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La conferenza di servizi: novità e criticità della disciplina introdotta dalla Riforma Madia

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Academic year: 2021

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D

IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

Corso di Laurea in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

La conferenza di servizi: novità e criticità

della disciplina introdotta dalla

Riforma Madia

Relatore Candidata

Chiar. mo Prof. Salvatore Vuoto Giulia Ramacciotti

Correlatore

Chiar. mo Prof. Alfredo Fioritto

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“Qualsiasi cosa tu possa fare o sognare di poter fare incominciala.

Il coraggio ha in sé il genio, il potere, la magia. Comincia ora”. (Johann Wolfgang Goethe)

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INDICE

INTRODUZIONE

………...p. 5

CAPITOLO I

LA CONFERENZA DI SERVIZI: GENESI E PARABOLA

EVOLUTIVA

1.1 Un istituto di semplificazione e coordinamento………p. 8 1.2 Le origini dell’istituto……….p. 12 1.3 La legge 7 agosto 1990, n. 241 e le successive modifiche fino alla legge dell’11

febbraio 2005, n. 15………....p. 16 1.4 Le successive modifiche anteriori alla riforma del 2016………p. 25 1.5 La natura giuridica della conferenza di servizi………p. 32

CAPITOLO II

LA “NUOVA” CONFERENZA DI SERVIZI: LA DISCIPLINA

NELLA LEGGE N. 241 DEL 1990, COME MODIFICATA DAL

D. LGS. N. 127 DEL 2016 (RIFORMA MADIA)

2.1 I motivi e gli obiettivi della riforma………....p. 39 2.2 Le tipologie di conferenze………...p. 46 2.3 L’articolo 14 della legge n. 241 del 1990: un modello unitario di conferenza di

servizi tra fase istruttoria e fase decisoria………...p. 61 2.4 Le modalità di svolgimento della conferenza di servizi………..p. 66 2.5 La nuova conferenza di servizi semplificata………...p. 67 2.6 La conferenza di servizi simultanea………....p. 77 2.7 La decisione della conferenza di servizi e i rimedi per le amministrazioni

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CAPITOLO III

I MAGGIORI PROFILI DI NOVITÁ E CRITICITÁ ALLA

LUCE DELLA RIFORMA DELL’ISTITUTO

3.1 La figura del rappresentante unico………..……….………....p. 95 3.2 Il problema degli interessi sensibili………...p. 106 3.3 La disciplina del silenzio assenso in conferenza di servizi………...p. 119 3.4 Il rapporto fra la disciplina generale della conferenza di servizi e le discipline di settore………p. 125

CONCLUSIONI

……….p. 134

BIBLIOGRAFIA

………p. 136

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INTRODUZIONE

Tra gli istituti disciplinati nella legge sul procedimento amministrativo, la conferenza di servizi è, senza dubbio, quello che nel tempo ha subito il maggior numero di modifiche. Queste ne hanno, da un lato, ridefinito la ratio e le funzioni, dall’altro, però, hanno contribuito a renderne la disciplina sempre più farraginosa. Nato come modulo procedimentale volto a favorire l’accordo tra amministrazioni in ragione del principio dell’unanimità dei consensi, è divenuto, nell’intenzione del legislatore, lo strumento ordinario per l’assunzione di provvedimenti pluristrutturati, in grado di garantire comunque una decisione, anche in caso di inerzia o dissenso delle amministrazioni coinvolte. Infatti, in ossequio al principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione e all'art. 41 della Carta di Nizza e in ottemperanza dei criteri di economicità ed efficacia di cui all'art. 1 della legge n. 241 del 1990, la conferenza di servizi avrebbe dovuto perseguire la semplificazione dell’azione amministrativa attraverso il coordinamento tra amministrazioni, superando così il policentrismo “imperfetto” della nostra Amministrazione e la frammentazione delle competenze amministrative. Tuttavia, le successive modifiche, invece di esaltare questa funzione di coordinamento della conferenza e favorire il confronto, la ponderazione comparativa e la mediazione dei diversi interessi coinvolti dalla decisione stessa, hanno accentuato la funzione di strumento di decisione della conferenza di servizi. Infatti, l’unanimità dei consensi, inizialmente prevista, è stata sostituita prima con il criterio della maggioranza poi con quello della prevalenza delle posizioni espresse, introducendo meccanismi di superamento dei dissensi qualificati ed equiparando all’assenso l’assenza dell’amministrazione regolarmente convocata o il dissenso che non avesse i requisiti previsti dalla norma. Però, la prassi non ha dato seguito alle intenzioni del legislatore, tant’è che la conferenza di servizi, piuttosto che come strumento di semplificazione, è stata sinora avvertita dagli operatori economici come fattore di complicazione e, comunque, di allungamento dei tempi, non avendo nemmeno ovviato alla frammentazione delle competenze.

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agosto 2015 n. 124, per la prima volta, ha completamente riscritto la disciplina della conferenza di servizi, sostituendo integralmente gli articoli da 14 a

14-quinquies della legge 7 agosto 1990 n. 241, ed ha dettato le disposizioni di

coordinamento con le discipline settoriali dell’istituto.

L’intervento, quindi, si caratterizza innanzitutto per essere un’operazione di pulizia e “manutenzione” del testo, con eliminazione delle stratificazioni che negli anni si sono innestate nel corpo delle disposizioni sulla conferenza di servizi, rendendole di difficile lettura ed applicazione.

Il lavoro qui proposto si occuperà dunque di trattare tutti i profili qui solo accennati. La trattazione è stata divisa in tre capitoli: il primo si occuperà di tracciare le linee guida per affrontare la disamina dell’istituto in questione; infatti, si analizzeranno le origini dell’istituto, la sua travagliata evoluzione, che passa attraverso le numerosissime modifiche subite dalla disciplina in questione, e il dibattito intercorso, sia in giurisprudenza che in dottrina, a proposito della natura giuridica della conferenza.

Il secondo capitolo sarà interamente dedicato all’esame della nuova disciplina introdotta dalla c.d. Riforma Madia. Saranno esaminati nel dettaglio gli articoli da 14 a 14-quinquies della legge n. 241 del 1990 e si evidenzieranno le ragioni per cui si è sentita l’esigenza di un’ulteriore, e questa volta integrale, modifica della disciplina oltre ad analizzare i problemi riguardanti la nuova conferenza simultanea e la nuova disciplina del trattamento dei dissensi.

Il terzo e ultimo capitolo sarà dedicato a quegli istituti o profili della nuova disciplina che hanno creato dubbi o problemi applicativi. Nella fattispecie, si fa riferimento all’istituto del silenzio assenso ex articolo 17-bis, che il legislatore ha mancato di coordinare con l’istituto, già presente nella legge sul procedimento amministrativo, all’articolo 20 e di cui è stata ampliata l’utilizzabilità, interessando ora anche i procedimenti che hanno ad oggetto materie c.d. “sensibili”; inoltre, si prenderà in esame l’istituto del Rappresentante unico delle amministrazioni statali e regionali, introdotto per la conferenza simultanea quando sono coinvolti, nella conferenza, più livelli di governo. Tale figura è stata introdotta dal legislatore al fine di valorizzare il principio di unità amministrativa dello Stato, ma la norma non ne chiarisce né i rapporti con le amministrazioni

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rappresentate, né la disciplina delle modalità di formazione della posizione da rappresentare in conferenza. Infine si vedrà il metodo peculiare e differenziato, utilizzato dal legislatore, per armonizzare le discipline di settore con la nuova disciplina generale.

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CAPITOLO I

LA CONFERENZA DI SERVIZI:

GENESI E PARABOLA EVOLUTIVA

1.1 UN ISTITUTO DI SEMPLIFICAZIONE E COORDINAMENTO

I procedimenti complessi e i procedimenti collegati pongono il problema del coordinamento degli adempimenti e delle tempistiche relative all’adozione dei vari atti riferibili a una pluralità di uffici o di amministrazioni ciascuna titolare di una propria competenza. La legge n. 241 del 1990, sul procedimento amministrativo, individua come strumento principale di coordinamento la conferenza di servizi disciplinata dal Capo IV rubricato “Semplificazione amministrativa” con una serie di disposizioni molte volte modificate, da ultimo con il d.lgs. 30 giugno 2016, n 127, in attuazione della delega contenuta nell’art. 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, relativamente al riordino della disciplina della conferenza di servizi. Se si pensa che la conferenza di servizi è nata come istituto di semplificazione la sua continua modifica risulta un paradosso: “se la vita di un istituto è oggetto di sistematiche modifiche da parte del legislatore, se il suo meccanismo di funzionamento è sottoposto a continue variazioni ad ogni stagione legislativa, se la natura dell’attività che vi si svolge è frequentemente oggetto di dispute in dottrina e giurisprudenza, verrebbe da dire che esso ha complicato la vita dell’amministrazione e dei cittadini, piuttosto che semplificarla. Una semplice occhiata alla numerazione legislativa dei diversi articoli e commi che vanno a comporre la disciplina normativa della conferenza di servizi (articoli da 14 a 14 quinquies, a loro volta composti da vari commi numerati come bis, ter, quater quinquies, frutto di successive interpolazioni) è sufficiente a dare la misura di questa complicazione”1.

Da un punto di vista descrittivo, la conferenza di servizi consiste in una o più riunioni dei rappresentanti degli uffici o delle amministrazioni di volta in volta

1 GARDINI G., La conferenza di servizi: la complicata esistenza di un istituto di semplificazione, testo della relazione presentata al convegno Le riforme della legge 7 agosto 1990, n. 241 tra

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interessate che sono chiamate a confrontarsi e a esprimere il proprio punto di vista e, nel caso della conferenza decisoria, anche a deliberare. Con la conferenza di servizi viene meno la sequenza lineare degli atti endoprocedimentali attribuiti alla competenza di ciascuna amministrazione. Per ricorrere a un’immagine, “la catena procedimentale composta da una pluralità di anelli intrecciati viene fusa in un unico anello che sostituisce i singoli anelli”2. In sede di conferenza di servizi i rappresentanti delle amministrazioni sono chiamati a un confronto, a operare una valutazione dell’interesse pubblico affidato alla cura di ciascuna di esse, non più in modo isolato, ma in connessione con gli altri interessi pubblici curati dalle altre amministrazioni. “Le amministrazioni vengono invitate intorno a un tavolo per il tramite di loro rappresentanti ad esprimere all’amministrazione procedente le loro determinazioni, in merito alle proposte di essa al fine di giungere a valutazioni condivise”3

. In tal senso si è espressa anche la Corte costituzionale nella sentenza n. 79/1996: “Per sua natura la conferenza, destinata a costituire un raccordo tra amministrazioni diverse, è caratterizzata, per la struttura, dalla contestuale partecipazione delle amministrazioni portatrici degli interessi coinvolti (sent. n. 348 e 62 del 1993 e n. 37 del 1991). Quanto alla funzione, la conferenza risponde non solo all'esigenza di accelerare i tempi del procedimento, rendendo contestuali le determinazioni spettanti a ciascuna amministrazione, ma anche alla possibilità di consentire dialogo e reciproca interlocuzione, quale strumento idoneo a sviluppare e rendere effettiva la cooperazione in vista di obiettivi comuni”4. La conferenza viene così ad assumere il rilievo di un metodo che caratterizza il procedimento di raccolta, di valutazione e di espressione dei diversi interessi, anche quando non modifica le competenze in ordine ai singoli atti del procedimento (quali pareri, autorizzazioni, concessioni, nullaosta) ed al provvedimento finale, ne consegue la capacità dell’istituto di modificare, in misura non marginale, il modo di agire dell’amministrazione, “dal momento che il

2 M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, il Mulino, Bologna, 2017, pp. 261-262. 3 V. CERULLI-IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 335.

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La sentenza dichiara l’illegittimità costituzionale di una legge lombarda nella parte in cui non ha previsto che l’esame dei progetti di nuove discariche pubbliche fosse attribuita ad un gruppo di valutazione con l’intervento non necessario ma solo eventuale degli enti locali interessati, in violazione dell’art. 3/bis della L. 447/1987, secondo il quale i comuni devono partecipare

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titolare di ciascun interesse pubblico settoriale non potrà esimersi, nel momento in cui esprime il suo punto di vista, dal farsi carico degli ulteriori interessi pubblici che vengono contestualmente in rilievo ai fini dell’emanazione dell’atto finale”. Ad una serie di valutazioni separate di singoli interessi pubblici – in cui ciascuna amministrazione tende ad “assolutizzare” quello per la cura del quale è preposta, ponendo se stessa al centro del problema – si sostituisce, così, un “dialogo tra amministrazioni” che conduce ad una valutazione unica, globale e contestuale di tutti gli aspetti coinvolti5, “poiché unico è il risultato finale cui si mira, unico è il tessuto di interessi su cui si incide, unica è, spesso, la pretesa sostanziale del privato o dell’impresa che ha richiesto l’articolato, se non frammentato intervento pubblico”6. Tuttavia, tale operazione non è affatto scontata né immediata in un sistema giuridico che, fin dalle origini, si è fondato su un rigoroso riparto delle attribuzioni e delle competenze e che ha affidato ad ogni amministrazione la cura di un solo specifico interesse pubblico. Dunque, si tratta di una modalità operativa volta sia a realizzare il coordinamento tra le amministrazioni, sia a semplificare lo svolgimento del procedimento e a ridurre i tempi dell’emanazione dei provvedimenti in attuazione del principio del “buon andamento” della pubblica amministrazione enunciato nell’articolo 97 della Costituzione7

. Probabilmente l’originalità della soluzione offerta dalla conferenza di servizi ai problemi del coordinamento delle azioni delle amministrazioni pubbliche è anche alla base del tradizionale favore col quale l’istituto è stato visto dalla Corte Costituzionale nel corso degli anni8, nonostante le difficoltà pratiche che esso ha incontrato nella sua applicazione; la Corte ha infatti fin dall’inizio riconosciuto che in esso si realizza un giusto contemperamento fra le necessità della concentrazione delle funzioni in un’istanza unitaria e le esigenze connesse alla distribuzione delle competenze fra

5 F. BASSANINI- L. CARBONE, La conferenza di servizi, il modello ed i principi, in CERULLI- IRELLI V. (a cura di), La nuova disciplina dell’azione amministrativa, Napoli, Jovene, 2006, p. 3. 6 Parere 7 aprile 2016, n. 890 reso dalla commissione speciale del Consiglio di Stato sullo schema di decreto sulla Conferenza di servizi.

7 Art. 97 Cost: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

8 Cfr., ad es., C. Cost. n. 37 del 31 gennaio 1991, n. 62 del 14 febbraio 1993 e n. 348 del 28 luglio 1993

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gli enti che vi partecipano. L’assetto dell’istituto originariamente disegnato dalla legge n. 241 del 1990 non era privo di inconvenienti, poiché il modello presentava il problema (grave, in termini di efficienza amministrativa) di presupporre sempre un consenso unanime e di non consentire dunque di “chiudere” comunque il procedimento, in presenza del dissenso anche di una sola amministrazione.

La regola del consenso unanime garantiva che nessun interesse pubblico fosse sacrificato dal provvedimento finale adottato ad esito della conferenza dei servizi, se non nella misura giudicata accettabile dalla amministrazione preposta alla sua tutela; tuttavia, non di rado, i tempi lunghi necessari per raggiungere l’intesa unanime, o peggio, l’impossibilità di pervenirvi per l’insuperabile dissenso di una delle amministrazioni coinvolte, finivano con il compromettere l’esigenza di tempestività delle decisioni e di semplificazione dei carichi burocratici, e dunque, a ben vedere, con il sacrificare gli stessi interessi pubblici in gioco, o una parte di essi, quando la loro tutela richiedesse azioni o interventi di soggetti pubblici o privati. Tale disfunzione derivava da una ‘complessità fisiologica’ tipica dei moderni sistemi amministrativi democratici (e messa spesso in risalto, ad esempio, dall’OCSE): quella di riconoscere una pluralità di interessi pubblici meritevoli di tutela, non necessariamente collocati dalla legge (e neppure, talora, dalla Costituzione) in un ordine gerarchico o di prevalenza, ma spesso anzi collocati in posizione di equiordinazione. In tale contesto, il contemperamento fra essi viene sempre più spesso realizzato con moduli orizzontali e consensuali e, sempre più raramente, con moduli verticali e gerarchici. L’interesse pubblico non è più rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un processo di formazione cui sono chiamati a partecipare – in posizione tendenzialmente paritaria – sempre più soggetti, compartecipi di un’opera di contemperamento fra i diversi interessi pubblici alla tutela dei quali ciascuno di essi è preposto. L’equiordinazione tra interessi pubblici rende, però, difficile pervenire a una decisione finale, richiedendo un consenso unanime tra tutti i partecipanti. Per risolvere tale difficoltà in un ottica di semplificazione amministrativa, viene affidata alla disciplina procedimentale la soluzione del problema lasciato insoluto dalla disciplina sostanziale, anche a costo di introdurre, nell’esame contestuale del coordinamento tra le amministrazioni, meccanismi di

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scelta e di prevalenza tra le diverse posizioni assunte9, in tal modo, da un lato, il processo di adozione del provvedimento non rischia di bloccarsi a seguito dei contrasti, pur fisiologici, fra le amministrazioni e, dall’altro, si evitano le lungaggini connesse a più procedimenti separati10.

Si profila quindi subito la dialettica tra le due “anime” coesistenti nella conferenza: quella del modello di un nuovo assetto per la tutela della pluralità degli interessi affidata alle amministrazioni pubbliche e quella dello strumento di semplificazione amministrativa.

Ad un ragionevole contemperamento di queste due logiche sono stati mirati i successivi interventi del legislatore negli anni 1993, 1995, 1997, 1998 e 2000, 2005 e successivi, fino ad arrivare alla riforma Madia del 2016.

Nel proseguo della trattazione si esamineranno le suddette norme di modifica della disciplina della conferenza di servizi, prendendo le mosse dalla peculiarità della sua genesi fino ad arrivare alle numerose e pregnanti novità introdotte dall’ultima riforma della legge sul procedimento amministrativo che ha completamente ridisegnato l’istituto in questione.

1.2 LE ORIGINI DELLA CONFERENZA DI SERVIZI

La conferenza di servizi diviene istituto di carattere generale solo con la legge n. 241 del 1990; tuttavia, già anteriormente all’entrata in vigore di tale legge, meglio nota come legge sul procedimento amministrativo, la figura della conferenza di servizi è stata spesso utilizzata, quale strumento di semplificazione, sia in specifiche discipline di settore sia nella prassi amministrativa (in particolare nei settori della pianificazione urbanistica e delle opere pubbliche). Prima della sua formalizzazione, quello in parola è un istituto che nasce spontaneamente nel nostro ordinamento, intorno alla metà del Novecento, dall'esigenza delle pubbliche amministrazioni di coordinarsi e confrontarsi tra loro per l'adozione degli atti amministrativi.

Il primo meccanismo che potrebbe essere assimilato strutturalmente alla

9 Parere 7 aprile 2016, n. 890 reso dalla commissione speciale del Consiglio di Stato sullo schema di decreto sulla Conferenza di servizi.

10 M. A. SANDULLI, Il procedimento amministrativo e la semplificazione, in

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conferenza di servizi risale alla legislazione fascista di settore, che prevede la conferenza formale in contraddittorio in materia di trasporti, denominata riunione compartimentale, in quanto si tiene presso il compartimento della motorizzazione civile ed ha per oggetto l’esame comparativo delle domande relative all’istituzione di nuove autolinee.

Intorno agli anni cinquanta incominciano a registrarsi le prime sperimentazioni della conferenza di servizi, in particolare nel settore urbanistico, grazie all’iniziativa del ministero dei lavori pubblici, che concepisce l’istituto come “strumento di collaborazione non organica”11

. La prima conferenza (centrale) di servizi promossa dal Ministero dei Lavori Pubblici risale al 1952, e ad essa ne fecero seguito tante altre. Il Convegno di Scienza dell'Amministrazione di Varenna12 del 1959 fu la prima occasione in cui la dottrina ebbe modo di confrontarsi sulle embrionali applicazioni della conferenza di servizi ed emerse l'esistenza di un dibattito che trovava origine tanto dall'analisi dello svolgimento in concreto dell'attività amministrativa pubblica, quanto dalla presa di coscienza delle inefficienze del modello tradizionale di amministrazione di impianto burocratico13. Infatti, si era riscontrato che il riparto delle competenze, sia tra Stato e Regioni, sia, all’interno di questi, tra i vari organi delle stesse, se da una parte era funzionale alla semplificazione del lavoro dell’amministrazione, dall’altra comportava due problemi: l’eccessiva specializzazione dei funzionari, che poteva pregiudicare la visione d’insieme necessaria per giungere alla miglior decisione, e il rischio dei “compartimenti stagni”, che poteva risultare particolarmente grave quando due autorità procedevano risolutamente nella loro sfera di attribuzioni, deliberatamente trascurando o addirittura ignorando ciascuna quel che faceva l’altra, anche se fra le rispettive sfere di attribuzioni vi sono evidenti nessi. Era dunque necessario trovare uno strumento per porre rimedio a tali questioni e fu individuato proprio nella conferenza di servizi. La relazione del

11 B. CAROTTI, La conferenza di servizi, disciplina generale e governo del territorio, in

Avanguardia giuridica, Exeo edizioni, 2012, p. 16.

12 Il riferimento é al convegno dal titolo Coordinamento e collaborazione nella vita degli enti

locali, Varenna, 17-20 settembre 1959.

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convegno fu affidata a Stoppani14 che analizzando le prime esperienze di conferenza di servizi le definiva come “uno dei più perfetti ed utili strumenti di collaborazione non organica” che però, parzialmente per la carenza di preparazione delle amministrazioni, parzialmente per la non sufficiente attenzione accordata da giurisprudenza e dottrina, non aveva ancora raggiunto la centralità che avrebbe meritato. Se ne auspicava, comunque, un rilancio su vasta scala. Purtroppo così non fu, l’istituto fu scarsamente applicato, infatti, all’epoca, unico esempio di rilevante spessore di conferenza di servizi può essere individuato nella legge istitutiva dell’ENEL15, la quale prevede l’indizione di periodiche conferenze per la consultazione di rappresentanze degli enti locali ed organizzazioni sindacali. Con questa previsione il legislatore intendeva valorizzare soprattutto il momento partecipativo degli enti pubblici e di quelli esponenziali di interessi collettivi, come i sindacati, per garantire l’interlocuzione tra enti ed utenti, consapevole del fatto che in tal senso era necessario un ampliamento della sfera dei soggetti coinvolti, intendendo salvaguardare un novero maggiore di interessi. Intorno alla previsione normativa in esame, non è rilevabile alcuna speculazione scientifica che lasci intravedere un interesse della dottrina dell’epoca per una definizione dei caratteri e della funzione specifica della conferenza di servizi come modulo procedimentale. Il poco interesse dedicato a questa figura è attribuibile alla scarsità dei dati offerti dalla prassi amministrativa e dal diritto positivo: la dottrina, infatti, laddove si interessa alla conferenza di servizi, si limita a prendere atto dell’esistenza dello strumento e ad una descrizione dei suoi caratteri esteriori, senza offrire particolari approfondimenti16. Negli anni Ottanta

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A. STOPPANI, Forme di collaborazione non organica, in AA. VV., Coordinamento e

collaborazione nella vita degli enti locali atti del V Convegno di studi di scienza dell’amministrazione Varenna 17-20 settembre 1959 cit., pp. 317, il quale tratteggia inoltre

l’istituto come “uno strumento utilissimo, collaudato, ormai, da una pluriennale e larga esperienza, per armonizzare le attività degli enti interessati alla formazione ed alla successiva esecuzione dei piani urbanistici; strumento che consente di affrontare i problemi della pianificazione e di risolvere preventivamente, sul territorio della collaborazione non organica, tante questioni altrimenti insolubili o sovraccariche di difficoltà e foriere di grandi intoppi”. Si tratta di problemi “di maggiore o di minore rilievo, ma numerosissimi, per i quali l’esperienza ha dimostrato che, senza ingombranti quanto inutili sovrastrutture, si può pervenire, attraverso siffatta forma di collaborazione non organica, a risultati concreti piuttosto rapidi ed altamente apprezzabili”.

15 Legge 6 dicembre 1962, n. 1643 16

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la conferenza di servizi amplia il suo raggio applicativo in materia di rifiuti, con la previsione, nella legge del 29 ottobre 1987, n. 44117, di forme di confronto tra le varie amministrazioni relativamente alle procedure di smaltimento. È proprio con riferimento a tale legge che la giurisprudenza avrà modo di formulare principi mai più abbandonati in tema di azione della pubblica amministrazione. La legge 441 stabilisce che, nella conferenza prevista, devono confluire proposte, pareri e progetti di tutti gli interessati, cui conseguono effetti di tipo istruttorio, ferma restando la competenza della regione all’assunzione del provvedimento di localizzazione degli impianti. Da questa previsione la giurisprudenza desume la necessità del pieno coinvolgimento degli interessati, al punto tale che il mancato invito ad uno dei comuni coinvolti dalla decisione è ritenuto profilo di illegittimità della stessa.

Riguardo la stessa previsione normativa, la giurisprudenza costituzionale dal canto suo, intervenendo sulla disputa giurisprudenziale sorta tra vari tribunali amministrativi regionali, afferma definitivamente la natura di questa conferenza quale “metodo procedimentale di raccolta di espressioni e valutazioni dei diversi interessi, anche quando non modifica le competenze in ordine ai singoli atti del procedimento (pareri, autorizzazioni, concessioni ecc.) ed al provvedimento finale”18. Si può, dunque, affermare che la conferenza di servizi, nel quadro delineato dalla legge 441, rappresenta un principio fondamentale della materia, in base al quale trova concretezza “la partecipazione costruttiva” dei comuni al procedimento di localizzazione degli impianti.

La copiosa legislazione degli anni ottanta in materia di conferenza di servizi contribuisce a far aumentare l’interesse della dottrina per questo istituto sebbene la stessa tenda a sottolinearne la persistente incertezza circa l’elaborazione teorica.

Tuttavia, l’accelerata fondamentale si è avuta con i Mondiali di Calcio di Italia '9019, quando si è resa necessaria l'introduzione di moduli formali di collaborazione tra le pubbliche amministrazioni ai fini della realizzazione dei

17 Legge 29 ottobre 1987, n. 441 , Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361, recante disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti. (GU Serie Generale n.255 del 31-10-1987).

18 Sentenza della Corte Costituzionale n. 79 del 1996.

19 Legge 29 maggio 1989, n. 205, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 aprile 1989, n. 121, recante interventi infrastrutturali nelle aree interessate dai campionati mondiali di calcio del 1990. (GU Serie Generale n.126 del 01-06-1989) .

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rilevanti interventi infrastrutturali programmati20.

1.3 LA LEGGE 7 AGOSTO 1990, N. 241 E LE SUCCESSIVE

MODIFICHE FINO ALLA LEGGE DELL’11 FEBBRAIO

2005, N. 15.

La legge sul procedimento del 1990 disciplina la conferenza di servizi al capo IV relativo alla semplificazione dell’azione amministrativa in un solo articolo, il 14, composto da quattro commi. Secondo una ormai consolidata distinzione dottrinale, prevede due tipi di conferenza di servizi: la “conferenza istruttoria”, la “conferenza decisoria”.

L’art. 14 della legge n. 241/1990, ai commi 1 e 3, contiene una disciplina piuttosto scarna. Il primo comma dell’art. 14 si limita infatti ad affermare che “qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l’amministrazione procedente può indire una conferenza di servizi”, mentre il terzo comma delinea una specie di conferenza istruttoria, c.d. trasversale, disponendo che “la conferenza di servizi può essere convocata anche per l’esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesimi attività o risultati”.

L’indizione della conferenza spetta, quindi, all’amministrazione cui compete l’adozione del provvedimento finale. In particolare l’art. 6, comma 1, lett. c), della legge n. 241/1990 dispone che la conferenza venga indetta su proposta ovvero direttamente dal responsabile del procedimento, laddove ne abbia la competenza, mentre il terzo comma dell’art. 14 precisa che la conferenza istruttoria “è indetta dall’amministrazione o, previa informale intesa, da una delle amministrazioni che curano l’interesse pubblico prevalente”, fermo restando che “l’indizione della conferenza può essere richiesta da qualsiasi altra amministrazione coinvolta”.

Riguardo alla formulazione del primo comma dell’articolo 14 sussistevano dubbi in ordine alla facoltatività o all’obbligatorietà dell’indizione della conferenza per la presenza dell’inciso “di regola” che, a ben vedere, induceva a considerare la conferenza di servizi istruttoria come uno strumento ordinario di esercizio della funzione amministrativa, la cui deroga avrebbe richiesto una

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specifica motivazione. Il problema è oggi superato per effetto del decreto legge n. 78 del 2010, che al primo comma dell’art. 14, ha sostituito l’inciso “indice di regola”, stabilendo che qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l'amministrazione procedente “può indire” una conferenza di servizi. Si è affermato così il carattere facoltativo di tale tipo di conferenza. In tal modo, viene definitivamente rimessa alla discrezionalità della pubblica amministrazione la decisione di convocare la conferenza di servizi istruttoria.

La conferenza decisoria, invece, è disciplinata, in termini generali, dall’art. 14, commi 2 e 4, della legge n. 241/1990, nonché dai successivi articoli 14 -ter e

14-quater; è prevista per i casi in cui l’amministrazione procedente debba acquisire

intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati (l’elencazione è meramente esemplificativa) di altre amministrazioni pubbliche e si conclude con una “decisione pluristrutturata”, nel senso che la determinazione assunta dall’amministrazione procedente all’esito della conferenza di servizi tiene luogo dei predetti atti di assenso, delle varie amministrazioni pubbliche interessate.

Dal tenore letterale dell’art. 14, comma 2, secondo il quale “la conferenza di servizi è sempre indetta quando l’amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell’amministrazione competente, della relativa richiesta”, si desume chiaramente che (a differenza di quanto previsto per la conferenza istruttoria) l’indizione della conferenza decisoria è obbligatoria e che tale obbligo sorge quando l’amministrazione procedente non ottenga i prescritti atti di assenso entro il ristretto termine di trenta giorni. Risulta quindi evidente che, l’amministrazione procedente, laddove non riceva alcuna risposta da quella o da quelle interpellate, è senz’altro tenuta ad indire la conferenza di servizi.

Il legislatore provvede, solamente tre anni dopo, al tentativo di miglioramento di alcuni aspetti della disciplina, intervenendo a mezzo dell’art. 2, della l. 24 dicembre 1993, n. 53721.

Proprio con pronuncia del 1993, infatti, la Consulta aveva assicurato un

21 Legge 24 dicembre 1993, n. 537, Interventi correttivi di finanza pubblica, art.2: Semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi.

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rigoroso fondamento costituzionale all’istituto, indicandolo come mezzo di semplificazione e snellimento dell’azione amministrativa, in quanto tale, rispondente al principio del “buon andamento”, ex art. 97 Costituzione22

. In una sentenza successiva, ma dello stesso anno, la Corte definiva la conferenza come uno “strumento collaborativo utilmente inserito nel sistema pluralistico dei livelli di governo”23

. La riforma del 1993, criticata da più parti in dottrina, ha però il merito di rompere irrimediabilmente il principio dell’unanimità. Ecco, quindi, comparire sin da allora, al comma 2-bis, la possibilità di un intervento del Consiglio dei ministri, per superare i dissensi emersi in conferenza: il decisore di ultima istanza viene così identificato in un organo che allora (nel contesto di un ordinamento costituzionale che attribuiva a Regioni ed enti locali un ruolo e una rilevanza assai diversi da quelli ad essi riconosciuti dagli att. 114 e seguenti del nuovo Titolo V) appariva come una sorta di “conferenza di servizi apicale” di tutti gli interessi pubblici coinvolti. Tra il 1993 e il 1994, il ricorso alla conferenza viene previsto da molti regolamenti di delegificazione emanati nell’ambito della prima stagione di semplificazione amministrativa ex art. 24 della legge n. 537 del 1993 (tra i più rilevanti, il d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, sulla localizzazione delle opere di interesse statale )24.

A soli due anni di distanza, un altro tassello viene inserito dalla legge n. 273 del 199525 che, risolvendo incertezze nate nell’interpretazione del testo fino ad allora vigente e superando le resistenze opposte da molte amministrazioni, estende espressamente l’applicabilità della disciplina della conferenza di servizi all’attività dei privati e prevede un loro potere di impulso del procedimento infatti “le disposizioni di cui ai commi 2 e 2-bis si applicano anche quando l’attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di amministrazioni pubbliche diverse. In questo caso, la conferenza è convocata, anche su richiesta dell’interessato, dall’amministrazione preposta alla tutela dell’interesse pubblico prevalente”26

. Nella stessa stagione, fioriscono le

22 Sentenza della Corte Costituzionale n. 62 del 1993 23

Sentenza della Corte Costituzionale n. 348 del 1993.

24 F. BASSANINI- L. CARBONE, La conferenza di servizi, il modello ed i principi, cit. p. 5. 25 D.L. 12 maggio 1995, n. 163. Misure urgenti per la semplificazione dei procedimenti

amministrativi e per il miglioramento dell'efficienza delle pubbliche amministrazioni.

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discipline speciali, che adattano i meccanismi della conferenza alle specifiche esigenze di settore, spesso rafforzandoli. È il caso della cosiddetta legge

Merloni-bis27, che modifica la legge Merloni n. 109 del 1994, introducendo una conferenza speciale per le opere pubbliche: vi appare per la prima volta, da una parte, la prescrizione di un “dissenso costruttivo”, che deve essere accompagnato dalla indicazione delle modifiche progettuali necessarie e sufficienti a superare il dissenso della amministrazione dissenziente; e, dall’altra, la previsione di una “conferenza di servizi preliminare”, che consenta di capire se valga davvero la pena di investire su un determinato progetto da sottoporre poi alla “vera” conferenza di servizi, nell’intento di anticipare il più possibile il dialogo tra interessati e amministrazioni, anche prima dell’avvio del procedimento vero e proprio28. Nonostante le novità introdotte dalle due riforme, verso la fine degli anni Novanta la disciplina della conferenza di servizi pareva non incontrare ancora il favore degli studiosi, che, da una parte, segnalavano l’incompatibilità del potere sostitutivo statale con il doveroso rispetto delle autonomie locali, dall’altra rilevavano la sempre maggiore difficoltà di coordinamento tra la normativa predisposta dalla legge generale sul procedimento e le conferenze settoriali, in continuo incremento.

Si giunge così alla delega al governo della legge 15 marzo 1997 n. 59 che all’articolo 20 prevede il ricorso alla conferenza di servizi come strumento di semplificazione. La quasi coeva legge 15 maggio 1997, n. 127, (c.d.

Bassanini-bis) opera, poco dopo, la prima revisione organica della disciplina della

conferenza di servizi, introducendo gli articoli 14-bis, 14-ter e 14-quater, specificamente dedicati al settore dei lavori pubblici e trasformando il potere sostitutivo statale in un potere meramente sospensivo. In quella sede, tra l’altro, si supera il modello della conferenza “mono-procedimentale”, estendendo la possibilità di ricorso alla conferenza anche alla trattazione contestuale di diversi procedimenti tra loro connessi, quando riguardano la medesima attività o tendono al medesimo risultato; ma, soprattutto, cominciano a delinearsi due rilevanti innovazioni del modello procedurale: da una parte, a fini di semplificazione e

27 Legge 28 dicembre 1994, n. 549. 28

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accelerazione29 dei processi decisionali, si prevede un ruolo guida dell’amministrazione procedente in caso di mancata unanimità tra le amministrazioni partecipanti, dall’altra, quasi a controbilanciare questo ruolo guida, si prevede una speciale tutela degli “interessi sensibili” costituzionalmente rilevanti30. Si stabilisce così che l’amministrazione procedente possa “comunque assumere la determinazione di conclusione positiva del procedimento”, dandone comunicazione al Presidente del Consiglio, che ha il potere di sospenderla, e, nel contempo, si prevede, che l’amministrazione procedente non possa adottare la determinazione di conclusione positiva del procedimento in caso di “dissenso rilevante” - ovvero l’opposizione delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili costituzionalmente rilevanti, tassativamente individuati dalla norma legislativa - ma possa in tal caso richiedere al Presidente del Consiglio di adottare la determinazione di conclusione del procedimento, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, il quale, dunque, viene configurato quale decisore di ultima istanza. Le modifiche del 1997, se avevano rilanciato il ruolo della conferenza di servizi come modello generale di semplificazione procedimentale, ampliando il ricorso ad essa, rendevano ancora più evidenti (e frequenti) alcune disfunzioni che andavano emergendo nella sua applicazione pratica. Un ulteriore mutamento è apportato dall’art. 2, comma 28, della legge 16 giugno 1998, n. 191, il quale stabilisce che, in caso di sospensione governativa, la conferenza possa giungere ad una nuova decisione entro il termine di trenta giorni, tenendo conto delle osservazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, decorso inutilmente il quale la conferenza si considera sciolta.

È con la legge n. 340/2000 che il legislatore da alla materia una disciplina complessiva, organica e sistematica, più che mai necessaria dopo le molteplici

29 Il Consiglio di Stato in sede consultiva ha, infatti, più volte ribadito che il ‘fattore-tempo’ assume un ‘valore ordinamentale fondamentale’ quale componente determinante per la vita e l’attività dei cittadini e delle imprese, per i quali l’incertezza o la lunghezza dei tempi amministrativi può costituire un costo che incide sulla libertà di iniziativa privata ex art. 41 Cost.”; “Tale fattore assume un ruolo centrale nel diritto amministrativo moderno, e si connette a principi fondamentali di rango costituzionale (quali l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione. ex art. 97 Cost., che vanno declinati ‘in concreto’ con una efficace scadenza temporale), ma anche sovranazionale (cfr. in particolare l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che riconosce al cittadino un diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate dall’amministrazione pubblica, oltre che con imparzialità ed equità, anche “entro un termine ragionevole”)”

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riforme parziali intervenute nel corso del decennio precedente. Numerosissime le novità: il secondo comma del nuovo art. 14 prevede che la conferenza sia “sempre indetta”, mentre la normativa previgente attribuiva una semplice facoltà, quando l’amministrazione procedente debba acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi, comunque denominati31.

L’art 14-bis introduce, inoltre, la figura della conferenza di servizi preliminare, predisposta per agevolare la realizzazione di opere di particolare complessità ed incentrata sull’esame del progetto definitivo delle medesime; lo scopo evidente di tale strumento è una più ampia limitazione dell’emersione, nella fase avanzata del procedimento, di ostacoli che si sarebbero potuti agilmente prevedere ed affrontare in via preventiva32. Viene regolata nel dettaglio anche

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Legge n. 241/1990, Art. 14: 1. Qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l’amministrazione procedente indìce di regola una conferenza di servizi. 2. La conferenza di servizi è sempre indetta quando l’amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro quindici giorni dall’inizio del procedimento, avendoli formalmente richiesti. 3. La conferenza di servizi può essere convocata anche per l’esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesimi attività o risultati. In tal caso, la conferenza è indetta dall’amministrazione o, previa informale intesa, da una delle amministrazioni che curano l’interesse pubblico prevalente. Per i lavori pubblici si continua ad applicare l’articolo 7 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni. L’indizione della conferenza può essere richiesta da qualsiasi altra amministrazione coinvolta. 4. Quando l’attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di più amministrazioni pubbliche, la conferenza di servizi è convocata, anche su richiesta dell’interessato, dall’amministrazione competente per l’adozione del provvedimento finale. 5.In caso di affidamento di concessione di lavori pubblici la conferenza di servizi è convocata dal concedente entro quindici giorni fatto salvo quanto previsto dalle leggi regionali in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA).

32 Legge n.241/1990, Art. 14-bis: 1. La conferenza di servizi può essere convocata per progetti di particolare complessità, su motivata e documentata richiesta dell’interessato, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivi, al fine di verificare quali siano le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari atti di consenso. In tale caso la conferenza si pronuncia entro trenta giorni dalla data della richiesta e i relativi costi sono a carico del richiedente. 2. Nelle procedure di realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, la conferenza di servizi si esprime sul progetto preliminare al fine di indicare quali siano le condizioni per ottenere, sul progetto definitivo, le intese, i pareri, le concessioni, le autorizzazioni, le licenze, i nullaosta e gli assensi, comunque denominati, richiesti dalla normativa vigente. In tale sede, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, si pronunciano, per quanto riguarda l’interesse da ciascuna tutelato, sulle soluzioni progettuali prescelte. Qualora non emergano, sulla base della documentazione disponibile, elementi comunque preclusivi della realizzazione del progetto, le suddette amministrazioni indicano, entro quarantacinque giorni, le condizioni e gli elementi necessari per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, gli atti di consenso. 3. Nel caso in cui sia richiesta VIA, la conferenza di servizi si esprime entro trenta giorni dalla conclusione della fase preliminare di definizione dei contenuti dello studio d’impatto ambientale, secondo quanto previsto in materia di VIA. Ove tale conclusione non intervenga entro novanta giorni dalla richiesta di cui al comma 1, la conferenza di servizi si esprime comunque entro i successivi trenta giorni. Nell’ambito di tale conferenza, l’autorità competente alla VIA si esprime

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l’organizzazione dei lavori, per il tramite di una serie di specifiche disposizioni procedurali, contenute nel nuovo art. 14-ter, che stabiliscono termini, quorum funzionali e meccanismi di assenso implicito in caso di mancata partecipazione delle amministrazioni alle riunioni o di silenzio33.

Tuttavia è soprattutto dal punto di vista dell’assunzione della decisione conferenziale che la riforma del 2000 apporta le più consistenti modifiche, dal momento che il tenore letterale dell’art. 14-quater, al comma 2, autorizza l’amministrazione procedente ad adottare la determinazione di conclusione del procedimento in forza di un criterio puramente maggioritario, dal momento che risulta fondato “sulla base della maggioranza delle posizioni espresse”34

.

In questa ipotesi più che mai il condizionale si rivela d’obbligo, dal momento che

sulle condizioni per la elaborazione del progetto e dello studio di impatto ambientale. In tale fase, che costituisce parte integrante della procedura di VIA, la suddetta autorità esamina le principali alternative, compresa l’alternativa zero, e, sulla base della documentazione disponibile, verifica l’esistenza di eventuali elementi di incompatibilità, anche con riferimento alla localizzazione prevista dal progetto e, qualora tali elementi non sussistano, indica nell’ambito della conferenza di servizi le condizioni per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, i necessari atti di consenso. 4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3, la conferenza di servizi si esprime allo stato degli atti a sua disposizione e le indicazioni fornite in tale sede possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nelle fasi successive del procedimento, anche a seguito delle osservazioni dei privati sul progetto definitivo. 5. Nel caso di cui al comma 2, il responsabile unico del procedimento trasmette alle amministrazioni interessate il progetto definitivo, redatto sulla base delle condizioni indicate dalle stesse amministrazioni in sede di conferenza di servizi sul progetto preliminare, e convoca la conferenza tra il trentesimo e il sessantesimo giorno successivi alla trasmissione. In caso di affidamento mediante appalto concorso o concessione di lavori pubblici, l’amministrazione aggiudicatrice convoca la conferenza di servizi sulla base del solo progetto preliminare, secondo quanto previsto dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni.

33 Legge n. 241/1990, Art. 14-ter: 1. La conferenza di servizi assume le determinazioni relative all’organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti. 2. La convocazione della prima riunione della conferenza di servizi deve pervenire alle amministrazioni interessate, anche per via telematica o informatica, almeno dieci giorni prima della relativa data. Entro i successivi cinque giorni, le amministrazioni convocate possono richiedere, qualora impossibilitate a partecipare, l’effettuazione della riunione in una diversa data; in tale caso, l’amministrazione procedente concorda una nuova data, comunque entro i dieci giorni successivi alla prima. 3. Nella prima riunione della conferenza di servizi, o comunque in quella immediatamente successiva alla trasmissione dell’istanza o del progetto definitivo ai sensi dell’articolo 14-bis, le amministrazioni che vi partecipano determinano il termine per l’adozione della decisione conclusiva. I lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4.

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Art. 14-quater. 1. Il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso). 2. Se una o più amministrazioni hanno espresso nell’ambito della conferenza il proprio dissenso sulla proposta dell’amministrazione procedente, quest’ultima, entro i termini perentori indicati dall’articolo 14-ter, comma 3, assume comunque la determinazione di conclusione del procedimento sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi.

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la più attenta dottrina ha depotenziato immediatamente, con ragionamenti tanto precisi quanto condivisibili, la reale portata innovativa di tale previsione. Se infatti il criterio unanimistico si mostra fondamentalmente antitetico alla ratio sottesa all’istituto, parimenti inadeguato deve essere considerato il sistema maggioritario che, inteso nella sua purezza, parificherebbe le posizioni di tutti gli enti partecipanti alla conferenza, giungendo all’illogica conseguenza di attribuire il medesimo peso specifico alle manifestazioni di volontà di amministrazioni dotate di una rilevanza concreta anche enormemente diversa l’una dall’altra, secondo un principio aridamente numerico-quantitativo. A questo riguardo, si segnala che l’introduzione della formula della “maggioranza delle posizioni espresse” ha suscitato, quale effetto collaterale, anche la riattualizzazione del dibattito inerente alla natura giuridica dell’istituto, offrendo nuova e inaspettata linfa ai sostenitori della tesi dell’organo collegiale.

Forse in accoglimento delle critiche sopra menzionate, forse, più semplicemente, con intento chiarificatore sulla portata del dettato normativo, è lo stesso legislatore, con l’emanazione della l. 11 febbraio 2005, n. 15, a ricostruire, in senso qualitativo e non più meramente quantitativo, la disposizione regolante il meccanismo di adozione delle decisioni in conferenza. Il nuovo testo dispone, infatti, che l’amministrazione procedente all’esito dei lavori della conferenza adotti “la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede”. Si tratta di una modifica fortemente auspicata e guardata con favore dalla dottrina: mentre il criterio della maggioranza è eminentemente soggettivo, nel senso che ad ogni amministrazione partecipante corrisponde un voto, si può ritenere che il criterio della prevalenza vada riferito al tipo ed all’importanza delle attribuzioni di ciascuna amministrazione, con riferimento alle questioni in oggetto.

L’intervento del 2005, contestualmente, inserisce un nuovo articolo (il

14-quinquies35), che introduce una speciale fattispecie di conferenza di servizi in

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Legge 15 del 2005, articolo 14-quinquies, “Conferenza di servizi in materia di finanza di progetto: 1. Nelle ipotesi di conferenza di servizi finalizzata all'approvazione del progetto definitivo in relazione alla quale trovino applicazione le procedure di cui agli articoli 37-bis e seguenti della legge 11 febbraio 1994, n. 109, sono convocati alla conferenza, senza diritto di voto, anche i soggetti aggiudicatari di concessione individuati all'esito della procedura di cui all'articolo

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materia di finanza di progetto36 e, soprattutto, modifica profondamente la disciplina dei dissensi qualificati, che ora prevede una duplice tipologia di meccanismi di superamento, differenziati a seconda che il dissenso sia espresso da un’amministrazione preposta alla tutela di interessi sensibili oppure da una Regione o una Provincia autonoma in una materia di propria competenza ed affidati al macchinoso sistema delle Conferenze autonomiche. La novella, resasi necessaria a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, era diretta discendenza dello stabile orientamento della Consulta al ridimensionamento del potere sostitutivo dello Stato in tutte quelle materie che non fossero di sua esclusiva competenza: tale potere risultava, infatti, ammissibile solo in qualità di

extrema ratio, a seguito dell’inutile esperimento di ogni tentativo di “leale

37-quater della legge n. 109 del 1994, ovvero le società di progetto di cui all'articolo 37-quinquies della medesima legge".

36 La filosofia del Project Financing è quella di coinvolgere il privato in un progetto, di spingerlo a trovare il modo di far fruttare per sé e per la comunità un terreno o un bene che altrimenti resterebbero inutilizzati per carenza di fondi pubblici. La scelta della finanza di progetto per il finanziamento delle infrastrutture di pubblica utilità, da parte delle amministrazioni pubbliche, è dettata da una duplice esigenza: ridurre l’esborso finanziario pubblico e migliorare l’efficienza e l’efficacia nella realizzazione e gestione di opere pubbliche. Con la finanza di progetto si realizza una convergenza di interessi tra la pubblica amministrazione, interessata alla realizzazione dell'opera o del servizio minimizzandone i costi di realizzazione, e il privato, interessato ai ritorni economici legati alla realizzazione e gestione dell'opera o del servizio. L’accordo tra l’amministrazione pubblica e la società privata può avvenire secondo modalità diverse: il privato può avere il compito di realizzare le strutture o di gestirle, oppure può svolgere entrambe le attività. Tale concessione avviene per mezzo della costituzione di una Società di progetto, la cui esclusiva finalità è la realizzazione e/o la gestione del progetto stesso. La procedura a gara unica si snoda attraverso le seguenti fasi: 1) l’ente appaltante, anzitutto, pubblica un bando di gara, ponendo a base dello stesso uno studio di fattibilità (strumento attuativo del programma triennale dei lavori nel quale devono riportarsi le analisi dello stato di fatto dei lavori programmati sotto il profilo storico-artistico, architettonico, paesaggistico, di sostenibilità ambientale, socio-economica, amministrativa e tecnica); 2) indi, prende in esame le offerte che sono pervenute nei termini indicati nel bando; 3) redige una graduatoria secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e nomina promotore il soggetto che ha presentato la migliore offerta; 3) pone in approvazione il progetto preliminare presentato dal promotore, sottoponendolo a conferenza di servizi, ex articoli 14-bis e seguenti della l.n. 241/1990; 4) quando il progetto non necessita di modifiche progettuali, procede direttamente alla stipula del contratto di concessione; 6) qualora il progetto debba essere modificato, richiede al promotore di procedere, stabilendone anche i termini: alle modifiche progettuali stabilite in sede di conferenza di servizi, ad adeguare il piano economico-finanziario, a svolgere tutti gli adempimenti di legge, anche ai fini della valutazione di impatto ambientale. La predisposizione di tali modifiche e lo svolgimento di tali adempimenti, in quanto onere del promotore, non comporta alcun compenso aggiuntivo, né incremento delle spese sostenute ed indicate nel piano economico finanziario per la predisposizione delle offerte. 7) Qualora le modifiche proposte non siano accettate dal promotore, l’amministrazione aggiudicatrice, fissando il termine per la risposta, ha facoltà di chiedere progressivamente ai concorrenti successivi in graduatoria la disponibilità a stipulare il contratto di concessione, previa modifica del progetto preliminare del promotore, eventuale adeguamento del piano economico-finanziario nonché svolgimento di tutti gli adempimenti di legge.

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collaborazione” con l’ente territoriale. Tuttavia, anche se rispettoso delle indicazioni del giudice costituzionale, il meccanismo approntato dalla l. 15/2005, tutto incentrato su un complicato meccanismo di rinvio alle Conferenze Stato-Regioni e Unificata, si rivela ben presto confuso ed inefficace e, prima di venire soppiantato dal nuovo ciclo di modifiche dell’istituto, riesce comunque a ricavare un cospicuo numero di critiche in dottrina, sia dal punto di vista teorico sia da quello della sua scarsa funzionalità.

1.4 LE

SUCCESSIVE

MODIFICHE

ANTERIORI

ALLA

RIFORMA DEL 2016.

La legge n. 69 del 2009 ha previsto l’obbligo di convocazione, ovviamente senza diritto di voto, del proponente del progetto dedotto in conferenza e la possibilità di partecipazione per i concessionari ed i gestori di pubblici servizi, qualora tale progetto implichi loro adempimenti o abbia effetti diretti o indiretti sulla loro attività. La riforma ha inoltre disciplinato lo svolgimento della conferenza per via telematica37.

Diversamente dai ritocchi dell’anno precedente, il decreto del 2010 ha operato in maniera incisiva su una molteplicità di aspetti della disciplina dell’istituto. L’articolo 14 viene parzialmente modificato ed integrato: con riferimento al primo comma, riguardante la conferenza c.d. “istruttoria”, l’espressione “indice di regola” viene sostituita dalla formula “può indire”, trasformando quello che parte della dottrina aveva qualificato come obbligo in una mera facoltà. Inoltre, al comma 2, viene prevista una nuova ipotesi di indizione facoltativa della conferenza decisoria, ammessa ora anche “nei casi in cui è consentito all’amministrazione procedente di provvedere direttamente in assenza di determinazioni delle amministrazioni competenti”. Il significato dell’innovazione è controverso; secondo una lettura, che trova supporto nei lavori preparatori della legge di conversione, si sarebbe chiarito che non sussiste un obbligo per

37 Si tratta di uno degli aspetti più attuali della materia, giacché nel Consiglio dei Ministri del 10 luglio 2014 è stato licenziato un disegno di legge recante una “Delega al Governo per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, il quale, tra le sue linee guida, presenta il riordino della disciplina della conferenza di servizi, con particolare riferimento all’implementazione dell’utilizzo di strumenti informatici.

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l’amministrazione procedente di indire la conferenza in tutti i casi in cui espresse disposizioni «consentano di prescinderne». In altre parole, più che di una vera e propria nuova ipotesi di indizione facoltativa, come sostenuto da altra lettura, si tratterebbe della riduzione dell’area dell’obbligatorietà della conferenza decisoria. La tesi non pare persuasiva, giacché se l’obbligatorietà dell’indizione era prima, e resta dopo, legata alla sussistenza del dovere di acquisire atti di assenso e al mancato ottenimento di questi entro trenta giorni dalla richiesta, risulta chiaro che, laddove la normativa consentiva di prescindere dall’atto di assenso non conseguito, non poteva configurarsi nessun obbligo di indizione della conferenza non sussistendone il presupposto. Si tratta, invece, di un nuovo caso, in senso proprio, di indizione facoltativa, che consente all’amministrazione procedente di utilizzare l’istituto quando ritenga opportuno avvalersi delle possibilità di confronto-scambio-accordo proprie della conferenza38. Particolarmente rilevanti si rivelano anche i nuovi effetti della determinazione conclusiva della conferenza, infatti, viene, abrogato l’art. 14-ter, comma 9, che riferiva l’effetto sostitutivo degli atti endoprocedimentali al provvedimento finale conforme alla decisione finale, mentre il nuovo comma 6-bis dello stesso articolo imputa l’effetto sostitutivo direttamente alla determinazione conferenziale. Il che significa che l’atto conclusivo della conferenza è al contempo atto finale del procedimento, eccettuato il caso in cui siano stati espressi dissensi da parte di amministrazioni portatrici di interessi “sensibili”, che determinano uno spostamento della sede decisionale in ordine alla questione oggetto della conferenza.

Altre modifiche hanno riguardato il silenzio-assenso e la manifestazione del dissenso, in entrambi i casi con riferimento alle amministrazioni preposte alla cura degli interessi “sensibili”. Il legislatore è infatti intervenuto sul silenzio- assenso, ampliandone il perimetro di efficacia: deve considerarsi acquisito il benestare dell’ente del quale il rappresentante non abbia definitivamente espresso la volontà anche nelle ipotesi di amministrazioni preposte alla tutela della salute, della pubblica incolumità, paesaggistico-territoriale e dell’ambiente, con la sola

38 G. SCIULLO, La Conferenza di servizi come meccanismo di decisione, 2011, in Giornale di

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eccezione dei provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA39.

Per quanto concerne, invece, la disciplina del trattamento dei dissensi si stabilisce che l’espressione della volontà delle amministrazioni convocate ad una conferenza decisoria non può avvenire (per essere giuridicamente rilevante) che in quella sede, sul piano giuridico non c’è spazio per un’espressione di volontà al di fuori della conferenza: da un lato il dissenso espresso all’esterno della conferenza non rileva, dall’altro il silenzio tenuto in sede di conferenza, compresa la non partecipazione alla stessa, equivale ad assenso, rendendo per ciò stesso irrilevante un eventuale assenso manifestato al di fuori. Un’ulteriore modifica introdotta dal d.l. n. 78/2010 concerne ancora gli interessi “sensibili”, ma in relazione al superamento del dissenso manifestato da amministrazioni ad essi preposte. La disciplina è stata ridotta ad un unico comma, che salvaguardava, comunque, la distinzione tra il dissenso espresso da un’amministrazione portatrice di un interesse sensibile ed il dissenso espresso da una Regione o da una Provincia autonomia in una materia di sua competenza. Nella prima ipotesi, l’amministrazione procedente, in attuazione del principio di leale collaborazione, era tenuta a rimettere la questione al Consiglio dei Ministri, che si sarebbe dovuto pronunciare, entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni interessate (in caso di dissenso tra un’amministrazione statale ed una regionale o tra più amministrazioni regionali), ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati (in caso di dissidio tra un’amministrazione statale o regionale ed uno o più enti locali): qualora tale intesa non fosse stata raggiunta nel ristretto arco temporale di trenta giorni, il Consiglio dei Ministri avrebbe comunque potuto

39Ci si riferisce alla valutazione di impatto ambientale (VIA), alla valutazione ambientale strategica (VAS), alla autorizzazione integrata ambientale (AIA), in questi casi se la P.A. non si pronuncia nei termini al privato non rimane altro che attendere la conclusione, seppur tardiva, dell’iter burocratico, con l’unica possibilità di chiedere alla P.A. il risarcimento del danno cagionato dal ritardo. Se la documentazione presentata non è completa o anche sufficientemente chiara ai fini della decisione, in sede di conferenza di servizi possono essere richiesti, per una sola volta, ai proponenti dell'istanza o ai progettisti chiarimenti o ulteriori produzioni documentali. Se questi ultimi non sono forniti in detta sede, entro i successivi trenta giorni si procede comunque all'esame del provvedimento. Il provvedimento finale concernente opere sottoposte a VIA è pubblicato, a cura del proponente, unitamente all'estratto della predetta VIA, nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino regionale in caso di VIA regionale e in un quotidiano a diffusione nazionale. Dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale decorrono i termini per eventuali impugnazioni in sede giurisdizionale da parte dei soggetti interessati.

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decidere autonomamente, in ultima istanza. Nella seconda ipotesi, invece, l’articolato si limitava a prevedere l’esercizio di un potere sostitutivo in capo al Consiglio dei Ministri, con la generica indicazione di una “partecipazione” dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate.

Con sentenza n. 179, dell’11 luglio 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della seconda parte di tale disciplina per contrasto con gli articoli 117 e 118 della Costituzione, affermando, in particolare, la violazione della regola secondo la quale, in ipotesi come quella configurata dalla norma, si renderebbero sempre necessarie adeguate “procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze” tra le posizioni in conflitto.

Così il legislatore è dovuto intervenire nuovamente sulla disciplina con il con il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 che ha introdotto, in caso di dissenso regionale su una materia di competenza dell’ente territoriale, le procedure ritenute necessarie dalla sentenza della Corte: entro trenta giorni dalla rimessione della questione alla delibera del Consiglio dei Ministri, viene indetta una riunione con la partecipazione delle amministrazioni territoriali interessate, attraverso un unico rappresentante per ente, legittimato dall’organo competente ad esprimere la volontà di tale amministrazione; qualora l’intesa non sia raggiunta nel termine di ulteriori trenta giorni, viene indetta una seconda riunione, con le medesime modalità della prima, per concordare eventuali interventi di mediazione e valutare anche ipotetiche soluzioni progettuali alternative a quella originaria; assente ancora l’intesa, sono dati altri trenta giorni per avviare trattative finalizzate a risolvere o, quantomeno, individuare i punti di dissenso. Solo a questo punto, in caso di permanenza del dissidio, al Consiglio dei Ministri è attribuito il potere di adottare la deliberazione conclusiva, sempre con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate.

Con il Decreto “Sblocca Italia” n. 133 del 2014, recante “misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”, il legislatore, all’articolo 25, ha inteso modificare concretamente due articoli della legge 241/1990 riguardanti la conferenza di servizi intervenendo sia sugli effetti degli atti acquisiti nel

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