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IL RAPPORTO FRA LA DISCIPLINA GENERALE DELLA CONFERENZA DI SERVIZI E LE DISCIPLINE DI SETTORE

DELL’ISTITUTO

3.4 IL RAPPORTO FRA LA DISCIPLINA GENERALE DELLA CONFERENZA DI SERVIZI E LE DISCIPLINE DI SETTORE

Il Titolo II178 del D. Lgs. 30 giugno 2016, n. 127 si occupa dell’armonizzazione delle discipline. Il legislatore della riforma , per far ciò, si è trovato di fronte ad un duplice scenario: da un lato, la precedente disciplina della conferenza di servizi era, in qualche modo, contaminata dalla presenza di alcune disposizioni di settore della conferenza di servizi, si fa riferimento, in particolare, alle disposizioni che esistevano negli articoli 14 e 14-bis in materia ambientale e di lavori pubblici. Il legislatore si è, dunque, chiesto in che modo queste disposizioni di settore dovessero essere mantenute all’interno della disciplina generale della conferenza di servizi. Dall’altro, esistevano una pluralità di disposizioni di settore che rinviavano alla disciplina generale della conferenza o che la prevedevano.

Si vanno, dunque, adesso ad esaminare, partendo da questa distinzione, le scelte fatte dal legislatore delegato in materia.

Per quanto riguarda la disciplina generale, la scelta del legislatore, come si è visto, è stata quella di riscrivere totalmente gli articoli da 14 a 14- quinquies. Dunque, secondo il legislatore del 2016 nella disciplina generale non vi era più spazio per le precedenti disposizioni di settore riferite alla conferenza di servizi nell’ambito ambientale o dei lavori pubblici, perché queste disposizioni dovevano trovare naturale collocazione all’interno delle rispettive disposizioni di settore. Nella scelta di eliminare queste disposizioni l’unica eccezione che il legislatore ha fatto è stata quella di codificare, per la prima volta in modo organico, al comma 4 dell’articolo 14, la conferenza di servizi indetta nell’ambito della valutazione di impatto ambientale (VIA) regionale. Dunque, in base a questa scelta, nell’articolo 14, dedicato alle tipologie di conferenze, al comma 4 trova collocazione questa

178 In sostanza la semplificazione amministrativa occupa solo il Titolo II l’approccio del legislatore è quello di abbandonare la legislazione di emergenza e settoriale per “semplificare” altri settori di intervento come l’ambiente, i beni culturali, l’edilizia, i trasporti, come evidenziato da G. SPINA,

La semplificazione amministrativa come principio dell’essere e dell’agire. Studio sull’evoluzione delle logiche di semplificazione amministrativa in Italia dal 1990 ad oggi, in Diritto e processo amministrativo, Quaderni 16, Napoli, 2013, p. 264.

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conferenza, che già esisteva, ovviamente, nell’ambito delle discipline di settore ma assume dignità e specificità propria anche nell’ambito della disciplina generale. Si tratta, quindi, di una conferenza di servizi, indetta in ambito, come si è detto, di VIA, ma solo ed esclusivamente in ambito regionale. In realtà non ci si dilungherà sul tema, ma va evidenziato, per la sua importanza, che il legislatore, dopo meno di dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto n. 127 del 2016, ha modificato il comma 4 dell’articolo 14179

. Quindi, l’attuale stesura di questo articolo è diversa da quella concepita nel decreto n. 127, anche se l’impianto originario della norma è rimasto lo stesso, non è stato stravolto: laddove esiste un procedimento di VIA regionale e sia necessario acquisire altri atti di assenso, in particolar modo, autorizzazioni previste in altri settore, come quello urbanistico o delle attività produttive, è possibile far confluire la decisione di tutti questi aspetti, quindi non solo quelli ambientali, all’interno di una conferenza di servizi che assume il carattere decisorio indetta nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale. Perciò, secondo l’impostazione originaria del legislatore nella procedura di VIA regionale, che ha dei tempi propri legati, soprattutto, alla pubblicazione di alcuni documenti che devono essere sottoposti alla valutazione, al parere, alla consultazione del pubblico, deve confluire anche la valutazione di tutti gli altri aspetti necessari e utili per il rilascio dell’autorizzazione. L’idea è stata importata da alcune esperienze regionali, in particolar modo quella dell’Emilia Romagna e della Toscana, regioni nelle quali questa integrazione era già stata prevista ed adottata. L’idea nuova ed originaria è, dunque, estendere questo modello anche nell’ambito della disciplina generale della conferenza di servizi. Questo impianto originario è stato in parte modificato perché, nel frattempo, il governo si è dedicato al recepimento della nuova direttiva di valutazione di impatto ambientale. Allora, in quella sede, sono stati modificati tutti i riferimenti previsti nel codice ambientale sulla valutazione di impatto ambientale e quindi era necessario modificare anche i riferimenti contenuti nel comma 4 dell’articolo 14 al codice ambientale stesso. In realtà, in quella occasione, il legislatore è andato oltre: ha modificato il comma 4 dell’articolo 14, riscrivendolo totalmente e facendo, però, rinvio ad una procedura specifica di

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valutazione di impatto ambientale in ambito regionale contenuta adesso nell’articolo 27-bis del codice ambientale e appositamente dedicato alla valutazione di impatto ambientale in ambito regionale. Quindi, in questa nuova disciplina viene descritto nel dettaglio il rapporto tra la procedura di VIA e la conferenza di servizi, che rimane sempre decisoria, e nell’ambito della quale è possibile acquisire anche tutti gli atti di assenso necessari all’esercizio o al rilascio del titolo autorizzatorio.

Ricapitolando, il primo aspetto affrontato è stato l’obiettivo del legislatore di eliminare dalla disciplina generale della conferenza di servizi le disposizioni di settore, a cui è sopravvissuta solo la codificazione della nuova valutazione di impatto ambientale in ambito regionale.

La seconda area in cui, invece, il legislatore ha inteso intervenire è stata quella delle disposizioni di settore nell’ambito delle quali, invece, è prevista la conferenza di servizi. Questo è stato un lavoro particolarmente intenso ed estremamente delicato, innanzitutto in termini di esaustività, perché esistono numerosissime disposizioni nell’ambito delle quali è richiamata la conferenza di servizi. Quindi, il legislatore si è posto l’obiettivo di trovare un modo per garantire piena effettività al nuovo modello generale. A tal fine, era necessario scegliere una serie di disposizioni di settore in cui testare il nuovo modello generale, previsto dagli articoli da 14 a 14- quinquies della legge n. 241 del 1990, ed eventualmente eliminare quelle aporie o contraddizioni, esistenti nell’ambito delle discipline di settore, che potevano alterare o non garantire la piena effettività del nuovo modello generale. Questo è, dunque, l’obiettivo che ha mosso il legislatore nella scrittura degli articoli che vanno dal 2 al 6 del d.lgs. n. 127 del 2016. La scelta delle materie su cui intervenire è stata dettata da un criterio di impatto rispetto ai cittadini e alle imprese: sono stati scelti quei settori che, per frequenza o numerosità, interessano maggiormente proprio i cittadini e le amministrazioni. Quindi, in particolar modo, le modifiche hanno riguardato i settori dell’edilizia, dell’ambiente, dello sportello unico delle attività produttive (SUAP), e dell’autorizzazione paesaggistica. Con riferimento alle scelte fatte dal legislatore sulle discipline di settore, il punto di partenza da cui il legislatore si è mosso è stato quello di capire in che modo le dette discipline di settore fossero collegate

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alla disciplina generale, o meglio, in che modo avvenisse il rinvio dalla disciplina di settore a quella generale. Esistono infatti diverse modalità di rinvio alla disciplina generale. Esiste una modalità di rinvio esplicito a tutti, o solo ad alcuni, degli articoli dal 14 al 14-quinquies della legge generale sul procedimento amministrativo, oppure esiste un rinvio implicito: alcune disposizioni di settore, pur richiamando l’istituto della conferenza di servizi, non fanno esplicito riferimento alla normativa generale. D’altro canto, esistono anche delle forme di esclusione nella disciplina di settore, ciò avviene quando il legislatore è chiaro nell’affermare che non si applica, in quel caso specifico di conferenza, la disciplina riportata dai suddetti articoli 14 e seguenti.

In particolar modo, ciò era previsto dal vecchio articolo 165 del codice degli appalti, che faceva riferimento alla procedura prevista nell’ambito delle infrastrutture strategiche. In questa codificazione il legislatore prevedeva l’esclusione dell’applicabilità degli articoli 14 e seguenti per la conferenza di servizi indetta nell’ambito di quel procedimento. Esiste, poi, anche un’esclusione implicita: il legislatore interviene direttamente codificando, nell’ambito della disciplina specifica, alcuni aspetti della conferenza di servizi derogatori rispetto alla disciplina generale. Le modalità con cui le disposizioni di settore facevano rinvio, e fanno rinvio, alle disposizioni generali hanno fornito le informazioni necessarie per scegliere la modalità con cui intervenire. Ed, in particolar modo, per le norme che contenevano un rinvio espresso alle disposizioni generali, il legislatore ha introdotto, quella che viene definita, clausola generale di coordinamento. Infatti, l’articolo 8 del d.lgs. n. 127 del 2016180 espressamente prevede che i rinvii operati dalle disposizioni degli articoli 14 e seguenti si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni come modificate dal decreto. In altri termini, ciò significa che, poiché il legislatore non poteva, anche solo per esaustività o rischio di incompletezza, intervenire puntualmente su tutte le disposizioni di settore che prevedevano un rinvio ai vecchi articoli 14 e seguenti, adotta tale clausola al fine di colmare la difformità tra le norme a cui si rinviava e

180 D. lgs. n 127 del 2016, Art. 8 “Clausola generale di coordinamento”: 1. I rinvii operati dalle disposizioni vigenti agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni di cui agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificati dal presente decreto.

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le nuove norme introdotte agli stessi articoli 14 e seguenti. Dunque, tale clausola fa sì che, nella lettura di questo rinvio, si debba fare riferimento alle disposizioni così come attualmente previste. Dunque, garantisce gli aspetti in cui le discipline di settore facciano un rinvio espresso alla conferenza di servizi. Ciononostante, proprio perché, come si è detto, non c’è perfetta corrispondenza, a volte la clausola generale di coordinamento può non bastare per garantire la piena effettività della nuova disciplina generale della conferenza. Laddove non ci sia questa coincidenza, il legislatore si è preoccupato di fare degli interventi puntuali. Tali interventi riguardano, appunto, i settori dell’edilizia, delle attività produttive, dell’autorizzazione paesaggistica e dell’ambiente.

Nella presente trattazione si prenderanno in esame gli interventi più significativi disposti dagli articoli da 2 a 6 del decreto n. 127 del 2016.

Il primo intervento puntuale del legislatore, che vale la pena di menzionare, è quello in materia edilizia. Le modifiche introdotte dal decreto hanno interessato in particolar modo, per quanto riguarda questa materia, l’articolo 20 del d.p.r. n. 380 del 2001, anche detto testo unico dell’edilizia.

A prescindere dalle modifiche puntuali di rimozione o di riscrittura di alcune parti dell’articolo in questione, gli interventi del legislatore hanno avuto la finalità di introdurre la nuova conferenza di servizi come regola generale. In particolar modo, viene meno la previgente facoltatività della conferenza di servizi. Infatti, in base al nuovo modello generale, la conferenza di servizi non è più “facoltativa” ma diventa obbligatoria in tutti i casi; ciò che viene meno è il tentativo di accordo con le amministrazioni interessate al rilascio dell’autorizzazione finale. Non è più necessario attendere trenta giorni, come era previsto nel previgente testo normativo, perché immediatamente, in tutti i casi in cui è necessario ricevere più atti di assenso da parte di amministrazioni diverse, la modalità ordinaria attraverso cui l’amministrazione opera è quella della conferenza di servizi. Per garantire piena effettività a questa obbligatorietà, quindi, il legislatore ha deciso di rimuovere espressamente nell’ambito del settore edilizio la previgente facoltatività. Infatti, secondo la previgente disciplina dell’articolo 20, la conferenza di servizi poteva essere indetta solo se, entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza da parte del privato, le amministrazioni tenute al

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rilascio di tutti gli atti di assenso non si erano espresse oppure si erano espresse con un dissenso non fondato sull’assoluta incompatibilità dell’intervento. Quindi, secondo la regola generale, il d.p.r n. 380 costruiva il procedimento per il rilascio del titolo edilizio secondo una tipica logica di sequenzialità, ovvero affidava in mano al responsabile del procedimento l’onere, e l’obbligo, di recuperare tutti gli atti di assenso necessari per il rilascio dell’atto autorizzatorio.

La stessa disciplina, inoltre, interpretava l’inezia dell’amministrazione in un modo completamente diverso da quello che viene oggi introdotto nel modello generale. Infatti, l’articolo 20 del d.p.r. 380 disponeva che l’inerzia dell’autorizzazione costituiva una condizione per indire la conferenza, invece, il modello generale dispone che il silenzio dell’amministrazione è equiparato ad un atto di assenso espresso. La disomogeneità di queste due disposizioni ha fatto si che il legislatore intervenisse puntualmente per armonizzare la conferenza di servizi indetta all’interno di questo procedimento con il modello generale. Però, contrariamente a quanto auspicato dal Consiglio di Stato, il legislatore sembra aver ritenuto sempre indispensabile la conferenza di servizi, non distinguendo le ipotesi in cui si potrebbe fare applicazione dell’articolo 17-bis.

In sintesi, dunque, il legislatore è intervenuto in particolar modo su questi aspetti: l’obbligatorietà della conferenza di servizi e il silenzio-assenso.

Un’altra disciplina in cui si è reso necessario l’intervento puntuale del legislatore è stata quella dello sportello unico delle attività produttive. Settore rilevantissimo nell’ambito dei procedimenti svolti a riguardo, appunto, delle attività produttive. Anche qui l’obiettivo principale era quello di rendere obbligatoria l’indizione della conferenza di servizi. Obbligatorietà che non era, invece, prevista nella previgente normativa. Viene abrogata la previsione della facoltatività dell’indizione della conferenza ed, in particolar modo, viene abrogato il riferimento secondo cui la conferenza di servizi poteva essere indetta solo laddove fosse necessario acquisire atti, comunque denominati, che avessero una durata superiore ai novanta giorni. L’abrogazione di questa frase ha reso obbligatoria la conferenza di servizi in tutti i casi in cui è necessario acquisire atti di assenso, a prescindere dal tempo richiesto per acquisirli. Questa modifica puntuale, in realtà, ha comportato una riscrittura del procedimento unico contenuto nel d.p.r. n. 160

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del 2010 all’articolo 7, che contiene il procedimento fondamentale a cui i SUAP fanno riferimento nell’attività da loro svolta. Le modifiche appena esposte hanno fatto si che il procedimento ordinario sia diventato quello enunciato al comma 3 dell’articolo 7: quando è necessario acquisire assensi di diverse amministrazioni pubbliche il responsabile del SUAP indice sempre una conferenza di servizi. Il procedimento parzialmente diverso, nei termini e nelle modalità, previsto dai commi 1 e 2 viene, dunque, limitato ai casi in cui il SUAP debba richiedere atti di assenso esclusivamente agli uffici del Comune, quindi ad uffici appartenenti alla stessa amministrazione del SUAP. Laddove il SUAP operi con gli uffici all’interno del Comune quello che sarà applicato è il procedimento unico previsto dai commi 1 e 2 dell’articolo 7 in tutti gli altri casi il procedimento da seguire è quello del comma 3 dello stesso articolo, cioè l’indizione della conferenza di servizi. Questo è particolarmente importante chiarirlo perché sono stati sollevati, nell’ambito dell’help desk istituito presso il dipartimento della funzione pubblica, già all’indomani dell’entrata in vigore della disciplina della conferenza di servizi, numerosissimi quesiti legati a quest’aspetto: come dover leggere i nuovi commi 1, 2, 3 dell’articolo 7, come modificati dal d. lgs. n. 127 del 2016, relativi al procedimento unico.

Da ultimo, rilevante è stato l’intervento puntuale del legislatore in materia di autorizzazione paesaggistica. L’intervento del legislatore sul’articolo 6 del decreto n. 127 è stato minimo, ma ha comportato, tuttavia, modifiche di rilievo, come è avvenuto anche in materia di SUAP.

Come è noto, l’autorizzazione paesaggistica è disciplinata dal codice dei beni culturali, il quale prevede un procedimento, spesso definito a doppio livello o a doppia chiave, che vede il coinvolgimento simultaneo di due amministrazioni. In particolar modo, da un lato, l’amministrazione coinvolta a livello locale è il Comune o la Regione, dall’altro, abbiamo il coinvolgimento del Ministero dei Beni Culturali e della Sovrintendenza. Il procedimento si svolge in una modalità per cui, per il rilascio del parere di autorizzazione paesaggistica, di solito il Comune, delegato dalla Regione, svolge una attività istruttoria al termine della quale prepara uno schema di provvedimento che poi fa avere alla Sovrintendenza a cui spetta la competenza per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

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L’intervento di questa doppia chiave fa sì che il legislatore preveda un procedimento sequenziale: prima c’è il coinvolgimento del Comune e successivamente quello della Sovrintendenza. Il problema, dunque, è come coordinare questa consequenzialità con la contestualità garantita dalla conferenza di servizi. L’intervento minimo effettuato con l’articolo 6 dal decreto legislativo, di fatto, lascia aperte due diverse possibilità. Da un lato, garantire che si riproduca il procedimento nell’ambito della conferenza di servizi, indetta per raccogliere tutti gli atti di assenso, tra cui anche l’autorizzazione paesaggistica, che dura novanta giorni: il responsabile dovrà chiedere separatamente al Comune di rilasciare il proprio parere e di farlo nei tempi necessari affinché, poi, la Sovraintendenza possa rilasciare effettivamente il parere. Tale modalità fa salva l’idea di sequenzialità prevista dall’articolo 146 del codice dei beni culturali, ma, sicuramente, in qualche modo sacrifica l’idea, che sta dietro alla riforma generale della conferenza di servizi, di fare di questo istituto la modalità ordinaria attraverso cui le amministrazioni devono assumere le proprie decisioni. Per far salvo questo obiettivo fondamentale si potrebbe optare per la seconda possibilità lasciata aperta dalla riforma: far sì che, da un lato l’amministrazione comunale, dall’altro la Sovraintendenza svolgano la propria istruttoria e rilascino ciascuna il proprio parere all’interno della conferenza di servizi.

Questa è una scelta che non è stata fatta dal legislatore con il d. lgs. n.127 del 2016 sia perché esulava dall’ambito dei poteri di delega sia perché questa è una scelta che coinvolge, e che deve essere fatta, dal Ministero competente.

Si dedicano, infine, poche parole ad un tema che rimane aperto: il legislatore ha scelto solo alcuni settori a cui dedicarsi puntualmente, lasciando fuori numerose disposizioni che rinviano alla conferenza di servizi, in molti casi prevedendo disposizioni specifiche. Ovviamente, parliamo di casi in cui non è presente un rinvio espresso agli articoli 14 e seguenti per cui vale la clausola generale di coordinamento, ma parliamo di tutta una serie di casi in cui il legislatore nelle discipline di settore prevede appositi aspetti della conferenza di servizi in modo differenziato rispetto alla disciplina generale. Che cosa accade, dunque, di queste discipline specifiche? Vale il criterio della lex posterior, ovvero si applicano le disposizioni della nuova disciplina generale contenute nei nuovi articoli 14

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seguenti, oppure vale il criterio della lex specialis, quindi a prescindere dal fatto che sia intervenuta una legge successiva generale nel tempo si applica la norma speciale?

In questo caso, ovviamente, non c’è una risposta univoca. Qui si possono solo fornire le indicazioni date dal Dipartimento della Funzione Pubblica nella pagina dedicata alla conferenza di servizi. Il Dipartimento consiglia di seguire il criterio della specialità con una stretta interpretazione. Il criterio della specialità, secondo quanto suggerito, dovrebbe operare solo laddove la delega sia effettivamente giustificata da una autonomia ed una peculiarità della fattispecie tale da risultare totalmente incompatibile con la nuova normativa sopravvenuta. Quindi, la direttiva che da il Dipartimento della Funzione Pubblica è quella di verificare, nei casi concreti, se effettivamente la disciplina speciale sia tale da giustificare il mantenimento del criterio della specialità oppure no.

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CONCLUSIONI

La Riforma Madia, a differenza delle modifiche intervenute in precedenza, ha avuto il merito di non aver affaticato e appesantito la disciplina della conferenza di servizi, ma di averla riformulata integralmente. Ha, quindi, evitato il paradosso di ricercare la semplificazione amministrativa attraverso la complicazione della normativa. Infatti, il legislatore è intervenuto sulla disciplina ripulendone il testo e integrandolo con mirate novità, finalizzate a rimediare agli errori del passato. È da apprezzare, dunque, l’approccio usato dal Legislatore delegato, il quale ha innovato la disciplina dell’istituto sulla scorta dell’analisi dell’applicazione che lo stesso ha sinora avuto, operata sia dagli uffici studi delle associazioni di categoria, sia dalla dottrina, sia dallo stesso Dipartimento della funzione pubblica, nell’ambito delle attività dell’Agenda per la semplificazione 2015-2017.

Innanzitutto, l’elemento più significativo introdotto dalla riforma è stato il recupero dell’obbligatorietà della presenza dei rappresentanti delle