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Aspetti medico-legali dell’attività odontoiatrica Prof. Francesco Introna

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Academic year: 2022

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Aspetti medico-legali dell’attività odontoiatrica

Prof. Francesco Introna * - Prof. V. Santoro **

La realtà odontoiatrica attuale, nella quale le prestazioni mediche vengono erogate prevalentemente in studi professionali privati, fa dell’odontoiatra una figura sanitaria particolare, sovente impegnato a districarsi fra l’esercizio della propria attività, che implica un continuo aggiornamento e l’utilizzo di tecniche sempre più all’avanguardia, spesso troppo condizionate da mere leggi di mercato, la gestione di uno studio che per certi versi non differisce di gran lunga da una realtà di tipo aziendale ed i numerosi doveri, giuridici e deontologici, propri di chi svolge un servizio di pubblica necessità.

Differentemente dai ruoli di Pubblico Ufficiale e di Incaricato di Pubblico Servizio, entrambi svolti solo da una minoranza di odontoiatri, il concetto di pubblica necessità, sancito dall’ art. 359 c.p. si riferisce ad un’attività socialmente utile, forense o sanitaria, che il privato (l’ odontoiatra nello specifico) può esercitare autonomamente previo il conseguimento di una speciale abilitazione dello Stato.

Pertanto l’odontoiatra libero professionista, oltre ad occuparsi del management del proprio studio mediante l’organizzazione del personale, gli investimenti per le attrezzature, la propria formazione e quella dei propri collaboratori, la capacità di seguire le richieste di mercato e la manutenzione delle apparecchiature, è tenuto a conoscere, operando in un sistema sanitario complesso qual è quello del nostro Paese, le leggi che regolano l’esercizio della professione, che ne definiscono i limiti ed è naturalmente tenuto a formulare denunce, referti, certificati, agendo sempre nella piena consapevolezza dei diritti del paziente ed avendo sempre come obiettivo prioritario la tutela della sua salute.

Allo stesso modo è necessario che il corredo di conoscenze e di esperienze culturali e tecniche sia arricchito e supportato da un fitto insieme di norme di comportamento cui ispirare le relazioni con i pazienti, con i colleghi e con la società, in particolare alla luce

* Professore Ordinario di Medicina Legale, DiMIMP, Sezione di Medicina Legale. Università degli Studi di Bari.

** Odontoiatra, Dottorato di Ricerca in Patologia Medico-Legale e Tecniche Criminalistiche, DiMIMP, Sezione di Medicina Legale. Università degli Studi di Bari.

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dell’evoluzione del rapporto medico-paziente, della complessità della disciplina e dell’

aumento dei procedimenti in tema di responsabilità professionale in ambito odontoiatrico.

Si preferisce in questa trattazione sorvolare su quelle problematiche che rappresentano evenienze comunque rare per un odontoiatra, quali l’obbligo di denuncia alla pubblica autorità di casi di malattie infettive, diffusive e malattie veneree o l’obbligo di referto quando, durante l’esercizio della professione, il sanitario apprenda notizie che rappresentino delitti perseguibili d’ufficio, soffermandoci, sia pur per sommi capi, sui problemi di tipo gestionale, deontologico e medico-legale che l’odontoiatra si trova ad affrontare nel quotidiano esercizio della sua attività professionale.

Tale attività prevede innanzitutto il possesso dei cosiddetti requisiti minimi di tipo strutturale, tecnologico e organizzativo per l’apertura dello studio, ed in seguito l’attuazione di numerosi adempimenti riguardanti l’utilizzo di apparecchi radiologici, lo smaltimento dei rifiuti speciali, l’installazione e la manutenzione degli impianti elettrici e delle apparecchiature elettromedicali, l’impiego di presidi di emergenza, la regolamentazione dei dispositivi medici per il rischio rumore (che non deve superare gli 80dBA) oltre che il rispetto delle norme relative alla tutela della sicurezza dei dipendenti sul luogo di lavoro.

In base al disposto dell’art. 195 del Testo unico delle leggi sanitarie l’odontoiatra è tenuto a denunciare alla ASL competente territorialmente ed all’ INAIL il possesso di apparecchi radiologici con la possibilità di utilizzo a fini esclusivamente diagnostici previa autorizzazione della ASL alla quale il titolare dello studio deve dare comunicazione 30 giorni prima dell’ installazione. Il sanitario ha inoltre il dovere di nominare prima dell’

installazione del radiologico un Esperto Qualificato che deve fornire una relazione scritta contenente valutazioni ed indicazioni di radioprotezione inerenti l’attività stessa e sulla base di tale relazione l’odontoiatra deve adempiere a diversi obblighi, tra i quali: la delimitazione e la segnalazione degli ambienti in cui sussista un rischio da radiazioni, la predisposizione di norme interne di protezione e sicurezza, la dotazione ai pazienti dei mezzi di protezione previsti (camice e collare piombati) e il manuale di qualità che insieme alla sorveglianza fisica sono previsti con cadenza biennale.

Considerando poi che una gran parte di rifiuti prodotti nello studio odontoiatrico appartiene alla categoria dei rifiuti sanitari pericolosi (materiale organico, medicazioni,

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liquidi di sviluppo e fissaggio, farmaci scaduti, amalgama), l’ odontoiatra ha l’obbligo, previa comunicazione alla Provincia, di fornirsi ed utilizzare contenitori omologati, di incaricare una ditta autorizzata allo smaltimento e detenere per cinque anni le certificazioni di avvenuto smaltimento.

La normativa inerente l’impiantistica elettrica prevede tre tipi di verifiche: iniziale (allo scopo di accertare se l’impianto corrisponde alle norme tecniche del CEI), periodica- biennale (per controllare che i requisiti iniziali siano mantenuti nel tempo) e straordinaria (se all’impianto vengono apportate modifiche o ampliamenti).

Allo stesso modo i dispositivi elettromedicali (riuniti, elettrobisturi, strumenti per detartrasi, autoclavi ecc.), i materiali dentali e le protesi devono soddisfare le condizioni di affidabilità e sicurezza imposte dalle normative vigenti. I primi devono essere sottoposti ad una verifica biennale da parte di tecnici specializzati.

Per quel che riguarda le protesi, l’odontoiatra deve formalizzare, in una prescrizione scritta diretta all’odontotecnico, le caratteristiche del dispositivo su misura necessario per un determinato paziente, specificandone le caratteristiche di progettazione, analogamente gli odontotecnici devono redigere, per ciascun dispositivo, la dichiarazione di conformità alla direttiva 93/42/CEE.

L’odontotecnico, in qualità di fabbricante, deve dare garanzia che il dispositivo su misura sia fabbricato in modo da non compromettere la sicurezza del paziente ed in particolare deve:

· definire e documentare le proprie procedure di lavorazione;

· analizzare i rischi ascrivibili all’uso del dispositivo su misura fabbricato, con particolare riferimento alla compatibilità dei materiali utilizzati;

· dotare il dispositivo fabbricato di etichetta e di foglio illustrativo contenente le istruzioni per l’uso in cui vengono indicate le informazioni che consentono un utilizzo sicuro del dispositivo, compresi gli eventuali rischi residui di livello accettabile che non è stato in grado di rimuovere.

L’originale della dichiarazione di conformità, inoltre, deve essere tenuto a disposizione del Ministero della Sanità, Autorità Competente ai sensi del D.L. 46/97 per almeno cinque anni unitamente alla prescrizione del medico.

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Per quanto riguarda gli ulteriori adempimenti a cui è tenuto il fabbricante di dispositivi su misura si ricorda che lo stesso, ai sensi degli articoli 11, comma 6 e 7, e 13, comma 1 e 2, del decreto legislativo 46/1997, deve iscriversi e registrarsi presso il Ministero della Sanità.

Per le autoclavi poi risulta necessario effettuare tutti i test (meglio fisici che biologici) allo scopo di verificare la qualità della macchina, riportando su di un registro gli accertamenti e il materiale sterilizzato. E’ obbligatorio infine un controllo annuale della sterilizzatrice da parte del produttore per confermarne le caratteristiche.

Inoltre il decreto legislativo n. 626 che regolamenta la tutela della salute sul luogo di lavoro prevede la valutazione dei rischi, la loro eventuale riduzione (con l’utilizzo di presidi di protezione individuale durante il lavoro), la limitazione al minimo del numero di lavoratori esposti al rischio, l’obbligo di frequenza al corso di formazione in materia di sicurezza sul luogo di lavoro per i dipendenti e per l’odontoiatra lo esime dal medico competente. Tali adempimenti vanno inoltre documentati e trasmessi all’organo di vigilanza competente per il territorio (Asl e Ispettorato del Lavoro).

Le norme di prevenzione degli infortuni, oltre a costituire un obbligo verso i dipendenti, costituiscono anche una fonte di sicurezza per il paziente e la mancata osservanza di tali adempimenti rappresenta un presupposto di responsabilità civile extracontrattuale.

Restando nell’ambito della sicurezza del paziente, nel caso in cui si configuri un’

emergenza, l’odontoiatra ha l’obbligo di diagnosticarla ed effettuare tempestivamente le manovre necessarie di assistenza; a tal scopo si rendono indispensabili attrezzature, strumentario e farmaci (bombola d’ossigeno, pallone di Ambu, materiale per iniezione, antistaminici, vasodilatori ecc.) unitamente alla competenza dell’operatore, al fine di garantire un primo intervento.

Si sottolinea inoltre che la mancata esecuzione delle misure d’urgenza o l’assenza dell’equipaggiamento e dei farmaci necessari, si configura con il reato di omissione di soccorso (art. 593 c.p.), mentre l’errore nelle manovre di pronto intervento è sempre inescusabile, salvo che la situazione non richieda interventi particolarmente complessi che esulino dal campo delle prestazioni di carattere medico generale.

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Va fatta inoltre una precisazione riguardo l’obbligo di sicurezza, che deve comprendere anche le fasi successive all’intervento odontoiatrico; se infatti la dimissione viene eseguita precocemente o senza le necessarie delucidazioni terapeutiche e comportamentali per il paziente, la condotta dell’operatore può essere considerata negligente o imprudente.

Spostando l’attenzione sulle problematiche deontologiche, l’attuale contesto in cui si inserisce l’attività odontoiatrica, con un numero di esercenti in costante aumento, se da un lato implica inevitabilmente la necessità di uno standard qualitativo elevato, dall’altro provoca spesso situazioni di conflitto fra colleghi, animate unicamente da uno spirito concorrenziale con la tendenza ad esprimere giudizi negativi, molte volte privi di fondamento, sull’altrui operato, senza considerare che tali atteggiamenti, oltre ad essere disapprovati dal Codice Deontologico (art. 58), sono in molte occasioni fonte di contenzioso, con un aumento della sfiducia dei pazienti che certamente non può che ritorcersi contro tutta la categoria.

A tal proposito si sottolinea l’evoluzione che ha contrassegnato negli ultimi vent’anni il rapporto fra medico/odontoiatra e paziente, nel quale l’atteggiamento per così dire “paternalistico” del passato, caratterizzato da un ruolo dominante del primo nei confronti del secondo, ha lasciato il posto ad una condizione di assoluto equilibrio fra le parti, con un aumento da parte del paziente delle conoscenze mediche (in verità non sostenute da reali competenze tecnico-scientifiche) e della consapevolezza del diritto alla tutela della propria salute, che si esprime con la libertà del paziente di disporre di sé come meglio crede.

In questo scenario si colloca l’aumento dei casi di responsabilità professionale, particolarmente sentito nella disciplina odontoiatrica, in cui, come è noto, vi è più spesso l’instaurarsi di un rapporto di tipo contrattuale fra l’operatore e l’utente.

Doveri di tipo deontologico e problematiche medico-legali, hanno quindi modificato notevolmente anche il modo di interagire con il paziente nella quotidiana pratica clinica.

Ciò si traduce, in primo luogo nella necessità di acquisizione del consenso, che ha i suoi fondamenti giuridici negli artt. 13 e 32 della Costituzione e nell’art. 39 del Codice di Deontologia Medica. Il consenso deve essere preceduto da un dettagliata informazione, ispirata a chiarezza di forma ed essenzialità di contenuti, rapportati al livello intellettuale e

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al grado di cultura del paziente; dovrebbe essere inoltre arricchita da uno scambio di idee e di chiarimenti fra l’odontoiatra ed il suo assistito. E’ necessario infatti discutere con il paziente circa il tipo di trattamento proposto, la sua durata, la specifica esperienza dell’operatore nella tecnica o soluzione prospettata, le diverse alternative terapeutiche, i possibili disagi, i risultati conseguibili, i rischi e le prevedibili complicanze della terapia (ed eventualmente della mancata terapia), la qualità dei diversi materiali impiegabili in ciascun caso e il comportamento da seguire nelle varie fasi ed al termine delle cure.

L’informazione inoltre dovrà essere tanto più dettagliata quanto maggiore è l’invasività dell’intervento ed i rischi a questo connessi (es.: terapie chirurgiche complesse, implantologia).

Per quel che riguarda l’acquisizione del consenso, attualmente non vi è alcun obbligo giuridico riguardante la documentazione scritta del consenso, ma quest’ultima risulta tuttavia la forma migliore per una legittima tutela dell’odontoiatra, favorendo l’onere probatorio dell’avvenuta informazione in caso di contenzioso. Da questa esigenza si è diffusa la tendenza ad utilizzare, in gran parte degli studi odontoiatrici, moduli standard, che pur documentando il consenso, risultano spesso troppo generici per poter dimostrare la validità dell’informazione.

Sarebbe utile quindi associare ad un formula standard di consenso scritto un allegato con le indicazioni specifiche riguardanti il trattamento programmato, con particolare riferimento, specie se si tratta di terapie protesiche, ai risultati effettivamente ottenibili ed alle specifiche complicazioni paventivabili.

E’ nota infatti la problematica, oggetto di numerose dispute dottrinali, riguardo il tipo di obbligazione cui è tenuto l’odontoiatra, in particolar modo se si accinge ad effettuare una riabilitazione protesica, per gli inevitabili risvolti estetici che questa possiede.

In realtà a nostro avviso la differenza tra obbligazione di mezzi e di risultati appare ad oggi piuttosto sfumata, in quanto strettamente dipendente dal contratto di cura stipulato con il paziente. In questa prospettiva l’informazione rappresenta non solo un prerequisito essenziale di liceità dell’atto, ma anche la definizione di un vincolo, per cui l’obbligo del professionista sarà di mezzi per quanto attiene lo specifico della sua prestazione e di risultati per quanto prospettato ed accettato dal paziente.

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In altri termini l’obbligo sarà sempre e comunque di condotta riassumendo in sè sia le possibilità tecniche sia le doverosità deontologiche. Si riconoscerebbe tuttavia una obbligazione di risultati per quei trattamenti ad esclusiva finalità estetica, mediante i quali il paziente, in assenza di patologie, desidera migliorare il proprio aspetto, come nel caso dello sbiancamento o dell’applicazione di faccette in porcellana sui denti anteriori, ferma restando la possibilità di complicanze sopravvenute che pregiudichino il risultato finale e di cui l’odontoiatra non possa essere considerato responsabile1.

Nel documentare informazione e consenso l’odontoiatra deve inoltre organizzare adeguatamente il trattamento dei dati personali e la sicurezza della loro conservazione, in linea con gli attuali orientamenti in tema di privacy sanciti dal Decreto Legislativo del 28/12/2001 n. 467, nel quale si sottolinea l’importanza della riservatezza nella gestione dei dati cosiddetti “sensibili”, che possono essere utilizzati con finalità inerenti la professione, ma sempre nel rispetto delle libertà fondamentali e della dignità delle persone.

Il professionista, in qualità di “titolare” del complesso dei dati personali, deve pertanto garantire il segreto professionale ed evitare che l’acquisizione dell’anamnesi e lo svolgimento delle prestazioni sanitarie stesse avvengano in situazioni di promiscuità.

Tutte le informazioni inerenti il paziente e l’iter terapeutico aggiornato step by step andrebbero poi registrate adeguatamente, per mezzo di documenti cartacei o informatici.

La necessità di compilare cartelle cliniche di studio che rendano testimonianza dell’intero iter terapeutico è infatti andata via via crescendo, sia per l’esigenza di registrare adeguatamente tutti i dati (anamnestici, clinici e strumentali) relativi ciascun paziente, sia ai fini medico-legali per avvalorare, soprattutto in caso di contenzioso, circostanze cliniche altrimenti non dimostrabili.

Si comprende quindi l’importanza della meticolosità nella compilazione della cartella pur non avendo, in ambito libero professionale, il valore di un atto ufficiale, a differenza di ciò che avviene nelle strutture pubbliche.

Per possedere i requisiti di completezza e precisione, la cartella dovrebbe contenere una prima parte in cui vanno inseriti: la data di compilazione, il nominativo, le

1 Sez. Civile del Tribunale di Forlì (14.3.96) secondo cui “L’odontoiatra incaricato della progettazione ed installazione di un manufatto protesico contrae un’obbligazione di mezzi e di accorgimenti tecnici idonei ad assicurare quel risultato che il committente si ripromette dall’esatto e corretto adempimento dell’incarico…”

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generalità e l’ indirizzo del paziente (avvalorati eventualmente da un documento di identità) ed una seconda parte comprendente: l’indagine anamnestica, generale e odontoiatrica completa di formula dentaria ex ante, ortopantomografia e radiografie endorali, il consenso informato, il piano di trattamento e l’esecuzione cronologica delle varie sedute, il piano economico accettato dal paziente, eventuali variazioni all’iter di cure prospettato, meglio se controfirmate dal paziente ed infine i controlli periodici e le sedute di igiene orale al termine delle cure. A tal proposito sarebbe buona norma prendere nota in cartella dei mancati appuntamenti o di possibili rinunce al proseguimento delle terapie, al fine di evitare ingiuste attribuzioni di responsabilità.

La documentazione clinica da un punto di vista giuridico e deontologico, appartiene al paziente e pertanto se questi la richiede, l’odontoiatra ha il dovere di dargliene copia, lo stesso dicasi per le radiografie.

Inoltre se il rapporto di cura è terminato e il paziente intraprende un trattamento da un altro odontoiatra, quest’ultimo può richiedere al collega la cartella dell’assistito o informazioni riguardanti la sua storia clinica soltanto previa autorizzazione del diretto interessato.

Sarebbe comunque opportuno, al verificarsi di tale evenienza, che il dentista, per cautela, mantenga l’originale nel proprio archivio, dopo aver altresì ottenuto dall’assistito una sottoscrizione di ritiro della copia.

Come infatti accennato in precedenza negli ultimi anni vi è stato un dilagare di casi di responsabilità professionale odontoiatrica, alcuni dei quali fondati più su desideri di rivalsa per le spese sostenute, che su errori effettivamente commessi dal sanitario.

Il principio su cui si basa l’ipotesi di responsabilità è quello per cui un’azione od omissione del sanitario riconducibile ad atteggiamenti imperiti, imprudenti o negligenti, cagioni un danno.

Secondo gli orientamenti giurisprudenziali l’imperizia si configura ogniqualvolta vi sia la mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti l’esercizio della professione; si tratta quindi dell’inosservanza di regole tecniche idonee ad evitare o arginare un danno che, benché non tradotte in leggi o regolamenti, siano però entrate nell’uso corrente ed abitualmente applicate.

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Nei confronti dell’imperizia può prevedersi in ambito civilistico l’applicazione dell’art. 2236 c.c., il quale prevede che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave. Occorre però che il trattamento effettuato presenti effettivamente la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

Lo scopo della norma anzidetta sembra essere quello di non disincentivare il professionista che voglia assumersi il “rischio” dell’esecuzione di trattamenti particolarmente difficili, individuando, in sintesi, un margine di tolleranza dell’errore più alto; in realtà tuttavia la giurisprudenza richiede nella pratica un atteggiamento che sia perito in maniera direttamente proporzionale alle competenze acquisite, il che si traduce in un maggior rigore valutativo dinanzi ad una maggiore specializzazione.

A tal proposito è bene precisare come la partecipazione a corsi di aggiornamento, master o corsi di perfezionamento, aumentando il grado di conoscenza, implichi l’abbassamento della soglia di imperizia.

Si comprende dunque l’importanza di un’attenta valutazione della relazione fra la condotta del professionista, il tipo di trattamento eseguito, le circostanze concrete in cui si svolge la prestazione ed il reale background culturale acquisito nello specifico dal sanitario.

Per quel che riguarda le condotta negligente o imprudente costantemente la giurisprudenza ha escluso la possibilità applicativa dell’art. 2236 c.c., per cui il sanitario, in caso di danno, risponde anche solo per colpa lieve.

Nella pratica clinica l’odontoiatra può incorrere in comportamenti forieri di responsabilità nelle varie fasi di un trattamento; si pensi al mancato riconoscimento, in fase di diagnosi, di affezioni che nella loro evoluzione possono minare la buona riuscita dei successivi interventi o provocare, a seguito di questi, un peggioramento delle condizioni di partenza, o ancora la mancata prescrizione di indagini complementari atte all’individuazione di condizioni morbose manifestatesi attraverso segni indiretti, si considerino ad esempio le numerose patologie (vasculopatie, diabete, coagulopatie, cardiopatie, allergie ecc.) per le quali qualsivoglia trattamento può essere fonte di pericolo per il paziente.

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Nelle tappe successive gli errori sono ovviamente dipendenti dal tipo di prestazioni effettuate, per cui si potranno verificare incidenti a seguito della somministrazione di anestetici locali o dell’esecuzione di trattamenti conservativi, chirurgici, protesici o ortodontici.

Per semplicità ne ricordiamo solo alcuni: l’ingestione di strumenti per la mancata applicazione della diga, la creazione di false strade endodontiche, lesioni dei tessuti molli periorali per l’utilizzo improprio di strumenti taglienti o rotanti, fratture mandibolari, invasione dei seni mascellari, traumi alle strutture vascolo-nervose per incongrue manovre chirurgiche o estrattive, lesioni articolari per errati trattamenti protesici, lesioni parodontali per l’applicazione, nelle trazioni ortodontiche, di forze incongrue.

In aggiunta alle svariate circostanze operative in cui può incorrere in errore, l’odontoiatra è altresì responsabile del comportamento dei propri dipendenti, come sancito dall’art. 1228 c.c., che parla di “colpa in vigilando” o “in eligendo” per i danni causati dal personale ausiliario nello svolgimento delle proprie mansioni, con l’eccezione dei casi di dolo o colpa grave.

Lo stesso discorso è valido per l’operato dell’odontotecnico che è responsabile solo di errori riconducibili alle fasi di costruzione che non risultano evidenti durante le sedute eseguite dal dentista, cui spetta il compito di controllo e verifica della corretta esecuzione tecnica.

In sintesi, il tecnico può essere considerato responsabile esclusivamente di ciò che attiene la fabbricazione del manufatto (es.: errori di fusione, di saldatura, di preparazione delle parti estetiche) a condizione che i suddetti errori non siano individuabili dall’odontoiatra nelle fasi di applicazione del manufatto stesso e quindi venga meno, per motivi oggettivi, il dovere di controllo.

Restando nell’ambito della figura dell’odontotecnico, fra i problemi dell’odontoiatra non si possono dimenticare i fenomeni di abusivismo e prestanomismo, che interessano la professione odontoiatrica come nessun altra branca della medicina e che contribuiscono a pregiudicare l’immagine dell’intera categoria, con prestazioni di scarsa qualità, basso costo ed in condizioni ambientali spesso inadeguate sotto il profilo igienico.

Il reato di abusivismo è annoverato fra i delitti contro la pubblica amministrazione ed è punibile attraverso regolare denuncia all’Autorità Giudiziaria.

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L’esposto alla Procura deve avere caratteristiche precise, riportando dati oggettivi ed eventuali testimonianze scritte e controfirmate.

Se poi l’esercizio abusivo viene praticato con la compiacenza di un professionista abilitato (prestanome), quest’ultimo, su segnalazione di un medico/odontoiatra che è venuto a conoscenza dell’illecito favoreggiamento, può subire provvedimenti di tipo ordinistico (art. 13 CD).

Un’ultima considerazione va fatta circa il problema dei costi delle cure, considerati eccessivi dalla gran parte dell’opinione pubblica, spesso responsabili di un atteggiamento ostile nei confronti degli odontoiatri. Alla luce di quanto detto in precedenza si dovrebbe comprendere come il livello qualitativo delle prestazioni sia strettamente dipendente dagli investimenti effettuati per l’aggiornamento, per la corretta gestione dello studio e per l’acquisto di materiali e tecnologie sempre all’avanguardia (basti pensare ai sistemi informatici attualmente in uso), che inevitabilmente si ripercuotono sulle spese da preventivare al paziente.

In conclusione quindi, la maggiore consapevolezza dei doveri sanciti dalle norme penali, civili e deontologiche che circondano la fase clinica nella sua centralità, assume notevole importanza alla luce del profondo mutamento del rapporto odontoiatra/paziente nel quale il primo deve porsi come interlocutore dei fabbisogni del secondo in termini di cura, informazione e prevenzione, nel costante rispetto dell’Etica professionale.

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BIBLIOGRAFIA

1. Cortivo P., Betti D., Bordignon D., Tositti R.: Il consenso in implantoprotesi, basi medico-legali. Dental Cadmos, 16; 88-98; 1988.

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dell’odontoiatra nella giurisprudenza e nella dottrina: il consenso, il contratto, la causalità.

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In: Montagna F., De Leo D., Carli P.O. “La responsabilità nella professione odontoiatrica ANDI", ed.Promoass, 1998. Roma.

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