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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO POLITICO RELIGIOSO Unicuique suum Non praevalebunt
Anno CLXI n. 79 (48.702) Città del Vaticano giovedì 8 aprile 2021
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Santi dei suburbi a cui votarsi
di ALV E R ME TA L L I
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giorni della grande pandemia, quando la vita è più pericolante, sono anche giorni di grande perdono. Torti di lunga data che oppongono gli uni agli altri si sono sciolti, lontananze che sembravano incolmabili sono sparite, certe separa- zioni si sono mitigate e talune divisioni sono diventa- te meno intransigenti. La gente dei suburbi, quella che vive nei quartieri popolari, nelle villas miseria, nelle bidonville urbane, si rivolge ai santi nostrani, quelli che la religiosità popolare invoca nelle calamità quotidiane. Il Gauchito Gil è uno di questi e le perife- rie urbane la sua casa, disseminate come sono di sta- tuette vestite dagli inconfondibili colori rossi e neri, quelli della sua fazione politica nella guerra civile che insanguinò la provincia argentina di Corrientes a me- tà dell’Ottocento. Lì, quando la pietà per i vinti era una moneta poco conosciuta, il soldato semplice An- tonio Plutarco Cruz Mamerto Gil Núñez si rifiutò disparare sui propri fratelli e la cosa gli costò un disono- revole arresto e la condanna a morte per diserzione.
Lui in cambio perdonò chi doveva eseguire la senten- za, e predisse la guarigione di un figlio malato al suo carnefice. Bastò perché negli animi esacerbati dei contemporanei, e ancor di più in quelli dei loro di- scendenti, il fante Gil Núñez crescesse in considera- zione. In poco tempo la sua fama si diffuse e divenne un “santo senza aureola”, di cui non ci sono neppure tracce storiche incontrovertibili. Ma tant’è, il rigore della storia a volte passa in secondo piano di fronte al- la sottolineatura di qualità che un popolo considera degne di nota in un determinato momento della pro- pria storia nazionale. Il perdono, appunto, una virtù squisitamente cristiana, con il seguito di bontà, tolle- ranza e amicizia verso il nemico che l’accompagna.
Al perdono dei nemici si era certamente votata ani- ma e corpo anche una donna di un piccolo paese del nord argentino che assisteva i padri della Compagnia di Gesù nella provincia di Santiago dell’Estero. I ge-
suiti vennero poi cacciati dai possedimenti della co- rona spagnola e ripararono in Europa da dove erano venuti. Nel comprensibile sbandamento degli animi, fu lei, María Antonia de Paz y Figueroa, figlia di un blasonato militare al servizio del re, ad assumere l’e- redità degli espulsi, di cui gli esercizi spirituali di San Ignazio erano uno dei momenti più significativi.
“Mama Antula”, come venne poi popolarmente chiamata, percorse grandi distanze a piedi nudi vi- vendo di elemosine e spargendo in lungo e in largo il verbo ignaziano concentrato nella pratica dei ritiri spirituali per poi intraprendere il cammino verso Buenos Aires. Tardò due mesi ad arrivarvi e l’acco- glienza del vescovo e del governatore, le due massime autorità dell’epoca, non fu quella sperata. Ma l’osti- nazione, la fede in Dio e nella bontà degli esercizi ignaziani finirono per perforare il muro di diffidenza sia del potere politico che di quello clericale. In po-
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INTERNO Oggi in primo pianoA un mese dal viaggio di Francesco in Iraq
GIANNIVALENTE, SI LV I N A PÉREZ EFRANCESCORICUPERO NELLE PA G I N E 2E3 Video-messaggio del segretario per i Rapporti con gli Stati
Per combattere l’antisemitismo
PAGINA5
Una Pasqua per rinascere
MICHAELCZERNY NELL’INSERTO
«LA SETTIMANA DELPA PA »
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TORIE DI PERIFERIA• Il Gauchito Gil, “Mama Antula” e i tanti altri che insegnano il perdono
SEGUE A PA G I N A 5
Sfruttamento minerario:
la Groenlandia dice no
(Emil Helms/Epa)
Nuovo appello del Papa
Sui vaccini prevalga la solidarietà
e non la legge di mercato
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ui vaccini prevalga la solidarietà e non la legge di mercato: a pochi giorni dal messag- gio “Urbi et orbi”, con cui a Pasqua, come già a Natale, aveva esortato la comunità in- ternazionale a «superare i ritardi nella distribuzione e favorirne la condivisione, specialmente con i Paesi più poveri», Papa Francesco è tornato a ribadire l’im - portanza dello strumento vaccinale nella lotta contro la pandemia da covid-19. Lo ha fatto attraverso una lettera inviata ai partecipanti al Meeting di primave- ra 2021 della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, che si svolge online dal 5 all’11 aprile.Diffusa oggi, giovedì 8, la missiva pontificia in lingua inglese rimarca «il bisogno urgente di un piano globale» di solidarietà, che miri a «dare alle nazioni meno sviluppate una partecipazione con- creta» nei processi decisionali, facilitando il loro
«accesso al mercato internazionale». Ciò passa ne- cessariamente attraverso «la riduzione significati- va del peso del debito» da esse accumulato, «che è stato esacerbato dalla pandemia». Ridurne «il pe- so oggi — spiega Francesco — può aiutare le perso- ne a progredire» e anche «ad avere accesso ai vacci- ni, alla salute, all’educazione e al lavoro».
Tra gli altri temi affrontati, anche quello del “de - bito ecologico” che «esiste specialmente tra il nord e il sud del mondo», con l’invito rivolto all’indu - stria finanziaria «a sviluppare meccanismi agili per calcolarlo in modo che i Paesi sviluppati lo possa- no pagare», non solo limitando i consumi, «ma an- che coprendo i costi dell’innovazione».
PAGINA8
I ricordi del Pontefice in una lettera al settimanale «Alfa e Omega»
Il giovane Bergoglio
“adoratore notturno”
In una lettera in spagnolo, inviata al settimana- le cattolico «Alfa e Omega», il Papa ricorda l’e- sperienza delle notti in preghiera condivisa col fratello negli anni Cinquanta, nella basilica del Santissimo Sacramento a Buenos Aires.
ALESSANDRODECAROLIS EBE N E D E T TA CAPELLI A PA G I N A 8
I
l partito della comunità Inuit ha vinto le elezio- ni in Groenlandia con il 36 per cento dei voti:una svolta drastica anche in tema ambientale.
L’Inuit Ataqatigiit ha infatti promesso che im- pedirà lo sfruttamento minerario dell’isola, popolata al 90 per cento dagli indigeni e ricchissima di terre rare ed uranio. Una licenza per lo sfruttamento del sottosuolo, risalente al 2010, potrebbe ora essere de- finitivamente revocata.
Nell’inserto Atlante di domani approfondimenti ed analisi sul ruolo globale delle popolazioni indigene nella custodia dell’ambiente.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2 giovedì 8 aprile 2021
Oggi in primo piano - A un mese dal viaggio del Papa in Iraq
di GIANNIVALENTE
È
trascorso appena un mese dal viaggio di Papa Francesco in Iraq, e nei gesti e e nelle paro- le di quella visita apostolica, guardati in prospettiva storica, si coglie oggi con più evidenza la filigrana preziosa e gravida di futuro che l’ha attraversata, unendola al tempo che la pre- cede e a quello che verrà.In quella trasferta di pochi giorni, il vescovo di Roma è andato nella terra di Abramo, nel punto da dove è iniziata la storia della salvezza. Prima ancora, aveva reso omaggio al Grande ayatollah Ali Al-Sista- ni, guida spirituale dell’islam sciita. Poi ha attraversato da pellegrino penitente le terre ferite dal terrore jihadista, confermando nella fede i fra- telli in Cristo.
L’itinerario papale ha co- steggiato volutamente l’abisso di male e di perdizione che in- combe sul mondo, proprio mentre ripeteva le parole di guarigione e salvezza custodi- te dal popolo di Dio lungo il cammino della storia. Dopo il
Abu Dhabi insieme allo Shei- kh Ahmad Al-Tayyeb, Grande imam di Al-Azhar, autorità ri- conosciuta dell’islam sunnita, e dopo poco più di due anni vola fino a Najaf per rendere omaggio all’ayatollah Al-Si- stani, tra le figure più seguite dello sciismo. Con questi due gesti, cerca intenzionalmente come compagni di strada pro- prio dei figli autorevoli del- l’Umma di Mohammad per suggerire insieme a tutto il
mondo cammini di pace. Pro- prio il vincolo con i fratelli musulmani, riconosciuto al concilio Vaticano II e messo nel mirino come “faglia fragi- le” dai propagandisti del terro- re di ogni risma, può diventare punto di prova e riconosci-
mento di una fratellanza che protegga il mondo dall’Ap o- calisse. Una fratellanza rico- nosciuta nel tratto elementare della comune figliolanza che unisce tutti all’unico Padre di- vino, e che cristiani e musul- mani propongono a tutti — atei, agnostici e massoni com- presi — come contributo a una convivenza tra diversi che non deflagri in conflitto e terrore.
Nella scommessa espressa nei gesti e nelle parole di Papa Francesco, da Abu Dha- bi a Najaf, da Ur dei Caldei a Mosul e Qara- qosh, si può avvertire anche l’intuizione che la vera partita in gioco og- gi sul destino del mon- do ha a che fare con la matrice ideologica “ap o- calittica” affiorata in particolare nel cosiddet- to Stato islamico (Dae- sh), colta negli anni del- la sua massima espansione da diversi analisti, che ha rappre- sentato un tratto distintivo di Daesh anche rispetto a altri movimenti islamisti contem- poranei. Gli adepti al cosid- detto Stato islamico avevano e continuano ad avere obbietti- vi concretissimi di potere: con- quistare territori, trafficare ar- mi e petrolio, raccogliere soldi da finanziatori mondiali. Nel far questo — ha scritto l’anali- sta statunitense Graeme Wood — essi perseguono co- me intento finale quello di
«far manifestare l’Ap o calis- se», e vivono le loro feroci atrocità e anche le azioni suici- de come sacrifici offerti per propiziare l’avvento di una sanguinaria palingenesi. L’ur- genza di accelerare la fine del tempo e la venuta del Mahdi
— “l’Inviato” di Allah atteso dall’escatologia islamica — hanno rappresentato un asse portante della propaganda di D aesh.
La loro stessa rivista «D a- biq» prende il nome della lo- calità nel nord della Siria dove secondo le profezie care ai se- guaci del Califfato dovrà svol- gersi lo scontro finale tra le ar- mate dell’islam e quelle del
“nemico”.
Sul terreno del pensiero apocalittico, conviene ricorda- re che torrenti di lucido delirio sono sgorgati ben lontano dal- l’islam, anche in ambienti irri- gati dalle altre due “re l i g i o n i del Libro”. Millenarismi e cul- ti nutriti di pensiero apocalit- tico cristiano, secondo studi convergenti, si rintracciano anche in dottrine politiche che negli ultimi decenni hanno in- fluenzato in maniera non se- condaria anche i circoli di po- tere che ad esempio teorizza- vano con toni messianici il
“disordine creativo” e le guer- re contro “Stati canaglia” e
“assi del male” come strumen- to di ri-configurazione globale e radicale del Medio Oriente.
Nella sua supplica allo Yad Vashem, piena dello sconvol- gimento di Dio davanti all’O- locausto, e in altri momenti del suo magistero, Papa Fran- cesco ha accennato più volte al
Francesco, i figli di Abramo e i “banditori dell’Ap o calisse”
Perdono e riconciliazione
A colloquio con il patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphaël Sako
di FRANCESCORICUPERO
«L
a fratellanza e la di- versità sono la base umana e morale fon- damentale per la con- vivenza»: ne è convinto il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca di Ba- bilonia dei Caldei, che in questa in- tervista a «L’Osservatore Romano»ricorda con gioia e gratitudine il viag- gio di Papa Francesco in Iraq.
È trascorso appena un mese dalla visita apo- stolica, compiuta in un momento storico par- ticolare contrassegnato dall’emergenza sanita- ria. Un gesto quasi inaspettato. Cosa ha si- gnificato per lei e per i cristiani iracheni la presenza del Pontefice?
Sapevo che il Santo Padre voleva visitare l’Iraq, ma sinceramente non me lo aspettavo proprio in questo momento particolare, data la situa- zione incerta provocata dalla pande- mia. È stata una sorpresa la sua de- terminazione. Il Santo Padre ha il ca- risma di sorprendere. Penso che lui abbia sentito nel suo cuore di pastore l’esigenza di venire a portare confor- to e speranza agli iracheni che hanno tanto sofferto. Dunque, ha fatto be- ne. Che gioia la sua visita! Il Papa ha colpito tutti: cristiani e musulmani.
L’Iraq, durante la sua permanenza, è stato un piccolo paradiso, dopo tan- to inferno, e speriamo che sarà sem- pre così!
Lei in diverse occasioni ha rimarcato la neces- sità di uno Stato laico che permetta la libertà di culto. Pensa che in Iraq ciò sia realizzabile?
E quanto tempo ancora bisognerà aspettare?
Ritengo che un regime secolare, basato unicamente sulla cittadinanza e non sulla religione, sia la soluzione.
I Paesi del Medio oriente non avran-
no futuro senza la separazione tra re- ligione e Stato. Sono due cose diver- se. In uno Stato secolare, puoi essere musulmano o cristiano, puoi andare in moschea o in chiesa, digiunare e gestire la tua vita secondo le tue con- vinzioni, e lo Stato non ha il diritto di impedirti di farlo... né può costrin- gerti a farlo. Così come non può im- pedirti o importi di diventare religio- so. Non ti verrà tagliata la mano se rubi e non andrai in prigione se inter- rompi il digiuno durante il Ramadan.
Lo Stato non ti punirà se scegli que- sta o quell’altra religione. L’Iraq è pronto per essere secolare e i giovani manifestano rivendicando patria e uguaglianza. Il settarismo in Iraq è stato creato apposta dopo la caduta dell’antico regime.
Cosa sta facendo la Chiesa caldea per convin- cere i cristiani a rientrare in patria dopo la persecuzione da parte del cosiddetto Stato islamico?
Il ritorno dei cristiani è dovere del governo iracheno e ciò sarà possibile quando le condizioni saranno favore- voli e saranno garantiti sicurezza, sta- bilità e servizi. I cristiani e altre mino- ranze saranno incoraggiati a tornare nella loro terra di origine. A mio pa- rere questo è un progetto a lungo ter- mine.
In un recente messaggio lei ha invitato gli ira- cheni a voltare pagina e ad avviare un nuovo percorso. Crede che la visita del Papa possa contribuire a un cambiamento nel Paese?
Deve cambiare una certa mentalità tribale intrisa di vendetta e di giusti- zia. Colui che perdona è più forte di chi si vendica. Bisogna perdonare e riconciliare per il bene comune, come ha fatto Nelson Mandela in Sud Afri- ca. Una nuova cultura aperta, che ri-
spetta le diversità, è necessaria per compiere progressi. Il Papa ha parla- to della fraternità umana e anche spi- rituale, occorre rispettare la diversità e collaborare per un mondo migliore, con più pace e dignità.
Cosa serve per facilitare un’armoniosa convi- venza fra le fedi? Lei è convinto che musulma- ni e cristiani possano convivere nonostante le ferite inferte dai fondamentalisti?
Noi cristiani abbiamo una vocazio- ne: dobbiamo aiutare gli altri ad aprirsi, dobbiamo essere pronti, co- raggiosi e non avere paura. Come pa- store ripeto che la Chiesa ha il dovere di esplicitare la fede in modo chiaro.
Ci vuole dialogo e rispetto. Unità non significa uniformità. Il Papa in Iraq ha più volte parlato di fratellan- za e diversità. Le sue parole scaturite dalla fede e dal suo cuore con sempli- cità e spontaneità hanno cambiato la mentalità della gente. Adesso c’è grande rispetto, ma anche i leader politici dovrebbero cambiare.
Quanto può essere determinante il sostegno dei cattolici e della comunità internazionale per instaurare un clima di pace e serenità?
Papa Francesco ha tracciato una magna carta durante i suoi incontri e con le sue parole, e adesso tocca a noi metterla in pratica. Il governo irache- no ha costituito un comitato subito dopo la visita apostolica, così anche la Chiesa caldea. Abbiamo fiducia e sp eranza.
Come è possibile rafforzare la fratellanza in un Paese martoriato da scontri armati e vio- lenze?
Noi cristiani formati con il perdo- no abbiamo un ruolo capitale: perdo- nare, appunto. Riconciliarsi e costrui- re la fiducia sono temi essenziali per
una convivenza politica. La gente semplice è pronta a cambiare, ma ri- peto che il grande ostacolo sono i po- litici che cercano di curare i loro inte- ressi, come ha ribadito anche l’ayatol- lah Al-Sistani durante l’incontro con Fr a n c e s c o .
Cosa farà di concreto la Chiesa in Iraq nel prossimo futuro?
Lavoreremo su quattro obiettivi:
costruire programmi educativi e di- dattici in modo da rafforzare la fratel- lanza tra gli iracheni e la loro unità nazionale; organizzare eventi di sensi- bilizzazione per gli iracheni sulla loro diversità attraverso seminari, confe- renze e programmi televisivi dedicati a civiltà, culture e religioni, al fine di mostrare i punti in comune, appro- fondendoli e rispettandone le partico- larità, perché ciò che ci unisce è mol- to di più di ciò che ci divide; creare un centro nazionale che comprenda aule e una biblioteca specializzata sui temi del dialogo interreligioso; infine, attivare il codice penale iracheno (n.
111 del 1969) e i suoi articoli che ob- bligano a proteggere i luoghi santi e prevenire l’offesa alle religioni e ai lo- ro simboli punendone gli aggressori.
viaggio papale in Iraq, come
“effetto collaterale”, adesso ri- salta con più chiarezza persua- siva anche l’intuizione che ha iniziato a prender forma con il Documento di Abu Dhabi sul- la fratellanza umana, irrigan- do poi l’enciclica papale Fra t e l - li tutti. Una intuizione del tem- po presente che sprigiona an- che singolari riverberi di regi- stro geopolitico, avendo a che fare con le convulsioni che da decenni stravolgono la vita del Medio Oriente, e quindi di tutto il mondo.
È infatti da decenni che ogni disegno volto a scatenare la catastrofe e far spazio all’in- ferno sulla terra punta a met- tere dinamite nella fragile fa- glia che scorre tra l’islam e la globalizzazione occidentale.
Lo hanno fatto, negli ultimi anni, i miliziani del Califfato nero e tutti i gruppi e le sotto- marche della galassia jihadi- sta. Lo hanno fatto, prima di loro, con argomenti diversi e toni all’apparenza più garbati, tanti cultori più o meno illu- stri delle “guerre di civiltà”.
Papa Francesco, muovendosi in direzione uguale e contra- ria, firma il Documento di
Da decenni ogni disegno volto a scatenare la catastrofe punta a mettere dinamite nella fragile faglia tra l’islam e la globalizzazione occidentale
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 8 aprile 2021 pagina 3
Oggi in primo piano - A un mese dal viaggio del Papa in Iraq
Chi vende oggi
le armi ai terroristi?
fattore «non umano» in atto nei sacrifici umani imposti in tutto il mondo dalla «terza guerra mondiale a pezzi». Le pulsioni all’auto-dissoluzione di matrice apocalittica, mentre alimentano guerre, corse agli armamenti e la stessa devasta- zione ambientale sembrano seguire i passi di dottrine gno- stiche vecchie e nuove, che da sempre disprezzano la Crea- zione e il suo ordine come un
“male” e un “limite” da supe- r a re .
Se oggi la vera partita è tra il mondo e quelli che vogliono accelerare la fine del mondo, essa chiama in causa il livello più intimo della missione della Chiesa. Lontano da ogni esan- gue irenismo, la via segnata dal Documento di Abu Dhabi e dal viaggio papale in Iraq è solo l’esito di uno sguardo cat- tolico applicato ai segni dei tempi. Proprio quello sguardo riconosce che il tempo è nelle mani di Dio, e nessuno può
“a b b re v i a re ” gli anni e i secoli in cui dovrà ancora risuonare nel tempo della storia — che è il tempo della Chiesa — anche l’annuncio della salvezza pro- messa da Cristo. Nel momen- to presente, i figli di Abramo
— ebrei, cristiani, musulmani
— possono proporre a tutta la famiglia umana la via condivi- sa di una fratellanza che pro- tegga il mondo dai nuovi ban- ditori dell’Apocalisse, proprio mentre riconosce e confessa che la salvezza non è nelle ma- ni degli uomini. Una comune figliolanza offerta a tutti come via di scampo per uscire insie- me dalla spirale dell’auto-an- nientamento messa in moto dalle agenzie del terrore.
Per questo, allo stato pre- sente delle cose, collaborano oggettivamente ai disegni di quelle agenzie tutte le parole e i gesti volti a umiliare e crimi- nalizzare la moltitudine orante dei credenti che rendono culto a Dio secondo il Corano. Pro- prio loro, insieme a ebrei e cri- stiani, possono attestare da- vanti al mondo la fratellanza che li unisce nel nome di Abramo, padre di tutti i cre- denti. E solo per questa via si può anche impedire che il te- tano jihadista e millenarista contagi nuovi adepti e trovi proprio nelle masse islamiche frustrate altra manovalanza a buon mercato. Come confes- sava il teologo luterano Dietri- ch Bonhoeffer davanti all’im- perversare del delirio nazista,
«Esiste una sorta di inconscio discernimento che, nell’ora dell’estremo pericolo, conduce chiunque non voglia cadere sotto i colpi dell’Anticristo a cercare rifugio in Cristo».
di SI LV I N A PÉREZ
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urante la prima udienza gene- rale dopo il suo viaggio in Iraq, a poche ore dal suo rientro, il 10 marzo scorso, Papa France- sco ha formulato una domanda molto pre- cisa, di quelle che scuotono le coscienze:«Chi vende oggi le armi ai terroristi, che stanno facendo stragi in altre parti, pensia- mo all’Africa per esempio?». Il Pontefice ha rivelato che la vista delle rovine e delle cicatrici che hanno lasciato quattro decen- ni circa di guerre in questo Paese del Vici- no Oriente ha fatto nascere in lui una do- manda: «Chi vendeva le armi ai terrori- sti?». «È una domanda a cui io vorrei che qualcuno rispondesse», ha affermato con fermezza.
Sono trascorsi ventinove giorni da quando Francesco ha lanciato questo potente messaggio al mondo, interpel- lando i fedeli della sua Chiesa, le società e la politica mondiale con questo quesito profondo e ineludibile per il destino del- l’umanità intera.
Pochi hanno compreso che il futuro del pianeta dipende in larga misura dal fatto che le persone, la politica e il potere economico decidano di accogliere e di ri- spondere a questa domanda, e dal modo in cui lo faranno.
Mai prima di allora, nel millenario cammino della Chiesa, si sono viste im- magini così sconvolgenti come quelle di un Papa di fronte a un cumulo di mace- rie, come quelle delle “Quattro chiese”
che danno il nome alla piazza di Mosul,
mentre pregava per tutte le vittime della guerra in Iraq. Ciò che resta di Mosul, un tempo la seconda città più grande del Paese e una delle più antiche dell’umani - tà, è ricoperto dalle rovine provocate da quella che gli esperti militari chiamano
«la più grande battaglia urbana dalla se- conda guerra mondiale», un appellativo che già di per sé dà un’idea delle dimen- sioni del disastro.
Un leader spirituale tra le rovine della guerra
E sulle macerie e sui calcinacci, Fran- cesco ha incarnato il più nobile dei lea- der, il leader servitore che, con la sua pre- senza, testimonia che non bisogna far ri- ferimento a sé stessi ma agli altri, con af- fetto e sollecitudine, evocando speranza e fiducia a partire dalla distruzione e dal- la desolazione. Aspirazioni umane fon- damentali, anche se gli abitanti dell’anti - ca Mesopotamia avevano ormai perso l’abitudine di evocarle.
La catechesi di mercoledì 10 marzo è un autentico esame di coscienza per fe- deli e governanti, poiché Francesco li ha posti dinanzi allo specchio del Vangelo e ha chiesto loro coerenza. Non è stata una casualità che il Papa abbia formulato questa domanda durante l’udienza ge- nerale, che è l’evento fisso settimanale nel quale incontra i fedeli — malgrado questi ultimi spesso hanno dovuto se- guirla attraverso i mass media a causa della pandemia — e dove più si cristalliz- za il concetto di Chiesa in uscita, che va incontro alle problematiche del mondo, in cerca delle periferie. La catechesi è l’incontro con il quale, da un lato, il pa- store dà consigli al suo gregge, funge da guida spirituale, scuote le coscienze, fa domande scomode, chiede riflessione, discernimento, coinvolge i fedeli, cerca la “Chiesa viva” che si spoglia dell’auto - referenzialità; e, dall’altro, dove i fedeli
lo ascoltano con un atteggiamento aper- to, ben predisposti a ricevere insegna- menti, orientamenti, formazione spiri- tuale.
È in questo straordinario “condensa - t o re ” del magistero di Francesco che so- no le udienze generali che si materializza meglio la vicinanza della Chiesa ai biso- gni e ai problemi, alle incognite e ai di- lemmi del popolo di Dio: dove, per dirla in un linguaggio colloquiale, «s’impara a essere cristiani». Quando si ascolta il Papa parlare con tanta vicinanza e com- prensione, si ha l’impressione che voglia giungere al mondo attraverso i suoi fede- li, che voglia che tutti si facciano Chiesa e si sentano parte attiva della Chiesa.
Non si rivolge a circoli politici ristretti, e neanche a qualche élite, ma parla a tutti e chiede ai fedeli di essere loro a portare il Vangelo al mondo che ne ha tanto biso- gno.Il Papa offre la sua testimonianza, la sua “guida attraverso l’esempio” al suo popolo. Non predica dall’alto in basso, ma coinvolge tutti, parla dall’autorità conferita dalla testimonianza.
Un cammino alternativo a quello delle armi
«Chi vendeva le armi ai terroristi?».
La domanda che il Pontefice che ha po- sto al mondo dopo la sua visita in Iraq, e dopo avere dimostrato che c’è un cammino alternativo a quello delle armi — ossia il cammino dell’incontro, del dialogo e della compassione — riecheggia ancora nell’aria sen- za risposta. La violenza delle armi interpella la stessa Chie- sa, che non vive nel vuoto ben- sì nella storia, e la obbliga a ri- correre alla propria tradizione di forze spirituali, intellettuali e morali per affrontarla alla maniera evangelica. «La risposta non è la guerra ma la risposta è la fraternità. Questa è la sfida per l’Iraq, ma non solo: è la sfida per tante regioni di conflitto e, in defini- tiva, è la sfida per il mondo intero: la fra- ternità», ha aggiunto il Papa nella cate- chesi del 10 marzo.
Francesco ha inoltre celebrato il gesto coraggioso di diverse religiose che han- no protestato a favore della democrazia e contro la violenza e la repressione in Myanmar. Come si è potuto constatare in alcuni scatti fotografici che hanno fat- to il giro del mondo, le suore si sono ingi- nocchiate in nome della pace di fronte al- la polizia. Il Papa, il mercoledì successi- vo, ossia il 17 marzo, ha affermato duran- te l’udienza generale: «Anch’io mi ingi- nocchio sulle strade del Myanmar e dico:
cessi la violenza! Anch’io stendo le mie braccia e dico: prevalga il dialogo!». La denuncia dell’orrore della guerra e delle armi è un grido ricorrente non solo di Francesco ma anche dei Papi che lo han- no preceduto.
La pace deve guidare
il destino dei popoli e l’umanità Cinquantacinque anni fa, il 4 ottobre 1965, festa di san Francesco d’Assisi, Paolo
VIfu il primo Papa della storia che durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite pronunciò un netto no al linguaggio delle armi: «Non più la guerra!» disse Papa Montini, e poi aggiunse: «La pace deve guidare le sorti dei popoli e dell’intera umanità!». Seguendo le orme di Giovanni
XXIIIe di Paolo VI, Francesco si è fatto testi- mone e pellegrino di pace in una realtà di guerra, un’autentica pietra miliare e un nuovo passo nel cammino della Chiesa a favore della riconciliazione, che creerà un precedente per il futuro.
La complessità del mondo attuale si visualizza ogni giorno ed è strutturale. Il
confinamento di gran parte dell’umanità nella primavera boreale del 2020 ha pa- ralizzato industrie, trasporti e servizi di ogni tipo, riducendo all’essenziale in molti Paesi l’attività economica, l’indu - stria che produce e distribuisce alimenti e medicinali, la fornitura di servizi e il mantenimento di infrastrutture, a parte i servizi sanitari e l’amministrazione prin- cipale.
Eppure l’industria bellica non ha ri- dotto in modo significativo la sua attivi- tà, anzi l’ha portata avanti, persino du- rante la pandemia. Vendendo e com- prando armi in grandi quantità. Anche se per la prima volta il commercio mon- diale degli armamenti non ha registrato una crescita, ma è rimasto stabile.
Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri, acronimo in inglese), i trasferimenti internazionali di armi pesanti hanno mantenuto lo stes- so livello dei periodi 2011-15 e 2016-20.
Sebbene per la prima volta dal quin- quennio 2001-2005 le compravendite di armi pesanti tra Paesi non sia aumentata nei quinquenni 2011-15 e 2016-20, anzi si sia ridotta di circa lo 0,5%, i trasferimenti internazionali di armamenti si sono mantenuti vicini al livello più alto dalla fine della guerra fredda.
«È troppo presto per dire se il periodo di rapida crescita dei trasferimenti di ar-
mi dei due decenni precedenti si sia in- terrotto», ha affermato Pieter D. Weze- man, ricercatore senior del Programma di armi e spese militari del Sipri. E ha sottolineato che, sebbene i Paesi abbiano continuato a spendere somme enormi in armamenti durante la pandemia, potreb- bero anche rivedere la loro posizione:
«Per esempio, l’impatto economico della pandemia di covid-19 potrebbe far sì che, nei prossimi anni, alcuni Paesi riconside- rino le loro importazioni di armi. Ma, al tempo stesso, persino nel picco più alto della pandemia nel 2020, diversi Paesi hanno firmato ingenti contratti per le ar- mi pesanti».
Ogni anno il commercio globale di ar- mi smuove una cifra di circa 75 milioni di dollari. Secondo i dati pubblicati il 15 marzo dall’Istituto di Stoccolma, gli Sta- ti Uniti vendono il 40% delle armi con- venzionali del mondo. Inoltre cinque potenze controllano da sole tre quarti del mercato della vendita mondiale di armi.
L’organismo competente sopracitato sottolinea un aumento significativo dei trasferimenti da parte di tre dei cinque principali esportatori di armi — Stati Uniti, Francia e Germania — e segnala che si è compensato in larga misura con la riduzione delle esportazioni di Russia e Cina. Inoltre le importazioni di armi da parte del Vicino Oriente sono aumen- tate di un 25%, con in testa soprattutto Arabia Saudita (+ 61%), Egitto (+136%) e Qatar (+ 361%).
Alexander Kuimova, coautrice del re-
soconto del Sipri sul commercio mon- diale delle armi, segnala motivi politici precedenti per spiegare il lieve calo nella vendita delle armi nell’ultimo quinquen- nio, e soprattutto il fatto che la tendenza si è arrestata e il mercato degli armamen- ti a livello globale, per la prima volta, non è in costante espansione: i diversi programmi di produzione nazionale che sono stati messi in atto e anche i cambia- menti drastici nei rapporti tra alcuni soci tradizionali.
Le Nazioni Unite chiedono trasparenza
nel mercato degli armamenti
Visto l’ingente volume delle vendite, è facile ottenere armi ovunque nel mondo.
Ogni giorno circa 2000 persone muoio- no a causa di armi da fuoco. La Commis- sione dell’Onu per il disarmo cerca di ri- durre il trasferimento di armi ed esorta i Paesi membri a consegnare ogni anno un resoconto con le loro importazioni ed esportazioni, per promuovere la traspa- renza, ma questo sistema è lungi dall’es - sere infallibile. Di fatto, nulla obbliga gli Stati a cooperare e si stima che entro 10 anni saranno state vendute armi per una cifra di 2.200 milioni di dollari a paesi coinvolti in un qualche conflitto bellico.
Una filiera spaventosa
Fabbricare ed esportare armi è legale, così come finanziarle: i grandi enti ban- cari internazionali sovvenzionano que- sto settore in tutto il mondo. Grazie a tali premesse, il potere commerciale e milita- re di questo settore è cresciuto sempre
più, e la complessità della situazione ri- chiede un approccio multidisciplinare in cui bisogna tenere conto di svariati fatto- ri. Per esempio, è necessario distinguere le armi legali da quelle illegali e com- prendere come quelle illegali, che in ori- gine erano state prodotte legalmente, siano finite nelle mani dei gruppi terrori- stici. È lecito chiedersi il perché questo accade mentre il mondo guarda dall’al - tra parte e non presta sufficiente atten- zione a questo preoccupante fenomeno.
Che cosa accade con le armi leggere che non si contabilizzano
nelle vendite globali?
In realtà, i calcoli internazionali sulla vendita di armi si basano sul valore totale dei contratti, nascondendo così la pre- senza di armi piccole e leggere, tuttora utilizzate soprattutto nei conflitti africa- ni, come la guerra civile nel Sudan del Sud. È complesso cercare di capire cosa si possa fare per tentare di interrompere questa filiera spaventosa.
Non possiamo tornare alla vecchia normalità, anelata nei momenti più duri della pandemia, né al futuro immediato del post pandemia chiamato nuova norma- lità, ma a quella che dovrebbe essere un’autentica nuova normalità: quella di un pianeta, una nazione, alcune città e paesi impegnati nel vero progresso, soli- dale e sostenibile. Una crisi come quella attuale può essere senz’altro un’opp or- tunità per uscirne migliori ed è questa l’occasione migliore per dimostrarlo.
La pandemia ha paralizzato fabbriche, trasporti e servizi di ogni tipo,
eppure l’industria bellica ha continuato a portare avanti la sua attività
L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO POLITICO RELIGIOSO
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L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4 giovedì 8 aprile 2021
Si teme oltre un milione di profughi entro giugno
Mozambico, migliaia in fuga dalle violenze
Nella Repubblica Democratica del Congo la situazione della sicurezza alimentare è disperata
Emergenza fame
per oltre 27 milioni di congolesi
MA P U T O, 8. È sempre più preoc- cupante il numero delle persone costrette alla fuga nel Mozambi- co settentrionale, a causa delle violenze nella provincia di Cabo Delgado. I combattimenti tra forze di sicurezza statali, aiutate da contractor, e gruppi armati — miliziani jihadisti di al-Shabaab, collegati al sedicente Stato isla- mico — hanno inoltre prodotto una «situazione catastrofica per i diritti umani». Lo riferisce l’U- nhcr, evidenziando che oramai si parla di almeno 500mila per- sone sfollate e 700mila in assolu- to bisogno di assistenza umani- taria.
L’escalation di violenza a Ca- bo Delgado ha gravemente compromesso le strutture sani- tarie, idriche e di accoglienza.
Scarseggiano anche i generi ali- mentari. La maggior parte dei nuovi arrivati sono donne e bambini con poche cose al se-
guito, traumatizzati per le atro- cità di cui sono stati testimoni e preoccupati per i familiari la- sciati indietro. Se la violenza non si ferma — avverte l’Onu — il numero dei civili costretti alla fuga potrebbe superare la soglia del milione entro giugno.
Il recente attacco alla città co- stiera di Palma — che ha provo- cato un alto numero di morti — ha messo in fuga almeno 11.000 persone, mentre altre migliaia sono rimaste intrappolate nell’a- rea. I civili sono stati costretti a cercare sicurezza a Pemba Nan- gade, Mueda e Montepuez, do- ve sono arrivati a piedi e in barca a partire dallo scorso 24 marzo.
Intanto, ieri è arrivata la con- ferma da parte del è presidente mozambicano, Filipe Nyusi, che
«i jihadisti sono stati cacciati da Palma», ma ha aggiunto «non dichiariamo vittoria, perché la lotta al terrorismo continua».
Rapporto di Amnesty International sui diritti umani
Il covid ha accentuato le disuguaglianze
LONDRA, 8. Le disuguaglianze hanno fatto sì che la pandemia di covid-19 abbia avuto un im- patto sproporzionatamente ne- gativo su minoranze etniche, ri- fugiati, anziani e donne. Que- sto l’elemento critico che emer- ge dal rapporto 2020-2021 di Amnesty International che ana- lizza la situazione dei diritti umani in 149 Paesi del mondo.
Il documento sottolinea «falli- menti» nell’affrontare la pande- mia, e denuncia «politiche ba- sate sull’opportunismo e sul to- tale disprezzo per i diritti uma- ni».Ad esempio, come testimo- niato in fase di presentazione del documento dal presidente di Amnesty International Italia, Emanuele Russo, l’e m e rg e n z a creata dalla pandemia ha peg- giorato la già precaria situazio- ne di rifugiati, richiedenti asilo e migranti, in alcuni casi intrap- polandoli in campi squallidi, escludendoli da servizi o vitti- me del rafforzamento dei con- trolli di frontiera.
Nel rapporto viene inoltre
evidenziato un aumento della violenza sulle donne, in partico- lare della violenza domestica a causa dei prolungati periodi di quarantena. In almeno 42 Paesi, poi, le autorità hanno vessato e intimidito operatori sanitari e lavoratori essenziali nel conte- sto della pandemia, che «hanno subito le conseguenze di sistemi sanitari deliberatamente sman- tellati e di ridicole misure di protezione sociale».
Nell’ambito della pandemia, l’organizzazione non governa- tiva che a luglio di quest’anno compirà 60 anni, ha denunciato come alcuni leader mondiali non abbiano facilitato i tentativi di organizzare una ripartenza collettiva, bloccando o pregiu- dicando la cooperazione inter- nazionale, soprattutto in tema di campagna vaccinale anti-co- vid. «Gli Stati devono assicura- re che i vaccini siano rapida- mente disponibili per tutti, ovunque e gratuitamente», ha dichiarato Agnès Callamard, nuova segretaria generale di Amnesty International.
di ANNALISAANTONUCCI
L
a maggior parte del- la famiglie che vivo- no nei villaggi nella Repubblica Demo- cratica del Congo sopravvive mangiando solo taro, una ra- dice che cresce in natura, e foglie di manioca bollite nel- l’acqua. È la gravissima situa- zione di insicurezza alimen- tare in cui versa il Paese, se- condo la Fao e il Pam. Per le due organizzazioni delle Na- zioni Unite il numero delle persone alla fame nella Re- pubblica Democratica del Congo è stimato in 27,3 mi- lioni, una persona su tre, tra cui quasi sette milioni di per- sone a livelli di emergenza per fame acuta.Questa situazione rende la Repubblica Democratica del Congo il Paese al mondo con il maggior numero di perso- ne che hanno urgente biso- gno di assistenza. I conflitti, che non abbandonano questa
terra da troppi anni, restano una delle principali cause della mancanza di cibo. Va- ste aree delle province orien- tali (Ituri, Kivu settentriona- le, Kivu meridionale e Tan- ganica) e la regione centrale del Kasai, teatro di recenti scontri, sono gravemente in- teressate dalla violenza dei gruppi armati. Il crollo eco- nomico e l’impatto socio-eco- nomico del covid-19 sono gli altri fattori chiave che stanno esacerbando questa crisi glo- bale nel più grande Paese dell’Africa sub-sahariana. E dietro i freddi numeri di chi soffre la fame ci sono le tragi- che storie di genitori cui è negato l’accesso alla propria terra o sono stati costretti a fuggire per avere salva la vita e che vedono i figli ammalar- si per mancanza di cibo.
I rappresentanti del Pam e della Fao riportano le testi- monianze di famiglie che so- no tornate nei loro villaggi per trovare le loro case bru-
ciate e i loro raccolti saccheg- giati. Le popolazioni più a ri- schio fame sono dunque principalmente gli sfollati, i rifugiati, i rimpatriati e le persone colpite da calamità naturali (inondazioni, frane, incendi), nonché le donne sole. Ma non vivono meglio gli abitanti più poveri delle aree urbane e coloro che abi- tano in aree senza sbocco sul mare, con basso potere d’ac- quisto e accesso al cibo attra- verso i mercati.
«Il quadro reale dell’insi- curezza alimentare nel Paese è sbalorditivo», ha dichiarato Peter Musoko del Program- ma alimentare mondiale.
«Una nazione deve essere in grado di nutrire i suoi abitan- ti», ha aggiunto. «Non pos- siamo lasciare che i bambini vadano a letto affamati e le famiglie saltino i pasti per un’intera giornata». Dunque il piano di aiuti predisposto dalla Fao si concentra sul mi- glioramento dell’accesso del-
le famiglie agli strumenti per coltivare la terra e alle semen- ti, nonché al bestiame il cui allevamento svolge un ruolo chiave nel miglioramento dell’alimentazione.
L’obiettivo della Fao que- st’anno è fornire assistenza salvavita a 1,1 milioni di per- sone nelle aree più colpite dall’insicurezza alimentare acuta, e il sostegno ai piccoli agricoltori nella lotta contro le malattie animali e vegetali.
Da parte sua, per prevenire la carestia, il Pam sta fornen- do cibo salvavita a 8,7 milio- ni di persone e prosegue il suo lavoro nella prevenzione e nel trattamento della mal- nutrizione, che colpisce 3,3 milioni di bambini nella Re- pubblica Democratica del Congo causando danni per tutto il resto della vita, ridu- cendo la capacità dell'indivi- duo di raggiungere il suo pieno potenziale e dunque causando un danno anche al- la comunità.
Ma l’Etiopia continua il riempimento
Ancora nessun accordo sulla diga sul Nilo
Almeno 87 le vittime
Scontri a sfondo etnico nel Darfur occidentale
ADDISABEBA, 8. Dopo che il ministero degli Affari esteri egiziano ha reso noto ieri il mancato accordo nei negoziati tra Egitto, Sudan ed Etiopia sulla Grande di- ga della rinascita (Gerd) in costruzione sul Nilo Azzur- ro in territorio etiope, l’E- tiopia ha annunciato che comunque riempirà il baci- no della Gerd.
Nel corso di una confe- renza stampa, ieri, il mini- stro dell’Acqua etiope, Se- leshi Bekele, ha confermato che il bacino della diga — con una capacità comples- siva di 74 miliardi di metri cubi e il cui riempimento è iniziato già lo scorso anno
— verrà riempito anche du- rante la stagione delle piogge, che inizia di norma
a giugno o luglio. «Mentre la costruzione va avanti, ha luogo il riempimento», ha detto Seleshi. L’obiettivo di quest’anno è di aggiun- gere 13,5 miliardi di metri cubi di acqua nel bacino, dopo i quasi 5 miliardi di metri cubi introdotti dal lu- glio dello scorso anno.
Le delegazioni dei tre Paesi — riunitesi nei giorni scorsi a Kinshasa, capitale della Repubblica democra- tica del Congo (Rdc) — rappresentate dai rispettivi ministri degli Esteri si sono trovate in disaccordo sul ruolo svolto dagli Usa, dal- l’Ue e dall’Onu nel mecca- nismo di mediazione relati- vo al riempimento della di- ga e al suo funzionamen- to.
KHARTOUM, 8. Sono almeno 87 le vittime nella città di El Genei- na capitale dello Stato del Dar- fur occidentale, in Sudan, cau- sate da cinque giorni ininterrot- ti di combattimenti e violenza tribale tra l’etnia stanziale Ma- salit e la tribù araba rizeigat do- po che alcuni membri di que- st’ultima avevano ucciso due giovani Masalit. Lo ha reso no- to, attraverso un comunicato sul proprio sito internet, il Co- mitato dei medici del Darfur occidentale secondo cui ci sa- rebbero anche oltre 190 feriti.
Mentre, secondo le stime delle Nazioni Unite, ammonta- no a circa centotrentamila le persone sfollate o in fuga nel confinante Ciad dallo scoppio delle violenze, in atto dal gen- naio scorso. Un numero mag- giore a quello registrato nell’in -
tero 2020. La violenza nelle co- munità della regione sono au- mentate dopo il ritiro, nel di- cembre scorso della Missione congiunta Onu-Unione africa- na (Unamid).
Negli scontri il Comitato, de- nunciando anche la distruzione di una centrale elettrica e il lan- cio di un razzo sull’osp edale Sultan Tajeldin, ha condannato
«nella maniera più assoluta» gli attacchi contro ospedali e per- sonale medico, definendoli un
«atteggiamento barbarico che non può essere giustificato in nessuna circostanza». Nei com- battimenti, infatti, sono state danneggiate anche altre struttu- re ospedaliere e attaccate ambu- lanze e mezzi adibiti al traspor- to di medicinali «in viaggio ver- so i magazzini dell’O rganizza- zione mondiale della sanità».
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 8 aprile 2021 pagina I
L A S E T T I M A N A D I P A P A F R A N C E S C O
Una Pasqua per rinascere dopo la lunga
q u a re s i m a
della pandemia
L’annuncio di Pasqua non mostra un miraggio, non rivela una formula magica, non indica una via di fuga di fronte alla difficile situazione che stiamo attraversando... L’annuncio di Pasqua
racchiude... un avvenimento che dona la speranza che non delude (4 aprile)
di MICHAELCZERNY*
L
a Quaresima può sembrare lunga, con i suoi richiami alla penitenza e alle abitudini di pri- vazione. Essa riflette i 40 giorni che Gesù tra- scorse nel deserto, digiunando e lottando contro le tentazioni all’inizio del suo ministe- ro (Mc 1, 13). Ma per mesi è sembrato che la Quaresima fosse cominciata il Mercoledì delle Ceneri 2020. Era il 26 febbraio, e l’11 marzo l’Organizzazione mondiale della sa- nità ha dichiarato il covid-19 una pandemia.E questo si è poi trascinato senza sosta per ol- tre 400 giorni fino a questa Pasqua del 2021.
«L’anno scorso eravamo più scioccati», ricorda Papa Francesco, ma «quest’anno siamo più provati» (An g e l u s , 28 marzo 2021).
Fin dall’inizio, la pandemia è stata assai du- ra per molti, e continua a pesare su tutti noi.Quindi, se guardiamo indietro a una Quaresima davvero impegnativa di oltre 400 giorni, come possiamo immaginare e abbracciare una Pasqua appropriata, pro- porzionata e tempestiva? Questa Pasqua non dovrebbe essere in qualche modo dieci volte «la lunghezza e la larghezza, l’altezza e la profondità» (Ef 3, 18) di una Pasqua or- dinaria?
La nostra prima risposta potrebbe esse- re: «Oh, se solo potessimo recuperare la Pa- squa del 2019!». Se solo potessimo tornare alla vecchia normalità! Ma no. Come insi-
ste Papa Francesco, «da una crisi non si può uscire uguali, o usciamo migliori, o usciamo peggiori. Questa è la nostra opzio- ne» (Udienza generale, 26 agosto 2020). Quin- di il modo in cui stavano le cose non è un’opzione praticabile.
«L’annuncio di Pasqua non mostra un miraggio, non rivela una formula magica, non indica una via di fuga di fronte alla dif- ficile situazione che stiamo attraversando.
La pandemia è ancora in pieno corso; la cri- si sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri» (Me s s a g g i o Urbi et Orbi, 4 aprile 2021).
Infatti, non possiamo fare a meno di sen- tirci disorientati e scoraggiati, non solo per il covid-19, ma ancor più per i problemi economici, sanitari, politici e ambientali, per le ingiustizie di lunga data e sempre più gravi, che esso continua a portare alla luce e a ingigantire. Una triste e vergognosa “nor- malità” che abbiamo ereditato da prima del covid è l’incapacità, come comunità globale di nazioni e farmaceutica, di assicurare un’equa distribuzione del vaccino.
Tedros Adhanom Ghebreyesus, il diret- tore generale dell’Organizzazione mondia- le della sanità, ha twittato la sua eco del messaggio pasquale Urbi et Orbi: «Mi uni- sco a Sua Santità @Pontifex nel suo appel- lo della domenica di Pasqua per la #Vacci- nEquity e incoraggiando i Paesi che hanno accesso alle scorte di vaccino a non dimen-
ticare i loro vicini meno fortunati. Solida- rietà!». Ma in realtà, il “ritorno alla norma- lità” non è mai la strada giusta, e soprattut- to non è corretto dopo quello che abbiamo visto in questi ultimi sedici mesi. Come dice la scritta che abbiamo visto su qualche mu- ro delle nostre città: «Non voglio tornare alla normalità, la normalità era la malattia».
Non ci deve essere la nostalgia di un allegro ritorno alla nostra esistenza pre-covid con un sospiro di sollievo per il fatto che la no- stra lunga quaresima è finalmente finita.
Nel Dicastero per il servizio dello svilup- po umano integrale, dove lavoro nella se- zione che si occupa di migranti, rifugiati e altre persone vulnerabili in movimento, i primi due passi che sottolineiamo sempre sono: accogliere coloro che ci avvicinano nella loro condizione minacciata e proteg- gerli da ulteriori danni.
La pandemia ha esteso il bisogno di ac- coglienza e protezione a molte, molte più persone. Eppure tanti Paesi e comunità hanno ridotto l’accoglienza, e non riescono a proteggere molti all’interno della loro po- polazione residente così come quelli in mo- vimento.
Per esempio, i lavoratori peggio pagati nelle attività sospese — ristoranti, hotel, na- vi da crociera, visite turistiche, intratteni- mento — sono improvvisamente indigenti e lasciati a cavarsela da soli. Coloro che vivo- no in condizioni di affollamento e in aree
impoverite sono altamente vulnerabili al- l’infezione da coronavirus. Abbiamo visto condizioni scioccanti in molte strutture di assistenza a lungo termine per gli anziani e siamo stati testimoni di un alto numero di morti. I lavoratori migranti hanno affronta- to restrizioni che impediscono di raggiun- gere il loro posto di lavoro. D’altra parte, non possono tornare a casa per mancanza di denaro o per la chiusura delle frontiere.
Inoltre, lo spostamento all’interno dei ter- ritori e attraverso i confini nazionali non si è potuto fermare durante la pandemia. «Pur- troppo, tra coloro che per vari motivi sono costretti a lasciare la propria patria, ci sono sempre decine di bambini e ragazzi soli, sen- za la famiglia ed esposti a molti pericoli». Il Santo Padre supplica: «Facciamo in modo che a queste creature fragili e indifese non manchino la doverosa cura e canali umanita- ri preferenziali» (An g e l u s , 7 febbraio 2021).
Un’altra minaccia globale non sospesa dalla pandemia è il cambiamento climatico.
L’insorgenza del covid-19 è stata improvvisa e puntuale; il cambiamento climatico è una questione a lungo termine che ha iniziato il suo corso con la rivoluzione industriale.
Nonostante le differenze, hanno entrambe una rilevanza globale e interessano molte- plici dimensioni: etica, sociale, economica e politica. Riguardano tutti sulla terra e so-
Il tema della settimana
Dalla gioia della Risurrezione l’invito alla speranza
rilanciato da Papa Francesco
SEGUE A PA G I N A IV
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina II giovedì 8 aprile 2021 giovedì 8 aprile 2021 pagina III
La settimana di Papa Francesco La settimana di Papa Francesco
@Pontifex
L’Eucaristia è Gesù stesso che si dona interamente a noi. Nutrirci di Lui e dimorare in Lui mediante la Comunione eucaristica, se lo facciamo con fede, trasforma la nostra vita, la trasforma in un dono a Dio e ai fratelli. #GiovedìSanto
(1 aprile)
SA B AT O 3
È possibile r i c o m i n c i a re sempre. Anche dalle macerie
Le donne erano andate a piangere un mor- to, invece hanno ascoltato un annuncio di vi- ta. Dice il Vangelo che «erano piene di spa- vento e di stupore».
Stupore: in questo caso è un timore misto a gioia... È la meraviglia di ascoltare quelle pa- role: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto». E poi quel- l’invito: «Egli vi precede in Galilea, là lo ve- d re t e » .
Accogliamo anche noi l’invito di Pasqua.
Andare in Galilea significa, anzitutto, rico- m i n c i a re .
Per i discepoli è ritornare nel luogo dove il Signore li ha chiamati a seguirlo... luogo del primo incontro e del primo amore. Eppure davanti alla croce sono scappati.
Malgrado questo, il Risorto si presenta co- me Colui che li precede in Galilea; cioè sta da- vanti a loro... dicendo: “Ripartiamo da dove abbiamo iniziato. Vi voglio nuovamente con me, oltre tutti i fallimenti”.
In questa Galilea impariamo lo stupore dell’amore infinito del Signore, che traccia sentieri nuovi dentro le nostre sconfitte.
Il primo annuncio di Pasqua che vorrei consegnarvi: è possibile ricominciare sempre, al di là di tutti i fallimenti. Anche dalle mace- rie del nostro cuore Dio può costruire un’op e- ra d’arte.
Ci precede sempre: nella croce della soffe- renza, della desolazione e della morte, così co- me nella gloria di una vita che risorge, di una storia che cambia, di una speranza che rina- sce.Andare in Galilea in secondo luogo signifi- ca muoversi nella direzione contraria al sepol- cro. Le donne cercano Gesù alla tomba, van- no a fare memoria di ciò che hanno perduto...
a rimestare la tristezza.
È l’immagine di una fede che è diventata commemorazione. Tanti — anche noi — vivo - no la “fede dei ricordi”, come se Gesù fosse un personaggio del passato, un amico di gioven- tù lontano, un fatto accaduto tanto tempo fa, quando da bambino frequentavo il catechi- smo. Una fede fatta di abitudini, di ricordi dell’infanzia.
Andare in Galilea, invece, significa impa- rare che la fede, per essere viva, deve rimetter- si in strada.
E affidarsi senza la presunzione di sapere già tutto, ma con l’umiltà di chi si lascia sor- prendere. Noi abbiamo paura delle sorprese di Dio.
Ecco il secondo annuncio di Pasqua: la fe- de non è un repertorio, Gesù non è un perso- naggio superato. È vivo. Cammina con te, nella situazione che stai vivendo, nella prova che stai attraversando.
Apre vie nuove, spinge ad andare contro- corrente rispetto al “già visto”.
Andare in Galilea significa, inoltre, andare ai confini. Perché in quella regione variegata abitano quanti sono più lontani dalla purezza rituale di Gerusalemme.
Gesù ha iniziato da lì la sua missione, rivol- gendo l’annuncio a chi porta avanti con fatica la vita quotidiana, agli esclusi, ai fragili, ai po- veri, perché nessuno è ultimo.
Il Risorto anche oggi ci chiede di andare in questa “Galilea” reale... sono le strade che percorriamo, gli angoli delle città in cui il Si- gnore si rende presente nella vita di chi ci pas- sa accanto e condivide con noi il tempo, la ca- sa, il lavoro, le fatiche.
In Galilea impariamo che possiamo trova- re il Risorto nel volto dei fratelli, nell’entusia - smo di chi sogna e nella rassegnazione di chi è scoraggiato, nei sorrisi di chi gioisce e nelle la- crime di chi soffre.
La grandezza di Dio si svela nella piccolez- za, la sua bellezza splende nei poveri.
Ecco il terzo annuncio di Pasqua: Gesù ci ama senza confini e visita ogni nostra situa- zione di vita.
Il Risorto invita anche noi a superare le
barriere, vincere i pregiudizi, avvicinare chi ci sta accanto. Riconosciamolo presente nelle nostre Galilee. E la vita cambierà. Perché oltre tutte le sconfitte, il male e la violenza, oltre ogni sofferenza e la morte, Egli vive e condu- ce la storia.
(Veglia Pasquale nella Notte Santa)
DOMENICA4
Molte armi, pochi vaccini:
lo scandalo di oggi
Oggi riecheggia in ogni parte del mondo l’annuncio: “Gesù, il crocifisso, è risorto”...
Non mostra un miraggio, una formula magi- ca, o una via di fuga dalla difficile situazione che stiamo attraversando.
La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado que- sto — ed è scandaloso — non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari.
Questo è lo scandalo di oggi.
In questa realtà complessa, l’annuncio di Pasqua dona speranza. Non parla di angeli o fantasmi, ma di un uomo con un volto e un nome.
Il crocifisso, non un altro, è risorto. Dio Pa- dre ha risuscitato il suo Figlio Gesù perché ha compiuto fino in fondo la sua volontà di sal- vezza: ha preso su di sé la nostra debolezza, le nostre infermità, la nostra morte; ha patito i nostri dolori, ha portato il peso delle nostre iniquità.
I testimoni riferiscono un particolare im- portante: Gesù risorto porta impresse le pia- ghe delle mani, dei piedi e del costato... sono il sigillo perenne del suo amore.
Chiunque soffre una dura prova può trova- re rifugio in queste piaghe.
Cristo è speranza per quanti soffrono per la pandemia, per i malati e per chi ha perso una persona cara. Il Signore dia loro conforto e sostenga medici e infermieri.
Soprattutto le persone più fragili hanno bi- sogno di assistenza e diritto alle cure.
Internazionali -
smo dei vaccini Nello spirito di un “internazionalismo dei vaccini”, esorto l’intera Comunità internazio- nale a un impegno condiviso per superare i ri- tardi nella distribuzione e favorirne la condi- visione con i Paesi poveri.
Il Risorto è conforto per quanti hanno per- so il lavoro o attraversano difficoltà economi- che e sono privi di tutele sociali.
Il Signore ispiri l’agire delle autorità pub- bliche perché alle famiglie più bisognose sia- no offerti aiuti. La pandemia ha aumentato drammaticamente il numero dei poveri e la disperazione delle persone.
Haiti Al popolo haitiano va il mio incoraggia- mento perché non sia sopraffatto dalle diffi- coltà. Vorrei che i problemi si risolvessero de- finitivamente. Prego per questo.
Gesù è speranza per tanti giovani costretti a trascorrere lunghi periodi senza la scuola o l’università.
Tutti abbiamo bisogno di vivere relazioni reali e non solo virtuali, specie nell’età in cui si forma il carattere. Lo abbiamo sentito venerdì nella Via crucis dei bambini.
Myanmar Sono vicino ai giovani del Myanmar che si impegnano per la democrazia, facendo senti- re pacificamente la propria voce.
Il Risorto sia fonte di rinascita per i mi- granti, in fuga da guerra e miseria. Nei loro volti riconosciamo il volto sfigurato del Si- gnore che sale al Calvario.
Libano
e Giordania Ringrazio i Paesi che accolgono i sofferenti che cercano rifugio, specie il Libano e la Gior- dania, che ospitano moltissimi profughi fug- giti dal conflitto siriano.
Il popolo libanese, che sta attraversan- do un periodo di difficoltà e incertezze, sperimenti la consolazione del Signore e sia sostenuto dalla Comunità internazio- nale nella vocazione ad essere terra di con- vivenza.
Siria, Yemen
e Libia Cristo faccia cessare il fragore delle armi nell’amata e martoriata Siria, dove milioni di persone vivono in condizioni disumane, co- me pure in Yemen, le cui vicende sono cir- condate da un silenzio assordante e scanda- loso, e in Libia, dove si intravvede finalmente la via di uscita da un decennio di contese e di scontri cruenti.
Tutte le parti si impegnino per far cessare i conflitti e consentire a popoli stremati di vive- re in pace e avviare la ricostruzione.
Terra santa Per Gerusalemme imploriamo pace e sicu- rezza, perché risponda alla chiamata a essere luogo di incontro dove tutti possano sentirsi fratelli. E dove Israeliani e Palestinesi ritrovi- no la forza del dialogo per una soluzione sta- bile, che veda due Stati vivere fianco a fianco in pace e prosperità.
Iraq Il mio pensiero torna pure all’Iraq, che ho avuto la gioia di visitare: possa continuare il cammino di pacificazione.
Africa La forza del Risorto sostenga le popolazio- ni africane che vedono l’avvenire compromes- so da violenze interne e dal terrorismo inter- nazionale, specie nel Sahel e in Nigeria, come pure nella regione del Tigray e di Cabo Del- gado.
Continuino gli sforzi per trovare soluzioni pacifiche, nel rispetto dei diritti umani e della sacralità della vita, in spirito di riconciliazione e di solidarietà fattiva.
La croce di Cristo esprime amore, servizio, dono di sé senza riserve: essa è veramente l’“albero della vita”, della vita sovrabbondante. #Ve n e rd ì S a n t o
La croce di Gesù è la cattedra silenziosa di Dio.
Guardiamo ogni giorno le sue piaghe. In quei fori
riconosciamo il nostro vuoto, le nostre mancanze, le ferite del peccato. Le sue piaghe sono aperte per noi e
da quelle piaghe siamo stati guariti. #Ve n e rd ì S a n t o
Nella croce Dio regna solo con la forza disarmata e disarmante dell’amore. Dio stupisce la nostra mente e il nostro cuore. Lasciamo che questo stupore ci pervada, guardiamo il Crocifisso e diciamo: « “Tu sei davvero il Figlio di Dio”. Tu sei il mio Dio».
#Ve n e rd ì S a n t o
(2 aprile) In questi mesi bui di #pandemia sentiamo
il Signore risorto che ci invita a ricominciare, a non perdere mai la speranza. #Pa s q u a
(6 aprile)
Il magister o
P
ER LE VITTIME DI INONDAZIONI Desidero assicurare il mio ricordo nella pre- ghiera per le vittime delle inondazioni che nei giorni scorsi hanno colpito l’Indonesia e Ti- mor Est. Il Signore accolga i defunti, conforti i familiari e sostenga quanti hanno perso la loro abitazione.(Udienza generale, 7 aprile)