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LA NATURA GIURIDICA DELLA CONFERENZA DI SERVIZI.

Circa la natura giuridica della conferenza di servizi la giurisprudenza sottolinea il carattere di “modello procedimentale di cui una delle funzioni principali è quello di coordinamento ed organizzazione di fini pubblici [che] risponde al canone costituzionale del buon andamento dell’amministrazione pubblica, attribuendo dignità di criteri normativi ai concetti di economicità, semplicità, celerità ed efficacia43 della sua attività”44.

In seguito anche la dottrina è approdata alla stessa soluzione: “la conferenza di servizi non è un organo collegiale, non è anzi nemmeno un organo, non ha rilievo sul piano organizzativo, non ha sostanza di ufficio; è uno strumento procedimentale ed operativo, consiste nella riunione in un solo luogo o sede di discussione di uffici diversi o di diverse amministrazioni, senza modificazione di competenze e, in particolare, senza un trasferimento di competenze (o di poteri) dai singoli partecipanti alla riunione (ovvero dagli uffici che essi rappresentano) ad una (inesistente) struttura collegiale. La conferenza consente valutazioni

all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e del parere del Consiglio di Stato, che sono resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere. Lo schema di decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni competenti, che si pronunciano nel termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo può essere comunque adottato. Se il termine previsto per il parere cade nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto al comma 1 o successivamente, la scadenza medesima è prorogata di novanta giorni. 3. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo può adottare, nel rispetto della procedura e dei princìpi e criteri direttivi di cui al presente articolo, un decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive.

43 V.CERULLI IRELLI-F.LUCIANI, La semplificazione dell'azione amministrativa, in Dir. amm., n. 3-4/2000, p. 617 dove si afferma che “ La stessa legittimità amministrativa, tradizionalmente retta sui due precetti della conformità alla legge e della ragionevolezza dell'agire, finisce per acquisire come termine di riferimento, anche quello della conformità dell'azione ai valori e ai precetti dell'efficacia; in altri termini, l'esigenza di produrre risultati in asse con gli obiettivi individuati, diventa ulteriore e più ricca articolazione del principio di ragionevolezza”.

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dialettiche comuni ma non da luogo a provvedimenti unitari, come tali imputabili ad un solo organo a struttura composita”45

. Ma il dibattito su questa questione ha interessato, fin dalla nascita dell’istituto, sia la dottrina che la giurisprudenza e si è concretizzato nella formulazione di tre teorie differenti: quella dell’accordo, quella dell’organo collegiale, quella del modulo procedimentale. Tale confronto è stato alimentato costantemente dalle continue riscritture e modifiche della normativa in questione che alimentavano, di volta in volta, l’una o l’altra tesi. Inizialmente superata la prima delle tre ipotesi gli studiosi si sono continuati a dividere tra chi riteneva la conferenza un organo collegiale autonomo e chi invece riteneva questo un nuovo modo di concepire il procedimento amministrativo, che non era necessario ricondurre in nessuna categoria giuridica o schema concettuale. Occorre evidenziare, prima di addentrarci nella ricostruzione degli aspetti più salienti del dibattito intercorso, che questo ha avuto riscontri più teorici che pratici, tesi, in definitiva, a dare un fondamento dogmatico alle varie modifiche della normativa della conferenza di servizi nella legge 241/1990.

Delle tre ricostruzioni teoriche sopra menzionate, verso la metà degli anni novanta, si impone l’impostazione che indicava la conferenza in termini di strumento tipizzato per la conclusione di un accordo tra amministrazioni ad accogliere il più ampio riscontro in dottrina. Essa, fondandosi principalmente sul tenore letterale dell’originario articolo 14 e, in particolare, sul riferimento esplicito alla previsione di “determinazioni concordate” tra tutte le amministrazioni partecipanti, interpretava la determinazione finale della conferenza decisoria quale approvazione collettiva dell’iniziativa che ne costituiva l’oggetto, cioè quale accordo amministrativo inserito in un rapporto di specie a genere con la fattispecie regolata dall’art. 15, l. 241/1990. Tale tesi faceva leva principalmente sulla formulazione dell’articolo 15, ai sensi del quale “anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune” perciò, se ciò è possibile anche fuori dalle ipotesi dell’articolo 14, a maggior ragione lo è in tali ipotesi. Di

45 F. G. SCOCA, Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Diritto Amministrativo n. 2/1999, p. 260-261.

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conseguenza, le determinazioni conclusive della conferenza sarebbero venute in rilievo quali “accordi sostitutivi di atti procedimentali”, ovvero “accordi endoprocedimentali46 tra amministrazioni sostitutivi di atti del procedimento”, distinti, come tali, dagli accordi endoprovvedimentali, ovverosia dagli accordi stipulati dalle amministrazioni ai sensi dell’articolo 15 ed esulanti da un procedimento tipizzato proprio perché non riconducibili a quelli conclusivi di una conferenza di servizi. Tuttavia questo dato testuale, ad una più attenta analisi, non conduceva inequivocabilmente a riconoscere alla determinazione conclusiva della conferenza la natura di accordo. Infatti l’articolo 15 va inteso nel senso che la conferenza può sì rappresentare uno strumento per la stipula di accordi, ma ciò non avviene né automaticamente né necessariamente ed inoltre, se il legislatore avesse voluto stabilire che la conferenza di servizi doveva giungere sempre ad un accordo avrebbe utilizzato tale termine, come è avvenuto per gli articoli 11 e 15 della legge 241/90, senza usare la inconsueta e vaga locuzione “determinazioni concordate”. Inoltre, autorevole dottrina aggiunge che “un secondo argomento può essere tratto dalla disciplina dell’assenza, della partecipazione irregolare e del dissenso: viene resa possibile ‘la determinazione di conclusione positiva del procedimento’, anche in assenza ed anche contro la decisione di una o più delle amministrazioni partecipanti alla conferenza. Si tratta di una disciplina che stride violentemente con il modo di formazione di un accordo; ed infatti anche da parte di chi ritiene che le determinazioni concordate siano un accordo si nega che, in caso di assenza o di dissenso, si possa parlare di accordo”47

. Oggi questa impostazione appare del tutto superata, infatti le modifiche intervenute hanno eliminato sia la locuzione normativa sopra riportata, sia il principio dell’unanimità della decisione che stava alla base delle “determinazioni concordate”.

Tramontata dunque l’ipotesi dell’accordo, si sono venute a scontrare altre due posizioni, tra loro opposte, poiché ancorate a due presupposti differenti del concetto di coordinamento: quale potere o relazione organizzativa ovvero quale risultato dell’azione coordinata di più uffici o più strutture organizzative.

46 Cons. St, sez. VI, 31 gennaio 2011, n. 712 in Foro amm. CDS 2011, 1, P.275; Cons. St., 18 aprile 2011, n. 2378 in Foro amm. CDS 2011, 4, p. 1306 (s.m); Cons. St., Sez. VI, 6 maggio 2013, n. 2417 in Foro amm. CDS 2013, 5, p.1364

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La tesi organicista inquadrava la conferenza di servizi quale collegio dotato di una forma peculiare ovvero le attribuiva rilievo di organo, con la conseguenza dell’imputabilità dei suoi atti ad un’entità autonoma, distinta dalle amministrazioni partecipanti. Tutti i profili di disciplina dell’istituto sarebbero quindi dovuti essere regolati dai principi generali propri degli organi collegiali, senza che dovesse assumere particolare rilievo la funzione di coordinamento che la conferenza svolge tra i soggetti partecipanti: da ciò sarebbero derivate sia l’imputabilità dell’atto finale alla conferenza stessa sia la sua legittimazione processuale passiva. Un appiglio normativo a questa tesi fu trovato nella novella di cui alla legge n. 340 del 200048, che prevedeva la possibilità per l’amministrazione procedente di emanare la determinazione conclusiva positiva del procedimento anche in presenza di dissensi, purché in virtù della maggioranza delle posizioni espresse. In tal modo, nell’intento di semplificare e velocizzare la conferenza, questa si sarebbe trasformata in un organo straordinario collegiale idoneo ad incidere, mutandolo, sull’ordine delle competenze49

. Tuttavia, anche in questo caso, le numerose modifiche alla normativa, in particolare quella intervenuta con la legge n. 15 del 2005, che ha previsto l’espresso superamento del principio maggioritario a favore del più flessibile criterio della prevalenza, hanno relegato tale impostazione in una posizione di sempre minor rilevanza in quanto il nuovo principio di prevalenza mal si accorda con il funzionamento di un organo collegiale. Possiamo inoltre ritenere tale tesi non condivisibile per altre

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Si veda, in particolare, T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 20 ottobre 2004, n. 14904 (in Foro

amm. TAR 2004, 3055), ove è stato affermato che «dopo l’entrata in vigore della legge n.

340/2000, che ha adottato il principio maggioritario come regola generale di azione della conferenza di servizi (art.14-quater l. n. 241/90), appare più corretto ritenere che non si è più in presenza di un mero modulo procedimentale bensì di un vero e proprio organo collegiale, con conseguente applicabilità delle regole e dei principi concernenti il funzionamento di tali organi. Difatti, la possibilità di fare a meno dell’assenso delle amministrazioni coinvolte, assenso invero necessario se si procedesse per le vie ordinarie, abbinato al carattere ormai obbligatorio della conferenza di servizi, attribuisce a quest’ultima una significativa capacità di mutare l’ordine delle competenze; appare evidente che è venuto in tal modo a costituirsi un organo collegiale straordinario dell’Amministrazione. Non si tratta però di un collegio perfetto, sicché non è necessaria la partecipazione di tutti i suoi membri alla decisione collegiale. Infatti, i collegi perfetti rispondono al fine di rendere più ponderata l’azione amministrativa; si tratta di organi deputati al perseguimento dell’interesse pubblico “oggettivo” del buon funzionamento della Pubblica Amministrazione, con la conseguenza che tutti i membri dell’organo collegiale sono portatori di un unico interesse. Si comprende, pertanto, perché tali organi non possano legittimamente operare senza il plenum dei loro componenti»

49 G. SORICELLI, Profili problematici e ricostruttivi della natura giuridica della Conferenza di

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due ragioni: la prima è che l’istituto della conferenza di servizi è stato più volte previsto dal legislatore come sostituto di organi collegiali soppressi, come riportato da attenta dottrina “il dato letterale normativo (art. 1, comma 28, lett. b, legge n. 537/1993, di accompagnamento alla legge finanziaria per il 1994) esclude la natura di organo collegiale della conferenza, in quanto ivi si prevede, con regolamento da emanarsi entro novanta giorni ai sensi dell’art. 17, comma 2, legge n. 400/1988, la sostituzione degli organi collegiali dello Stato con l’istituto della conferenza di servizi, nell’ambito del riordino generale delle strutture statali. Infatti, la conferenza di servizi è stata indicata, negli articoli 2 legge n. 537/1993 e 3 d.P.R. 9 maggio 1994 n. 608 (Regolamento di esecuzione recante norme sul riordino degli organi collegiali dello Stato), come istituto sostitutivo di collegi soppressi. L’intento del legislatore di sostituire gli organi collegiali con conferenze di servizi è stato ribadito nell’art. 20, comma 5, lett. f legge n. 59/1997 (c.d. legge Bassanini)”50

. La seconda è che non era stato possibile inquadrare la conferenza in nessuna della categorie di organi elaborate dalla dottrina: “la irriducibilità della conferenza di servizi nell’alveo degli istituti aventi rilevanza (di struttura) organizzativa è già contenuta, a ben vedere, nelle raffinate conclusioni da tempo affinate in dottrina intorno al concetto di organo e alle sue classificazioni.

Al di là della distinzione tra organi interni e organi esterni (…) è utile ricordare che, accanto alla classificazione funzionale (attinente, cioè, al contenuto dei poteri assegnati) tra organi procedimentali, deliberativi ed esecutivi ovvero tra organi attivi (ossia procedimentali, deliberativi ed esecutivi, insieme considerati), consultivi e di controllo, rilevanti, ai fini della presente indagine, sono le distinzioni, tra loro parzialmente interferenti, tra organi permanenti e temporanei, ovvero tra organi ordinari e straordinari, basate, rispettivamente sul carattere della stabilità e della durata, e sulla rispondenza o meno al quadro organizzativo ordinario della figura soggettiva presa in considerazione”; orbene, “la figura della conferenza di servizi non si inserisce in alcuna delle accennate tipologie di organi. Non può essere considerata, infatti, un organo permanente, attesa la mancanza in essa del carattere della stabilità, né tantomeno un organo temporaneo, dato che

50 M. TALANI, La conferenza di servizi. Nuovi orientamenti giurisprudenziali, Giuffrè, Milano, 2008, p. 85.

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le funzioni in essa esercitate mancano del carattere della temporaneità. Non appare corretto nemmeno ricondurre la conferenza tra gli organi straordinari atteso che, di regola, la convocazione della stessa costituisce un momento fisiologico dell’attività delle amministrazioni convocate e non, invece, un modo per supplire a situazioni di scarsa funzionalità delle amministrazioni medesime”. In definitiva, quindi, “il superamento dell’ipotesi ricostruttiva che vede nella conferenza di servizi una forma (particolare) di organo collegiale appare coerente, pertanto, anche con la sistemazione delle caratteristiche peculiari degli organi collegiali elaborata e da tempo consolidata nella tradizione disciplinare giuspubblicistica”51

.

Dunque, ad oggi, il modello generalmente accolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza è quello del modulo procedimentale; se però la dottrina è giunta solo dopo un faticoso percorso alla pressoché pacifica qualificazione dell’istituto quale nuovo modo di svolgere il procedimento, la giurisprudenza amministrativa si è invece distinta, con eccezioni rare ed invero piuttosto sporadiche, per aver da subito inquadrato correttamente la questione. Infatti, l’affermazione che è più frequentemente possibile pervenire nelle pronunce del giudice di legittimità è che la conferenza rappresenta “un modulo procedimentale e non già un ufficio speciale della pubblica amministrazione, autonomo rispetto ai soggetti che vi prendono parte”52. Infine, anche la Corte Costituzionale nel 2012 è approdata alla determinazione di considerare la Conferenza di servizi come un modulo procedimentale53.

In conclusione possiamo affermare che la conferenza di servizi non è uno strumento tipizzato per la conclusione di un accordo tra amministrazioni; non è, soprattutto, un organo di tipo collegiale, dotato di una propria autonomia giuridica da tenersi distinta rispetto ai singoli soggetti partecipanti, ma è sicuramente un

51 D. D’ORSOGNA, Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, in SCOCA F. G. (a cura di), Nuovi problemi di amministrazione pubblica, Giappichelli, Torino, 2002, pp. 112 – 115.

52 Si possono segnalare tra le tante: Cons. St., sez. IV, 13 luglio 1998, n. 1088; Cons. St., sez. V, 15 aprile 1999, n. 139; Cons. St., sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169; Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2002, n. 491; Cons. St., sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5295; Cons. St., sez. V, 9 dicembre 2003, n. 8080; Cons. St., sez V, 2 maggio 2012, n. 2488.

53 Sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 2012: “La conferenza di servizi costituisce, pertanto, come riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, un modulo procedimentale- organizzativo suscettibile di produrre un’accelerazione dei tempi procedurali e, nel contempo, un esame congiunto degli interessi pubblici coinvolti”.

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mero “modulo procedimentale” e, come tale, è oggi pacificamente riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

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CAPITOLO II

LA “ NUOVA” CONFERENZA DI SERVIZI: LA DISCIPLINA