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I meccanismi di risoluzione delle crisi bancarie: Italia ed Europa

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea in Banca, Finanza aziendale e Mercati finanziari

Tesi di Laurea

I MECCANISMI DI RISOLUZIONE DELLE CRISI BANCARIE:

ITALIA ED EUROPA

Relatore:

Prof. Fabiano Colombini

Candidato:

Federica Rosati

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2 Alla mia famiglia, a mio padre, a mia madre, a mio fratello e a mio zio Antonello.

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I Meccanismi di risoluzione delle crisi bancarie:

Italia ed Europa

Introduzione

INDICE

CAPITOLO UNO

Le cause e lo sviluppo della crisi finanziaria

1.1. Subprime mortgage financial crisis

1.2. La crisi dell’Eurozona

1.3. Le banche e l’esplosione del debito sovrano 1.4. Cause ed effetti della crisi

1.4.1. Impatto sui Mercati Finanziari 1.4.2. Impatto sulle Banche

1.5. La nascita dell’Unione Bancaria

1.6. L’evoluzione della vigilanza bancaria in ambito Europeo

CAPITOLO DUE

L’evoluzione della disciplina Europea in risposta alla crisi

2.1 Le nuove regole Europee di gestione della crisi bancaria

2.2 Il Single Resolution Mechanism

2.3 Il ruolo del sistema di garanzia dei deposi

2.4 Un nuovo approccio strategico per fronteggiare i fenomeni di crisi 2.4.1 Le misure di prevenzione e di preparazione

2.4.1.1 I piani di risanamento 2.4.1.2 I piani di risoluzione 2.4.2 L’intervento precoce 2.4.3 La risoluzione 2.4.4 La liquidazione

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CAPITOLO TRE

Gli strumenti di risoluzione delle crisi bancarie 3.1. In prospettiva gone concern

3.1.1. La vendita dell’attività della Banca 3.1.2. La costituzione di una Bridge Bank

3.1.3. La separazione tra una Good Bank e una Bad Bank 3.2. In prospettiva going concern

3.2.1. Il bail in

CAPITOLO QUATTRO

Banche Italiane e Banche Europee

4.1. Banche Italiane

4.1.1. Il salvataggio delle quattro banche: Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Chieti e Cassa di risparmio di Ferrara

4.1.2. Il caso veneto: Banca Popolare di Vicenza e Banco Veneto 4.2. Banche Europee

4.2.1. Spagna: Il Banco Popular Espanol

4.2.2. Portogallo: Banca Banif e Banco de Espirito Santo 4.2.3. Grecia: Panellina Bank

4.2.4. Danimarca: Banca Andelskassen jak slagelse

Conclusioni

Bibliografia

Siti utilizzati

Ringraziamenti

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Introduzione

La Subprime mortgage financial crisis è stata la recessione più rilevante dal dopoguerra ad oggi; le cause dietro lo scoppio della bolla immobiliare sono state diverse, come per esempio: la concessione di mutui ai clienti subprime, l’adozione del modello operativo originate to distribute, il processo di cartolarizzazione dei mutui concessi ai clienti subprime per il trasferimento del rischio di credito, lo shadow banking system e la carenza di liquidità che ha travolto i mercati. In particolare, tale crisi ha comportato il collasso di molte banche, come ad esempio dell’istituto statunitense Lehman Brothers.

In seguito, dopo lo scoppio della crisi subprime si è posto maggior attenzione alla solidità dei conti pubblici dei singoli stati e si è scoperto che i conti della Grecia erano stati truccati dal governo precedente. Inoltre, in breve tempo la crisi dei mutui immobiliari si è diffusa anche all’economia reale europea, colpendo soprattutto paesi come la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e l’Italia. In seguito, quindi, per evitare il collasso di molte banche e per prevenire il rischio di una corsa agli sportelli, le banche centrali e i governi hanno deciso di intervenire attraverso misure di sostegno alle banche. Tuttavia, i vari interventi hanno messo a dura prova i bilanci statali innalzando notevolmente il livello di indebitamento pubblico e hanno gettato le basi per la Sovereign debt crisis.

Inoltre, il progressivo deterioramento del mercato immobiliare negli Stati Uniti si è riflesso gradualmente anche sui mercati finanziari internazionali e nonostante le varie iniezioni di liquidità da parte dei governi nei mercati interbancari si è poi diffusa una crisi di fiducia, perché le banche ormai avevano timore ad offrire denaro all’interno del circuito interbancario a causa della scarsa affidabilità delle controparti. Inoltre, ci sono state conseguenze anche per gli intermediari, infatti la crisi del debito sovrano si è riflessa soprattutto sui bilanci degli intermediari finanziari, i quali avevano già subito le svalutazioni della crisi dei mutui subprime e si sono trovati a fare i conti con le svalutazioni dei titoli pubblici.

Pertanto, come risposta alle crisi finanziarie che si sono manifestate per cui è emersa le fragilità del sistema bancario, ponendo in evidenza soprattutto gli errori e le carenze della regolamentazione prudenziale, della supervisione bancaria e dell’apparato normativo istituzionale di gestione della crisi, si è dato avvio al progetto dell’Unione Bancaria affiancato

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ad un rilevante processo di consolidamento e di internazionalizzazione del settore bancario a livello Europeo.

È stato costituito, in seguito, un Sistema di Supervisione Unico per contribuire ed evitare che tutto ciò si potesse ripetere favorendo l’adozione delle migliori prassi di vigilanza e spezzando il legame banche-sovrano; insieme ad esso è stato costituito anche un Meccanismo di Risoluzione Unico e un Sistema di Garanzia dei Depositi, che insieme rappresentano i tre pilastri dell’Unione Bancaria. In particolare, il meccanismo di risoluzione unico si compone di un Single resolution board e delle Autorità di risoluzione nazionali. Il primo si occupa nello specifico di decidere con quale modalità fronteggiare l’eventuale crisi, adottando un piano di risoluzione in cui è delineato lo strumento di risoluzione da applicare e, ove necessario, l’utilizzo dell’Single Resolution Fund.

Con l’introduzione della Bank Recovery and Resolution Directive sono stati attribuiti dei nuovi poteri e dei nuovi strumenti di risoluzione alle Autorità di risoluzione, in particolare tali strumenti si differenziano in base ad una soluzione gone concern e going concern; per quanto riguarda i primi sono la vendita dell’attività d’impresa, in cui vengono venduti ad un terzo soggetto le attività sane della banca posta in fallimento, la costituzione di una bridge bank, in cui confluiscono tutti i good assets della banca originaria, mentre quelli che residuano vengono liquidati; e in ultimo la separazione tra una good bank e una bad bank, in cui i good assets confluiscono nella good bank, mentre i bad assets confluiscono nella bad bank. Per quanto riguarda gli strumenti secondo la prospettiva going concern, troviamo lo strumento del bail in, che consiste nella svalutazione e nella conversione delle passività di un ente soggetto a risoluzione.

Nell’ultimo capitolo, invece, è stato fatto un confronto tra i casi avvenuti in Italia e in Europa: per quanto riguarda l’Italia è stato analizzato il caso delle quattro banche poste in risoluzione, ovvero la Banca Marche, la Banca Etruria, la Cassa di risparmio di Ferrara e la Cassa di risparmio di Chieti, e il caso veneto in cui sono state poste in risoluzione la Banca popolare di Vicenza e il Banco Veneto.

In Europa, invece, sono stati affrontati i casi di risoluzione che si sono realizzati, per esempio la Spagna con la risoluzione del Banco Popular, in Portogallo, in cui sono state poste in risoluzione due banche in dissesto: la Banca Banif e il Banco de Espirito Santo; in Grecia,

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con la risoluzione mediante la vendita dell’attività di impresa di Panellinia Bank ed in ultimo il caso Danese della Banca Andelskassen jak slagelse, un caso di particolare rilevanza.

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CAPITOLO UNO

Le cause e gli sviluppi della crisi finanziaria

1.1 Subprime mortgage financial crisis

La crisi finanziaria scoppiata nel 2007 sul segmento subprime dei mutui immobiliari statunitensi è stata la più importante crisi dal dopoguerra ad oggi. I presupposti della crisi risalgono al 2003, quando negli Stati Uniti i prezzi delle abitazioni iniziarono a crescere in maniera costante e significativa, generando una vera e propria bolla immobiliare. Tale dinamica fu favorita dalla politica monetaria attuata dalla Federal Reserve, che mantenne i tassi di interesse su valori storicamente bassi fino al 2004.

In particolare, i molteplici fattori che spinsero verso la nascita di tale bolla immobiliare, furono per esempio la riduzione dei tassi di interesse nel 1991 per superare la recessione degli anni 90 e fornire più liquidità al mercato. A ciò si unì la Tax Relief Act, emanata nel 1997, con la quale fu data la possibilità ai possessori di immobili, il cui valore era inferiore a cinquecento mila dollari, di rivendere la propria casa dopo due anni dall’acquisto senza pagare l’imposta sulla plusvalenza1. Inoltre, lo scoppio della bolla tecnologica del 2001 spinse gli investitori a considerare il mercato immobiliare più sicuro con rendimento garantito rispetto ad ogni altro tipo di investimento.

Tuttavia, l’errore più grave fu commesso nel 2003 quando la Federal Reserve decise di ridurre ulteriormente i tassi di interesse, passando da un tasso del 6.24% ad uno del 1.13%2, attuando l’ennesima politica monetaria espansiva dando la possibilità di ricorso al credito bancario anche a chi non aveva i requisiti per accedervi, snellendo la documentazione necessaria per il ricorso ai finanziamenti bancari e aumentando la possibilità che potesse generarsi una maggiore asimmetria informativa. Da questo momento iniziò il finanziamento ai clienti subprime ossia coloro che non erano in grado di ripagare il prestito ricevuto per l’acquisto degli immobili3.

1 V.D’APICE, G. FERRI, L’instabilità finanziaria: dalla crisi asiatica ai mutui subprime, Carrocci editore, 2009. 2 V.D’APICE, G. FERRI, L’instabilità finanziaria: dalla crisi asiatica ai mutui subprime, Carrocci editore, 2009.

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Le prime conseguenze della volatilità dei tassi si avvertirono sul mercato immobiliare, in cui l’incremento del valore degli immobili consentì di ottenere un più facile accesso al credito; Contemporaneamente l’aumento delle garanzie collaterali e la maggior offerta di credito contribuirono ad aumentare il prezzo degli immobili4 e nello stesso momento, aumentarono anche i rischi all’interno del settore bancario, che si trovò esposto nei confronti di soggetti che, al minimo stress di mercato, diventavano insolventi.5

Molte banche commerciali iniziarono ad adottare un modello operativo “originate to distribuite”, in sostituzione del modello tradizionale adottato in precedenza, denominato “distribute and hold”; difatti le banche utilizzando il primo modello sfruttavano le tecniche per il trasferimento del rischio di credito, come per esempio la cartolarizzazione o i derivati, in cui l’intermediario dopo aver selezionato il debitore a cui concedere il prestito trasferiva ad altri il prestito concesso, recuperando la liquidità; il modello tradizionale, invece, prevedeva che la banca originatrice dei prestiti erogati li mantenesse in bilancio fino alla scadenza accantonando capitale regolamentare per far fronte al rischio di credito.

Nello specifico, la cartolarizzazione consiste nella creazione di Asset Backed Securities, cioè di titoli cartolarizzati che possono avere come collaterale diverse attività distinguendo in: Mortgage Backed Securities, garantiti da mutui ipotecari, Collateralized Debt Obligations, garantiti da portafoglio di altri titoli, ed altri ABS, garantiti di solito da credito al consumo. Si pensò di cartolarizzare i mutui poiché avrebbero dovuto garantire un rimborso periodico di interessi presentandosi come debiti poco rischiosi, ma nel momento in cui furono concessi crediti ai clienti subprime e poi tali crediti furono cartolarizzati, tale operazione non fu affatto poco rischiosa. Difatti, la cartolarizzazione fu un’altra causa che contribuì allo scoppio della crisi.

Tuttavia, ebbe un ruolo molto importante nello scoppio della crisi anche il c.d. “sistema bancario ombra”, in cui gli intermediari svolgevano determinate attività mediante la raccolta di fondi in forme diverse da quella delle operazioni di deposito e, quindi, non sottoposte alle restrizioni ed ai limiti imposti dalla regolamentazione e dalla vigilanza bancaria. L'espansione di questo sistema fu dovuto in larga parte alla decisione, assunta da diverse banche negli anni precedenti alla crisi, di esternalizzare alcune attività caratterizzate oltre che da elevati margini

4 V.D’APICE, G. FERRI, L’instabilità finanziaria: dalla crisi asiatica ai mutui subprime, Carrocci editore, 2009. 5 F. COLOMBINI, A. CALABRO’, Crisi finanziarie. Banche e Stati, L’insostenibilità del rischio di credito, 2011.

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di guadagno, da un forte profilo di rischio, da una rilevante trasformazione delle scadenze e della liquidità e da una elevata leva finanziaria. Tali operazioni di esternalizzazione, ad esempio, furono realizzate tramite l'utilizzo di società veicolo (Special Purpose Vehicle), in cui la banca cedeva i mutui che aveva concesso alla SPV la quale emetteva delle obbligazioni (Mortgage Backed Securities) che successivamente collocava presso gli investitori e in seguito utilizzava il ricavato della vendita delle obbligazioni per acquistare i mutui stessi. In tal modo il rischio veniva trasferito ai sottoscrittori finali delle obbligazioni, in quanto il rimborso degli interessi che maturavano e del capitale a scadenza collegato alle obbligazioni era strettamente dipendente dalla effettiva riscossione delle rate dei mutui stessi6.

La responsabilità della crisi ricadde non solo sulle banche che ponevano in essere la cartolarizzazione ma anche sulle agenzie di rating che avrebbero dovuto valutare onestamente la qualità dei titoli cartolarizzati e che, in realtà, non lo fecero. Infatti, divenne evidente, in seguito allo scoppio della crisi subprime che le agenzie di rating utilizzavano modelli non sufficientemente sofisticati, ovvero basati su ipotesi e scenari sull’evoluzione del quadro congiunturale troppo ottimistici. Divenne palese, perciò, che le agenzie di rating effettuavano una valutazione errata, attribuendo rating troppo generosi. Ovviamente in questo contesto in cui vi erano bassi tassi di interesse ed eccessiva liquidità, quindi molto credito a basso costo, si incentivò l’acquisto degli immobili innalzando i prezzi delle case.

È nel corso del 2005, che la FED per bloccare questo continuo aumento dei prezzi degli immobili, innalzò i tassi di interesse con una politica monetaria restrittiva, i quali passarono dall’1,13 % al 5.25%, provocando un aumento del servizio dei mutui a tasso variabile.7 Di conseguenza i clienti subprime non furono in grado di restituire il finanziamento ricevuto poiché non avevano fondi e nemmeno la garanzia aveva più un valore. Quindi, iniziò un meccanismo di default che comportò una riduzione della domanda immobiliare che fece fermare il rialzo dei prezzi. 8

Un altro fattore che contribuì l’origine della crisi finanziaria fu la carenza di liquidità, che dal mercato statunitense si estese sugli altri mercati evoluti. La crisi di liquidità divenne evidente nell’andamento dei tassi a breve termine che si riflessero poi sui mutui variabili, sulle famiglie, sui prestiti a tasso fisso, determinando una riduzione dei prestiti a famiglie e imprese.

6 Fonte: www.consob.it.

7V.D’APICE, G. FERRI, L’instabilità finanziaria: dalla crisi asiatica ai mutui subprime, Carrocci editore, 2009. 8 F. COLOMBINI, A. CALABRO’, Crisi finanziarie. Banche e Stati, L’insostenibilità del rischio di credito, 2011.

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La crisi finanziaria provocò riflessi negativi nel contesto degli intermediari finanziari e dei mercati finanziari, sia americani sia europei9. Perciò le banche subirono pesanti svalutazioni legate al default di numerosi prestiti ipotecari e agli strumenti finanziari tossici presenti in portafoglio.

In un contesto caratterizzato dalla scarsa chiarezza riguardante la distribuzione dei titoli strutturati nel sistema finanziario, il mercato interbancario sperimentò un forte aumento dei tassi d’interesse e un’ingente contrazione delle disponibilità delle banche a concedere credito ad altre istituzioni. Quindi sul mercato scoppiò una forte crisi di fiducia e diventò difficile per gli intermediari reperire le risorse necessarie per far fronte ai propri impegni, difatti gli scambi sul mercato diminuirono e la liquidità divenne la merce più richiesta. Le banche subirono pesanti perdite non solo per l'esposizione verso le società veicolo, ma anche per le esposizioni verso soggetti colpiti dalla crisi, come ad esempio alcuni fondi che avevano investito nei titoli cartolarizzati. Tali circostanze condussero alcuni tra i maggiori istituti di credito statunitensi verso il fallimento.10 Infatti, ci fu il fallimento della banca di investimento Lehman Brothers, che non ricevette aiuti statali o supporto da soggetti privati e avviò le procedure fallimentari il 15 settembre 2008. Tale fallimento creò una nuova fase di instabilità, che comportò una nuova sfiducia per gli investitori e nuove tensioni sul mercato.

9 F. COLOMBINI, A. CALABRO’, Crisi finanziarie. Banche e Stati, L’insostenibilità del rischio di credito, 2011. 10 Fonte: www.consob.it.

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1.2 La crisi dell’area Euro

In breve tempo, la crisi dei mutui subprime si trasferì all'economia reale statunitense ed europea, provocando una caduta del reddito e dell’occupazione. In Europa, la crisi toccò per prima Northern Rock, quinto istituto di credito britannico specializzato nei mutui immobiliari. In seguito, la crisi si espanse e colpì la maggior parte delle economie europee, ma le economie sulla quale incise particolarmente furono quelle del Portogallo, Irlanda, Grecia, Italia e Spagna.

Vennero attuati consistenti piani di salvataggio per i diversi istituti di credito in difficoltà predisposti dal Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Svezia. Nel complesso gli aiuti forniti dai governi alle banche dei rispettivi sistemi nazionali, furono erogati sotto forma di garanzie, ricapitalizzazioni, linee di credito e prestiti.11

Il riequilibrio dei conti, però, presupponeva l’attuazione di politiche restrittive mediante l’incremento di tasse e tagli della spesa pubblica. Inoltre, con la riduzione del risk appetite si pose maggior attenzione sulla solidità dei conti pubblici dei singoli stati e alle reali capacità di utilizzo delle risorse a disposizione per fronteggiare la crisi finanziaria.

1.2.1.

Grecia

Emblematico fu il caso della Grecia, dove, a seguito della crisi dei subprime, il nuovo governo greco, rese noto, che il vecchio aveva truccato i conti, scoprendo così le distorsioni che avevano caratterizzato la spesa pubblica di molti paesi. In particolare, nel dicembre del 2009 avvenne il declassamento del rating sul debito pubblico greco a BBB+, mettendo in luce tutte le difficolta del paese per la gestione del rapporto tra entrate e uscite: tutti i documenti sugli andamenti dell’economia greca e sul bilancio pubblico erano stati falsati, emerse un deficit sul Pil, che dal 3,7% passò al 12,7%. 12

Il problema greco non riguardava solo il mancato rispetto dei requisiti del patto di stabilità, in quanto la maggior parte dei paesi aderenti all’unione monetaria europea nel 1999 non li rispettava, ma si legava al fatto che gran parte del debito pubblico era in mano ad

11 Fonte: www.consob.it.

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investitori stranieri e questo comportò la vulnerabilità della capacità di finanziamento della Grecia alla fiducia dei mercati.

Nel 2010 furono disposte dalla Commissione Europea delle riforme strutturali a fronte di un piano di salvataggio insieme all’International Monetary Fund (IMF), ma dopo il terzo tentativo di salvataggio, che avvenne a distanza di pochi mesi, la fiducia degli investitori greci sprofondò nuovamente e la Commissione Europea e l’IMF furono costrette a stanziare nuove risorse. Nonostante gli sforzi compiuti la crisi greca non si risolse e si iniziò temere il contagio verso gli altri paesi europei. In seguito, infatti, si aggiunsero le crisi dell’Irlanda, del Portogallo e della Spagna.

1.2.1.

Irlanda

Per quanto riguarda l’Irlanda se nel 2008 aveva il secondo reddito pro capite più alto in Europa, nel 2010 aveva il secondo deficit più alto dopo la Grecia. Con l’abbassamento dei tassi di interesse nel 2001 ci fu un’esplosione delle costruzioni immobiliari e un continuo rialzo dei prezzi degli immobili, le banche irlandesi quindi iniziarono a concedere prestiti senza garanzia. In seguito, con lo scoppio della bolla salì il livello di indebitamento privato e il livello dei rischi si incorporò nei mutui degli immobili. Prima di allora lo spread dei titoli irlandesi, come quelli tedeschi era vicino allo zero, ma con il crollo del mercato immobiliare la crescita economica irlandese si arrestò e questo si ripercosse sui salari e sull’occupazione.

Il governo attuò degli interventi di salvataggio per il proprio sistema bancario, intervenendo per salvare le sei maggiori banche del paese e per scongiurare una crisi finanziaria sistemica e un collasso dell’intero paese, ma questi continui interventi contribuirono ad alzare il debito pubblico; tuttavia, anche se il governo irlandese era riluttante a chiedere aiuti alla Commissione Europea, le forti tensioni registrate sui mercati finanziari e le difficoltà all’accesso ai mercati costrinsero il governo a chiedere aiuto13. Poiché sia le banche che gli stati dell’Unione Monetaria Europea volevano evitare che il governo irlandese e i suoi titoli di stato crollassero, in quanto avrebbero messo a rischio molte banche dell’Eurozona, per la prima volta il piano di aiuti fu finanziato con

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l’European Financial Stability Facility (EFSF)14creato per il finanziamento dei paesi

dell’area euro in difficoltà.

1.2.2. Portogallo

Dopo la crisi in Irlanda, ci furono riflessi su tutti i mercati internazionali colpendo tutta l’area euro, infatti, il terzo paese colpito fu il Portogallo. Inizialmente il governo portoghese finanziò la spesa pubblica e i bassi tassi di interesse, senza chiedere aiuto all’Unione Europea, ma con il manifestarsi della crisi subprime e delle crisi in Grecia e in Irlanda, le obbligazioni furono condotte su livelli molto alti mettendo in dubbio la capacità di finanziamento del proprio debito pubblico. Crebbe anche in portogallo una crisi di fiducia che alimentò le incertezze sulla solidità delle banche, anche se in maniera minore rispetto alla situazione della Grecia e dell’Irlanda, anch’esse iniziarono a trovare difficoltà nel reperimento delle risorse sul mercato internazionale dei capitali.

1.2.3. Spagna

Come il Portogallo anche la Spagna nel 2001 ebbe una forte espansione economica, ma nel 2007 con l’attuazione da parte dell’European Central Bank di una politica monetaria restrittiva, furono colpite anche le banche spagnole.

In particolare, le banche spagnole subirono un forte aumento del tasso delle sofferenze ed in particolare le cajas, ovvero le casse di risparmio, furono le prime ad entrare in crisi in quanto oltre il 65% dei mutui accesi nella penisola iberica erano nel loro bilancio.15 Nonostante l’intervento governativo in Europa ci fu un continuo incremento dei crediti deteriorati e quindi sia le cajas che il Banco Santander, il Bbva, il Banco Popular e Sabadell, furono costretti ad attuare notevoli rettifiche del proprio portafoglio prestiti.

14 Fonte:www.bancaditalia.it

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1.2.3.

Italia

Per quanto riguarda il sistema bancario italiano inizialmente risentì in misura minore l’impatto della crisi sui mercati finanziari internazionali rispetto agli altri paesi. Nei primi mesi della crisi, l’Italia riuscì a resistere al contagio, in quanto il sistema bancario italiano prevedeva: un modello di intermediazione fondato su strette relazioni con la clientela, un adeguato sistema dei depositi e una vasta rete di sportelli che assicurava alle banche italiane una fonte di raccolta stabile presso le famiglie. Oltre questo, un’altra motivazione era legata alla ridotta incidenza nei bilanci bancari delle banche italiane delle operazioni di securitisation; per di più i maggiori gruppi bancari italiani registrarono svalutazioni connesse con la crisi per un ammontare assai inferiore rispetto quelle delle principali banche estere.

Quindi i profitti bancari, pur rallentando, rimasero positivi nei primi nove mesi del 2008, infatti, il coefficiente patrimoniale del sistema bancario italiano era pari al 10,4 %, contro un requisito minimo dell’8 %16. Tuttavia, quando la crisi si trasferì ai debiti pubblici furono colpite anche loro.

In seguito, attraverso gli interventi pubblici da parte degli Stati per il salvataggio delle banche venne ridotto l’impatto della subprime mortgage financial crisis, provocando tuttavia il deterioramento delle finanze pubbliche in diversi paesi e quindi creando i presupposti per la crisi del debito sovrano.

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1.3 Le banche e l’esplosione del debito sovrano

Le insolvenze relative ai mutui ad alto rischio nel settore immobiliare provocarono il collasso di alcune banche e per prevenire il rischio di una corsa agli sportelli, le banche centrali e i governi decisero di intervenire attraverso misure di sostegno alle banche. Gli interventi di finanza pubblica volti ad evitare il default degli istituti bancari consentirono di evitare il peggio, contenendo il rischio di contagio e tutelando investimenti e risparmi.17 Nonostante questo, i vari interventi misero a dura prova i bilanci statali innalzando notevolmente il livello di indebitamento pubblico.

Nel corso del 2010 l’Europa presentava una situazione differenziata al suo interno: i paesi con un rapporto del debito pubblico su pil maggiore del 100% erano i paesi come per esempio la Grecia, l’Italia, il Portogallo e l’Irlanda; invece, i paesi come la Spagna, la Francia, il Regno Unito e la Germania presentavano un valore minore rispetto ai primi quattro, ma comunque elevato e compreso in un range tra il 70-99%. Per quanto riguarda i paesi come la Lituania, la Lettonia e l’Estonia invece il rapporto assumeva un valore sotto il 40%.

Fonte: propria elaborazione sulla base dei dati dell’International Monetary Fund.

17 IBRIDO, R. L'Unione bancaria europea: profili costituzionali. Torino, Giappichelli Editore, 2017.

196,95 133,11 127,8 100,63 98,6 97,09 88,89 70,75 38,78 37,77 10,76 0 50 100 150 200 250

Debito Pubblico su Pil

2010-2012

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La Sovereign Debt Crisis può essere suddivisa in diverse fasi distinte, in particolare la prima fase riguarda il primo paese colpito dalla crisi del debito sovrano nell’area dell’euro18.

• Nel 2009 la Commissione Europea per quanto concerne il caso greco si trovò costretta ad intervenire con un piano di salvataggio, con un’integrazione da parte dell’IMF. Successivamente, fu approvato da parte del governo greco un piano di stabilità che prevedeva un calo del rapporto deficit/Pil al 3% entro il 2012. 19 Di seguito alla diffusione di tale notizia i timori degli investitori greci si attutirono, ma verso la fine del 2010 tale rapporto aumentò nuovamente arrivando ad un valore pari al 13.6% e le agenzie di rating furono costrette a tagliare nuovamente il rating della Grecia attribuendo un rating CCC. In seguito, il parlamento greco approvò un nuovo piano di austerità per la Grecia e l’Unione Europea diede il via libera per nuovi aiuti di stato. • Successivamente, verso la fine del 2010 la crisi giunse anche in Irlanda e all’inizio del

2011 in Portogallo per poi estendersi anche in Spagna ed Italia. In Irlanda, come in America, si creò una bolla speculativa sugli immobili poiché ci fu un eccesso di finanziamenti a tassi ridotti per l’acquisto delle case. 20 Nel 2007 il debito pubblico irlandese era il più basso d’Europa, infatti il problema dell’Irlanda non era il debito pubblico, ma il debito privato che raggiungeva valori del Pil molto elevati21. In seguito, l’European Central Bank intervenne per salvare il sistema bancario, ma nonostante questo lo stato irlandese fu costretto a drastici tagli della spesa pubblica e innalzamenti dell’imposizione fiscale per la riduzione degli squilibri del proprio bilancio pubblico e il ripristino del deficit.

• La crisi del debito pubblico irlandese fu seguita da quella del Portogallo che a causa della poca competitività rispetto al resto dei paesi dell’area euro subì un deflusso di capitali all’estero, mettendo in crisi il clima di fiducia verso lo Stato e di conseguenza anche nei confronti delle banche Portoghesi22. In seguito, ci fu l’aumento del deficit pubblico e il governo portoghese fu costretto a intraprendere interventi per il contenimento della spesa pubblica soprattutto nei settori sanitari e sociali. Tuttavia,

18 F. BUSETTI, P. COVA, “L’impatto macroeconomico della crisi del debito sovrano: un’analisi controfattuale per l’economia italiana”, 2013.

19F. COLOMBINI, A. CALABRO’, Crisi finanziarie. Banche e Stati, L’insostenibilità del rischio di credito, 2011. 20 I.VISCO, La crisi dei debiti sovrani e il processo di integrazione europea, BANCA D’ITALIA, 2013;

21 F. COLOMBINI, A. CALABRO’, Crisi finanziarie. Banche e Stati, L’insostenibilità del rischio di credito, 2011. 22 F. BUSETTI, P. COVA, “L’impatto macroeconomico della crisi del debito sovrano: un’analisi controfattuale per l’economia italiana”, 2013.

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grazie alle misure di sostegno della liquidità da parte della BCE la crisi rallentò il suo corso.

• Dopo il Portogallo il paese più colpito fu la Spagna che, come l’Irlanda, vide dapprima la nascita e poi lo scoppio della bolla immobiliare. L’aumento del debito spagnolo fu causato da una contrazione delle entrate provenienti dall’Europa e dalla crescita dello spread tra i rendimenti delle obbligazioni spagnole e delle obbligazioni tedesche. Di conseguenza il governo spagnolo pianificò una politica espansiva per stimolare l’economia, ma a causa della situazione insostenibile del debito, il governo fu costretto ad attuare una forte stretta fiscale innalzando il livello generale delle tasse spagnole. Tutto ciò portò ad una riduzione dei finanziamenti alle regioni per ridurre la spesa pubblica, ma nonostante questo la situazione rimase molto critica23.

L’Italia, a differenza degli altri paesi Europei, fu colpita dalla sovereign debt crisis più tardi; nonostante tale periodo di ritardo il sistema italiano si caratterizzava per un elevato debito pubblico24 che comportò un rapido contagio al sistema bancario nazionale, ad un deterioramento delle prospettive di crescita economica e ad un deprezzamento dei titoli di Stato detenuti in portafoglio.

In seguito, le forti pressioni sui titoli bancari e il crescente stress sul mercato interbancario spinsero la BCE ad intraprendere misure volte al sostenimento della liquidità degli intermediari. Con l’attuazione di tali interventi le condizioni delle finanze pubbliche dei paesi esposti alla crisi migliorarono, anche se i costi sociali restarono alti25. Si può affermare quindi che la crisi del debito sovrano iniziò a ridursi grazie all’Unione Bancaria Europea, con la costituzione di un bilancio pubblico comune e l’unione politica.

23 F. COLOMBINI, A. CALABRO’, Crisi finanziarie. Banche e Stati, L’insostenibilità del rischio di credito, 2011. 24 Fonte: www.bancaditalia.it.

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1.4 Cause ed effetti della crisi finanziaria

La crisi finanziaria internazionale è stata definita come una delle crisi più rilevanti, per gli impatti che si sono manifestati, in termini di profondità ed ampiezza. Oltre al collasso costituito dai mutui subprime, le cause della crisi vanno ricercate in un insieme di squilibri determinatisi nel corso degli anni.

La crisi ha origine da un insieme di fattori come gli squilibri derivanti dal finanziamento del disavanzo degli Stati Uniti, dalla politica monetaria dei bassi tassi d’interesse stabiliti dalla FED negli anni dal 2001 al 2003 che ha dato il via alla bolla immobiliare.26

I primi attori di questa crisi furono gli intermediari bancari e finanziari, ma oltre loro anche gli Stati e le autorità di vigilanza ebbero il loro ruolo27. Le Autorità di vigilanza dovevano assicurare il rispetto dei principi di sana e prudente gestione delle banche, invece una sorveglianza poco diligente indusse all’attuazione di comportamenti scorretti da parte degli intermediari conducendo al declino del capitale di qualità primaria e all’aumento dell’indebitamento.

In quasi tutti i Paesi le crisi bancarie sistemiche si risolsero con interventi pubblici di salvataggio, ponendo il costo delle insolvenze a carico dei contribuenti. Gli interventi pubblici incisero in modo rilevante sui bilanci statali e sui paesi del sud Europa, che si dimostrarono più deboli alimentando il circolo vizioso tra rischio sovrano e rischio bancario. Gli effetti di tali tensioni si riflessero poi sui principali mercati finanziari, con cali di ampie dimensioni.

26S. MIELI, La crisi finanziaria internazionale e le banche italiane, Banca d’Italia, Roma, 4 marzo 2009. 27 G. BOCUZZI, L’Unione Bancaria europea. Nuove istituzioni e regole di vigilanza e di gestione della crisi bancarie. Bancaria Editrice.

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1.4.1. Impatto sui mercati finanziari

Il progressivo deterioramento del mercato immobiliare negli Stati Uniti si riflesse gradualmente sui mercati finanziari internazionali. In particolare, l’aumento dei tassi di morosità e di insolvenza provocò un aumento dei premi per il rischio sugli strumenti finanziari collegati ai subprime mortgage statunitensi, come le mortgage backed securities (MBS) e le collateralized debt obbligation (CBO) diffusi in numerosi portafogli di intermediari finanziari sia americani che europei28.

In seguito, ci fu l’abbassamento del rating che generò perdite in tali strumenti, contagiando successivamente anche le altre tipologie di prodotto e derivati creditizi; tutto questo comportò l’illiquidità dei mercati e la difficile identificazione e quantificazione delle perdite connesse al rischio di credito. Di conseguenza i mercati interbancari e obbligazionari furono paralizzati da un clima di profonda incertezza e i mercati azionari divennero oggetto di scambi da parte delle banche e anche da altri intermediari finanziari. Nonostante le varie iniezioni di liquidità da parte dei governi la crisi di fiducia esplose soprattutto nei rapporti interbancari, perché le banche ormai avevano timore ad offrire denaro all’interno del circuito interbancario a causa della scarsa affidabilità delle controparti29.

In particolare, gli interventi pubblici per il salvataggio dei sistemi bancari misero a dura prova le finanze pubbliche e successivamente le tensioni registrate in Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna diedero luogo ad una forte volatilità nel mercato dei titoli di stato. Difatti i mercati finanziari iniziarono a riprezzare il rischio paese, soprattutto per i paesi con significativi problemi fiscali, con un marcato aumento dei rendimenti dei loro titoli di stato e degli spreads dei CDS.

In seguito, la crisi della Grecia produsse una differenziazione dei rendimenti dei titoli di stato, in particolare tra i titoli tedeschi e quelli degli altri paesi europei, perché gli investitori iniziarono a domandare fortemente i titoli tedeschi, francesi, olandesi e austriaci, poiché percepiti più sicuri, spingendo i rendimenti dei paesi del sud Europa a

28F. COLOMBINI, A. CALABRO’, Crisi finanziarie. Banche e Stati, L’insostenibilità del rischio di credito, 2011. 29F. COLOMBINI, A. CALABRO’, Crisi finanziarie. Banche e Stati, L’insostenibilità del rischio di credito, 2011.

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livelli talmente bassi da far scoppiare un attacco speculativo generato da un contagio del rischio di avversione.

Tuttavia, la fase negativa attraversata tra il 2008 e il 2009, si concluse verso la fine del 2009 grazie all’intervento delle autorità pubbliche che fornendo liquidità sul mercato favorirono la normalizzazione del mercato interbancario e investimenti in attività finanziarie. I piani di salvataggio diedero un nuovo impulso ai titoli azionari, stabilizzando anche i mercati obbligazionari e dei derivati. Pur considerando i vari segnali di ripresa economica che si manifestano rimase comunque incerta la forza di tale ripresa.

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1.4.2. Impatto sulle banche

Dopo la subprime mortgage financial crisis gli interventi pubblici riuscirono a riequilibrare la situazione, ma allo stesso tempo crearono i presupposti per la crisi del debito sovrano che si riflesse soprattutto sui bilanci degli intermediari finanziari, i quali avevano già subito le svalutazioni della crisi dei mutui subprime e si trovarono a fare i conti con le svalutazioni dei titoli pubblici.

Inoltre, a causa dell’ampio ricorso al leverage e allo sviluppo del fenomeno dello shadow banking system le banche riuscirono a raggirare gli obblighi sui requisiti patrimoniali, mediante la costituzione di Special Purpose Vehicle;30tuttavia con la manifestazione della subprime morgage financial crisis, le società veicolo non riuscirono più a soddisfare la loro esigenza di rifinanziamento a breve termine poiché i mercati erano diventati illiquidi. Le banche così furono costrette a far rientrare le attività delle Spv e le enormi perdite registrate nei bilanci, causando pesanti svalutazioni sia sul portafoglio prestiti che sul portafoglio strumenti finanziari, sollevando perdite e fallimenti.

A causa delle contrazioni del Pil e della contrazione della produzione dell’area euro, alle pratiche di erogazione del credito inadeguate in quegli anni, crebbero gli stock di crediti deteriorati nei bilanci delle banche. La presenza di tali crediti nei bilanci delle banche ebbe rilevanti conseguenze, per esempio comportò una minore capacità di raccogliere nuove risorse sul mercato e una compressione degli utili. Nel corso del 2010 l’incidenza delle esposizioni deteriorate nel complesso dei prestiti era mediamente pari al 5,1% per le grandi

30F. COLOMBINI, A. CALABRO’, Crisi finanziarie. Banche e Stati, L’insostenibilità del rischio di credito, 2011. Fonte: www.bancaditalia.it

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banche europee, mentre per le banche italiane si attestava intorno al 15,3 %. Il tasso di copertura delle esposizioni deteriorate era pari al 44,6% per le banche europee e al 48,9% per quelle italiane31. Tuttavia, già dal 2015 la quota dei crediti deteriorati presenti nei bilanci bancari iniziò a diminuire e infatti nel settembre del 2017 la presenza di crediti deteriorati è scesa complessivamente sotto i 200 miliardi.

Per quanto riguarda le svalutazioni che conseguirono dopo la subprime mortgage financial crisis fecero emergere l’eccessivo livello di indebitamento assunto dagli intermediari finanziari, evidenziando la loro fragilità patrimoniale. In seguito all’inadeguatezza che emerse riguardo gli asset patrimoniali, molte banche ricorsero a processi di deleveraging per migliorare il rapporto assets/equity. Tuttavia, questi processi si bloccarono con il crollo dei listini azionari, le criticità dei mercati interbancari e la riduzione della liquidità sul mercato.

I ministri dell’Unione Europea e il MEF cercarono un modo per ripulire i bilanci delle banche senza creare ulteriori perdite. Il sistema bancario americano venne sottoposto ai controlli sia dalla Federal Reserve sia dalla securities and exchange commission, mentre il sistema bancario europeo fu sottoposto ai controlli delle autorità di vigilanza dei singoli paesi e la condotta della politica monetaria venne affidata alla European Central Bank.

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1.5 La nascita dell’Unione Bancaria

In seguito alle crisi finanziarie che si sono manifestate è emersa le fragilità del sistema bancario, ponendo in evidenza soprattutto gli errori e le carenze della regolamentazione prudenziale, della supervisione bancaria e dell’apparato normativo istituzionale di gestione della crisi, mostrando anche le criticità da parte degli intermediari nella gestione del rischio. Contemporaneamente i mercati e gli intermediari finanziari si sono trovati impreparati di fronte alla complessità degli eventi che si sono manifestati ed i processi di analisi, l’interpretazione dei fenomeni e l’azione di intervento si sono dimostrati tardivi ed inadeguati.

In generale, sono emerse le criticità dell’approccio applicato prima della crisi che si fondava sull’efficienza del libero mercato e sulle sue capacità autocorrettive in caso di squilibri32. Tale approccio non prevedeva l’intervento pubblico, ma gli interventi a salvataggio delle banche si sono dimostrati necessari nel momento in cui si è visto che la crisi stava assumendo proporzioni sistemiche. Infatti, l’Unione Europea è intervenuta per salvaguardare l’unità della zona euro e l’integrità dei bilanci statali con l’approvazione di misure straordinarie di salvataggio delle economie in crisi mediante la costituzione di fondi, quali: l’European Financial Stability Facility e l’European Financial Stabilisation Mechanism, oggi denominato European Stability Mechanism, e l’erogazione di prestiti per consentire ad alcuni Paesi come la Grecia, l’Irlanda e il Portogallo di non andare in default. In seguito alla manifestazione della crisi si è capito fosse necessario armonizzare al massimo la gestione della crisi a livello europeo ed accentrare le funzioni di vigilanza bancaria. Per questo motivo nasce l’Unione Bancaria, come risposta normativo istituzionale alle crisi bancarie e ai gravi fenomeni recessivi dell’economia che hanno interessato i paesi occidentali, in cui la crisi bancaria si è associata a quella del debito sovrano in un circolo vizioso che ha prodotto danni incommensurabili all’economia e ai cittadini.

È stato perciò necessario costituire un sistema di supervisione unico per contribuire ed evitare che tutto ciò si potesse ripetere favorendo l’adozione delle migliori prassi di

32 G. BOCUZZI, L’Unione Bancaria europea. Nuove istituzioni e regole di vigilanza e di gestione della crisi bancarie. Bancaria Editrice, 2015.

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vigilanza e spezzando il legame banche-sovrano33. In particolare, nel corso del 2009 il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato la creazione di un sistema europeo di supervisione con l’European System of Financial Supervision, composto da un Comitato Europeo per il Rischio Sistemico che si occupa della supervisione macroprudenziale, e da tre Autorità di supervisione microprudenziale (European Supervisory Authorities), distinte per settore di intermediazione: bancario, mobiliare, assicurativo.

Quindi l’Unione bancaria rappresenta un passo importante verso un’autentica unione economica e monetaria. Inoltre, le procedure e gli strumenti decisionali di nuova introduzione aiutano a creare un mercato bancario più trasparente, unificato e più sicuro.34 In particolare, esso mira a raggiungere obiettivi specifici come per esempio rompere il legame tra il debito sovrano e il rischio bancario, attenuare la frammentazione del mercato bancario europeo date le differenze accentuate nelle condizioni di accesso ai mercati finanziari che ha fatto da ostacolo all’efficacia della politica monetaria, per facilitare la comparazione tra banche e sistemi bancari dei differenti paesi europei ed infine per adeguare l’assetto e le regole della supervisione bancaria ai rilevanti cambiamenti nei sistemi bancari.

Nello specifico lo scopo era quello di stabilire un sistema di controlli comuni sia nell’architettura che nei metodi, cercando di uniformare il livello territoriale a cui fa riferimento la responsabilità per la supervisione con quella per la risoluzione della crisi35. Essa si compone, inoltre, di tre pilastri; per quanto riguarda il primo è rappresentato dal meccanismo di vigilanza unico, che venne costituito come risposta sul versante dei controlli sulla finanza privata, e dunque sulle banche; consiste in un processo di intensificazione dei vincoli europei, affidato alla Banca Centrale Europea e alle autorità di vigilanza nazionali. In particolare, alla BCE sono stati assegnati dei compiti come la vigilanza diretta sulle banche dei paesi dell'area euro e di altre economie europee aderenti, significando il passaggio di tutti i compiti di vigilanza riguardo la stabilità sulla sana e prudente gestione e tutte le attività connesse di vigilanza ispettiva, informativa e sanzionatoria delle singole banche in capo alla BCE. Inoltre, le sono state affidate responsabilità relative al rilascio

33 L.SIGNORINI, L’Unione Bancaria, Banca d’Italia, Audizione del Direttore Centrale per la Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, Senato della Repubblica, 2012.

34 Fonte: www.bankingsupervision.europa.eu.

35 G. BOCUZZI, L’Unione Bancaria europea. Nuove istituzioni e regole di vigilanza e di gestione della crisi bancarie. Bancaria Editrice, 2015

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dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria, l'acquisizione di partecipazioni rilevanti nel capitale delle banche, la conformità ai requisiti patrimoniali e di leva finanziaria e liquidità, nonché la vigilanza sui conglomerati finanziari.

Per quanto concerne il potere di intervento tempestivo, anch’esso fu affidato alla BCE, con il compito di intervenire nel caso in cui una banca violi o rischi di violare i requisiti patrimoniali chiedendo alla stessa di adottare misure correttive, agendo in coordinamento con le autorità nazionali di risoluzione delle crisi36.

Alle Autorità di Vigilanza Nazionali, invece, è stato affidato il compito di eseguire attività di supervisione a livello nazionale e sono stati affidati i compiti di istruttoria e operativi nell'ambito del Meccanismo di risoluzione unico europeo delle banche in crisi con l'obiettivo di preservare la stabilità finanziaria dell'area dell'euro37.

In ultimo, per quanto riguarda il processo di consolidamento istituzionale, esso viene accompagnato da un corpus comune di regole, chiamato single rulebook, ossia un sistema di regole armonizzato per tutte le banche aderenti, riguardante le materie di vigilanza, di risanamento e di risoluzione delle banche e dell’assicurazione dei depositi. Suddetto corpus di regole assume cruciale importanza per evitare il verificarsi di vuoti e carenze regolamentari, garantendo allo stesso tempo un level playing field per le banche e un più efficace funzionamento del mercato unico.38

In conclusione, l’Unione Bancaria ha rappresentato un consolidamento strategico volto a rafforzare la regolamentazione prudenziale e ridurre il verificarsi della probabilità di default e la loss given default del settore bancario nel suo insieme.

36Fonte: www.consob.it.

37Fonte: www.bankingsupervision.europa.eu.

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1.6 L’evoluzione della vigilanza bancaria in ambito europeo

L’avvio del progetto dell’Unione bancaria è stato affiancato ad un rilevante processo di consolidamento e di internazionalizzazione del settore bancario a livello Europeo, che ha dato avvio a profondi cambiamenti degli assetti organizzativi, operativi e distributivi degli intermediari. In particolare, il rafforzamento dei modelli di regolamentazione e l’assetto dei controlli sugli intermediari finanziari e sui mercati finanziari avvenne per far fronte agli eventi manifestati con la crisi, come per esempio l’opacità dei bilanci e il successivo deterioramento del capitale primario o ancora il fenomeno dello shadow banking. Quindi, fu necessario rendere maggiormente comparabile la base informativa comune per permettere l’esercizio del comprehesive assessment sui bilanci delle maggiori banche dell’eurozona.

Poiché a seguito della crisi emerse un deterioramento della qualità del capitale bancario le banche iniziarono un processo approfondito di analisi del capitale, per garantire un’adeguata capitalizzazione affinché le banche fossero in grado di resistere a possibili shock finanziari che si sarebbero potuti manifestare più avanti. Vennero quindi effettuate valutazioni esaustive in modo regolare sulle banche significant, controllate direttamente dalla BCE, e se risultassero circostanze specifiche venivano effettuate valutazioni ad hoc. Nello specifico, tale operazione si compone di un asset quality review, che consiste innanzitutto in una revisione della qualità degli attivi allo scopo di verificare se il capitale “di migliore qualità” (CET1) delle banche è adeguato a fronteggiare la rischiosità dei vari attivi. Tuttavia, una volta conclusa la valutazione approfondita la vigilanza bancaria della BCE ha continuato ad intensificare la propria attività di vigilanza sugli NPL. In particolare, l’adeguatezza veniva valutata rispetto ad un requisito dell’8 %, più elevato sia rispetto al minimo regolamentare del valore del 4,5% sia rispetto al margine di conservazione del capitale pari al 7%39.

Per quanto riguarda il Comprehensive Assessment, esso include anche due simulazioni relative a scenari ipotetici, le c.d. “prove di resistenza”, ovvero gli stress tests, per verificare quanto un eventuale drastico peggioramento del primo scenario avrebbe potuto riflettersi

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sulla condizione delle banche e quale sovrappiù di capitale sarebbe in tal caso necessario per preservare un adeguato grado di capitalizzazione. Difatti, lo stress test ipotizza per ciascun paese due scenari: uno di base e uno avverso, appositamente costruito in modo da costituire una vera prova di resistenza delle banche a situazioni estreme. Lo scenario di base prende in considerazione un pil ripreso dalle previsioni della Commissione europea formulate nell’anno precedente, per quanto riguarda lo scenario avverso, invece, ipotizza una caduta del PIL reale nel triennio futuro di quasi sei punti percentuali rispetto alle previsioni dello scenario di base. Infine, viene effettuato il join-up, ovvero l’aggregazione delle prime due prove ed in base agli esiti la Bce può chiedere alle banche di ripianare il capitale mancante con interventi straordinari.

Per quanto riguarda l’assetto della vigilanza, esso subì un’intensa revisione relativamente alle regole, ai controlli e alle istituzioni; difatti l’assetto diventa sia di tipo micro-prudenziale sia macro-micro-prudenziale; per quanto riguarda il primo tale compito è stato affidato all’European System of Financial Supervision (ESFS), composta da tre organismi di vigilanza: l’European Banking Autority, che vigila sui supervisori nazionali delle banche e sostituisce il precedente Comitato delle Autorità europee di Vigilanza bancaria, l’European Insurance Autority, che vigila sui Supervisori nazionali delle assicurazioni, ed infine l’European Securities Autority, che vigila sui Supervisori nazionali dei mercati. In particolare, l’EBA, l’ESA e l’EIA comunicano periodicamente informazioni sugli sviluppi micro-prudenziali. Nello specifico, le loro competenze riguardano per esempio l’intervento giuridicamente vincolante tra le autorità nazionali di vigilanza, l’attuazione di norme di vigilanza vincolanti, l’adozione di decisioni tecniche vincolanti rivolta a specifici intermediari e la collaborazione obbligatoria con l'European Systemic Risk Council per assicurare un'adeguata vigilanza macro-prudenziale e una forte funzione di coordinamento in situazioni di crisi.

Per quanto riguarda la natura macro-prudenziale che l’assetto di vigilanza assume rappresenta la più importante innovazione del nuovo disegno istituzionale. In questo caso la funzione macro è stata affidata all’European Systemic Risk Board (ESRB), che si occupa del presidio dei rischi di natura sistemica, e ha il compito di condurre analisi sul sistema

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finanziario europeo, segnalare le aree di rischio (risk warnings) e formulare raccomandazioni per interventi correttivi da realizzare a livello europeo o nazionale.40 Venne, inoltre, creato un forum con lo scopo di vigilare sui conglomerati finanziari, sugli aspetti contabili e di audit, sulle misure di antiriciclaggio, sui prodotti di investimento retail, sull’analisi micro-prudenziali degli sviluppi intersettoriali ed infine sui rischi ed eventuali vulnerabilità per la stabilità finanziaria. Tale forum assume la denominazione di Joint Committee ed ha lo scopo di garantire la cooperazione tra le autorità di vigilanza, assicurando un continuo scambio di informazioni ed una coerente prassi di vigilanza. Non essendo attribuiti all’ESRB poteri diretti di enforcement, essa agisce attraverso le altre autorità europee e nazionali41.

La nuova architettura della vigilanza secondo il progetto di Larosière segnò un passaggio dai tradizionali principi di collaborazione e coordinamento tra le autorità nazionali ad una logica di accentramento delle funzioni di vigilanza tra i paesi membri dell’area euro. Venne attuata, inoltre, un’integrazione tra l'Autorità sovranazionale, la Banca centrale europea (BCE) e le autorità nazionali di vigilanza, operanti in stretta cooperazione ed obbligate a scambiarsi informazioni.

Nello specifico, le modalità pratiche di cooperazione tra la Banca centrale europea e le Autorità nazionali di vigilanza sono state stabilite dal regolamento della BCE noto come regolamento quadro sull'SSM, che inoltre specifica i diritti e gli obblighi dei soggetti vigilati42. Inoltre, la BCE è responsabile del funzionamento complessivo del Meccanismo di Vigilanza Unico e vigila in stretta cooperazione con le Autorità nazionali di vigilanza, su tutte le banche significant dell’area euro, ed in particolare sulle grandi banche di importanza sistemica.

Per quanto riguarda i compiti di vigilanza in capo alla BCE vengono svolti da un Consiglio di Vigilanza appositamente istituito, inoltre essa elabora un Manuale Unico di Vigilanza, cercando di realizzare una convergenza tra le metodologie e le prassi di vigilanza, i processi operativi, le procedure e le metodologie di supervisione delle banche e le procedure di cooperazione tra il SSM e le autorità di vigilanza UE. Il Manuale descrive quindi i processi

40Fonte: www.esrb.europa.eu.

41 G. BOCUZZI, L’Unione Bancaria europea. Nuove istituzioni e regole di vigilanza e di gestione della crisi bancarie. Bancaria Editrice, 2015.

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operativi, le procedure e le metodologie di supervisione dell’SSM con riferimento a tutte le banche, sia quelle vigilate in forma centralizzata, sia quelle minori43.

Perciò grazie al consolidamento della normativa europea in tema di mercati finanziari, emittenti e società di rating, c’è stato un rafforzamento dell’attività di vigilanza per l’attività di regolamentazione e controllo, da un punto di vista sia delle risorse umane che organizzativo.

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CAPITOLO DUE

Evoluzione della disciplina europea in risposta alla crisi

2.1 Le nuove regole di gestione delle crisi bancarie

La nuova disciplina europea di gestione della crisi è contenuta nella direttiva sul risanamento e risoluzione delle banche.44 La direttiva è stata formulata dal Financial stability board con lo scopo di ridurre l’impatto del fallimento delle istituzioni finanziarie sistematicamente rilevanti, incluse le holding e le compagnie appartenenti.

In particolare, la Bank Recovery and Resolution Directive introduce nuove procedure e strumenti a seguito delle problematiche che hanno interessato le banche durante la crisi finanziaria che ha coinvolto la Grecia e il resto dei paesi dell’Eurozona per evitare gravissimi problemi del settore bancario e per gestirli al meglio. Nello specifico l’introduzione di tali strumenti ha permesso alle autorità di intervenire in modo sufficientemente precoce e rapido in un ente in crisi o in dissesto, al fine di garantire la continuità delle funzioni finanziarie ed economiche essenziali dell’ente, riducendo al minimo l’impatto sull’economia e sul sistema finanziario45. Pertanto, i nuovi poteri attribuiti alle autorità hanno consentito di ripartire le perdite in modo equo e prevedibile, permettendo anche la continuità all’accesso dei depositi e alle operazioni di pagamento, o anche la possibilità di vendere rami sani dell’ente se necessario.

Perciò tali obiettivi hanno contribuito ad evitare la destabilizzazione dei mercati finanziari ed a ridurre al minimo i costi per i contribuenti46. Proprio per questo motivo già durante la fase di operatività della banca le autorità di risoluzione si devono adoperare nel predisporre piani di risoluzione, nel caso in cui si verifichino i primi segnali di crisi e divenga necessario attuare eventuali azioni o strategie.

In particolare, l’obiettivo principale della nuova disciplina è la prevenzione in riferimento all’ordinaria attività bancaria ed agli stadi iniziali delle situazioni di difficolta. Infatti

44Direttiva del 2014/59/UE del Parlamento europeo e del consiglio del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica le direttive precedenti. La direttiva è entrata in vigore dal 1° gennaio 2015, ad eccezione della parte relativa al bail in resa operativa il 1° gennaio 2016.

45E. GAUDENZI, Il bail in: il recepimento della direttiva europea 2014/59/UE, Primiceri Editore, 2016. 46 Fonte: www.bankingsupervision.europa.eu.

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l’elemento innovativo più significativo della nuova disciplina risiede nel non limitarsi a disciplinare l’evento patologico della crisi nella fase ultima di manifestazione, ma di configurare la crisi come un processo di deterioramento che si sviluppa nel tempo, attraverso più fasi che devono essere adeguatamente e tempestivamente individuate e governate dalle strutture interne e dai competenti organi societari dell’impresa bancaria e dalle autorità preposte alla vigilanza e alla risoluzione47; difatti la crisi dell’impresa bancaria difficilmente si manifesta all’improvviso, ma solitamente è il risultato di una molteplicità di cause, che possono essere interne o esterne all’impresa, e può assumere diverse forme di manifestazione, che sono per esempio carenze di capitale, illiquidità o perdite di gestione. Il management bancario e l’autorità di vigilanza devono quindi essere in grado di percepire per tempo l’andamento e la gravità della situazione. Inoltre, alle banche e alle autorità vengono riconosciuti specifici strumenti per poter conseguire questo obiettivo di prevenzione; difatti il perseguimento di tale obiettivo si articola in tre fasi: la prima fase riguarda la fase di preparazione e prevenzione, ossia l'insieme delle attività svolte nei confronti di una banca o un gruppo bancario, allo scopo di evitare o ridurre le probabilità di default; la seconda fase, invece, consiste negli interventi messi in atto dalle Autorità di vigilanza per rimediare tempestivamente ai problemi che si manifestano in particolari aree delle banche o in situazioni tecniche; infine nell’ultima fase, che consiste nella risoluzione, è intesa come l’insieme degli strumenti volti alla riorganizzazione e ristrutturazione della banca.

Quindi il nuovo quadro della gestione bancaria si differenzia dal vecchio, in quanto la vecchia normativa prevedeva che si intervenisse per gestire la crisi solo nel momento in cui l’istituto si trovava già in una fase di grave criticità, mediante l’utilizzo di strumenti quali: l’amministrazione controllata e la procedura di liquidazione coatta amministrativa. Nello specifico l’amministrazione controllata veniva applicata solo quando si presentavano gravi irregolarità nell’amministrazione, gravi violazioni delle disposizioni fondamentali per la regolare gestione dell’attività. Tutto ciò portava alla liquidazione coatta amministrativa, poiché gli istituti si trovavano già in una fase irreversibile.

Pertanto, si tratta di un sistema di regole più efficace per quanto riguarda il trattamento sia dei fallimenti bancari a livello nazionale sia delle insolvenze delle banche operanti cross

47 G. BOCUZZI, L’Unione Bancaria europea. Nuove istituzioni e regole di vigilanza e di gestione della crisi bancarie, Bancaria Editrice.

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border48. Inoltre, uno dei cambiamenti più rilevanti della nuova disciplina riguarda la gestione delle crisi di gruppo, la quale richiede la partecipazione da parte di tutte le autorità interessate alla gestione di tutte le diverse fasi della crisi. 49

Oltre alla definizione di un nuovo sistema di regole e strumenti per il trattamento delle crisi bancarie, la direttiva stabilisce una gestione a livello nazionale delle risoluzioni bancarie affidandola alla Resolution Authority, ovvero un’autorità pubblica amministrativa indipendente individuata dagli Stati Membri. Tale ruolo poteva essere attribuito o ad una autorità già esistente, in questo caso però era necessario non implicasse la nascita di conflitti di interesse per l’assunzione di tale ruolo, o ad una nuova autorità, e in tal caso era molto importante che essa stabilisse un buon rapporto di collaborazione con le altre autorità. In Italia tali poteri sono stati assegnati alla Banca d’Italia, alla quale viene assegnato il compito di intervenire tempestivamente, evitando il default dell’ente in crisi e gestendo la fase di risoluzione. Inoltre, il sistema di risoluzione si avvale di un Fondo di Risoluzione (Single Resolution Fund), formato dai contributi di tutte le banche. Mentre, all’Autorità di risoluzione sono stati affidati dei nuovi strumenti di risoluzione di due tipologie: la prima tipologia opera attraverso la cancellazione dei debiti mediante: la costituzione di un ente ponte, la separazione tra una bad bank e una good bank ed infine la vendita dell’attività d’impresa. La seconda soluzione, invece, consiste nella conversione dei debiti in capitale interno, parliamo di una sorta di salvataggio interno, si tratta del Bail in; tale strumento consiste in una svalutazione delle azioni e dei crediti della banca al fine di convertirli in azioni, permettendo così di ricapitalizzare la banca e far fronte alle perdite.

In particolare, il meccanismo delle Bad Bank viene utilizzato per eliminare i crediti deteriorati (NPL) presenti nei bilanci delle banche e la BCE ha delineato delle linee guida per la gestione degli NPL, ha definito inoltre delle strategie, degli obiettivi e delle scadenze per la riduzione e l’eliminazione degli NPL dalle banche che si caratterizzavano per un elevata presenza di tali crediti50.

In sintesi, le novità apportate dalla disciplina europea hanno permesso di richiamare le banche per assicurare e rafforzare la tutela dei risparmiatori con riguardo alla gestione delle crisi bancarie e gli obblighi di diligenza, trasparenza e correttezza, applicabili nell’attività di collocamento dei prodotti finanziari che possono essere sacrificati in caso di risoluzione.

48 G. BOCUZZI, L’Unione Bancaria europea. Nuove istituzioni e regole di vigilanza e di gestione della crisi bancarie, Bancaria Editrice, 2015.

49 Autorità di risoluzione della crisi a livello di gruppo e l’Autorità di risoluzione dei paesi comunitari, Autorità di vigilanza dei paesi coinvolti, i Ministeri competenti, l’EBA.

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2.2.

Il Single Resolution Mechanism

Con il nuovo quadro normativo relativo alla gestione delle crisi bancarie sono stati attribuiti nuovi poteri e strumenti alle autorità di risoluzione nazionali e sono stati istituiti nuovi fondi di risoluzione delle crisi su base nazionale. Di conseguenza, il nuovo assetto ha fatto sicuramente un passo in avanti rispetto al precedente, tuttavia, nonostante i continui progressi, non è stato ritenuto idoneo dagli Stati Membri, poiché le collaborazioni e il coordinamento tra le autorità nazionali non sono state ottimali, soprattutto per quanto riguarda l’ambito delle gestioni delle insolvenze di grandi dimensioni e con operatività cross border. Questo ha portato all’istituzione del Meccanismo di Risoluzione Unico, responsabile della risoluzione di tutte le banche negli Stati membri partecipanti all’Unione bancaria; in particolare fanno parte del SRM l’insieme delle autorità nazionali di risoluzione e il Single Resolution Board (SRB); quest’ultimo è l’Autorità di risoluzione per le banche e per gli altri gruppi transfrontalieri di una certa rilevanza all’interno dell’Unione bancaria. In particolare, la missione del Comitato unico di risoluzione è garantire una risoluzione ordinata delle banche in dissesto, con un impatto minimo sull’economia reale e sulle finanze pubbliche degli Stati membri partecipanti all’Unione bancaria. Le autorità nazionali di risoluzione, invece, sono direttamente responsabili di tutte le banche che non sono sotto la competenza diretta dell’SRB51.

In particolare, il Meccanismo di Risoluzione Unico ha la responsabilità di gestire in via accentrata la crisi bancaria della zona Euro e va a completare del tutto la vigilanza del settore creditizio con il contributo delle autorità di risoluzione nazionali, affiancata da un Single Bank Resolution Fund, costituito con risorse corrisposte dalle banche dei paesi che vi partecipano52.

Nello specifico, il buon funzionamento del SRM è affidato al Comitato di Risoluzione Unico, il quale è composto da: un presidente, quattro membri eletti a tempo pieno e da dei rappresentanti delle Autorità di risoluzione nazionali, che hanno diritto di voto; infine vi partecipano in qualità di osservatori permanenti anche dei rappresentanti dalla

51 Fonte: www.srb.europa.eu.

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Commissione Europea e della BCE. È proprio tale comitato a decidere con quale modalità fronteggiare l’eventuale crisi, adottando un piano di risoluzione; inoltre, può anche impartire direttive, che saranno poi attuate dall’Autorità di risoluzione nazionale, che utilizzerà tutti i poteri e gli strumenti a sua disposizione per applicarle.

Una volta stabilito che una banca soddisfa le condizioni previste per la risoluzione, il Single Resolution Board adotterà un programma di risoluzione che stabilisce lo strumento di risoluzione da applicarsi e, ove necessario, l’utilizzo dell’Single Resolution Fund. Nel caso in cui l’azione di risoluzione preveda anche l’uso del fondo di risoluzione unico o la concessione di aiuti di Stato, il programma di risoluzione è adottato successivamente all’adozione da parte della Commissione Europea di una decisione positiva o condizionale riguardo alla compatibilità di tale aiuto con il mercato interno.

Le autorità nazionali di risoluzione competenti sono coinvolte attivamente nella preparazione e adozione del programma di risoluzione. Dopo aver adottato il programma di risoluzione, l’SRB lo invia alla Commissione. Il programma può entrare in vigore solo se, entro il termine di 24 ore, non siano sollevate obiezioni da parte della Commissione Europea o del Consiglio dell’Unione europea. Se approvato dalla Commissione Europea, il programma entra in vigore. Tuttavia, se la Commissione contesta determinati aspetti del programma, il SRB lo modifica di conseguenza, dopodiché viene approvato ed entra in vigore53.

In via alternativa, la Commissione Europea può proporre al Consiglio dell’Unione Europea le proprie contestazioni al programma per mancanza di interesse pubblico o per la richiesta di modifiche sostanziali all’utilizzo dell’Single Resolution Fund. Nel caso di contestazioni al programma da parte del Consiglio dell’Unione Europea in quanto privo di interesse pubblico, la banca sarà sottoposta a liquidazione ordinata in conformità della legislazione nazionale. Qualora il Consiglio dell’Unione europea approvi la modifica all’uso dell’Single Resolution Fund, il SRB adegua il programma di conseguenza, dopodiché viene approvata ed entra in vigore. Nel caso di rigetto della proposta della Commissione Europea da parte del Consiglio dell’Unione europea, il programma entra in vigore nella versione iniziale54.

53 Fonte: www. srb.europa.eu. 54 Fonte: www. srb.europa.eu.

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