ad essa, registi e sceneggiatori si adoperano per costituire in modo funzionale alle proprie vocazioni il passaggio da un medium all’altro, da opera letteraria a opera audiovisiva.

Adattare un romanzo significa cambiare la percezione degli elementi scritti e far sì che essi diventino corpi da far rapportare con lo spazio che si rapportano in uno spazio nel quale immagini e suoni si compenetrano.

3 M. Collett, Harry Potter movies earn $7 billion, msnbc.com, 22 luglio, 2011.

4 Per la questione relativa ai generi cinematografici e al loro funzionamento, si veda R. Altman, Film/Genere, Vita e Pensiero, Milano, 2004.

5 L. Hutcheon, Teoria degli Adattamenti, Armando Editore, Roma, 2011.

(7)

7

L’artista che racconta e mostra il film deve rendere percettibili gli elementi che sono stati narrati dallo scrittore. Il regista, specie nell’ambito del cinema di autore, adopera la macchina da presa per dare forma a questi elementi corporei e sonori descritti nel romanzo in modo che essi vengano plasmati secondo il suo sguardo demiurgico, che può confarsi a quello dell’autore letterario oppure no.

Un esempio emblematico è rappresentato da Orson Welles che, nell’adattare Franz Kafka per il suo Processo (Le Procès, 1962), ha fatto sì che le descrizioni dei luoghi angusti e soffocanti visitati da Josef K assumessero una forma tridimensionale affine a rafforzare quello che voleva comunicare, esattamente come avviene nel suo altro capolavoro Otello (1952), dove le prospettive spaziali vengono modificate e accentuate: Welles dà una forma tridimensionale al castello, lasciandolo sullo sfondo e insistendo sulla predominanza del principe Moro, condividendo così con lo spettatore il rinchiudersi del personaggio nell’angoscia e nella gelosia morbosa; allo stesso modo, nel Processo viene data predominanza ad una scenografia imponente, che schiaccia e soffoca Joseph K facendolo apparire minuscolo e impotente. In questi due casi, la macchina da presa conferisce ai testi di Shakespeare e Kafka tutta la loro forza.

Per fare il punto, il primo elemento da sottolineare è quindi come la percezione di un racconto adattato allo schermo cambi radicalmente, a causa di una serie di elementi che sono privilegio esclusivamente del medium cinematografico, ovvero le immagini e i suoni.

In merito alla questione sonora, essa offre alla messinscena filmica un quadro di soluzioni molto più ampio per approfondire il significato drammatico legato alla narrazione. I registri e risvolti possibili sono molteplici: dallo sfondo sonoro, ai suoni extradiegetici o intradiegetici, dai dialoghi alla musica.

Tutti questi elementi si compenetrano con le immagini e rappresentano un’amplificazione del romanzo altrettanto potente, dal momento che i suoni agiscono sugli spettatori in maniera più insidiosa e involontaria, non controllata.

L’utilizzo stesso del suono e della musica diventa un’espressione dello stile del cineasta e rappresenta un metodo di visione attraverso cui praticare l’adattamento: Frédéric Sabouraud6 fa l’esempio del film Diario di un curato di campagna (Journal d'un curé de campagne 1951) in cui il regista Robert Bresson isola i suoni gli uni in rapporto agli altri e li separa dalla voce, creando una sorta di rottura con la percezione realistica poiché si estranea dal suo significato immediato e diviene sottolineatura ed impressione. Parallelamente ai suoni, la musica amplifica la portata dell’opera filmica, può rappresentare un contrappunto che accompagna uno o più sequenze che rende più forte

6 F. Sabouraud, L’adattamento cinematografico, Lindau, Torino, 2006.

(8)

8

i caratteri visivi, talvolta generando un rimando che rende il film iconico a partire proprio dalla musica. Per fare un esempio, il primo elemento divenuto celebre del film Psyco, diretto da Alfred Hitchcock e adattamento dell’omonimo romanzo di Robert Bloch, è proprio la colonna sonora.

Essa irrompe violentemente nella celebre scena della doccia, si sovrappone alle urla di Janet Leight, che quasi vengono coperte da essa, in modo che risulti la colonna sonora stessa ad essere un grido.

Questi esempi sono sufficienti a far riflettere come musica e suoni costituiscano uno degli strumenti di amplificazione della percezione, che il regista sfrutta per rendere proprio l’adattamento di un film.

Non va, inoltre, dimenticata la questione relativa ai dialoghi, che oltre a costituire uno strumento di personalizzazione, rappresenta un possibile territorio pericoloso nel quale è, quasi sempre, necessario addentrarsi. Si tratta, infatti, di dover ricomporre con modalità diversa e spesso in maniera ridotta le molteplici interazioni tra i personaggi, tenendosi lontano dall’idea di ricalcare pedissequamente quanto scritto in un’opera letteraria, dal momento che si incorrerebbe nella ridondanza e nell’ampollosità.

Nonostante le difficoltà di resa che comporta la questione dialogica, molti cineasti fanno di essa una componente essenziale per il senso dell’adattamento e dell’esplicazione della poetica del film, facendo sì che essa vada a coincidere con il senso della loro poetica di registi.

Riprendendo nuovamente l’esempio di Orson Welles e la trasposizione dal Processo di Kafka, si nota come il regista si sia dimostrato incredibilmente sensibile nei confronti dell’adattamento dei dialoghi, utilizzati ben al di sopra del basilare intento comunicativo: i dialoghi cacofonici dei poliziotti che interrogano K dopo l’arresto sono voci che si sovrappongono, amplificando il senso di estraniamento della situazione, conferendo ancora più forza alla rappresentazione di quella società in cui nessuno vuole ascoltare il prossimo. Inoltre, Welles sceglie di coprire alcune parti dei dialoghi dei personaggi con quelli che paiono mormorii indecifrabili accentuando l’atmosfera di accerchiamento e paranoia che si respira nell’opera di Kafka e l’incomprensibilità delle vicende inerenti al protagonista, senza che tutti i tasselli della narrazione vengano rivelati.

L’adattamento presuppone quindi che la dimensione percettiva cambi radicalmente attraverso tutti quei parametri confacenti alla dimensione audiovisiva con cui il regista deve confrontarsi e che può plasmare liberamente, decidendo se declinarli secondo la propria poetica per restituire quanto narrato nell’opera letteraria, optare per una completa reinterpretazione, perseguire entrambe le modalità.

Sarà opportuno definire con quali passaggi tecnici e teorici avviene l’adattamento e in che modo esso viene percepito all’esterno, non solo dal pubblico, ma anche da chi ha concepito l’opera.

(9)

9

Questo perché adattare significa confrontarsi con dei concetti come la fedeltà e le aspettative di un determinato pubblico, che generano e hanno suscitato nel tempo non pochi dibattiti sul rispetto o meno dell’opera letteraria.

1.2 SCRITTURA E IMMAGINI, COME FUNZIONA L’ADATTAMENTO

Se la percezione di una pellicola cinematografica è fortemente differente dalla lettura di un romanzo, è importante sottolineare come entrambe le modalità artistiche condividano l’importanza dell’elemento scrittorio come matrice, forma e struttura.

Il cinema stesso ha un funzionamento che, in larga parte, dipende dall’elemento scrittorio: la sceneggiatura, i dialoghi e i personaggi sono elementi che vengono concepiti, scritti e poi trasposti su schermo. Un film nasce, in prima istanza, dalla scrittura e di conseguenza dall’enunciazione di una serie di elementi che comprendono una struttura e uno schema.

Quando l’idea di un’opera viene concepita direttamente per il cinema bisognerà creare da principio questi elementi ben strutturati, ma, diversamente la scelta di adattare un’opera letteraria offre a regista e sceneggiatore tutta una serie elementi già pronti che costituiscono le basi caratterizzanti della sceneggiatura.

Si tratta di quegli elementi che Syd Field racchiude nel suo saggio La Sceneggiatura7: il principio, la struttura, i personaggi e la loro caratterizzazione sono tutti elementi pre-esistenti nella dimensione letteraria che si decide di adattare; il compito del regista e sceneggiatore che si approccia ad un adattamento sarà partire da questi elementi e decidere se mantenerli tali, amplificarli, eliminarli o stravolgerli completamente.

Insomma, l’elemento scrittorio rappresenta il punto di partenza sia per un prodotto letterario sia per quello cinematografico e la pratica dell’adattamento sfrutta questo comun denominatore per avviare un percorso artistico e narrativo che, come si vedrà, dovrà essere considerato come autonomo rispetto all’opera letteraria.

La condizione di dover adattare un romanzo pone lo sceneggiatore in una posizione di superiorità rispetto a come si troverebbe se affrontasse una sceneggiatura nuova.

Syd Field paragona la scrittura di una sceneggiatura al gesto di scalare una montagna, dove lo sceneggiatore vede la roccia prima e dopo di lui, ovvero la pagina che ha scritto e quella che scriverà.

7 S. Field, La Sceneggiatura, Lupetti & Co., Milano, 1991.

(10)

10

Adattare significa invece avere cognizione di tutti gli elementi scrittori che costituiscono già una storia, dal risvolto narrativo improvviso al finale.

Tali elementi scrittori possono confarsi, in parte, ad una rappresentazione cinematografica, mentre altri necessiteranno di un maggior intervento da parte di regista e sceneggiatore.

Citiamo il caso dell’autore di Best Seller Michael Crichton le cui caratteristiche da scrittore rappresentano bene la ragione per cui i suoi romanzi, come il celebre Jurassik Park o Twister Timeline, presentano elementi scrittori maggiormente adattabili allo schermo, grazie alle strutture di base del plot che fa sì che avvenga uno scontro radicale di forze opposte di grande tensione o una pre- esistente presenza di temi, come la tecnologia e la scienza.

Un primo elemento da tenere in considerazione è quindi l “appetibilità” di un certo tipo di storia o racconto, che sussiste poiché gli elementi scrittori presenti a priori, costituiscono già di per sé una storia dove intrecci e personaggi funzionano. Questa caratteristica interessa principalmente le grandi produzioni di Hollywood, che, una volta individuato un romanzo con queste premesse, affidano l’adattamento a registi di mestiere, estranei o lontani a qualsiasi tipo di pretesa autoriale sul prodotto finito. Questo argomento, tuttavia, risulta circoscritto ad una sfera d’indagine limitata, poiché, come si vedrà, ogni romanzo è adattabile, e ogni storia può interessare qualsiasi regista.

Viene dunque da chiedersi come e secondo quali principi si può adattare un’opera letteraria?

Dwight Swain8 presenta tre possibili soluzioni per l’adattamento di un romanzo:

1. Seguire passo per passo il libro, scena per scena, scomporlo in sequenze rispettando al massimo l’ordine senza applicare cambiamenti;

2. Individuare le scene salienti del libro e costruire una sceneggiatura partendo da essi, inserendo e rimuovendo altri elementi;

3. Prelevare dei materiali o delle intuizioni teorico/narrative (intrecci, personaggi, situazioni, tematiche) e creare una sceneggiatura originale.

È necessario partire dal presupposto che l’operazione che si deve compiere è tradurre le parole in immagine; di fronte allo sceneggiatore che si appresta a adattare un romanzo, una tragedia di Shakespeare o una piécé teatrale per il cinema, si presenta, concretamente, una pagina scritta che egli deve tradurre in una serie di immagini. Una parte di quella pagina può rimanere tale e quale al

8 D. Swain, Film Scriptwriting, Focal Press, Boston-London 1988.

(11)

11

romanzo, riportando fedelmente quegli elementi pre-esistenti sopracitati che vengono direttamente forniti dall’autore dell’opera letteraria.

Per approfondire il primo caso proposto, esso va definito come un procedimento che aspira alla perfetta resa su schermo di quanto narrato nel romanzo, senza che vengano apportate addizioni o sottrazioni invasive, o stravolgimenti narrativi o relativi alla costruzione dei personaggi o delle situazioni. Non è possibile pensare di rispecchiare ogni micro-avvenimento del romanzo e costruire un’opera che ricalchi per intero quanto scritto; questa pratica si articola nell’idea di apportare meno cambiamenti possibile, limitandosi esclusivamente a qualche minima sottrazione. Si tratta di una casistica distante da una narrazione cinematografica, che per motivi fisiologici si articola per una durata che oscilla tra i 90 e i 180 minuti, ma si confà più facilmente al medium televisivo e al carattere seriale.

Un esempio9 è rappresentato dalla trasposizione televisiva della serie Game Of Thrones, tratta dai romanzi del ciclo fantasy The Song of Ice and Fire di George R. R. Martin.

Il caso di questa serie televisiva è interessante per più ragioni. In prima istanza emerge con chiarezza come le prime quattro stagioni ricalchino pedissequamente ogni avvenimento come descritto nel romanzo: non solo nella dimensione macro-narrativa (risvolti, intrecci), ma anche numerose micro-sequenza, nei dettagli e nella scelta della maggior parte delle battute pronunciate dai personaggi, che rispecchiano quasi perfettamente i dialoghi scritti da Martin.

La caratterizzazione dei personaggi viene rispecchiata così come i tratti fisici ed estetici di cui si apprende leggendo le descrizioni fornite dall’autore dei libri. Persino la recitazione degli attori, dal Ned Stark di Sean Bean fino al Folletto di Peter Dinklage, ricalca gesti ed espressioni che Martin delinea grazie alla sua prosa limpida eppure magniloquente.

A garantire questo alto grado di fedeltà all’opera di partenza interviene la durata di una serie televisiva, che permette agli sceneggiatori di distribuire la narrazione su più puntate, e che, nel caso di GoT ha contribuito a mostrare il fantasy come lo aveva pensato l’autore George Martin, dal momento che, se la trasposizione fosse avvenuta sul grande schermo, i cambiamenti apportati per adattare l’opera avrebbero reso difficile quantificare le numerose sfaccettature di profondità e maturità che si leggono nel ciclo iniziato dallo scrittore nel 1991 e ne sarebbe risultato un film profondamente differente, come ad esempio avvenne nei primi anni 2000 con la trasposizione del Signore degli Anelli (Peter Jackson)10.

9 L’argomentazione di questo tema avviene a più riprese nei due volumi: A. Fumagalli, L’adattamento, da letteratura a cinema, Volume I, Volume II e poi più approfonditamente in AA.VV, Storia delle Serie Tv, Volume II, Audino, Roma, 2021.

(12)

12

Un altro elemento che rende interessante la trasposizione su schermo di Game of Thrones è il fatto che esso ha rappresentato un adattamento fedele all’originale solo per quanto concerne le prime quattro stagioni, dopo le quali è subentrata la libera creazione di elementi da parte degli sceneggiatori.

Questo fatto è stato determinato dall’assenza dei romanzi di Martin, ancora in fase di elaborazione, e la necessità di far proseguire la narrazione della serie alla luce del suo successo mediatico.

Tuttavia, limitandoci all’analisi dell’adattamento da materiale pre-esistente, il caso di Got dimostra come l’approccio di estrema fedeltà al romanzo sia più plausibile nella sfera della produzione televisiva e che, per parlare di adattamenti per il cinema, sia necessario affidarsi al secondo e al terzo metodo di adattamento citati da Swain.

Due metodi attorno ai quali ruota l’idea di concentrarsi su linee di coerenza testuali e isotopie11, sulle quali costruire l’adattamento e il rapporto tra opera letteraria e film.

Focalizzandoci sul secondo metodo, esso prevede che lo sceneggiatore isoli dal romanzo le scene chiave, spesso distribuite coerentemente lungo l’arco narrativo del racconto (è raro che, nel corso di questa operazione, chi si occupa della scrittura del film mantenga l’inizio del racconto e decida, ad esempio, di non rispecchiare gli elementi relativi al finale) e applichi attorno ad esse due operazioni che analizzeremo nel dettaglio: sottrazione e addizione.

1. Sottrazione: Dwight Swain12 riassume bene questa operazione, largamente predominante rispetto all’addizione: “Cut.Cut.Cut” (“Tagliare, Tagliare, Tagliare”).

Essa prevede sostanzialmente che vengano ridotti, riassunti o eliminati alcuni elementi, personaggi e situazioni.

Tendenzialmente, la trasposizione di un romanzo è sempre una sintesi, dal momento che è impossibile racchiudere nella durata canonica di un film (dai 90 ai 180 minuti) gli avvenimenti narrati in un romanzo. Ci sono elementi che non possono essere riassunti, così come scene che non possono essere filmate, poiché presentano caratteri o elementi irrealistici o incompatibili con gli obiettivi della messinscena o più semplicemente perché la questione della percezione sopracitata rende non rappresentabile ciò che invece è leggibile: messo difronte alla sua forza

10 Questo elemento non deve essere interpretato come una mancanza dell’opera di Peter Jackson, riconosciuta all’unanimità come un capolavoro della cinematografia contemporanea. Il film si discosta enormemente dal romanzo, ma rappresenta una visione dell’opera dello stesso regista che vuole comunicare secondo la propria visione.

Nel caso di GoT, si nota un elevato gradi di profondità nella trama, ma esso non proviene dalla volontà artistica del regista, bensì dallo stesso Martin, la cui poetica traspare limpida e forte poiché il medium televisivo ha permesso una fedeltà quasi assoluta.

11 Così come riportate in G. Manzoli, Cinema e Letteratura, Carocci Editore, Roma 2003.

12 Dwight Swain, op. cit.

(13)

13

evocativa attraverso l’immagine, il cinema manifesta talvolta in modo troppo forte e rapido ciò che il linguaggio letterario può evocare in modo meno frontale. Quindi certi elementi espliciti, come violenza o argomenti sessuali, oppure altre sfaccettature più sottili, tematiche e gesti quotidiani, assumono una risonanza e un impatto che non hanno sulla pagina scritta.

Infine, più semplicemente, eliminare degli elementi serve a rendere la narrazione più scorrevole e di impronta cinematografica. Se si rispecchiassero tutti i dialoghi o gli avvenimenti presenti, il ritmo del film ne risentirebbe, rischiando, banalmente, di risultare noioso.

Non si tratta, ovviamente, di regole assolute, poiché la questione della sottrazione e della non visibilità di ciò che è scritto rappresenta un elemento fluttuante e variabile tanto che la sottrazione può essere radicale ma altresì sottile e parziale: un personaggio che nel romanzo è centrale può essere mantenuto nella trasposizione, ma lo spazio a lui dedicato può essere ridotto, la pregnanza dei suoi gesti e delle sue parole può essere annullata o drasticamente ridimensionata.

2. Addizione: Questa operazione rappresenta il procedimento inverso della sottrazione.

L’addizione può rappresentare, innanzitutto, la dilatazione di un elemento esistente oppure l’aggiunta di un elemento estraneo all’opera letteraria. Esso può essere un personaggio, un’azione, un intreccio o un concetto.

Se la sottrazione rappresenta un metodo di espunzione di elementi al fine di rendere la narrazione più scorrevole e coerente con il medium cinematografico, l’addizione rappresenta spesso una intenzione volontaria e ben ponderata con cui il regista sceglie di personalizzare l’opera per l’adempimento di quegli obiettivi artistici e tematici che si è posto di raggiungere.

Per fare un esempio concreto, si può fare riferimento alla saga cinematografica de Lo Hobbit, diretta da Peter Jackson e tratta dall’omonimo romanzo di J.R.R Tolkien: nel terzo capitolo La battaglia delle cinque armate (The Hobbit: The Battle of Five Armies, 2015) si assiste ad un conflitto armato che copre oltre due terzi della durata della pellicola.

Tale battaglia, nel romanzo, viene semplicemente accennata nei suoi preparativi, attraverso poche frasi e avviene, poi, un’ellissi delle dinamiche principali13.

Ne consegue come Peter Jackson abbia notevolmente dilatato l’elemento della battaglia, rappresentando a suo piacimento gli avvenimenti e le dinamiche dello scontro, tra cui la morte

13 Il romanzo è raccontato dal punto di vista del protagonista, Bilbo Baggins. Attraverso uno stratagemma narrativo, Tolkien annulla lo sguardo del protagonista (nello specifico, viene colpito in testa da un masso e sviene) e fa sì che egli apprenda dell’esito solo a conflitto terminato, omettendo così la narrazione diretta dello scontro.

(14)

14

di alcuni personaggi, per fare in modo che il film fosse pregno di quella componente di intrattenimento e azione pensata per il grande pubblico al quale era destinato.

Rientra nell’addizione anche quel processo di figurativizzazione degli elementi letterari, un passaggio nel quale viene data forma e colore alla scenografia, attraverso uno sguardo non meno consapevole di quello adoperato per l’aggiunta e la dilatazione di elementi.

La Los Angeles di Blade Runner (Ridley Scott, 1982) rappresenta una notevole dilatazione di quelle descrizioni presenti nel racconto Il Cacciatore di Androidi di Philip K. Dick, da cui è tratto il film.

In merito a questa analisi dei procedimenti che possono essere adoperati dal cineasta nei confronti di un testo letterario vanno aggiunte alcune precisazioni.

In primo luogo, le due operazioni non si presentano mai come separate, poiché esse avvengono simultaneamente all’interno di qualsiasi adattamento. Il fatto che nel linguaggio comune si faccia riferimento all’adattamento come ‘’riduzione’’ per il cinema lascia intendere come la sottrazione lasci maggiormente il segno, ma allo stesso tempo non esista film che non aggiunga qualche elemento al libro da cui è tratto.

Inoltre, a rafforzare l’idea che l’addizione possa rappresentare un elemento di pari portata alla sottrazione interviene la questione relativa a quella che Giacomo Manzoli14 chiama «espansione» di un qualsiasi elemento del romanzo.

Si tratta di una caratteristica che si pone come un’addizione portata all’estremo, partendo da un punto centrale di un’opera molto breve per giungere alla realizzazione di una narrazione cinematografica monumentale di imponente durata, spesso oltre tre ore, come avviene per il film di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio (2001: a Space Odyssey, 1968), tratto dal racconto breve di Arthur C. Clarke La Sentinella.

La questione della sottrazione, dell’addizione e della annessa espansione sono elementi caratteristici di quella seconda tipologia di adattamento a cui si è fatto riferimento, ovvero partire dalle scene chiave di un’opera letteraria e cercare di mantenere il senso delle sequenze logico- narrative precostruite dall’autore.

Il discorso cambia radicalmente quando si fa riferimento alla terza tipologia di adattamento che prevede di costruire una sceneggiatura completamente autonoma mantenendo le intuizioni tematiche del romanzo; per questo tipo di analisi torna utile il concetto di isotopia, che possiamo dividere nei

14 G. Manzoli, op. cit.

(15)

15

sottogruppi di tematica e figurativa15, il primo riguardante le questioni di fondo che accomunano il romanzo e il film che ne viene tratto, il secondo che riguarda invece i dati oggettivi attraverso cui vengono rappresentate e trattate queste questioni di fondo.

Per fare un esempio concreto, si può fare riferimento al film Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, liberamente ispirato al romanzo Heart Of Darkness di Joseph Conrad, pubblicato nel 1899.

L’isotopia tematica del film è rappresentata da uno schema eroico con discesa agli inferi, mentre quella figurativa è data dal progressivo inabissamento del protagonista in una “regione di tenebra”

con conseguente incontro dell’uomo malato, il Kurtz di Marlon Brando.

In sostanza, Coppola si impossessa degli elementi di base del romanzo di Conrad ma li traslittera in una dimensione completamente differente (l’Africa del romanzo diventa il Vietnam, l’anno è il 1968 e non il 1890) per rimanere coerente alla propria poetica in merito ad un preciso argomento che voleva trattare, la guerra del Vietnam e le menzogne che si celano dietro ad essa.

Un esempio analogo, appartenente però alla sfera del puro intrattenimento, è la pellicola del 2007 Io sono Leggenda (I Am Legend, Francis Lawrence) basato sull’omonimo romanzo di Richard Matheson del 1954. La scelta di aver mantenuto lo stesso titolo rappresenta un riferimento diretto all’opera di partenza, ma di essa vengono mantenuti solo gli elementi di fondo, come lo status di ultimo uomo sulla terra, la presenza del cane e l’incontro con una sopravvissuta; per il resto, la trasposizione elimina gli elementi tematici più importanti, il significato sociologico inteso da Matheson e il concetto originale di “essere leggenda”16, virando su una narrazione più vicina ai canoni dell’intrattenimento del cinema mainstream.

Ne consegue che l’adattamento rappresenta un processo di appropriazione17 che prevede la presenza di un insieme di figure, dal cineasta alla casa di produzione, che concepiscono un’idea filmica intorno ad un’opera letteraria e decidono di mettere in atto un procedimento, attraverso gli schemi e i meccanismi analizzati.

Nei successivi capitoli si analizzerà come le opere letterarie di Stephen King si distribuiscano coerentemente in tutte queste pratiche, osservando quali elementi narrativi, estetici e tematici contenuti nelle sue opere rappresentino un polo di attrazione in grado di far convergere verso di se diversi emisferi di produzione audiovisive, dagli autori affermati, alle produzioni mainstream di

15 Ibidem.

16 Nel film del 2007, il personaggio di Robert Neville diventa leggenda poiché con il suo sacrificio offre speranza di sopravvivenza al genere umano, nel romanzo invece egli diventa una leggenda essendo diventato l’unico uomo in un mondo di vampiri, i quali rappresentano ormai la normalità.

17 Così definito da F. Vanoye, La Sceneggiatura, Forme, Dispositivi, Modelli, Lindau, 1998 Torino.

(16)

16

Hollywood, passando attraverso il cinema di serie B, film per la televisione e giungendo a quelle pellicole che, oltre a rientrare in alcune queste categorie, rappresentano degli specchi di come sia cambiata la fruizione del panorama audiovisivo odierno. Si potrebbe, tuttavia, tentare di allargare ulteriormente il numero di tipologie di adattamento presentate da Swain, indicando una quarta opzione definibile, da chi scrive, come “adattamento per isotopie sintomatiche”.

Tale pratica non è comunemente riconosciuta, e si riferisce a quella tipologia di film caratterizzato da una sceneggiatura completamente originale, ma con isotopie tematiche e figurative riconducibili ad un unico corpus letterario, di un unico autore.

In altre parole, la storia, i personaggi e lo svolgimento sono frutto della mente del cineasta, ma gli elementi tematici, estetici e figurativi che li compongono, rappresentano una trasposizione di qualcosa di già esistente in una precisa dimensione letteraria.

Per fare un esempio emblematico si può fare riferimento al film diretto da John Carpenter nel 1994, In the Mounth of Madness conosciuto in Italia come Il seme della follia.

Gli elementi cardine della sceneggiatura indicati da Syd Field, il soggetto, la struttura e i personaggi, nascono dalla mente del regista, ma i temi trattati e gli elementi figurativi appartengono esplicitamente all’universo letterario creato dallo scrittore americano Howard Philip Lovecraft, a partire dal titolo stesso, che ricalca il romanzo At the Mountains of Madness scritto dallo stesso Lovecraft nel 1929.

John Carpenter e lo sceneggiatore Michael De Luca creano una storia autonoma in cui il personaggio di un investigatore, interpretato da Sam Neil, si trova ad interagire con una realtà che sembra animarsi dalle pagine dei romanzi dello scrittore Shutter Cane, considerato il più famoso al mondo. Tale storia, però, racchiude i meccanismi e gli elementi presenti nei romanzi dello scrittore di Providence; a partire dai temi trattati, come la sovrapposizione tra reale e irreale, la paura dell’ignoto e l’ineffabilità del senso dell’agire umano, fino a giungere all’estetica orrorifica, all’estetica delle creature extra-dimensionali (che rimandano alle creature mitologiche descritte da Lovecraft) e al profondo senso di pessimismo che permea l’intera narrazione.

Persino la costruzione dei personaggi, anonima, bilaterale e meccanica (con l’eccezione del protagonista) ricalca i comportamenti degli umani che popolano le storie dello scrittore; a questi si aggiunge poi la figura dell’umano onnipotente, lo scrittore Shutter Cane, demiurgo della realtà che scrive romanzi caratterizzati dagli stessi elementi che si trovano nelle narrazioni di Lovecraft.

Un discorso analogo, ma appartenente alla sfera della fantascienza, si potrebbe articolare in merito ad un'altra pellicola che rappresenta un adattamento per isotopie sintomatiche delle opere di Isaac Asimov: Automata (2014) diretto dallo spagnolo Gabe Ibáñez.

(17)

17

Decidendo di ambientare il film in un mondo post-apocalittico dove gli umani convivono quotidianamente con i robot che iniziano segretamente ad impossessarsi di una propria autocoscienza, la scelta di ricalcare pedissequamente due delle tre leggi della robotica rappresenta la prima delle isotopie figurative che viene trasposta. Inoltre, il concetto stesso di singolarità tecnologica, ovvero il processo attraverso il quale si giunge ad un’intelligenza artificiale superiore a quella umana, si compie e si articola esattamente come narrato da Isaac Asimov, con espliciti riferimenti alla raccolta di racconti Io, Robot (1950) e al desing con cui lo scrittore tratteggia i suoi robot positronici.18

Va ribadito che, in entrambi i casi, la sceneggiatura è completamente originale e a rappresentare un adattamento sono i temi, le atmosfere, i riferimenti iconografici e narrativi. Questa quarta opzione di adattamento risulta più sottile e indefinita poiché non ci sono riferimenti diretti, come titoli o nomi di personaggi, ma allusioni dirette, citazioni e scelte estetiche che hanno nello scrittore il proprio creatore.

1.3 ELIMINARE LA NECESSITÀ DI CONFRONTO

Dopo aver introdotto tutti gli elementi necessari ad inquadrare il concetto e il funzionamento della pratica dell’adattamento, occorre soffermarsi su una questione interna altrettanto politematica che risulta necessaria al fine di adoperare uno sguardo critico nei confronti delle trasposizioni, soprattutto se si tratta delle trasposizioni di Stephen King che, come anticipato, accomunano panorami audiovisivi estremamente diversi: quanto è rilevante sancire la superiorità del romanzo rispetto al film o viceversa?

Un elemento già affrontato dal maestro del thriller Alfred Hitchcock: nella sua intervista a François Truffaut il regista parla del suo film Rebecca, la prima moglie (Rebecca, 1940) e chiede all’interlocutore se conosce una certa storia a proposito di due capre che stanno mangiando le bobine tratte da un best seller e una capra dice all’altra, «sostanzialmente preferisco il libro»19

Il senso alla base della storia evocata da Hitchcock si riferisce a significati di varia natura, il cui scopo è però sempre quello di stigmatizzare la gratuità di un parallelo che abbia come fine un giudizio di valore riferito a due oggetti sostanzialmente incomparabili.

18 Si tratta di quei caratteristici Robot creati da Asimov, chiamati positronici poiché possiedono un cervello artificiale tarato sulle tre leggi, che nel film Automata vengono ridotte a due.

19 F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore, Milano, 2014.

(18)

18

In merito a questo, sempre nella stessa intervista, il regista di Vertigo aggiunse che tendeva a leggere i libri solo una volta e se questi si fossero rivelati interessanti, avrebbe messo da parte il libro per lavorare su una trasposizione in film.

Sostanzialmente, egli rifiutava di sottomette il cinema nei confronti del testo letterario.

Hitchcock pensava questo perché, con ogni probabilità, condivideva l’idea che ogni opera vada considerata nel suo ambito di competenza; perché è una prassi che nell’adattamento possano verificarsi alcune sostanziali disparità, che vengono avvertite come una mancanza, forse a causa del legame di paternità che l’opera scritta ha nei confronti di quella filmica.

In sostanza, l’adattamento sembra sancire una sorta di superiorità del romanzo rispetto al film.

La questione percettiva di cui si è parlato nel paragrafo 1 si confà alla questione relativa alla sostanziale differenziazione che Hitchcock applica nel suo approccio al rapporto tra romanzo e pellicola; George Bluestone20 mette in risalto l’autonomia estetica dei due generi, evidenziando come al fruitore dell’una e dell’altra opera vengano chieste due operazioni mentali distinte, se non addirittura opposte.

La lettura di un testo letterario si basa su elementi del linguaggio che rimandano a concetti che diventano, attraverso meccanismi di comprensione e integrazione di elementi fantastici, immagini mentali di oggetti concreti e percepibili e fa sì che il lettore possa completare la fruizione tramite un processo di significazione per giungere ad uno di percezione21.

Il prodotto cinematografico comporta un procedimento opposto: lo spettatore si trova di fronte a elementi di percezione oggettivi provenienti dalle immagini sullo schermo e deve ricomporli per arrivare ai significati espliciti, impliciti e sintomatici del film.

Quindi si può affermare che, ad esempio, le opere di Shakespeare siano tendenzialmente superiori alle loro trasposizioni cinematografiche, come i film di Hitchcock sono superiori ai romanzi gialli dai quali sono tratti, ma tuttavia il punto non è questo.

L’analisi comparata ha senso per comprendere meglio un’opera letteraria o un prodotto audiovisivo attraverso una sua fonte dotata di una propria identità autonoma che rispetto al testo di cui ci si occupa può rappresentare una critica, una rilettura, un ampliamento o una deviazione dall’orizzonte di conoscenza.

20 G. Bluestone, Novels Into Film, University of California Press, Berkley, 1954.

21 Così scrive A. Fumagalli in L’Adattamento da letteratura a cinema, volume I, Audino, Roma, 2020.

(19)

19

Quindi il rapporto tra libro e film va tenuto in considerazione, ma con lo scopo di valutare quale fine poetico e artistico si sia posto l’autore dell’opera scritta e cosa ne abbia fatto il film di quel valore e quali significati espliciti, impliciti e sintomatici abbia prodotto partendo da quell’opera.

Come sosteneva Andrè Bazin, quando un regista decide di adattare un romanzo, deve partire con l’idea di realizzare non ‘’un film paragonabile al romanzo, o degno di lui, ma un nuovo oggetto che è qualcosa come il romanzo pubblicato per il cinema.’’22

Come si vedrà, le molteplici opere tratte dai lavori di Stephen King propongono approcci al libro di riferimenti estremamente differenti tra di loro, talvolta opposti, e quelli che analizzeremo sono i significati che scaturiscono da tali adattamenti.

Per analizzare e approfondire il rapporto tra romanzo e film e valutare ampiamente la portata artistica di entrambe le opere occorre quindi non cadere nella puerile e sterile prassi di valutare quale delle due opere sia migliore, paragonandole l’una all’altra.

Questa pratica di lettura comparata, tuttavia, non deve essere considerata un elemento da prendere in considerazioni a priori, dal momento che nella sua sterilità argomentativa viene largamente adoperata e processata da più fruitori, tra questi sicuramente alcune fasce di pubblico, ma spesso anche dagli stessi scrittori delle opere adattate tra cui, come si vedrà, rientra Stephen King.

Bisogna, in prima istanza, discolpare parzialmente coloro che, dopo aver visto un film tratto da un libro che hanno letto, praticano un confronto sulla base del quale decideranno se la pellicola sia di valore. Per farlo è necessario riportare un concetto espresso da Linda Hutcheon23, che asserisce come spesso questa pratica sia involontaria e avvenga perché si subisce una sorta di tradimento che viene a crearsi nei confronti della nostra immaginazione, quando quello che appare sullo schermo si discosta da come la nostra mente aveva visualizzato quel personaggio o quella situazione durante la lettura.

Allo stesso modo, è innegabile la sensazione di approvazione e sicurezza che pervade un qualsiasi spettatore nel momento in cui le immagini combacino con quanto la mente ha immaginato, o nel momento in cui si riconosca un determinato risvolto nella narrazione.

Questa pratica si riallaccia a delle questioni etiche che solo in rari casi generano un giustificato senso di disprezzo verso l’adattamento.

Tuttavia, per avere uno sguardo critico e oggettivo su quello che si sta osservando, bisogna andare aldilà del confronto, anche involontario, tra due opere che appartengono a due campi semantici differenti. Questo non significa annullare le conoscenze che si hanno dalla precedente lettura di un

22 Citazione contenuta nel saggio di G. Manzoli, Cinema e Letteratura, Carocci editore, Roma, 2003.

23 L. Hutcheon, op. cit. p. 68.

(20)

20

libro, oppure, più raramente24 dalla visione del film che ne è tratto; conoscere entrambi gli elementi garantisce una maggiore capacità di approfondimento dei significati e temi espliciti, impliciti e sintomatici che un racconto è in grado di generare, significa, evitare di confrontare l’una con l’altra le due opere per sancire quale sia meglio.

Questa prassi di confronto con frequente disprezzo successivo verso l’opera cinematografica interessa molto spesso i gruppi di fandom, ovvero quella cerchia di appassionati che viene a crearsi intorno ad una saga letteraria o universo narrativo verso il quale si pretende fedeltà assoluta, per una presunta questione etica nella quale rientra, sicuramente, la sensazione di sentirsi attaccati verso qualcosa che si ama. Un esempio recente quanto emblematico che riguarda la reazione della comunità nerd nei confronti di due adattamenti dello stesso fumetto risale al 2012, quando nelle sale uscì la seconda trasposizione del supereroe Marvel Spider-Man, diretto in quell’anno da Mark Webb. I fans dell’Uomo Ragno trovarono istintivo confrontare il nuovo reboot con la precedente trasposizione girata nel 2001 da Sam Raimi, individuando nella trasposizione di Webb maggiori elementi degni di apprezzamento poiché più attinenti con il fumetto.25

L’operazione compiuta dal regista de La Casa rappresentava invece una rilettura in chiave autoriale del fumetto, elevando l’opera al di sopra delle sue pretese iniziali e utilizzandola come mezzo per trattare temi di una certa importanza. È infatti impossibile non leggere nella trasposizione firmata da Sam Raimi una metafora che sfrutta la trasformazione in supereroe del protagonista per raccontare il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con la conseguente portata di responsabilità che implica.

Inoltre, Raimi fa sì che la sua poetica orrorifica si diffonda nella pellicola, ed è oscuro e tetro laddove Webb deciderà di essere più colorato e patinato.

Basterebbero questi elementi a sancire un’oggettiva superiorità della rilettura di Sam Raimi rispetto alla più recente trasposizione di Webb, che tuttavia, sulla base di quel confronto improprio tra opera letteraria e film ottenne maggiore apprezzamento da parte dei fans poiché quest’ultima si confaceva di più alle loro conoscenze pregresse riguardo al fumetto.

La questione potrebbe essere ampiamente approfondita, ma sarà necessario osservarla da un diverso punto di vista, ovvero quello dell’autore dell’opera che assiste alla trasposizione; non

24 Parafrasando un concetto presente in P. Sorlin, Introduzione ad una sociologia del cinema, ETS, Pisa, 2017, secondo cui tendenzialmente, da un punto di vista sociologico, difficilmente si legge un libro dopo aver visto il film da cui è tratto, è più plausibile il contrario.

25 L. Lemenick, Spidey Peters out, New York Post, 26 giugno 2012.

(21)

21

occorrerà tuttavia allontanarsi più del dovuto, in quanto il caso di Stephen King rappresenta, come si vedrà, un esempio emblematico.

1.4 GLI AUTORI E L’ADATTAMENTO

Dopo aver analizzato l’elemento della percettività mutevole che caratterizza l’adattamento, la sua costruzione scrittoria e la questione relativa alla comparazione tra opera letteraria e cinematografica, occorre puntualizzare come il fenomeno del romanzo che diventa film interessi fortemente anche quelle personalità del tutto o in parte estranee alle logiche produttive di Hollywood: gli autori.

Essi sono i demiurghi della loro stessa opera e la portata artistica delle loro realizzazioni cinematografiche si caratterizza per uno stile, una poetica e un modo di fare cinema del tutto personale.

Questa condizione di autore li impegna in una costante ricerca di ispirazione e non è un caso che parte delle filmografie di molti di essi sia ascrivibile all’insieme degli adattamenti.

Sottolineare questo lato è fondamentale, dal momento che tra questi autori figurano nomi che si legheranno in maniera indissolubile a Stephen King, alla sua poetica e alle sue opere, vedendo nei suoi romanzi e nei suoi orrori uno specchio nel quale riflettere la propria idea di cinematografia.

Il pensiero artistico che porta un autore cinematografico ad approcciarsi ad un adattamento avviene poiché egli percepisce forti affinità tra l’opera letteraria e la sua poetica, lasciando quasi sempre da parte la necessità economica.

Tra gli autori che hanno fatto dell’adattamento una pratica per esplicare la propria poetica figura il nome David Cronenberg; un regista la cui personalità artistica assorbe dalla cultura letteraria, cinematografica e anche teatrale, quanto di più affine esista con la sua poetica.

Pensiamo all’adattamento del Pasto Nudo (Naked Lunch, 1992) tratto dall’omonimo romanzo di William Burroughs.

Per Cronenberg, realizzare questo adattamento significava operare un audace tentativo, attraverso la resa dei dialoghi e la costruzione della regia, di “collegarsi alla mente dell’autore al punto di sentirsi posseduto.”26

Gli elementi del romanzo che Cronenberg prende in considerazione, come il delirio allucinogeno, la traumaticità dei gesti umani e la discontinuità della componente scrittoria, vengono rappresentati dal regista attraverso le sue isotopie figurative, l’ossessione per il corpo, per il sesso, per la mutazione e in generale i caratteri estetici del Body Horror.

26 Così riportato dalle parole di David Cronenberg da Fédéric Sabouraud, in op. cit. pag 64.

(22)

22

Inoltre, Cronenberg parte dall’elemento scrittorio, le frasi senza senso e apparentemente sconnesse tra di loro, per fare dell’adattamento di Naked Lunch un caso del tutto singolare, andando a concepire non solo una libera trasposizione del romanzo secondo la propria poetica d’autore, ma una rappresentazione di una realtà meta-letteraria della vita dello scrittore William Burroughs27 e della genesi della sua opera.

Lo stesso regista dirà a proposito della sua trasposizione: “Non ho mai pensato di voler essere fedele all’originale. Il pasto nudo è un mio sogno su William Burroughs e sul suo libro. Un sogno in cui ho inserito tutte le mie ossessioni e le mie idiosincrasie”28

Ancora prima del Pasto Nudo, Cronenberg adatta dal romanzo Twins (1977) di Barri Wood e Jack Geasland, il suo film Inseparabili (Dead Ringers, 1988), in cui gli elementi della poetica di Cronenberg, il quale adopera poco più che la base tematica e narrativa del romanzo, esplodono in tutta la loro potenza. Si assiste quindi ad un viaggio alla scoperta dei misteri dell’organismo che sfocia nell’ossessione nei confronti del corpo e si manifesta attraverso la professione dei due protagonisti: i gemelli, infatti, nutrono una morbosa curiosità per la corporeità femminile, sia essa quella di una donna in carne ed ossa o di una bambola di plastica, e la creazione di strumenti di chirurgia ginecologica “particolari” è finalizzata ad uno studio più approfondito e maniacale.

Si potrebbe andare oltre, passando ad analizzare il rapporto che lega David Cronenberg con le pièce teatrali che lo portarono alla realizzazione di M.Butterfly, o altre questioni relative all’adattamento nelle lavorazioni dei suoi film A Dangerous Method (2011) e Cosmopolis (2012);

quello che importa è notare come l’elemento scrittorio dei romanzi che adatta sia per Cronenberg l’elemento centrale intorno al quale costruire un film che parli però di lui, della sua arte e del suo cinema.

Il regista stesso dichiarerà in un’intervista a Mario Sesti29 di notare una forte interconnessione tra letteratura e cinema, di essere un avido lettore e fruitore di cinema e di aver imparato a scrivere sceneggiature e a girare film semplicemente leggendo libri e guardando pellicole.

Un altro regista il cui nome si lega alla pratica dell’adattamento è Stanley Kubrick. Non solo per il già citato caso dell’«espansione» del racconto La Sentinella di Arthur C. Clarke: anzi, si potrebbe

27 Nella seconda parte del film si narra un episodio della vita di Burroughs che venne trovato a Tangeri dai poeti Kerouac e Ginsberg, sotto effetto di droga e sommerso da fogli di carta che lo scrittore non ricordava di avere scritto. I due amici lo aiutarono a ricomporre i frammenti per dare vita al romanzo Pasto nudo, che lo rese celebre in tutto il mondo. Nel film di David Cronenberg viene riportato per due volte il trauma subito dallo scrittore quando uccise involontariamente la moglie Joan Vollmer.

28 È una dichiarazione riportata in G. Canova, David Cronenberg, Il Castoro, Milano, 2007, p. 61.

29 Intervista completa riportata in M. Sesti, Che cos’è il cinema, Donzelli Editore, Roma, 2015, p 76-77.

(23)

23

dire che ogni capolavoro di Kubrick sia un adattamento, partendo dalle produzioni iniziali come Rapina a mano armata (The Killing, 1959), tratto dal romanzo omonimo di Lionel White, fino all’ultima opera del regista Eyes Wide Shut (1999) liberamente ispirato al romanzo breve di Arthur Schnitzler, Doppio Sogno.

In tutti questi casi non si tratta di una semplice trasposizione, ma di un’opera di ricreazione, di appropriazione autoriale dell’originale, che diventa cosa irrimediabilmente altra nelle mani del regista. Il dottor Stranamore (Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb 1964), ad esempio, ribalta completamente l’allarmismo apocalittico nel nero cinismo dello humor, e così fanno Spartacus (1960), o ancora di più Lolita (1962), a cui lo stesso scrittore Nabokov riconosce innovazioni deliziose e pertinenti, nonostante si tratti di elementi che differiscono da quello che lui ha creato.

Dei romanzi presi in esame da Kubrick rimangono l’idea, l’atmosfera e le tematiche trattate, che vengono declinate secondo lo sguardo del cineasta, talmente al di sopra di qualsiasi livello cinematografico precostituito da filmare capolavori appartenenti a generi diversi, provenienti da romanzi diversi.

Prendiamo in considerazione A Clockwork Orange, del 1971, conosciuto in Italia come Arancia meccanica e tratto dall'omonimo romanzo distopico scritto da Anthony Burgess nel 1962.

Si tratta di un libro atipico, originalissimo, brutale nel raccontare le storie ultra-violente di Alex e dei suoi amici, le loro notti di pestaggi, furti, stupri di massa, risse tra bande rivali, in una girandola orgiastica di violenza, droghe e sinfonie di Beethoven. Il nucleo centrale del testo, che tratta temi come la tensione perenne tra istinto e istituzione, la politica, l’attrito tra generazioni, i metodi coercitivi applicati, l’influenza dei mass media, viene mantenuto, ma il problema più delicato che si trova ad affrontare Kubrick è l’impossibilità di riprodurre la tecnica compositiva utilizzata dall’autore: il mondo distorto di Arancia meccanica è espresso, nel libro, con un linguaggio distorto, un misto di inglese e russo chiamato “Nadsad” e completamente inventato dal poliglotta Burgess.

Nel film, la dissonanza del linguaggio è resa da quei fattori specificamente cinematografici: a partire dalla musica, sempre deliziosamente fuori contesto, come avviene con la celebre decontestualizzazione della canzone Singing in the rain.

Troviamo poi il cromatismo acido delle scenografie; l’eccentricità brillante dei costumi, con l’utilizzo di quel memorabile e iconico bianco che gioca con l’ambiguità dei suoi rimandi a purezza e candore; la disturbante antropomorfizzazione degli arredamenti interni, che costituiscono un rimando diretto alle sculture di Allen Jones; persino i dettagli minimi, come la citazione dei dischi di rock psichedelico Magical Mistery Tour dei Beatles e Atom Heart Mother Suite dei Pink Floyd.

(24)

24

L’espressionismo straniante del libro viene quindi ad essere rappresentato secondo l’interpretazione e la visione di Kubrick e si vedrà come questo avvenga anche in Shining, rappresentando uno di quei casi in cui la mancata fedeltà al libro sancisce uno scontro aperto con chi vanta la paternità dell’opera: lo scrittore Stephen King.

L’adattamento per Kubrick ha sempre rappresentato una garanzia: non considerandosi sufficientemente abile nella creazione dei soggetti30, egli ha sempre ritenuto che fosse meglio affidarsi a grandi racconti la cui paternità appartenesse ad altri. Tuttavia, l’utilizzo di queste fonti “estreme” e particolari, che Kubrick ha sempre rimaneggiato molto liberamente, ha permesso ai suoi film di essere fortemente innovativi anche sotto il profilo delle strutture e dei risvolti narrativi, mentre la formazione da fotografo faceva sì che Kubrick si ponesse come visionario e creativo sugli aspetti visivi ed estetici.

Gli autori sensibili alla pratica dell’adattamento sono numerosi e la scelta di prendere David Cronenberg e Stanley Kubrick come esempi non è casuale; essi, infatti, firmano alla regia due di quelle che sono considerate tra le migliori trasposizioni provenienti dai romanzi di Stephen King, rispettivamente La Zona Morta (1983) e Shining (1980).

Il fatto che le storie narrate da King abbiano raggiunto personalità registiche come questi due autori è di radicale importanza per questo lavoro, volto ad indagare quali elementi, raccontati dallo scrittore nei suoi romanzi, siano arrivati ad interessare la televisione, la serie B cinematografica, le produzioni mainstream ad alto budget di Hollywood e poi la cinematografia più elevata di personalità come De Palma, Cronenberg e Kubrick, e in che modo si sono trasformati durante il passaggio dalla pagina scritta allo schermo.

30 Elemento riassunto da quanto scrive M.W Bruno, Il cinema di Stanley Kubrick, Gremese editore, Roma, 2017.

(25)

25

2 STEPHEN KING: IL PROFILO DEL RE DEL BRIVIDO

2.1 LA BIOGRAFIA E TRAUMI DI UN FUTURO SCRITTORE

Dopo aver delineato alcune questioni centrali relative alla pratica dell’adattamento, il seguente capitolo è dedicato all’analisi del profilo biografico e artistico dello scrittore americano Stephen King, la cui produzione bibliografica e conseguente trasposizione audiovisiva rappresenta l’oggetto di studio di questo elaborato. Per avviare un discorso relativo a quanto le vicende personali abbiano influito sulla sua narrativa, si potrebbe avviare questa indagine rievocando un episodio della vita dello scrittore avvenuto il pomeriggio del 19 giugno del 1999, intorno alle ore sedici, quando Stephen King si trova impegnato nella sua abituale camminata di sei chilometri nei dintorni di Center Lovell, nel Maine occidentale, per un tratto lungo la Route 7, la strada che collega Bethel e Fryeburg ed è diretto verso la sua residenza estiva. Mentre passeggia, è probabilmente impegnato a riflettere sull’enorme successo che sta avendo il film Il Miglio Verde (The Green Mile), diretto da Frank Darabont e tratto da una delle sue opere e uscita in sei puntate tre anni prima; oppure al plauso riscosso dal suo ultimo romanzo La Bambina che Amava Tom Gordon (The Girl Who Loved Tom Gordon). Poco distante dal punto in cui passeggia lo scrittore si trova un uomo, Bryan Smith, che in quel momento sta litigando con il suo cane mentre è alla guida suo camper. King non sa che quel camper sta per travolgerlo1. Dopo il violento impatto lo scrittore viene trasportato in elicottero all’ospedale e gli vengono diagnosticati una serie di gravi traumi fisici: polmone destro perforato, gamba destra fratturata in almeno nove punti, tra cui ginocchio e anca, colonna vertebrale lesa in otto punti, quattro costole spezzate e lacerazione del cuoio capelluto2. Esce dall'ospedale il 9 luglio 1999, dopo tre settimane di ricovero.

Quello vissuto quel giorno da Stephen King, rappresenta un trauma destinato a lasciare un segno indelebile nella mente di uno degli scrittori più prolifici del XX secolo; alla domanda postagli da un giornalista se mai dovesse sfruttare questa storia dell’incidente per un romanzo, King rispose

«Sicuramente, tutto prima o poi finisce li.»3 Tale risposta riassume un concetto di radicale importanza in ogni procedimento di creazione artistica: ogni avvenimento accaduto nella biografia di Stephen King ha influenzato i suoi romanzi allo stesso modo di un regista, di un pittore o di un qualsiasi altro

1 King parla del suo incidente nella sua autobiografia S. King, On Writing: Autobiografia di un mestiere, Sperling &

Kupfer, Milano, 2017, p. 264.

2 Ivi, p. 268.

3 M. Bozza, Stephen King, Il maestro del terrore, Area 51 Publishing, 2021.

Riferimenti

Documenti correlati

Al 2 luglio si fissa anche il termine ultimo delle considerazioni fatte in questo lavoro: dopo aver definito il contesto editoriale in cui il supplemento era

Affermeremo che il legislatore o causa efficiente prima e specifica della legge è il popolo, o l’intero corpo dei cittadini, o la sua parte prevalente, per mezzo della sua

la sorte del prigioniero inizia ad essere legata a quella dei carcerieri, molto più che alle indagini delle forze dell'ordine o alle mosse dei politici. È con loro che Moro dovrà, in

Nel caso della pala conservata a Verzi, a completamento della scena oltre ai già citati santi, troviamo il Cristo crocifisso, la Madonna dei sette dolori e le anime

Egli scrisse un testo in volgare, rivolto non solo agli artisti, ma anche a chi si diletta di arte e “che sogliono abbellire le chiese e le loro abitazioni con

“succhiare”, in riferimento alla tradizionale bramosia dell’animale. freno, §1.17 si indica l’azione di mettere in bocca il morso per controllare un animale; in modo

Infatti, il tema della detenzione e della deportazione come prova, esame o sacrificio, spesso viene associato anche alla fede religiosa che, al pari degli

Spartaco e le altre reticenze manzoniane, cit., pp. 3-6 e Maria Camilla Adolfo, Il mito di Spartaco nella cultura moderna: una ricostruzione storica, cit., pp.. tormentata; gli