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Traduzione e commento di alcuni articoli da «Scientific American» The Science of Education: Back to school

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Academic year: 2021

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I

INTRODUZIONE...III

CAPITOLO I

1. LINGUE SPECIALI E LIVELLI DI SPECIALIZZAZIONE...IV 

1.1 Definizioni delle lingue speciali...IV 

1.2 Caratteri generali delle lingue speciali ...VI 

1.3«Dimensione orizzontale» e «dimensione verticale»...VIII 1.4 I diversi livelli specialistici...IX 1.5 Il giornalismo scientifico...XI

1.5. 1 Cenni storici sul giornalismo scientifico...XI 1.5. 2 Il giornalismo di precisione...XII 1.5. 3 Il giornalista: colui che fa parlare i fatti ...XIV 1.5. 4 UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici) ...XV 1.6 «Scientific American» ...XV

CAPITOLO II

2. IL TESTO DIVULGATIVO DI ARGOMENTO SCIENTIFICO ...XVII 

2.1 Lingua e scienza ...XVII 

2.2 Visione dominante e canonica ...XVIII 

2.2. 1 La scienza e il pubblico ...XIX 

2.3 Il mediatore tra due mondi: il traduttore ...XXI 

2.4 Questioni traduttologiche...XXIII 

2.4 1 Divulgazione e traduzione ...XXV 2.5 Testi specialistici e testi divulgativi ...XXVI

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II CAPITOLO III

3. COMMENTO ALLA TRADUZIONE...XXX 3.1 Lettore presupposto ...XXXI 3.2 Metodi e procedure di traduzione ...XXXII 3.3 Registro ...XXXII 3.4 Sintassi e lessico ...XXXIII 3.5 Tempi verbali e modalità ...XXXIV 3.6 Analisi degli articoli tradotti ...XXXV

CONCLUSIONI... XLIV BIBLIOGRAFIA...XLV PROPOSTA DI TRADUZIONE...1

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III

INTRODUZIONE

Questo lavoro propone la traduzione di alcuni articoli tratti da «Scientific American» The Science of Education: Back to school.

Gli articoli scelti (dieci per la precisione) mi hanno colpito maggiormente a livello contenutistico e le tematiche trattate sono di diversa natura e vanno dai modi attraverso i quali i bambini apprendono, ai metodi e alle teorie sia dell’insegnamento che dell’apprendimento, dalle differenze di genere per il raggiungimento del successo scientifico ai talenti rari e alle modalità di preparazione dei bambini dotati.

La varietà testuale in questione è quella della divulgazione scientifica che verte su ambiti specialistici interdisciplinari quali la pedagogia, la psicologia cognitiva, le neuroscienze. Inoltre, dato che il lettore presupposto è il grande pubblico, la strategia globale per la traduzione risponde a criteri di trasparenza, accessibilità e accettabilità.

La prima parte del lavoro presenta appunto questioni definitorie; per la precisione il primo capitolo, infatti, è incentrato sulle lingue speciali, sulle varie definizioni a esse attribuite, sui caratteri pertinenti e generali e sui diversi livelli specialistici. È presente inoltre una parte dedicata ad alcuni tratti del giornalismo scientifico (ad esempio cenni storici emersi dalla ricerca) e alla rivista «Scientific American» da cui sono stati tratti gli articoli di questo libro.

Il secondo capitolo si basa sul testo divulgativo di argomento scientifico, sulla visione canonica dominante, propria delle istituzioni scientifiche e promossa da esse, su questioni traduttologiche e un intero paragrafo è dedicato alla differenza tra i testi specialistici e i testi divulgativi.

Il terzo capitolo presenta il commento alla traduzione, con lo scopo di far emergere quali elementi e quali aspetti problematici, rilevati nei capitoli precedenti, sono stati individuati nell’affrontare la traduzione.

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IV

Capitolo I

1. LINGUE SPECIALI E LIVELLI DI SPECIALIZZAZIONE

In questo capitolo si approfondirà il concetto di «linguaggio specialistico», evidenziandone le caratteristiche principali. Naturalmente data l’ampiezza della letteratura circa questa tematica propongo di fornire solo alcuni dei tratti emersi dalla ricerca in materia.

1.1 Definizioni delle lingue speciali

Linguaggi settoriali, linguaggi specialistici, lingue specialistiche, sottocodici, codici specialistici, lingue speciali, lingue specifiche, tecno letti, microlingue, lingue per scopi speciali e lingue di specializzazione sono alcune delle etichette che sono state attribuite nell’ultimo trentennio da vari autori.

Secondo la definizione di Cortellazzo:

«per lingua speciale si intende una varietà funzionale di una lingua naturale, dipendente da un settore di conoscenze o da una sfera di attività specialistici, utilizzata, nella sua interezza, da un gruppo di parlanti più ristretto della totalità dei parlanti la lingua di cui quella speciale è la varietà, per soddisfare i bisogni comunicativi (in primo luogo quelli referenziali) di quel settore specialistico».1

La definizione considera i linguaggi specialistici come varietà diafasiche della lingua standard, dato che dipendono dal contesto e dalla funzione espletata.

Questa denominazione risulta assai diversa da quella data da Gotti, il quale considera «lingue speciali»:

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V

«quei linguaggi diversi dalla lingua comune che utilizzano regole proprie e simboli particolari (come ad esempio il Codice Q utilizzato nel settore delle telecomunicazioni)» 2

e anche quella di Sobrero secondo il quale sottintende sia le «lingue specialistiche» (come la lingua della fisica, della matematica, dell’informatica ecc.) sia «le lingue settoriali» (cioè la lingua dei giornali, della televisione, della politica ecc.),3 in cui le prime hanno un più alto livello di specializzazione delle seconde.

Una distinzione essenziale risulta quella fatta da Federica Scarpa, la quale divide le lingue speciali in due gruppi:

- le lingue speciali in senso stretto, cioè quei sottocodici che sono oggetto della traduzione specializzata e che sono caratterizzati da tratti morfosintattici, lessicali e pragmatici precisi;

- le lingue speciali in senso lato, vale a dire i linguaggi settoriali che, pur essendo tipici di certi argomenti e ambienti comunicativi […] non rappresentano tuttavia varietà linguistiche caratterizzate da tratti distintivi omogenei.4

All’interno delle lingue speciali possiamo trovare le cosiddette «lingue della scienza e della tecnica».5

Sebbene ogni lingua speciale tenda all’omogeneità, non rappresenta un sistema chiuso, infatti in realtà esiste un continuo interscambio tra i tecnicismi delle diverse aree specialistiche, si tratta di «infrasettorialità», un fenomeno caratteristico delle lingue speciali. Ad esempio, nel linguaggio medico si incontrano anche termini provenienti dalle lingue del diritto e della burocrazia,

2M. Gotti, I linguaggi specialistici, Firenze, La nuova Italia, 1991, pp. 6-7.

3A. Sobrero, Lingue speciali, in F. Scarpa, La traduzione specializzata - Lingue speciali e

mediazione linguistica, Milano, Hoepli, 2001, p. 2.

4F. Scarpa, La traduzione specializzata - Lingue speciali e mediazione linguistica, Milano,

Hoepli, 2001, p. 2.

(6)

VI

nel linguaggio economico emergono anche termini provenienti da sottocodici giuridico, fiscale, politico, statistico e matematico.

1.2 Caratteri generali delle lingue speciali

Per diverso tempo si è puntata l’attenzione sul lessico delle lingue speciali, considerando la terminologia come unica caratteristica peculiare.

In realtà, come vedremo dalla classificazione fatta da Cabré, si può fare una suddivisione tra caratteristiche linguistiche, pragmatiche e funzionali. 6

Le caratteristiche linguistiche sono:

- neoformazioni (in genere ottenute per derivazione o per composizione da parole delle lingue classiche). Il procedimento più frequente in una neoformazione è l’aggiunta di affissi particolari che, all’interno del settore specialistico, possiedono un univoco significato convenzionale; - uso di sigle, acronimi (che in genere si comportano come parole) e

simboli (anche non alfanumerici);

- prestiti e calchi (specialmente dalla lingua inglese);

- processo di nominalizzazione (ossia la trasformazione di un sintagma verbale in uno nominale);

- semplificazione della struttura del periodo (che risponde a esigenze sia di compattezza e concisione sia di semplicità e chiarezza, perché chi legge ha bisogno di una costruzione sintattica semplice per comprendere al meglio le informazioni che vengono trasmesse);

- forme passive e forme impersonali (la cui presenza è data dalla necessità di “oggettivizzare” ciò che viene scritto dando maggiore importanza al fatto in sé, o al processo illustrato, e non all’agente); questo comporta una mancanza di emotività (una neutralità risultante dall’atteggiamento di distacco di scienziati e tecnici nei confronti della materia esposta);

6M. T. Cabré, Terminology: Theory, methods and application, Amsterdam, John Benjamins,

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VII

- risemantizzazione di termini della lingua comune o di altre lingue speciali attraverso processi di metaforizzazione;

- uso di codici semiotici extra-linguistici (come immagini, schemi, grafici).7

Sono presenti anche alcune caratteristiche di ordine più “generale” non propriamente linguistiche, come un’organizzazione testuale rigida, chiara e gerarchizzata e la presenza di un paratesto costituito da note, rimandi e glossari per una maggiore chiarezza del messaggio trasmesso.

Per quanto riguarda le caratteristiche pragmatiche, bisogna considerare l’argomento, i parlanti e la situazione comunicativa.

Ogni enunciato possiede almeno una funzione comunicativa in un dato contesto, cioè assolve un (o più di un) determinato obiettivo. Il destinatario dell’enunciato deve interpretare in maniera corretta l’intenzionalità comunicativa dell’emittente se vuole comprendere il significato dell’enunciato e portare a buon fine l’atto di comunicazione verbale.

Infine per quanto riguarda le caratteristiche funzionali, bisogna sottolineare che, prendendo come riferimento la suddivisione proposta da Jakobson8, la funzione principale delle lingue speciali è quella referenziale, la quale punta a informare, in maniera precisa e puntuale, e a permettere lo scambio di informazioni.

Le caratteristiche sopra elencate sono in parte sovrapponibili e in realtà solo in pochissimi testi ricorrono tutte insieme.

7F. Scarpa, La traduzione specializzata - Lingue speciali e mediazione linguistica, Milano,

Hoepli, 2001, pp. 37-40.

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VIII

1.3 «Dimensione orizzontale» e «dimensione verticale»

Le lingue speciali sono influenzate da diverse componenti contestuali, cioè sono soggette a variazione. Esistono due dimensioni fondamentali della variazione: la «dimensione orizzontale» e la «dimensione verticale».

La «dimensione orizzontale» è la stratificazione delle lingue speciali in base all’argomento e va integrata con considerazioni di carattere più pragmatico, cioè con la cosiddetta «dimensione verticale».

Per quanto riguarda la prima dimensione possiamo stabilire una prima distinzione di carattere contenutistico tra le «Scienze fisiche» o «scienze naturali» (come fisica, matematica, biologia, chimica, ingegneria, medicina ecc.) e le «Scienze umane» o «scienze sociali» (come diritto, economia, sociologia, antropologia, psicologia, storia, ecc.).9

Le differenze tra queste due scienze sono tre:

- la diversa natura dei fenomeni esaminati: mentre l’oggetto di studio delle prime è immutabile e misurabile, le seconde si occupano di problemi che variano nel corso del tempo e che risultano instabili e complessi;

- la verifica empirica delle ipotesi di partenza: mentre per le prime è possibile la verifica scientifica, per le seconde emerge un’impossibilità di verifica oggettiva; ogni scelta resta sempre legata a un elemento di natura interpretativa e quindi soggettiva;

- il diverso grado di certezza dei risultati: mentre i primi sono assoluti, i secondi risultano più vaghi e meglio descrivibili in termini di tendenze su base statistica.10

La «dimensione verticale» è costituita da una serie di parametri che influenzano l’uso della lingua speciale in base al contesto della situazione comunicativa. Rappresenta, infatti, la stratificazione della lingua all’interno di ciascun ambito disciplinare specialistico in base ai fattori

9Ivi, p. 4. 10Ibidem.

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IX

contestuali. Essa determina il grado di specializzazione del discorso e i vari gradi di differenzazione della lingua comune.

1.4 I diversi livelli specialistici

In base agli obiettivi e ai destinatari, Portaleone divide i testi in articoli di taglio specialistico, divulgativo-documentaristico, letterario, didattico, scientifico e tecnologico. 11 Ogni livello specialistico richiede un registro linguistico appropriato. Tutto si basa sul rapporto tra l’emittente e il destinatario (scienziato-scienziato, scienziato-tecnico, tecnico-tecnico, scienziato-studente ecc.). Si tratta di un continuum che ha per estremi il discorso scritto usato per scopi accademici e professionali (peer writing) da una parte e quello scritto per scopi occupazionali (technician writing) dall’altra. Quest’ultimo comprende sia il discorso che si trova nelle riviste specializzate sia quello didattico (learning texts e basic instruction).12

Tante risultano le classificazioni del discorso specialistico, tra queste si ricorda quella di Pinchuck, il quale adotta la seguente suddivisione:

- discorso scientifico (utilizzato per la descrizione dei risultati di una ricerca e per l’esposizione di ipotesi e teorie);

- discorso professionale (workshop), per lo più utilizzato in campo tecnologico a fini pratici;

- discorso di vendita (utilizzato per convincere il destinatario ad acquistare un determinato prodotto o un servizio). 13

Prendendo in considerazione i tre livelli sociolinguistici del discorso tecnico-scientifico che sono stati esposti da Widdowson (cioè scientific exposition,

11P. Portaleone, Tradurre testi di medicina, in F. Scarpa, La traduzione specializzata - Lingue

speciali e mediazione linguistica, Milano, Hoepli, 2001, p. 13.

12F. Scarpa, La traduzione specializzata - Lingue speciali e mediazione linguistica, Milano,

Hoepli, 2001, p. 13.

(10)

X

scientific instruction e scientific journalism),14 Gotti parla di tre possibili situazioni comunicative:

- lo specialista si rivolge ad altri specialisti attraverso l’utilizzo di termini specialistici;

- lo specialista si rivolge a non specialisti, con uno scopo didattico, illustrandone i concetti attraverso l’uso di una lingua speciale (ad esempio nei manuali di studio o istruzioni);

- lo specialista si rivolge a non specialisti, con un intento divulgativo, dando delle informazioni su argomenti tecnici attraverso l’uso della lingua comune (ad esempio nel giornalismo scientifico).15

Utilizzando le parole di Sobrero si può dire che al livello specialistico più alto la lingua speciale si presenta piena di tecnicismi dando per scontato un insieme di conoscenze tecniche condivise, al livello didattico presenta un minor numero di tecnicismi ma molte più spiegazioni, infine al livello divulgativo la lingua presenta pochissimi tecnicismi con lo scopo di rendere le informazioni facilmente comprensibili e non troppo dettagliate.16

14H. Widdowson, Explorations in Applied Linguistics, in F. Scarpa, La traduzione specializzata

- Lingue speciali e mediazione linguistica, cit. p. 13.

15M. Gotti, I linguaggi specialistici, cit. in Ibidem. 16A. Sobrero, Lingue speciali, cit. in Ibidem.

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XI 1.5 Il giornalismo scientifico

Secondo i dati pubblicati fino a oggi, lo spazio dedicato a scienza e tecnologia risulta in continuo aumento, dato dal fatto che i media favoriscono sempre più la divulgazione a carattere scientifico specialmente in una fascia di età che va dai 15 ai 29 anni.

Ciò che però emerge è che alcuni lettori lamentano una difficoltà di comprensione data dal basso grado di competenza scientifica.

Dato che la tematica del giornalismo scientifico risulta troppo ampia mi limiterò a dare delle idee basilari.

Facendo un passo indietro nel tempo è emerso che si comincia a parlare di giornalismo scientifico, e quindi di un voler raccontare la scienza a un pubblico di non specialisti, già a partire dal Quattrocento, con la circolazione degli almanacchi.

Come anche altre riviste, quelle relative alla divulgazione scientifica, in oltre due secoli di storia hanno avuto i loro successi e i loro fallimenti. Vita longeva hanno avuto quelle riviste che sono state in grado di centrare i temi più vicini alla cronaca, aderendo a essa e adattando il linguaggio a quello del pubblico. Vita difficile, al contrario, hanno avuto quelle riviste che, con uno scopo dichiaratamente educativo, hanno puntato più alla formazione che all’informazione.

1.5 1 Cenni storici sul giornalismo scientifico

Come nel resto dell’Europa, il giornalismo scientifico si sviluppa maggiormente in un’epoca in cui la cultura illuministica vedeva la scienza come un fenomeno di moda e si diffondeva nei salotti esaltandone il carattere spettacolare.

Due sono le principali opere divulgative del periodo, la prima del 1788, la Biblioteca fisica d’Europa, di Luigi Valentino Brugnatelli (1761-1818) e Il commercio scientifico d’Europa con il regno delle due Sicilie, del 1792, a opera di Vincenzo Comi (1764-1839). Queste due opere rappresentarono i

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XII

primi esempi di periodici divulgativi volti a “far conoscere al pubblico italiano le principali memorie degli scienziati d’oltralpe”.17

Entrambe le riviste non facevano altro che trasformare le idee dei maggiori scienziati in notizie. Si rivolgevano ai non scienziati per aggiornarli su argomenti ritenuti di pubblica utilità (come novità teoriche e pratiche su scienza, tecnologia, medicina, industria ecc.).

Nella seconda metà dell’Ottocento il fenomeno della divulgazione scientifica ebbe il suo boom e nel successivo ventennio fascista ebbe particolare successo la metafora della scienza come strumento di conquista.

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e la nascita della cosiddetta Big Science (cioè progetti di ricerca tanto grandi da richiedere investimenti molto consistenti e da rendere indispensabile la collaborazione internazionale) si ebbe la necessità di una maggiore circolazione delle notizie scientifiche.

Sebbene nel corso degli ultimi anni ci sia stata una forte attenzione per l’informazione scientifica, bisogna sottolineare che nel nostro Paese c’è ancora molto da fare per far sì che la ricerca scientifica non venga vista solo come un ambito interessante ma come un ambito essenziale per lo sviluppo sociale ed economico del Paese.18

1.5 2 Il giornalismo di precisione

L’espressione “giornalismo di precisione” appare per la prima volta nel 1969, in un’opera di Philip Meyer intitolata Precision Journalism, ma questa branca del giornalismo è anche conosciuta negli Stati Uniti e in Brasile con il nome computer-assisted reporting (e in alcuni casi anche con database journalism).

«Il nuovo giornalismo di precisione, è un giornalismo scientifico. […] Ciò significa trattare il giornalismo come se fosse una scienza, adottando il metodo scientifico,

17N. Pitrelli, G. Sturloni, Atti del V Convegno Nazionale sulla Comunicazione della Scienza,

Monza, Polimetrica, 2007, p. 48.

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XIII

l’oggettività scientifica e gli ideali scientifici per l’intero processo della comunicazione di massa».19

Meyer considera il cronista come un vero e proprio scienziato che più che alla spettacolarità della notizia punta al rigore del metodo di analisi dei dati.

L’autore sostiene che tra lo scienziato e il giornalista ci siano molti punti di contatto. Infatti ritiene che il giornalismo sia più una scienza che un’arte e che “il giornalismo richieda disciplina, e la disciplina dell’arte non può essere il genere più appropriato.” Bisognerebbe “spingere il giornalismo verso la scienza, incorporando sia gli efficaci strumenti scientifici per la raccolta e l’analisi dei dati, sia la sua disciplinata ricerca di una verità controllabile”.20

Secondo Meyer il giornalista deve spiegare scientificamente i fatti e non deve interpretarli ideologicamente in quanto la notizia giornalistica rappresenta una ricostruzione documentata, risultato di certe operazioni teoriche. Descrivere la realtà come si rappresenta, come è realmente e non come si vorrebbe che fosse.

A tal proposito ricordiamo che nel 1989 il fisico Lawrence Cranberg sostiene che:

«il giornalismo in se stesso è una scienza, e che […] un giornalista adeguatamente preparato, responsabile, è uno scienziato di professione».

Sia gli scienziati sia i giornalisti “procedono nelle stesse fila e sono al servizio del comune bisogno dell’umanità di condividere conoscenze e intendimenti”.21

L’obiettività giornalistica, tematica trattata più e più volte da Giovanni Bechelloni, è una prerogativa molto importante per una buona divulgazione.

19P. Meyer, Giornalismo e metodo scientifico. Ovvero il giornalismo di precisione, Roma,

Armando, 2007, p. 7.

20Ibidem.

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XIV

Il giornalista cerca di seguire la tradizione dell’oggettività, una tradizione che lo fa trattenere dall’imporre ai lettori punti di vista personali. Ma l’irraggiungibile “ideale dell’oggettività”, ad esempio, portò negli anni Settanta a seguire quello che fu chiamato “nuovo giornalismo”, che liberava i giornalisti dal vincolo dell’oggettività, autorizzandoli a diventare dei narratori.22

Il giornalista oltre a essere paragonato allo scienziato è paragonato anche allo storico, perché come lo scienziato crea il “fatto scientifico”, lo storico il “fatto storico”, il giornalista crea le “notizie giornalistiche”.

A tal proposito sia lo storico che il giornalista vengono paragonati, attraverso l’uso di una metafora, a dei pescivendoli. I fatti storici e le notizie giornalistiche non devono essere viste come “pesci sul banco del pescivendolo”, bensì “come pesci che nuotano in un oceano immenso e talvolta inaccessibile”.23 Le prede dello storico e del giornalista dipendono “in parte dal caso ma soprattutto dalla zona dell’oceano in cui si è deciso di pescare, dagli arnesi […] e dal genere di pesci che si vuole acchiappare”.24

1.5 3 Il giornalista: colui che fa parlare i fatti

Quante volte abbiamo sentito l’espressione “i fatti parlano da soli” o “le notizie parlano da sole”? Davvero tante. Ma la realtà è un’altra, non è vero che i fatti o le notizie parlano da soli, c’è qualcuno che li fa parlare e quel qualcuno è il giornalista. Lui e soltanto lui decide a quali fatti dare voce, perché in realtà i fatti sono muti. Questa figura decide quali fatti debbano essere presi in considerazione, in quale ordine e in quale contesto.25

Il rapporto tra le notizie e il giornalista è fortemente legato. Non si può pensare all’esistenza del giornalista senza le notizie e viceversa. Il loro rapporto si svolge su un piano di parità, di scambio reciproco.26 Se le notizie

22Ibidem..

23E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, in P. Meyer, Giornalismo e metodo scientifico. Ovvero il

giornalismo di precisione, Roma, Armando, 2007, p. 8.

24Ibidem.

25P. Meyer, Giornalismo e metodo scientifico. Ovvero il giornalismo di precisione, Roma,

Armando, 2007, p. 8.

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XV

senza un giornalista sono morte e prive di significato, il giornalista senza esse è inutile.

Egli come lo storico non fa altro che “prendere in prestito” le leggi dalle scienze e le fa parlare. Ma per farle parlare bisogna saperle interrogare bene, e per saperle interrogare bene bisogna essere attrezzati di buone domande.

Il giornalista, specialmente quello scientifico, non deve inventarsi le risposte, ma deve sapere “rubare con destrezza” il maggior numero di leggi.27

1.5 4 UGIS (Unione Giornalisti Italiani Scientifici)

Fondata nel 1966 rappresenta un’associazione che ha lo scopo di promuovere e stimolare la divulgazione scientifica in Italia attraverso i media. All’interno sono presenti soltanto giornalisti professionisti o pubblicisti iscritti all’Ordine che svolgono divulgazione scientifica e tecnica attraverso periodici, quotidiani, radio e televisione.

Essa è un’associazione senza fini di lucro giuridicamente riconosciuta ai sensi dell’art. 12 del Codice Civile e promuove tavole rotonde, seminari, visite presso laboratori e incontri informali con scienziati e ricercatori italiani.28

Tra i fondatori ricordiamo l’esploratore e geologo Ardito Desio (1897-2001), il giornalista e scrittore Giancarlo Masini (1928-2003) e il filosofo e linguista Silvio Ceccato (1914-1997).

1.6 «Scientific American»

«Scientific American» rappresenta una delle più antiche e prestigiose riviste di divulgazione scientifica pubblicata dal Nature Publishing Group (NPG), ossia un gruppo editoriale internazionale che pubblica riviste accademiche.

Fondata a New York nel 1845 da Rufus Porter, un inventore del New England, fu acquistata 10 mesi dopo da O. Desaix Munn e da A.E. Beach.29

Il nome della rivista è colloquialmente abbreviato in SciAm.

27Ibidem.

28http://www.ugis.it/chi_siamo.htm, 26 marzo 2014.

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XVI

Nasce come un settimanale volto a dare le notizie più importanti su scoperte e invenzioni e nel 1921 diviene un mensile allargando il campo alle varie scienze, dall’astronomia alla medicina, dalla fisica alla chimica.

Dal 1948 diviene proprietà di Scientific American Inc. ed è pubblicata in 18 lingue.

Nel 1968 esce a Milano, con la collaborazione di Alberto Mondadori e Felice Ippolito, la versione italiana dal titolo «Le Scienze». Cronaca e curiosità danno la parola ai ricercatori, che direttamente traducono i loro risultati nel linguaggio quotidiano.

Sebbene abbia una gestione indipendente, in essa si possono trovare numerose traduzioni dell’originale rivista americana.

Oltre che alla scienza di base pone l’accento sulle ricadute tecnologiche della scienza e del progresso tecnico.

«Le Scienze» conquista un’autorevolezza indiscussa nel quadro della divulgazione italiana, ma riesce anche a rinnovarsi e a lasciare gradualmente uno spazio sempre maggiore alla cronaca e al dibattito scientifico. 30

Secondo Battifoglia una figura di rilevante importanza è Marco Cattaneo, che è riuscito a portare «Le Scienze» sul nuovo terreno della comunicazione online, con blog generati dalla stessa rivista. Assistiamo all’inizio di un nuovo fenomeno, nel quale una rivista divulgativa, oltre a continuare a essere un mensile attraverso la versione cartacea, per mezzo della rete può diventare veloce come un quotidiano o un’agenzia di stampa.

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XVII

Capitolo II

2. IL TESTO DIVULGATIVO DI ARGOMENTO

SCIENTIFICO

Questo capitolo è incentrato sulla divulgazione di tipo scientifico.

Derivato dal verbo di origine latina divulgāre, composto di dis- “da diverse parti” e vulgāre “diffondere, spargere tra il volgo”, der. di vulgus “gente comune, volgo, pubblico”,1 il termine divulgazione rimanda fin da subito allo scopo principale di questo tipo di testo: rendere l’informazione di pubblico dominio e di chiara e semplice fruibilità.

È pur vero, però, che il testo divulgativo, in particolar modo quello di tipo scientifico, può creare delle difficoltà di comprensione da parte del pubblico, data la possibile difficoltà delle tematiche che potrebbero non essere intesa facilmente da tutti.

Il concetto di divulgazione è stato oggetto di diversi studi, sebbene essi non siano giunti a conclusioni univoche. Il consenso generale comunque risiede nello scopo di tale processo, cioè la trasmissione di conoscenze specialistiche a fini istruttivi e informativi.

2.1 Lingua e scienza

Considerando che il contenuto cognitivo, cioè ciò di cui si parla, rappresenta sempre un fattore di grande importanza nella scelta delle unità specifiche all’interno del sistema linguistico, nella scienza il rapporto tra argomento e lingua è particolarmente stretto.

Secondo Cigada «una scienza è una struttura concettuale, e il suo linguaggio ne è la parallela struttura linguistica».2

1http://www.treccani.it/vocabolario/tag/divulgare/, 29 gennaio 2014.

2S. Cigada, Le lingue di specializzazione: problemi scientifici e istituzionali. Relazione

introduttiva, in F. Scarpa, La traduzione specializzata - Lingue speciali e mediazione linguistica, Milano, Hoepli, 2001, p. 3.

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XVIII

Halliday3 pone l’accento sulla lingua come espressione soprattutto della prassi scientifica:

«it is the practice, the activity of “doing science” that is enacted in the forms of the language [...]. It is this reality that is constructed in scientific discourse».

Il legame fra l’epistemologia di una data disciplina e il suo discorso specialistico è così stretto che ogni disciplina non solo è caratterizzata:

«da un determinato linguaggio costruito, con dei criteri appropriati, su un determinato universo (biologico, sociale, chimico, ecc.)»

ma addirittura

«tende a formare un linguaggio anche perché questo costituisce un nuovo modo di

percepire l’universo.»4

Oltre a questa visione ne è presente un’altra che sottolinea come le lingue delle diverse scienze possiedano sì dei tratti distintivi ma anche un common core, cioè tratti comuni a tutte le varietà. Esso è costituito sia dalla lingua comune sia dal cosiddetto linguaggio scientifico.

2.2 Visione dominante e canonica

La “visione dominante” (o “visione canonica”) della divulgazione ritiene che esistano due discorsi separati, uno all’interno delle istituzioni scientifiche e uno al di fuori di esse, e che l’informazione sia tradotta da uno di questi discorsi in un altro. I punti chiave di questa visione sono:

- gli scienziati e le istituzioni scientifiche sono le autorità di quello che costituisce la scienza;

- la sfera pubblica è una tabula rasa su cui gli scienziati scrivono l’informazione;

3M. A. K. Halliday, On the language of phisical science, cit. in Ibidem. 4A. Bruschi, Metodologia delle scienze sociali, cit. in Ibidem.

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XIX

- questa informazione viaggia soltanto in una direzione, cioè dalla scienza alla società;

- il contenuto del sapere scientifico è un’informazione contenuta in una serie di dichiarazioni scritte;

- nella traduzione da un discorso all’altro questa informazione non solo cambia la sua forma testuale, ma è semplificata e distorta.5

Non è sorprendente che questa visione dominante sia così diffusa, dato che è propria delle istituzioni scientifiche ed è promossa da esse.

Tuttavia, diversi studiosi e analisti del discorso hanno proposto, più recentemente, argomenti diversi in favore di una visione differente, sottolineando la natura ibrida della comunicazione scientifica.

Il discorso scientifico, ad esempio, implica una vasta gamma di generi e pratiche e le divulgazioni rappresentano una parte importante di questa gamma. La divulgazione è un «matter of degree», come dice Stephen Hilgartner.6

I testi divulgativi mostrano che i generi “specialistico” o “divulgativo” possono essere misti in termini di audience, intenzioni e registro.

Abbiamo a che fare con un continuum della divulgazione, ma questo continuum non è solo una questione di livelli: dentro ogni genere può essere presente una gamma di registri e repertori, diverse modalità discorsive per diversi obiettivi retorici. Solo da fuori, e quindi da una grande distanza, il discorso scientifico sembra impiegare un registro uniforme e unico. Si ha a che fare quindi con una sorta di “ibridismo”7.

2.2 1 La scienza e il pubblico

Una delle caratteristiche salienti della scienza moderna rispetto al passato è la sua maggiore autonomia dal pubblico. Questa autonomia si fonda principalmente sul divario di conoscenze, sempre più ampio, tra i ricercatori di professione e le altre persone istruite, divario che ha segnato gli ultimi tre

5G. Myers, Discourse studies of scientific popularization: questioning the boundaries, in

«Discourse Studies», 5(2003), p. 266.

6Ivi, p. 270. 7Ivi, p. 271.

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XX

secoli di storia della scienza e che ha avuto come risultato una stabile codificazione e istituzionalizzazione del ruolo professionale degli scienziati.8

Oggi i ricercatori attribuiscono un’importanza considerevole alla loro autonomia e quindi alla loro distanza dal pubblico. Si tratta di un processo di professionalizzazione, di autonomizzazione e di emancipazione nei confronti del pubblico e della cultura in generale.

L’attività scientifica è diventata troppo specializzata e complicata per la piena comprensione da parte del pubblico in generale.

Lo stesso Einstein, quando due eclissi solari confermarono finalmente la teoria della relatività generale, nel dicembre del 1919, disse: “Al mondo non ci sono più di una dozzina di persone in grado di capire la mia teroria”.9

Nel 1686 Bernard le Bovier de Fontanelle, nel suo saggio Entretiens sur la pluralité des mondes, riconosce la necessità di soddisfare sia les gens du mond sia les savants. Ma è solamente dalla seconda metà del XIX secolo che si può parlare di comunicazione della scienza su larga scala, esplicitamente indirizzata dai suoi autori non solo a un pubblico specifico ma anche al pubblico in generale (il cosiddetto grande pubblico).

In questo periodo, infatti, riviste, fiere, esposizioni dedicarono uno spazio considerevole all’informazione scientifica, presentando le nuove invenzioni e le scoperte scientifiche; la stampa quotidiana creò un vero e proprio feuilleton scientifique che documentava gli eventi salienti della scienza e della tecnologia.

Oggi il divario sopra descritto, grazie alla creazione di nuovi canali di comunicazione tra gli specialisti, è stato quasi del tutto annullato.

Per far sì che la scienza diventasse esplicita e che l’audience fosse più ampia, dice Shapin, sono nate forme letterarie “deputate a trasmettere una

8M. Bucchi, La scienza in pubblico. Percorsi nella comunicazione scientifica, Milano,

McGraw-Hill, 2000, p. 1.

9A. Pais, Subtle in the Lord. The science and the life of Albert Einstein, New York, Oxford

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XXI

conoscenza scientifica altrimenti inaccessibile o impenetrabile per ampi settori del pubblico”.10

La presentazione della scienza in pubblico, perciò, ha assunto diverse forme, da quelle scritte (come libri e riviste) ai canali audiovisivi (come film educativi, programmi radiofonici e televisivi), a internet e spesso viene comunemente etichettata con il termine unico di “divulgazione”.11

Oggi la stampa è un’importante fonte della trasmissione dell’informazione in diverse le aree. La rappresentazione sociale della conoscenza scientifica, di fatti, proviene dalla stampa, considerata il “punto di incontro” tra gli specialisti e il grande pubblico.

Anche le correnti di democratizzazione e globalizzazione hanno esteso la conoscenza e hanno lentamente obbligato questi due mondi, tradizionalmente separati, a iniziare un processo di convergenza o di restrizione del divario, un processo che non è stato comunque esente da difficoltà e ostacoli di ogni tipo.

Uno dei problemi è il diverso modo in cui questi due mondi considerano gli “obiettivi” scientifici: per i primi (gli scienziati) l’obiettivo ha un valore intrinseco nei contesti scientifici e specialistici; per i secondi (il pubblico) il valore è esterno a tutte le teorie e i metodi: l’importanza viene data al raggiungimento dell’obiettivo, alla sua utilità e alle conseguenze del suo uso nella vita delle persone.12

La scienza che fa parte, infatti, delle pratiche delle comunità umane è filtrata dalle esperienze, dagli interessi, dai conflitti e dalle relazioni di potere presenti nella vita sociale e si esprime attraverso un linguaggio che, nella sua varietà, guida l’interpretazione a determinate conclusioni.13

2.3 Il mediatore tra due mondi: il traduttore

Da sempre è stata necessaria una forma di mediazione per rendere le conoscenze scientifiche più adatte e accessibili al pubblico.

10M. Bucchi, La scienza in pubblico. Percorsi nella comunicazione scientifica, Milano,

McGraw-Hill, 2000, p. 1.

11Yves Gambier, Luc Van Doorslaer, Handbook of translation studies, Amsterdam, John

Benjamins, 2010, p. 130.

12H. Calsamiglia, Popularization discourse, in «Discourse Studies», 5(2003), p. 140. 13Ivi, p. 142.

(22)

XXII

Bisogna porsi determinate domande ai fini di una migliore qualità della comunicazione:

- cosa bisogna dire? (selezione e pertinenza);

- come dovrebbe essere detto? (in termini specifici? con sostituzioni lessicali? con parafrasi?);

- come spiegarlo? (con quali forme del discorso? con quali risorse espressive?);

- come motivarlo? (da quale prospettiva potrebbe essere utile presentare l’argomento in modo da essere compreso dai lettori?);

- attraverso quali canali? (internet, faccia a faccia, esposizioni, riviste, quotidiani, televisione?);

- con quale scopo? (per far conoscere l’argomento? per creare una reazione nel lettore? per influenzarne il comportamento?).

Ciò che emerge dalle domande non è solo il modo di trattare l’informazione scientifica per il pubblico (l’altro modo di osservare l’informazione), ma anche il modo per rendere lo stile scientifico più vicino allo stile di altri settori e professioni. Per esempio, i giornalisti sono soggetti a scadenze, alle domande di mercato e agli orientamenti ideologici dei diversi giornali.14

Ben presto, quindi, è stata considerata essenziale l’esistenza di una categoria di scrittori responsabili della “disseminazione” della conoscenza scientifica, dato il sensazionale avanzamento e la crescente specializzazione delle scienze naturali.15

La mediazione tra la scienza e il pubblico, dice Massimiliano Bucchi nel suo libro La scienza in pubblico. Percorsi nella comunicazione scientifica, ha richiesto l’intervento di una nuova figura professionale: una “terza persona” (generalmente il giornalista scientifico) che, per colmare il dislivello esistente, deve essere in grado di comprendere gli scienziati e di comunicare le loro idee

14Ivi, p. 141.

15M. Bucchi, La scienza in pubblico. Percorsi nella comunicazione scientifica, Milano,

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XXIII

al pubblico non specializzato riformulando il discorso scientifico con parole più semplici.

Questa figura deve prendere le loro teorie, le loro frasi e, come una specie di interprete, deve adattarle al pubblico perchè il discorso pubblico della scienza inizia laddove finisce il discorso scientifico.

Molto spesso però questo “adattamento” da parte di questa “terza persona”, che dovrebbe semplicemente riformulare il discorso scientifico in parole più semplici, secondo gli scienziati coincide con “distorcere”: «La conoscenza della natura [...] diluita e filtrata per il consumo popolare, tende a perdere per strada il suo contenuto teorico».16

Ma il termine “distorsione” ha senso solo se si fa riferimento ai modelli di comunicazione più obsoleti. Perchè, in realtà, il passaggio da un emittente (la comunità scientifica) a un ricevente (il grande pubblico “disinformato”) non dovrebbe in alcun modo influenzare la natura e il contenuto dell’informazione originale.

Il grande pubblico si limita perciò ad assorbire, in forma impoverita e ridotta al minimo, le idee che derivano dall’attività scientifica.

2.4 Questioni traduttologiche

Con il termine divulgazione scientifica si intende ogni attività volta alla spiegazione e alla diffusione delle conoscenze, della cultura e del pensiero tecnico-scientifico.

Questo paragrafo riguarda la traduzione di un testo divulgativo di tipo scientifico. Molto spesso si tratta di testi resi in un’altra lingua da traduttori, anche non specialisti, che traghettano, talvolta in maniera impropria, espressioni della lingua della scienza. Bisogna sottolineare che nel campo della divulgazione scientifica (cioè la cosiddetta Scientific Popularization), l’inglese risulta la lingua largamente dominante, non solo rispetto all’italiano ma anche rispetto a molte altre lingue europee.

16Ivi, p. 3.

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XXIV

Prezioso è il consiglio che il biologo inglese Peter Brian Medawar (1915-1987) dava ai suoi studenti in un suo libro: «evitate di far percorrere, ai vostri lettori, una distesa di vetri rotti a piedi nudi».17

Purtroppo molti testi tradotti sono spesso cosparsi di vetri rotti o spine che fanno inutilmente soffrire (e spesso anche allontanare) il lettore.

Del resto la chiarezza, la leggibilità, l’organicità e la corretta disposizione della parti risultano le prerogative essenziali per la comprensione di un testo.

Come sottolinea Min-Hsiu Liao, gli studi sui testi divulgativi hanno mostrato, però, che la divulgazione non deve essere vista come un mero processo di semplificazione, bensì come un processo di ricontestualizzazione e di interazione con lo scopo di andare incontro alla conoscenza esistente del pubblico “profano”.18

Un’altra idea è quella di Sophie Moirand, la quale sostiene che la divulgazione non sia un processo lineare, che va dagli scienziati al pubblico, ma ciclico. Essa implica, oltre alla dimensione cognitiva, quella comunicativa, e l’informazione non è “scritta” sulla tabula rasa del pubblico (come sostiene la concezione canonica dominante), ma entra in un “banco di memoria interdiscorsivo”.19

In base alle tecniche di traduzione, Byrne20 puntualizza che traducendo la terminologia scientifica bisognerebbe assicurarsi della precisione dei termini che vengono tradotti, ma l’accessibilità a un pubblico più vasto risulta più importante della precisione dell’informazione scientifica; questo perché lo scopo principale del testo divulgativo è proprio quello di trasmettere il testo di partenza a un pubblico di non esperti. La fruibilità risulta, quindi, un obiettivo fondamentale del testo divulgativo.21

17P. B. Medawar, Advice to a young scientist, New York, Harper & Row, 1979, p. 81.

18Yves Gambier, Luc Van Doorslaer, Handbook of translation studies, Amsterdam, John

Benjamins, 2010, p. 130.

19G. Myers, Discourse studies of scientific popularization: questioning the boundaries, in

«Discourse Studies», 5(2003), p. 267.

20J. Byrne, Technical Translation: Usability Strategies of Translating Technical

Documentation, Dordrecht, Springer, 2006, pp. 93-94.

21Yves Gambier, Luc Van Doorslaer, Handbook of translation studies, Amsterdam, John

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XXV

A tal proposito, Liao evidenzia che una figura di particolare importanza è sicuramente quella del traduttore, il quale deve porsi come un mediatore tra gli esperti e i non esperti; il suo ruolo deve mediare tra lo scrittore e il pubblico “profano”, o tra il parlante e l’ascoltatore.

Uno dei modi che il traduttore utilizza per incoraggiare la partecipazione del lettore è sicuramente il pronome di seconda persona, un “tu” che indirizza il lettore a una compartecipazione (soprattutto in inglese).

Le strategie usate dai traduttori per la divulgazione di un testo includono esplicitazioni nelle prefazioni e nelle note, parafrasi di interi pezzi o anche l’omissione di parti del contenuto.22

Chi traduce deve sapere di cosa si parla, deve capirne il senso nella lingua di partenza e cercare, al meglio, di rendere i concetti nella lingua di arrivo.

Il traduttore deve studiare la terminologia esatta per comunicare il vero significato del testo di partenza.

2.4 1 Divulgazione e traduzione

Sia la divulgazione sia la traduzione implicano una trasformazione del testo originario in un testo derivato.

Risulta impossibile pensare a un testo risultante da un processo traduttivo senza ipotizzare l’esistenza di un source text e analogamente risulta indispensabile l’esistenza di un testo specialistico che rappresenti la fonte di un target text di tipo divulgativo.23

Come sottolinea Gotti, nel caso specifico della divulgazione, si tratta di “rielaborazioni” che non alterano il contenuto di tipo disciplinare – oggetto da tramandare – quanto il linguaggio che viene adattato e rimodellato secondo le necessità del nuovo pubblico.

Nel processo di trasformazione l’informazione è trasferita dal punto di vista linguistico attraverso la parafrasi o la traduzione intralinguistica.

22Ivi, p. 132.

23M. Gotti, The analysis of popularization discourse: conceptual changes and methodologiacal

evolutions, in S. Kermas, T. Christiansen, The popularization of specialized discourse and knowledge across communities and cultures, Bari, Edipuglia, 2013, p. 13.

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XXVI

Un altro aspetto che comporta l’analogia tra la divulgazione e la traduzione è il fatto che entrambi i processi tendono a risprodurre un equivalente imperfetto del testo di partenza. Come il testo risultante da una traduzione difficilmente costituisce un equivalente perfetto dell’originale, così anche il messaggio divulgativo fornisce i contenuti del testo base con un certo grado di approssimazione.

Questo fenomeno è favorito dall’ampio uso di metafore e similitudini. Queste tecniche favoriscono un aggancio immediato alle conoscenze generali possedute dai destinatari e permettono un’identificazione più rapida dei contenuti del messaggio.24

2.5 Testi specialistici e testi divulgativi

Il primo criterio per distinguere i testi specialistici dai testi divulgativi è l’assenza nei primi di un’elaborazione di nuovi contenuti scientifici che apportino un accrescimento nel bagaglio concettuale di una certa disciplina.25

Questa assenza, tuttavia, non risulta sufficiente a caratterizzare il processo della divulgazione. Esistono diversi testi, infatti, che pur non proponendo un arricchimento dei contenuti rappresentano comunque degli esempi di comunicazioni specialistiche: review articles, abstracts e altri generi testuali che hanno una funzione informativa o di confronto tra vari approcci metodologici o progetti di ricerca.26

Ciò che può considerarsi un vero e proprio elemento di differenziazione è il diverso pubblico dei destinatari dei due processi comunicativi. I testi divulgativi di fatto non sono indirizzati a un gruppo di esperti di una data disciplina (nel nostro caso quella scientifica) ma a un pubblico di non specialisti. Questa differenza, però, non risulta sufficiente a caratterizzare questa tipologia testuale e ha bisogno di ulteriori parametri.

Uno di questi è la finalità principale dei testi stessi. I testi divulgativi, attraverso l’utilizzo di un linguaggio meno tecnico e di una terminologia meno

24G. Cortese, Tradurre i linguaggi settoriali, Torino, Cortina, 1993, p. 221. 25Ivi, p. 218.

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XXVII

specializzata, si rivolgono a un pubblico più vasto, il cosiddetto grande pubblico. Assistiamo a un’illustrazione meno tecnica dei processi e dei fenomeni specialistici.27 Di fatti mentre il testo specialistico vuole indirizzarsi solamente alla comunità scientifica – attraverso l’utilizzo di termini propri della suddetta disciplina – il testo divulgativo ha lo scopo di ampliare la conoscenza del lettore non specializzato.

Il ricorso alla terminologia appropriata è molto alto nei testi specialistici veri e propri (vale a dire quelli prodotti da specialisti e rivolti ad altri specialisti) sia in quelli di tipo istruttivo (che hanno lo scopo di formare degli altri specialisti). Molto minore risulta invece l’uso di termini tecnici nei testi divulgativi, in quanto in questi ultimi il discorso utilizza prevalentemente scelte lessicali appartenenti alla lingua comune.

I testi divulgativi tendono a essere più corti dei testi specialistici e dato che i testi divulgativi riportano il lavoro di altri documenti emerge un ampio uso di verbi come “dire” che reggono il discorso indiretto.28

Rispetto al testo specialistico, nel testo divulgativo risulta assente l’eplicitazione da parte dell’autore del valore illocutorio dei suoi enunciati, con la scomparsa di espressioni alla prima persona singolare o plurale e che riguardano commenti o giudizi.29 Questa assenza è dovuta alla funzione che è prettamente informativa e che implica scarsa enfasi su quella argomentativa. Essi infatti non hanno fini innovativi o interpretativi e l’unico scopo è quello di informare.

Il fatto che l’autore di un testo divulgativo abbia a che fare con un testo di tipo informativo e non argomentativo, lo induce a utilizzare delle espressioni prudenti come “forse”, “probabilmente” oppure attraverso l’uso di verbi di modo condizionale.

27M. Gotti, The analysis of popularization discourse: conceptual changes and methodologiacal

evolutions, in S. Kermas, T. Christiansen, The popularization of specialized discourse and knowledge across communities and cultures, Bari, Edipuglia, 2013, p. 10.

28K. Hyland, Metadiscourse: Exploring Interaction in Writing, London-New York, Continuum,

2005, p. 97.

29M. Gotti, The analysis of popularization discourse: conceptual changes and methodologiacal

evolutions, in S. Kermas, T. Christiansen, The popularization of specialized discourse and knowledge across communities and cultures, Bari, Edipuglia, 2013, p. 10.

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XXVIII

Il ricorso alla definizione dei vari termini non è molto presente nei testi specialistici, poiché è dato per scontato che il significato delle diverse espressioni sia conosciuto dai membri che appartengono allo stesso ambito disciplinare del locutore; questo ricorso, generalmente, non è nemmeno presente nel discorso divulgativo, dato che i termini specialistici sono utilizzati in misura molto più limitata.

È ovvio, però, che spesso vi siano delle eccezioni. Può capitare, infatti, che un testo di tipo divulgativo possa essere caratterizzato da un uso maggiore di termini specialistici rispetto alla norma.

Per questo motivo si parla di giustapposizione, cioè un processo mediante il quale il termine specialistico viene seguito da una parafrasi; il termine o la parafrasi sono in genere separati da una virgola, un trattino, una parentesi o dalla congiunzione disgiuntiva “o”.30 Una variante di questa tecnica è il porre la parafrasi prima seguita poi dal termine specialistico corrispondente.

La scelta è data da due processi logici, uno di tipo deduttivo e uno di tipo induttivo. Nel primo caso l’autore preferisce prima presentare le caratteristiche del concetto espresso dal termine e subito dopo aggiungere il termine stesso, mentre nel secondo caso la presentazione delle caratteristiche segue la presentazione del termine.

Questa giustapposizione dà vita a una sorta di equivalenza semantica, come se si trattasse di un lemma di un dizionario monolingue con le relative parafrasi al seguito.

Spesso le due parti della definizione sono unite da elementi metalinguistici come “chiamato”, “conosciuto come”, “cioè” e altri simili. Talvolta per enfatizzare la specificità del termine viene aggiunto l’avverbio “tecnicamente”.31

La forte esigenza di chiarezza, che è implicita nel discorso divulgativo, porta spesso l’autore al ricorso di immagini tratte dalla lingua comune; la tecnica della similitudine ad esempio crea un rapporto concreto tra un termine specialistico e una parola appartenente alla lingua comune.

30Ivi, p. 12.

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XXIX

Altre volte il termine può essere accompagnato da osservazioni di tipo etimologico o esplicativo, che vogliono far riflettere il destinatario sull’origine dei termini o sulle motivazioni che hanno portato alla scelta del termine in questione.

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XXX

Capitolo III

3. COMMENTO

Mentre il capitolo introduttivo ha voluto porre le basi teoriche della divulgazione e, in particolare, della cosiddetta Scientific Popularization, quest’ultimo capitolo vuole far emergere quali elementi e quali problematiche, precedentemente rilevati, sono stati individuati nella traduzione.

Il testo da me scelto, The Science of Education: Back to school, rappresenta una raccolta di articoli di carattere divulgativo-scientifico di una delle più prestigiose riviste di divulgazione scientifica: «Scientific American».

Generalmente il primo passo da fare in un’analisi traduttiva è crearsi una “mappa mentale” delle caratteristiche del testo di partenza e di quelle del testo che si vuole produrre nella lingua d’arrivo. Questo perché i problemi di traduzione sono legati proprio alla riformulazione del testo per adeguarlo alla sua nuova situazione comunicativa.

A una prima stesura possono seguirne delle altre a seconda dell’esperienza professionale del traduttore e del tempo che ha a disposizione. A questo proposito ritengo opportuno ricordare la metafora dell’iceberg usata da Newmark:

«il prodotto finale della traduzione è infatti soltanto quello che si vede, ossia la punta dell’iceberg, mentre il lavoro che il traduttore ha dovuto fare per arrivare a quel risultato è l’iceberg vero e proprio, spesso dieci volte più grande1».

Il mio primo approccio a questa traduzione è stato la lettura, del resto come sappiamo il traduttore è prima di tutto un lettore. Dato che il mio lavoro è costituito da una serie di articoli di carattere scientifico (dieci per la precisione), dopo una lettura integrale ho selezionato quelli che a livello contenutistico mi hanno colpita maggiormente. Subito dopo sono passata

1P. Newmark, «Translation theory in the year 2000 and its role in the translation schools», in F.

Scarpa, La traduzione specializzata - Lingue speciali e mediazione linguistica, Milano, Hoepli, 2001, p. 107.

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XXXI

all’analisi di alcuni brani che, data la diversità delle due lingue in questione, l’inglese e l’italiano, hanno creato dei problemi di ordine lessicale per la loro resa nella lingua di arrivo.

Dopo aver individuato quali erano i problemi di traduzione ho formulato delle ipotesi sulle strategie che potevo adottare per risolverli.

La diversità delle norme riguardanti il registro, i fenomeni di polisemia e l’assenza di termini corrispondenti nella lingua italiana sono state alcune delle problematiche affrontate.

Dato che il testo da me scelto è un insieme di articoli scritti da autori differenti, risulta logico che ogni articolo abbia le sue peculiarità, poiché ogni autore ha il proprio modo di scrivere.

Gli articoli presi in esame racchiudono al loro interno tutte le caratteristiche presentate nel capitolo introduttivo e rappresentano delle vere e proprie forme di mediazione culturale fra il mondo scientifico e quello delle persone comuni.

Risulta doveroso, inoltre, sottolineare che il testo da me scelto (di divulgazione scientifica al grande pubblico) rappresenta una variazione rispetto ai requisiti e ai tratti tipici del testo specialistico in senso “stretto”, con un’accentuazione delle caratteristiche di trasparenza e accessibilità per il destinatario della cultura ricevente.

3.1 Lettore presupposto

Il destinatario di un testo non è mai definibile a priori in modo preciso ma si cerca, generalmente, di immaginare un lettore tipo per adottare una strategia globale coerente e pertinente.

Ho immaginato che questa mia traduzione fosse letta da chiunque, dai cosiddetti “curiosi fai da te” che includono sia il ragazzo che non possiede nessuna competenza nel campo scientifico (per questo motivo ho aggiunto delle giustapposizioni accanto ad alcuni termini specialistici inglesi), sia l’adulto che pur avendo delle competenze in materia vuole ampliare le sue conoscenze sulle ultime ricerche che sono state fatte.

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XXXII 3.2 Metodi e procedure di traduzione

Dato che il mio obiettivo principale è stato quello di creare un testo chiaro, esplicito e strutturato secondo le regole della lingua italiana, ho cercato, apportando pochissime modifiche al testo di partenza, di far “funzionare” il più possibile il nuovo testo nella nuova situazione comunicativa, come se fosse un testo originale, privilegiando la funzione informativa. Se alcune volte mi sono servita della traduzione letterale, in altri casi ho dovuto allontanarmi dalle parole del testo di partenza a favore di una maggiore scorrevolezza del testo di arrivo. Un esempio si incontra nell’articolo «Come dovrebbe essere insegnata la lettura?», nel quale la frase inglese:

(1) […] That legislation changed what had been a tradition of little state involvement in school curriculum. […]

è stata tradotta con:

(1a) […] Tale normativa ha cambiato l’approccio dello Stato, fino a quel momento poco interessato alla programmazione scolastica. […] (p. 53)

3.3 Registro

Premesso che il registro utilizzato dai vari autori risulta per molti aspetti simile, in quanto si tratta di giornalismo scientifico, l’intento di tutti gli articoli è prevalentemente divulgativo e tutti si rivolgono a un pubblico di non specialisti dando delle informazioni su argomenti tecnici e usando il più possibile lessemi appartenenti alla lingua comune. La lingua inglese, infatti, risulta molto poco formalizzata (a eccezione di una serie di tecnicismi che in questo capitolo analizzerò) e ricca di spiegazioni per permettere al destinatario di comprendere facilmente le informazioni che gli vengono comunicate.

Sono presenti, inoltre, forme colloquiali e informali come nel caso dell’articolo «Come dovrebbe essere insegnata la lettura?» in cui, ad esempio, è presente la domanda Remember how hard it once was?, priva della

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XXXIII

costruzione interrogativa corretta, cioè la presenza dell’ausiliare Do e del soggetto you.

Nella trasposizione del testo in italiano ho tenuto conto della specificità dei vari termini e delle varie espressioni cercando di riportarli in modo chiaro e coerente e rispettando il messaggio originale.

3.4 Sintassi e lessico

Come tutti i testi di tipo informativo (che hanno lo scopo di trasmettere una serie di dati o notizie fornendo le spiegazioni necessarie per la comprensione da parte del ricevente) la maggior parte degli articoli è caratterizzata da paratassi, periodi molto brevi, semplici e funzionali costituiti il più delle volte da una sola proposizione principale. Ma ci sono anche delle eccezioni, infatti sono presenti alcuni periodi più lunghi e caratterizzati dalla presenza di sintagmi nominali premodificati che in traduzione hanno creato qualche difficoltà, come nel caso dell’articolo «Come dovrebbe essere insegnata la lettura?» nel quale è presente un periodo molto lungo:

(2) […] If schools of education insisted that would be reading teachers learned something about the vast research in linguistics and psychology that bears on reading, and if these institutions regularly included a modern, high-quality course on phonics, their graduates would be more eager to use phonics and would be prepared to do so effectively. […] che in italiano è stato reso con:

(2a) […] Se gli istituti di formazione universitaria insistessero sul fatto che i futuri insegnanti di lettura traessero profitto dall’ampia ricerca in linguistica e in psicologia (relativamente all’ambito della lettura), e se tali istituti includessero regolarmente un corso di fonologia moderno e di alta qualità, i loro laureati sarebbero più inclini all’uso del metodo fonematico e sarebbero preparati a farlo in modo efficace. […] (p. 57)

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XXXIV

Il lessico in genere risulta chiaro, inequivocabile e denotativo e fa riferimento alle esperienze comuni del lettore medio che rappresenta il grande pubblico. Non mancano, anche in questo caso, le eccezioni, riguardanti soprattutto alcuni usi figurati (di cui si parlerà nei paragrafi successivi) volti a suscitare l’interesse e il coinvolgimento del lettore.

3.5 Tempi verbali e modalità

I tempi verbali maggiormente utilizzati sono il presente e il passato. L’uso del presente, ad esempio, nel caso dell’intervista a Gareth Cook (si veda l’articolo «Il cervello e la parola scritta»), è motivato dal fatto che si tratta di un dialogo costituito da domande e risposte immediate. Il passato il più delle volte è utilizzato quando gli autori riportano qualche esperimento che ha coinvolto un determinato gruppo di bambini. In traduzione ho cercato di mantenere queste stesse forme verbali.

Ciò che è emerso dalla traduzione dei vari articoli è inoltre la presenza di una serie di elementi linguistici che esprimono la categoria semantica della modalità, soprattutto la sottocategoria della possibilità epistemica, con l’effetto di modulare la validità delle affermazioni, degli eventi e dei dati riportati “sull’asse certezza-probabilità”. Gli autori utilizzano infatti attenuatori come avverbi di tipo dubitativo e congiunzioni ipotetiche (come perhaps, if), verbi modali e modi condizionali come nell’articolo «Come formare uno studente migliore» (per esempio What can educators do… o learning may be…). Nell’articolo «La forza della volontà» in cui ad esempio incontriamo espressioni come The first step should be…, we should recognize that..., il modale condizionale should assume la forza illocutoria di una proposta da parte dell’autore.

Dopo questa premessa alla traduzione di carattere generale, entriamo adesso più nel dettaglio del testo facendo degli esempi specifici di problematiche sorte nel corso della traduzione.

(35)

XXXV 3.6 Analisi degli articoli tradotti

Un tratto saliente è la ricchezza di terminologia specialistica per la cui traduzione sono state seguite due modalità di ricerca:

1) il riferimento a risorse lessicografiche (ad esempio Enciclopedia e vocabolario Treccani, o la banca dati terminologica IATE, Interactive Terminology for Europe2) e alla letteratura specialistica (manuali e saggi) in italiano (ad esempio riguardante ambiti quali le neuroscienze e la formazione);

2) la consultazione di articoli (di argomento analogo) in «Le Scienze», (la versione italiana di «Scientific American»), tradotti dall’inglese, per osservare le strategie usate più di frequente.

È opportuno premettere che tale consultazione ha messo in luce un certo grado di eterogeneità nelle convenzioni usate che danno anche luogo a più varianti.

Per le espressioni whole-language method e phonics sono state usate le traduzioni ufficiali, cioè metodo globale e metodo fonematico.

Nel caso del termine working memory, ad esempio, esiste ovviamente il corrispettivo specialistico “memoria a breve termine”, ma si è optato per “memoria di lavoro”, alternativa trovata in «Le Scienze».

In altri casi, come per i termini brain imaging e neuroimaging, sono stati lasciati i termini invariati, dato che sono comunque entrati a far parte del lessico specialistico italiano. Entrambi i termini, comunque, talvolta si possono anche trovare accompagnati dalla traduzione italiana “immagine cerebrale” e “neuroimmagine”.

In altri casi ancora, non è stato possibile individuare un corrispettivo ufficiale per termini e locuzioni specifici, e si è dunque seguita la prassi emersa ad esempio dalla lettura di «Le Scienze», ovvero si è scelto di mantenere i termini inglesi affiancandoli (per giustapposizione) a una traduzione letterale o parafrasi tra parentesi, a fini esplicativi e per una maggiore trasparenza.

2http://iate.europa.eu, 21 marzo 2014.

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XXXVI Esempi di questo tipo sono:

(3) letterbox (buca delle lettere) nell’articolo «Il cervello e la parola scritta»; (p. 44)

(4) visual word-form area (area preposta al riconoscimento visivo della parola) nell’articolo «Il cervello e la parola scritta»; (p. 44)

(5) whole-word instruction (insegnamento della parola intera) nell’articolo «Come dovrebbe essere insegnata la lettura?»; (p. 49)

(6) pull-out programs (programmi che prevedono che i bambini vengano prelevati dalle loro classi) nell’articolo «Talenti rari: bambini dotati, bambini prodigio e savant». (p. 81)

Nella prima pagina, dedicata all’introduzione al testo, la prima parola che ha causato dei dubbi è stata education. Se su un normale dizionario di lingua italiana cerchiamo la parola educazione troviamo:

educazione Il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai bambini, o comunque

a persone in via di crescita o suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli abiti culturali di un gruppo più o meno ampio della società. L’opera educativa è svolta da tutti gli stimoli significativi che raggiungono l’individuo, ma, in modo deliberato e organizzato, da istituti sociali naturali (famiglia, clan, tribù, nazione ecc.), e da istituti appositamente creati (scuole, collegi, centri educativi ecc.).3

Come sottolinea la definizione, “l’opera educativa è svolta […] da istituti appositamente creati (scuole, collegi, centri educativi ecc.)” per questo motivo ho voluto utilizzare il termine “educazione”, perché ha un’accezione più ampia che consente di includere vari aspetti relativi alla formazione dell’individuo.

Riguardo la traduzione del termine instruction, per la sua elevata presenza all’interno del testo, ho voluto usare sia il termine “istruzione” sia il termine “insegnamento”; la scelta è stata fatta a seconda dei contesti incontrati, anche

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XXXVII

per privilegiare la preferenza dell’italiano per la sinonimia in luogo della ripetizione.

Nella seconda pagina dell’introduzione si trova l’espressione:

(7) […] teaching the three Rs […].

Quest’espressione è propria della cultura inglese, in quanto le tre R (cioè reading, writing and arithmetic) rappresentano le tre abilità di base nello sviluppo del bambino. Questo caso è un esempio di problema culturale, si tratta di un’espressione tipica della cultura di partenza e che quindi, non avendo un corrispettivo diretto nella lingua di arrivo, ha bisogno di un adattamento. Se avessi tradotto “insegnamento delle tre R” in italiano avrei potuto travisare il significato inglese, in quanto in Italia “le tre R” sono un’altra cosa, cioè il rispetto di se stessi, il rispetto degli altri e la responsabilità delle tue azioni.

La mia scelta traduttiva non si è servita di una nota a piè di pagina, in quanto il tipo di testo divulgativo in questione ha bisogno di immediatezza e non può “costringere” il lettore al rimando in nota. Per questo motivo mi sono servita di un’esplicazione diretta nel testo per una migliore comprensione da parte del lettore (e ho tradotto l’espressione con “insegnamento di lettura, scrittura e aritmetica”).

Essendo degli articoli basati anche su test fatti su bambini in giovane età, sono caratterizzati (oltre che da un elevato uso del termine generico children) da una forte presenza di termini quali toddlers, infants, babies. Se i termini infant e baby sono stati tradotti con il termine generico “bambino” (o per baby ho utilizzato a volte la parola “neonato”), il termine toddler è stato tradotto con “bambino intorno ai due anni” o “bambino che fa i primi passi”.

Il secondo articolo della prima sezione è «Il segreto per crescere bambini intelligenti» di Carol S. Dweck, docente di psicologia all’Università di Stanford.

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XXXVIII

Il testo non ha presentato grandi difficoltà di decodifica in quanto il linguaggio risulta molto semplice e lineare tranne che per qualche termine che illustrerò qui di seguito.

All’interno del testo è presente il termine Brainology, che non possiede il suo corrispondente nella lingua italiana:

(8) […] We have now encapsulated such instruction in an interactive computer program called Brainology. […]

Inizialmente avevo pensato di sostituire il termine con “Cervellologia”, ma pensando che avrei potuto immettere un carattere ironico a ciò che di ironico non ha nulla ho evitato. La strategia traduttiva utilizzata è stata quella della giustapposizione, cioè ho fatto seguire al termine inglese una sorta di parafrasi (Lo studio del cervello). Questo perché in assenza di una traduzione ufficiale chi legge potrebbe non comprendere di cosa si tratti e, dato che l’obiettivo è proprio divulgare, si può dare in questo caso un’idea immediata e più precisa con una glossa esplicativa.

Nella seconda sezione è presente l’articolo «Il cervello e la parola scritta», un’intervista da parte di Gareth Cook, giornalista americano, a Stanislas Dehaene, titolare della cattedra di Psicologia cognitiva al Collège de France. Il testo è costituito da un dialogo tra i due incentrato sull’interesse di Stanislas Dehaene per la neuroscienza della lettura.

È proprio in questo articolo che sono presenti le espressioni già analizzate neuroimaging, brain imaging, letterbox e visual word-form area, espressioni che, come ho già sottolineato precedentemente, sono state trattate in maniera differente ma con un unico obiettivo: privilegiare il passaggio dell’informazione.

Come ho già sottolineato l’obiettivo del tipo di testo da me analizzato è il voler trasmettere il contenuto informativo del messaggio, per questo motivo oltre alla presenza di termini che sono stati tradotti in maniera “ufficiosa”, ho verificato la presenza di titoli di libri tradotti in questo stesso modo. Un esempio in quest’ultimo articolo è il libro di Stanislas Dehaene, The number

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