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DECISIONE DELLA CONFERENZA DI SERVIZI E RIMEDI PER LE AMMINISTRAZIONI DISSENZIENT

LA “ NUOVA” CONFERENZA DI SERVIZI: LA DISCIPLINA NELLA LEGGE N 241 DEL 1990, COME MODIFICATA DAL

2.7 DECISIONE DELLA CONFERENZA DI SERVIZI E RIMEDI PER LE AMMINISTRAZIONI DISSENZIENT

Per completare l’esame della disciplina della conferenza di servizi si devono ora esaminare gli ultimi due articoli al riguardo. L’articolo 14-quater, che detta la disciplina che regola la decisione della conferenza di servizi, e l’articolo 14-

quinquies che è, invece, rubricato “Rimedi per le amministrazioni dissenzienti”.

Esaminato il procedimento relativo alle due modalità di svolgimento della conferenza di servizi, si esamina ora, seguendo l’ordine delle disposizioni introdotte dal decreto in esame, l’articolo 14-quater relativo alla decisione della conferenza di servizi.

Al primo comma si legge che “la determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall'amministrazione procedente all'esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati”. In caso di approvazione unanime la determinazione conclusiva è immediatamente efficace. In caso di approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l’efficacia della determinazione è sospesa ove siano stati espressi dissensi qualificati ai sensi del successivo articolo 14-quinquies e per il periodo utile all’esperimento dei rimedi ivi previsti.

La dottrina ha già avuto modo di argomentare sulle difficoltà e sulle incertezze connesse al criterio della "prevalenza", ma esso è stato definito nella legge delega e il legislatore delegato vi si è adeguato. Le posizioni prevalenti sono quelle che hanno un peso specifico superiore alle altre per l’importanza degli interessi tutelati in relazione al caso concreto e al risultato collegato del procedimento in esame. Il peso delle posizioni prevalenti deve essere valutato sulla base di un approccio qualitativo e sostanziale e non numerico e quantitativo. Anche il Consiglio di Stato ha dichiarato che: “l’amministrazione procedente, chiamata ad adottare il provvedimento finale, deve tener conto delle posizioni prevalenti espresse in seno alla conferenza, ma non essendo in presenza di un organo collegiale, bensì di un modulo procedimentale, ciò non significa che deve attuare la volontà della maggioranza delle amministrazioni, quanto piuttosto che deve usare un potere discrezionale bilanciando le ragioni manifestate in seno alla

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conferenza, verificando in che termini si delinei la prevalenza del soddisfacimento degli interessi in gioco. Pertanto il ruolo assunto dall’amministrazione procedente non è meramente notarile, ma di sintesi delle ragioni emerse, dovendone ponderare l’effettiva rilevanza al fine di esprimere un giudizio di prevalenza”109

. Le amministrazioni i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza possono sollecitare, con congrua motivazione, l’amministrazione procedente ad assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi dell’articolo 21-nonies, previa indizione di una nuova conferenza. Le stesse amministrazioni possono sollecitare l’amministrazione procedente ad assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi dell’articolo 21-quinquies, purché abbiano partecipato alla conferenza di servizi, anche per il termine del rappresentante unico, o si siano espresse nei termini.

In sintesi, il rimedio “in auotutela”, di carattere generale, è applicabile alla conferenza semplificata e simultanea, consente di sollecitare l’adozione del provvedimento di revoca alle sole amministrazioni che abbiano partecipato alla conferenza o si siano espresse nei termini. Mentre l’adozione del provvedimento di annullamento, deve essere sollecitato dalle amministrazione che abbiano rilevato motivi di illegittimità. In entrambi i casi la determinazione dell’amministrazione procedente deve essere assunta a seguito di un procedimento strutturato in modo simmetrico ha quello che ha condotto all’adozione del provvedimento da annullare o revocare110.

Giova ricordare che lo schema di decreto delegato limitava alle amministrazioni partecipanti, e che si erano espresse nei termini, non solo la possibilità di sollecitare la revoca della determinazione motivata di conclusione della conferenza, ma anche quella di sollecitare l’annullamento d’ufficio della stessa determinazione. Al riguardo il Consiglio di Stato, nel citato parere 890/2016 sullo

109 Consiglio di Stato, sent. 27 agosto 2014, n. 4374. 110

Parere del Consiglio di Stato n. 890 del 2016: “l’adozione del provvedimento di autotutela con cui si travolgono gli effetti della determinazione motivata di conclusione, in quanto contrarius

actus, deve pervenire all’esito di un procedimento in conferenza di servizi strutturato in modo

simmetrico rispetto a quello che ha condotto all’adozione del provvedimento annullato o revocato. E infatti, laddove si propendesse per la soluzione opposta (i.e.: nel senso che il potere di autotutela possa essere esercitato anche dalla sola amministrazione procedente) si consentirebbe ad uno solo dei soggetti coinvolti nella vicenda di comportarsi quale sostanziale dominus della conferenza e dei relativi effetti (e questo rischio sarebbe particolarmente evidente nel caso di revoca per le ipotesi di “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”)”.

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schema di decreto, ha affermato che se in caso di revoca, che presuppone una nuova e/o diversa valutazione dell’interesse pubblico, appare opportuno che all’amministrazione inerte sia preclusa una sorta di ripensamento, in caso di annullamento d’ufficio: “l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto illegittimo dovrebbe prevalere sul consolidamento delle posizioni giuridiche (naturalmente, nei limiti in cui l’annullamento d’ufficio è ordinariamente consentito ai sensi della nuova regola generale di cui al novellato articolo 21-nonies della legge 241 del 1990)”.

Il legislatore, tenendo conto delle osservazioni del massimo organo della giustizia amministrativa, ha previsto che l’annullamento d’ufficio possa essere sollecitato anche da amministrazioni non partecipanti o che si siano espresse fuori termine. Altra importante novità, rispetto allo schema di decreto delegato, riguarda la necessità che venga indetta una nuova conferenza di servizi, con ciò impedendo che l’amministrazione procedente agisca in posizione di preminenza rispetto alle altre amministrazioni coinvolte.

Al comma 4, dell’articolo 14-quater, infine, si riproduce quanto disposto dal vecchio articolo 14-ter, comma 8-bis, pertanto si prevede che i termini di efficacia di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati acquisiti nell’ambito della conferenza di servizi decorrono dalla data della comunicazione della determinazione motivata di conclusione della conferenza.

Riguardo alla qualificazione giuridica da riconoscere alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi va sottolineato che in dottrina si sono avvicendate diverse tesi. La più risalente, secondo cui la decisione conclusiva della conferenza costituiva una deliberazione collegiale, è stata superata dall’affermazione decisiva della conferenza quale modulo procedimentale. Infatti, chiarita la irriducibilità della figura della conferenza di servizi nello schema dell’organo collegiale, si era chiaramente palesata l’inaccoglibilità della tesi che considerava la decisione assunta in conferenza quale atto unitario, imputabile in quanto tale alla conferenza considerata quale organo separato e autonomo rispetto alle amministrazioni ad essa partecipanti. Una simile conclusione avrebbe supposto lo spostamento delle competenze in capo alla conferenza, vicenda questa

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che anche la Corte Costituzionale ha avuto modo, in più occasioni, di escludere ribadendo la conformità di questo istituto al dato costituzionale proprio in virtù del rispetto del policentrismo autonomistico che caratterizza il nostro ordinamento amministrativo.

Superata tale impostazione la dottrina si era mossa prevalentemente nella direzione di individuare nella determinazione conclusiva della conferenza di servizi un accordo, come tale imputabile a tutti, ed a ciascuno separatamente, i partecipanti alla conferenza.

In proposito, va evidenziato che la dottrina ha accostato con grande naturalezza, fino a confonderli, i due istituti della conferenza di servizi e dell’accordo di programma. La locuzione “determinazioni concordate”, utilizzata nel previgente articolato normativo, coniugata con la disposizione della legge generale sul procedimento amministrativo ai sensi della quale le amministrazioni possono concludere tra loro accordi “anche al di fuori dell’ipotesi prevista dall’articolo 14”, aveva spinto, dunque, la dottrina ad affermare, che la conferenza di servizi si configurava come fattispecie di accordo amministrativo.

Se è possibile rinvenire nella decisione finale della conferenza la sostanza oggettiva dell’accordo, in quanto la decisione concordata è frutto di punti di vista convergenti, non sembra tuttavia possibile assegnargli la veste giuridica dell’accordo per la mancanza del vincolo giuridico tra le parti che impedisca la modificazione unilaterale di quanto concordato.

Si è poi evidenziato che anche il dato testuale, a ben vedere, non conduce inequivocabilmente a riconoscere alla decisione finale della conferenza natura di accordo. Infatti, oltre alla considerazione che il disposto dell’articolo 15 della legge n. 241/1990 può essere inteso anche nel senso “che le conferenze possono essere uno strumento per concludere accordi ma che non portano né necessariamente né naturalmente alla conclusioni di accordi tra le amministrazioni partecipanti”, è stato evidenziato anche, quale ulteriore elemento contrario alla tesi dell’accordo, che se il legislatore avesse voluto stabilire che l’esito della conferenza di servizi consisteva in un accordo, “avrebbe utilizzato questo termine, avente significato tecnico, come lo ha usato negli articoli 11 e 15 della medesima

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legge sul procedimento ammnistrativo”111

.

Sulla base di tali rilievi critici la dottrina ha concluso che appare maggiormente conforma alla funzione della conferenza di servizi ritenere che le determinazione concordate non abbiano natura e valore di accordo.

La decisione conclusiva della conferenza, dunque, nella prospettiva che si ritiene di accogliere alla luce delle considerazioni appena esposte, altro non è che una determinazione rappresentativa di più decisioni convergenti nel contenuto, imputabili separatamente a ciascuna delle amministrazioni partecipanti. La determinazione conclusiva, in altre parole, consiste in un insieme composito di decisioni, esternate in modo contestuale, con quanto ne segue in termini di imputazione112, validità113, autotutela114 ed impugnazione115.

Veniamo ora ad affrontare il tema dei rimedi approntati dalla legge per le amministrazioni dissenzienti. A questo argomento va riservata una attenzione particolare in ragione del suo rilievo profondamente condizionante l’intera configurazione dell’istituto della conferenza di servizi. È qui, infatti, che l’istituto vede scolpita la sua natura di meccanismo flessibile di adeguamento della funzionalità dell’amministrazione, teso a realizzare un ragionevole equilibrio dinamico tra esigenze di semplificazione, ponderazione equilibrata ed attenta di tutti gli interessi coinvolti, coordinamento, tendenziale rispetto delle autonomie

111 F. G. SCOCA, Analisi giuridica della conferenza di servizi, cit., p. 278. 112

“Ciascuna determinazione rimane il frutto dell’esercizio (unilaterale) del potere attribuito a ciascuna delle amministrazioni partecipanti, e solo dell’esercizio di quel potere; e pertanto rimane esclusivamente ad essa imputabile” (ID., op. ult. cit., p. 279).

113 “Per quanto attiene alla validità, ove si escluda l’accordo, non risultano applicabili i principi del codice civile in materia di obbligazioni o contratti, richiamati espressamente dall’articolo 11 della legge sul procedimento amministrativo con riferimento agli accordi tra amministrazioni e privati, ma estensibili, secondo condivisibile opinione anche agli accordi tra amministrazioni, di cui all successivo articolo 15. Inoltre, se le determinazioni concordate restano tuttavia separate(anche se non autonome), è possibile tenerle separate anche sotto il il profilo della validità, nel senso che eventuali vizi attinenti (soltanto) ad una di esse non si ripercuotono sulla validità delle altre” (ID., op. ult. cit., p. 279)

114 “La revoca è sì possibile, ma deve avvenire attraverso una nuova comune e contestuale valutazione globale degli interessi, e, quindi, attraverso una nuova convocazione della conferenza di servizi. Per l’annullamento d’ufficio, data la necessaria presenza dei due presupposti della illegittimità della determinazione e dell’interesse pubblico attuale ad annullarla, è da ritenere che il primo presupposto sia valutabile separatamente da ciascuna amministrazione e che, invece, il secondo vada apprezzato collettivamente. Anche in questo caso sembra pertanto necessaria una nuova convocazione della conferenza” (ID., op. ult. cit., p. 280-281).

115 “Escludendo invece che esse consistano in un accordo amministrativo rimangono le generali regole sulla giurisdizione, riguardanti le singole determinazioni imputabili alle amministrazioni partecipanti alla conferenza (…)”(ID., op. ult. cit., p. 281).

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decisionali e locali, coinvolgimento di principio di responsabilità delle amministrazioni pubbliche116.

Per inquadrare correttamente il tema è necessario richiamare brevemente gli aspetti principali, nonché le lacune e i limiti, della previgente disciplina del dissenso.

È utile ricordare che la disciplina originaria della legge n. 241 del 1990 non contemplava alcun meccanismo di superamento del dissenso. Essa delineava un modello “puro” di conferenza, basato sul principio del consenso unanime, funzionale, quindi, solo alla valutazione contestuale e congiunta di più interessi pubblici: la presenza di uno o più dissensi, vigendo il principio di unanimità, conduceva automaticamente all’esito negativo della conferenza.

I meccanismi di superamento del dissenso sono stati introdotti successivamente, in sede di riforma, attraverso una serie di disposizioni aggiuntive che miravano ad un deciso favore per un esito positivo della conferenza. L’esito di tali modifiche è stato una disciplina contenente un meccanismo di superamento del dissenso, che faceva leva sulla sostituzione della determinazione dell’amministrazione dissenziente con un’altra determinazione, in via generale attribuita all’amministrazione procedente, salva una possibilità di intervento da parte della competente autorità di vertice, e in casi particolari, ossia in caso di dissenso espresso da amministrazioni preposte alla tutela di interessi ambientali, paesaggistico-territoriali, di tutela del patrimonio storico-artistico o di tutela della salute, attribuita al Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio del Ministri. Lo scopo precipuo della disciplina del dissenso era quello di evitare il potere di veto attraverso meccanismi che consentissero di superare non il dissenso in sé, bensì, eventualmente, e motivatamente le ragioni del dissenso, guardando alla sostanza degli interessi. Se i tratti e i meccanismi di superamento del dissenso, così configurato, potevano considerarsi da un lato coerenti con il principio di coordinamento e, dall’altro, pienamente funzionali rispetto allo scopo di superamento del potere di veto, essi risultavano, però, fragili sul piano concreto in considerazione di alcune lacune della norma stessa. Infatti, il legislatore, perseguendo lo scopo di superamento del potere di veto, incorre nell’eccesso

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opposto, finendo per conferire all’amministrazione “sostituta” un potere sostanziale non regolato da presupposti precisi.

La disciplina introdotta con la legge n. 340 del 2000 riesce a trovare un punto di equilibrio nell’affermazione del principio secondo cui il raggiungimento dell’obiettivo dell’esito positivo della conferenza, sebbene debba essere incoraggiato, non può essere soddisfatto ad ogni costo ed è, dunque, impedito nei casi in cui il dissenso si manifesti, sotto un profilo qualitativo e quantitativo, come oggettivamente insuperabile. Infatti, oltre al superamento del principio maggioritario, che viene sostituito dalla “maggioranza della posizioni espresse in conferenza”, si prevede che il dissenso non possa qualificarsi semplicemente come veto ma “a pena di inammissibilità” debba essere “manifestato in conferenza di servizi” e “congruamente motivato” non potendo, inoltre, riferirsi “a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima” e dovendo recare “le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso”. Deve dunque essere un dissenso propositivo, tale da farne una vera e propria “proposta di riforma alternativa” a quella che l’autorità procedente ha comunicato alle amministrazioni interessate nell’atto di convocazione.

Prendendo le mosse dai principi espressi in questa prima disciplina del trattamento dei dissensi e tralasciando, in questa sede, l’analisi delle modifiche successive, si giunge direttamente ad esaminare la disciplina oggi vigente, riportata nell’articolo 14- quinquies della legge generale sul procedimento amministrativo, rubricato “Rimedi per le amministrazioni dissenzienti”, così come riscritto dal D.lgs. 127/2016. Il nuovo meccanismo, che costituisce una delle maggiori novità del decreto, è stato giudicato idoneo ad apportare una effettiva semplificazione dei rimedi previsti per la soluzione dei conflitti qualora siano coinvolte amministrazioni c.d. qualificate, cioè preposte alla tutela ambientale, paesaggistico- territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini. Prima di esaminare nel dettaglio il disposto dell’articolo in questione è opportuno osservare che sarebbe stato consigliabile mantenere quanto prevedeva il vecchio articolo 14-quater, comma 1, sui requisiti del dissenso sopra enunciati (è inammissibile il dissenso che non sia congruamente motivato, si riferisca a questioni connesse che non costituiscono

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oggetto della conferenza e non contenga le indicazioni necessarie ad ottenere l’assenso). Sebbene emerga, dalla lettura degli articoli, la persistenza di tali requisiti , il legislatore ha perso ancora una volta l’occasione per indicare in modo chiaro e univoco quando il dissenso sia ammissibile e quando non lo sia. Il tema è particolarmente rilevante poiché una copiosa giurisprudenza si è pronunciata al riguardo, affermando a volte che anche il dissenso irrituale poteva ritenersi ammissibile117.

Passando all’esame dei rimedi ammessi contro il dissenso il primo comma dell’articolo 14- quinquies dispone che “Avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. Per le amministrazioni statali l'opposizione è proposta dal Ministro competente”.

Dubbi, per il profilo della compatibilità con gli artt. 95 e 97 Cost., pone la previsione che l’opposizione per le amministrazioni statali debba essere proposta dal Ministro competente118. Si rischia così di operare un filtro politico rispetto alla scelta stessa di far valere il dissenso, peraltro in materie connotate da alto tasso di discrezionalità tecnica. Vero è che la composizione del conflitto e, comunque, la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri, ma anticipare valutazioni politico- amministrative al momento della proposizione dell’opposizione, momento nel quale si fa valere la potenziale lesione dell’interesse sensibile causata dall’opera, impianto, attività oggetto di conferenza, può non essere compatibile con il principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo ed attribuzioni dirigenziali, sancito dall’art. 4 d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165, e con la

117 Per tutte T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-quater, 9 febbraio 2015, n. 2338; Cons. Stato, Sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1144.

118 M. CONTICELLI, Superare i dissensi espressi: la decisione “a prevalenza” e il meccanismo

di opposizione successiva, in BATTINI S. (a cura di), La nuova disciplina della conferenza di servizi, Nel diritto editore, Roma, 2016, p. 78, ritiene che, nel silenzio della norma, anche

l’opposizione delle Regioni e Province autonome, nelle materie di propria competenza, debba essere proposta dai rispettivi Presidenti.

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funzione costituzionale dei Ministri (art. 95 Cost.)119.

Peraltro, la circostanza che sia il Ministro a presentare l’opposizione per le amministrazioni statali, attenua la portata dell’osservazione formulata in dottrina, secondo cui l’opposizione si configurerebbe come “atto dovuto da parte dell’amministrazione dissenziente, anche ai fini di responsabilità individuali”120

. Se questo può valere per il dirigente dell’amministrazione non statale preposta alla cura di un interesse sensibile, non altrettanto può dirsi per il Ministro, le cui decisioni sono pur sempre esplicazione della funzione di indirizzo politico- amministrativo e, quindi, atti di alta amministrazione.

Al secondo comma, l’articolo 14-quinquies prevede, poi, la possibilità di proporre

opposizione per le amministrazioni delle regioni o delle province autonome di

Trento e di Bolzano, il cui rappresentante, intervenendo in una materia spettante alla rispettiva competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza.

Anche su questa parte della norma pende il dubbio dell’incostituzionalità. Il testo previgente, molto articolato, mostrava l’intento di adeguarsi ai rilievi formulati dalla Corte Costituzionale121 che aveva cassato l’ancora precedente disciplina. La Consulta aveva confermato che la disciplina statale, assunta per ragioni di sussidiarietà, in materie che toccano competenze delle Regioni, deve prevedere il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi regionali per l’esercizio in concreto della funzione amministrativa; deve trattarsi di intesa “in senso forte”, ossia di atto a struttura necessariamente bilaterale, come tale non superabile con decisione unilaterale di una delle parti122. La Corte ribadiva il principio posto da precedenti pronunce: “la previsione dell’intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma

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Cfr., in questo senso, L. DE LUCIA, La conferenza di servizi nel d.lgs. 30 giugno 2016 n.

127, cit., 27-28, che parla di “potenziale rottura del sistema”.

120 R. DIPACE, La resistenza degli interessi sensibili nella nuova disciplina della

conferenza di servizi, in federalismi.it, 10 agosto 2016, n. 16/2016, p. 14, Il quale argomenta:

“sarebbe veramente difficile da parte della pubblica amministrazione preposta alla tutela di interessi sensibili che ha dissentito in conferenza di servizi non proporre l’opposizione alla decisione con nuove e motivate valutazioni dell’interesse in questione che giustifichino la