C
ORSO DIL
AUREAM
AGISTRALE INI
NGEGNERIAM
ECCANICAD
IPENDENZA DEL MODULO ELASTICO DALLA
DEFORMAZIONE PLASTICA NEGLI ACCIAI DA COSTRUZIONE
T
ESI DIL
AUREACANDIDATO: RELATORI:
FRANCESCO CLABASSI PROF. M.BEGHINI
PROF. B.D.MONELLI
DOTT. M.BARSANTI
Abstract
This work main subject is to produce a constitutive law for AISI 4140, a steel commonly employed in Oil&Gas sector, using elastic modulus measurements obtained by vibrometrica analysis, which allows achieving higher precision levels than common tensile tests. Secondary subjects are drafting a repeatable and reliable measure method, capable of ensure statistically precise and significant measures, and estimating the effects of temperature on elastic modulus measurements. Finally, using Yoshida-Uemori model, a constitutive law for tested material was proposed.
Elastic Modulus dependency on plasticity is a phenomenon that was found in several metallic materials. Recently it was the subject of many researches typically in automotive sector and stamping process because the adoption of new high performance steels, such as AHSS, has made constitutive models for simulating the springback of pressed components very crucial for good results.
Actually, this phenomenon could be relevant in other applications even outside automotive sector: for example in the pressure vessels industry and in particular the autofrattage technology developed to achieve better performances in fatigue strength. Typically, in this field Bauschinger effect is well known and discussed, nevertheless ignoring elastic modulus dependency on plasticity lead to overestimate fatigue strength.
Sintesi
Questa tesi si pone l’obiettivo principale di caratterizzare un particolare acciaio da costruzione usato comunemente nel settore Oil&Gas, l’AISI 4140, a partire dalla misurazione del modulo elastico con tecnica
vibrometrica poiché questa consente
precisioni maggiori di quelli ottenibili con la macchina di trazione. Obiettivi secondari sono stati quelli di redigere un metodo di misura ripetibile e affidabile, in grado di assicurare misure statisticamente precise e significative, e di stimare l’effetto della temperatura sulle misure del modulo elastico
per verificarne l’attendibilità. Infine,
partendo dal modello Yoshida-Uemori, è stata proposta una legge costitutiva del materiale.
La dipendenza fra modulo elastico e plasticità è un fenomeno riscontrato in diversi materiali metallici già da tempo. Negli ultimi anni tuttavia è stata argomento di numerose ricerche specialmente nel settore automotive, tipicamente in applicazioni di formatura di particolari, poiché l’utilizzo crescente di acciai ad alte performance, come gli AHSS, ha reso cruciale affinare i modelli costitutivi dei materiali per poter simulare correttamente il ritorno elastico (springback) dei particolari stampati.
In realtà tale fenomeno può avere rilevanza anche in altre applicazioni, non appartenenti al mondo automotive: un esempio più essere il settore dei cilindri in pressione ed in particolare lo studio
dell’autoforzamento (autofrettage) dei
cilindri in pressione per migliorarne la resistenza a fatica. Tipicamente in questo ambito è noto e dibattuto l’effetto Bauschinger, ciò nonostante trascurare la variazione di modulo elastico con la plasticità non è consigliabile in quanto porta a sovrastimare la resistenza a fatica.
INDICE
1 Introduzione ... 1
2 Letteratura ... 5
3 Dettagli sulle prove sperimentali ... 11
3.1 Norma di riferimento ...11
3.2 Cenni sull’elaborazione statistica dei dati...13
3.3 Materiali...14
3.3.1 Denominazione del materiale e definizione proprietà ... 14
3.3.2 Definizione del provino di trazione ... 15
3.3.3 Definizione del provino per prova vibrometrica ... 17
3.4 Apparato Sperimentale ...19
3.4.1 Macchina di trazione ... 19
3.4.2 Bilancia di precisione ... 20
3.4.3 Strumenti per la misurazione delle dimensioni lineari ... 20
3.4.3.1 Micrometri (serie 0 ÷ 25 mm e serie 50 ÷ 75 mm)...20
3.4.3.2 Macchina di misura a coordinate numeriche ...21
3.4.4 Calibro ventesimale ... 22
3.4.5 Attrezzatura per le prove in temperatura ... 23
3.4.5.1 Pistola termica ...23
3.4.5.2 Scatola termica ...23
3.4.6 Termocoppia ... 26
3.4.7 Strumentazione vibrometrica ... 26
3.4.7.1 Vibrometro laser ...26
3.4.7.2 Controller del vibrometro ...26
3.4.7.3 Scada ...26
3.4.7.4 Test Lab...26
3.4.7.5 Martello sensorizzato ...26
3.4.8 Dispositivi di protezione individuale ... 27
3.4.9 Immagini dell’apparato sperimentale per l’analisi vibrometrica ... 28
3.5 Metodologia ...31
3.5.1 Misurazione della massa ... 32
3.5.2 Misurazione delle dimensioni lineari ... 33
3.5.2.1 Misurazione mediante micrometri (serie 0 ÷ 25 mm e serie 50 ÷ 75 mm) ...33
3.5.3 Esecuzione della prova vibrometrica ... 36
3.5.3.1 Set-up iniziale del programma di acquisizione delle misurazioni ImpactTesting® ... 38
3.5.3.2 Prova vibrometrica a temperatura ambiente... 39
3.5.3.3 Prova vibrometrica a temperatura imposta ... 41
3.5.3.4 Prova vibrometrica a temperatura ambiente su barrette di metalli puri ... 42
4 Analisi dei dati sperimentali ... 45
4.1 Evoluzione temporale dei risultati della prima serie di provini ... 45
4.1.1 Dati raccolti tramite misurazioni manuali ... 46
4.1.1.1 Provino “1 EL” ... 46 4.1.1.2 Provino “2 EL” ... 48 4.1.1.3 Provino “1 PL” ... 49 4.1.1.4 Provino “2 PL” ... 51 4.1.1.5 Provino “3 PL” ... 52 4.1.1.6 Provino “4 PL” ... 54
4.1.2 Evoluzione temporale dei risultati ottenuti tramite misurazioni manuali ... 55
4.1.2.1 Provino “1 EL” ... 56 4.1.2.2 Provino “2 EL” ... 59 4.1.2.3 Provino “1 PL” ... 61 4.1.2.4 Provino “2 PL” ... 63 4.1.2.5 Provino “3 PL” ... 65 4.1.2.6 Provino “4 PL” ... 67
4.1.3 Analisi dell’evoluzione temporale dei risultati ottenuti tramite misurazioni manuali ... 69
4.1.4 Dati raccolti tramite macchina di misura computerizzata (CMM) ... 72
4.1.4.1 Provino “1 EL” ... 72 4.1.4.2 Provino “2 EL” ... 73 4.1.4.3 Provino “1 PL” ... 74 4.1.4.4 Provino “2 PL” ... 74 4.1.4.5 Provino “3 PL” ... 75 4.1.4.6 Provino “4 PL” ... 76
4.1.5 Evoluzione temporale dei risultati ottenuti tramite l’utilizzo della CMM ... 77
4.1.5.1 Provino “1 EL” ... 77 4.1.5.2 Provino “2 EL” ... 78 4.1.5.3 Provino “1 PL” ... 78 4.1.5.4 Provino “2 PL” ... 79 4.1.5.5 Provino “3 PL” ... 79 4.1.5.6 Provino “4 PL” ... 80
4.1.6 Analisi dell’evoluzione temporale dei risultati ottenuti tramite l’utilizzo della CMM ... 81
4.2 Relazione fra modulo di Young e la temperatura ...82
4.2.1 Modello previsionale della durata del transitorio in riscaldamento ... 84
4.2.2 Dati raccolti ... 86 4.2.2.1 Provino “1 EL” ...86 4.2.2.2 Provino “2 EL” ...87 4.2.2.3 Provino “1 PL” ...87 4.2.2.4 Provino “2 PL” ...88 4.2.2.5 Provino “3 PL” ...88 4.2.2.6 Provino “4 PL” ...89 4.2.3 Risultati ... 89
4.2.4 Elaborazione dei risultati e conclusioni ... 92
4.3 Relazione fra modulo di Young e deformazione plastica ...94
4.3.1 Prima serie di provini ... 94
4.3.1.1 Dati raccolti ...94
4.3.1.2 Risultati ...95
4.3.1.3 Stime del modulo di Young ...96
4.3.2 Seconda serie di provini ... 97
4.3.2.1 Dati raccolti ...98 4.3.2.1.1 Provino “1” ... 98 4.3.2.1.2 Provino “2” ... 99 4.3.2.1.3 Provino “4” ... 101 4.3.2.1.4 Provino “9” ... 102 4.3.2.2 Risultati ... 104
4.3.2.3 Stime del modulo di Young ... 105
4.3.3 Confronto dei risultati di prima e seconda serie di provini ... 107
4.3.4 Applicazione del modello di Yoshida e Uemori ... 109
4.4 Validazione della prova vibrometrica ... 114
4.4.1 Dati raccolti ... 115 4.4.1.1 Provino “1 Al” ... 115 4.4.1.2 Provino “2 Al” ... 116 4.4.1.3 Provino “1 Nb” ... 117 4.4.1.4 Provino “2 Nb” ... 118 4.4.1.5 Provino “1 Ni” ... 119 4.4.1.6 Provino “2 Ni” ... 120 4.4.2 Risultati ... 121
5 Conclusioni ... 123
6 Possibili sviluppi ... 125
Provino “1 EL” ... 127 Provino “2 EL” ... 128 Provino “1 PL” ... 130 Provino “2 PL” ... 132 Provino “3 PL” ... 133 Provino “4 PL” ... 135
Allegato B - Coordinate dei punti acquisiti sui provini della seconda serie 137
Provino “1” ... 137Provino “2” ... 138
Provino “4” ... 140
Provino “9” ... 142
Indice delle figure ... 145
Equazioni... 145
Figure ... 145
Grafici ... 146
Tabelle ... 147
Indice delle fonti ... 151
1 Introduzione
La progressiva diminuzione del modulo elastico E con l’aumentare della deformazione
plastica residua (εp) è un fenomeno rilevato da lungo tempo in diversi materiali, tuttavia è solo
negli ultimi due decenni che è diventato argomento dibattuto con frequenza in ambito ingegneristico. Due sono le cause che hanno acceso l’interesse verso tale argomento, entrambe da riferirsi al settore automotive: l’introduzione ed all’utilizzo di acciai ad alta resistenza di nuova generazione, in gergo definiti AHSS; la necessità di poter simulare in maniera sempre più precisa ed accurata i processi di formatura e stampaggio.
In tutte le applicazioni che hanno a che fare con la plasticità del materiale è da lungo tempo noto e studiato l’effetto Bauschinger, ossia la variazione della superficie di snervamento del materiale con una forte componente di traslazione rigida nello spazio di Haigh-Westergard: questo effetto, che comporta una diminuzione del limite disnervamento in scarico come mostra la figura , da il contributo maggiore, ad esempio, al ritorno elastico dei componenti e alle tensioni residue in un componente pre-plasticizzato.
Tuttavia il raggiungimento di buoni modelli in grado di simulare l’effetto Bauschinger ha evidenziato uno scarto fra simulazione e dati sperimentali tanto maggiore quanto maggiori i livelli di plasticizzazione raggiunti. Dal momento che era nota la tendenza di E a diminuire con la plasticità e che più recenti studi avevano evidenziato diminuzioni importanti in materiali di interesse per le lavorazioni tramite deformazione a freddo, si è iniziato a includere, nei modelli
simulativi anche le leggi costitutive che descrivono la dipendenza di E da εp.
Per chiarire come mai la dipendenza del modulo elastico dalla deformazione plastica possa essere così importante, si faccia riferimento alla formatura di un particolare mediante deformazione plastica: tendenzialmente in queste applicazioni è lecito attendersi grandi deformazioni e quindi di conseguenza il modulo elastico può subire diversi punti percentuali di variazione. Questa diminuzione, assai consistente negli acciai, visto il loro considerevole modulo elastico, ha un risvolto sulla fabbricazione per deformazione plastica: il ritorno elastico (springback). Quanto detto è bene riassunto nel seguente schema.
σ
ε
σY,L
σY,U
Figura 1.1: Schema qualitativo di ciclo di carico-scarico sul piano σ-ε di un materiale che mostra effetto Bauschinger.
Come detto. negli ultimi anni, è sorto un discreto interesse sull’argomento nel settore automotive; tuttavia più recentemente, con la diffusione di vari studi a riguardo, anche in altre applicazioni si è iniziato a porvi attenzione (Zou, Li, Wu, & Peng, 2016), (Zhou, Sun, Kanouté, & Retraint, 2018).
Proprio nel solco di questo rinnovato e diffuso interesse si inserisce la presente tesi che nasce da un precedente lavoro interno all’Università di Pisa (Loffredo, 2018) teso a misurare e modellare l’effetto Bauschinger sull’AISI 4140, acciaio di comune impiego nel settore oil&gas spesso in componenti di cilindri in pressione sottoposti ad autoforzamento (autofrettage). Durante l’elaborazione dei dati provenienti dalle prove cicliche di carico-scarico-ricarico sul materiale è stato notato come il materiale presentasse un modulo elastico variabile, pur non troppo marcatamente, al variare della plasticizzazione accumulata. Una prima ricerca bibliografica aveva segnalato tale fenomeno in molti materiali e pertanto configurava la possibilità che pure nell’AISI 4140 si presentasse effettivamente tale fenomeno; tuttavia la prova di trazione è una tecnica di misura delle proprietà elastiche del materiale molto sensibile ai disturbi sui sensori (celle di carico, estensometri) a causa della ridotto allungamento prodotto sulla porzione di materiale efficaciemente testato. Molto meno sensibile sarebbe una prova di flessione che però nei laboratori dell’Università di Pisa non è disponibile. Inoltre tali prove sono entrambe distruttive e quindi, oltre a richiedere molto tempo, necessitano di molti provini per poter condurre un’indagine che abbia valenza statistica.
Da queste considerazioni è scaturita l’idea di misurare le proprietà elastiche dell’AISI 4140 mediante la tecnica vibrometrica. Dal momento poi che le attrezzature necessarie a tale prova erano già in possesso dell’Università, che esisteva già una normativa a riguardo (ASTM International, 2005) e che una breve ricerca in letteratura aveva riportato come tale tecnica fosse
già stata adoperata per indagare proprio la dipendenza di E da εp (Lems, 1963), (Thibaud,
Boudeau, & Gelin, 2004) non sono emerse criticità tali da ritenere questa strada impercorribile.
Figura 1.2: Schema qualitativo di confronto fra un modello che implementi il solo effetto Bauschinger ed un modello che invece implementi pure la relazione E(ε) rispetto ad un semplice modello elasto-plastico: contributo al ritorno elastico.
σ
ε
No Bauschinger Bauschinger Bauschinger + E(ε) Contributo effetto Bauschinger Contributo variazione di E
La presente tesi ha avuto quindi come obiettivo principale quello di stimare, attraverso la
l’analisi vibrometrica di provini opportunamente pre-plasticizzati, l’andamento di E da εp e
proporre una legge costitutiva implementabile su software. In realtà la volontà iniziale era quella di testare questa metodologia di analisi, mai provata prima in Università, e approntare una metodologia in grado di produrre dati statisticamente validi e precisi ed eventualmente estendibile a lavori futuri anche su altri materiali.
Partendo dalla normativa di riferimento E 1876-01 (ASTM International, 2005) è stato elaborato un metodo più rigorso di quanto richiesto dalla norma stessa in fatto di controllo dimensionale dei provini e ripetizione del numero di acquisizioni della prima frequenza propria. Per far si che questo metodo fosse anche robusto ai disturbi è stato deciso di ripetere le prove in momenti diversi, ad apparecchiature elettroniche accese da tempo e controllando più volte il corretto posizionamento dei provini, anche tramite acquisizione fotografica; inoltre la temperatura ambiente è stata sempre registrata. La precisione così ottenuta è stata tale da far emergere una possibile influenza proprio della temperatura anche per variazioni non troppo consistenti; per questo è stato deciso, pur non essendo stato inizialmente preventivato, un’indagine a temperatura imposta. Da questo studio è emersa una relazione significativa della quale è stato proposto un modello costitutivo preliminare.
Al fianco dell’attività sperimentale è stata affiancata una ricerca bibliografica che ha spaziato su più fronti: da un lato si è voluto verificare se, anche da lavori passati, potesse emergere una qualche spiegazione del fenomeno; dall’altro lato l’attenzione è stata focalizzata a studi più recenti per vagliare l’interesse della comunità scientifica, per verificare se nel campo dell’autoforzamento, o comunque in applicazioni a basso livello di plassticizzazione, fosse stata implementata la dipendenza del modulo di Young dalla plasticità, per ricercare, infine, l’eventuale disponibilità di una legge costitutiva, comprovata e utilizzata, in grado di modellare il fenomeno.
Nel capitolo 2 verrà trattata in maniera diffusa proprio l’analisi bibliografica; in questa sede si ritiene opportuno anticipare come sia stato scelto il modello Yoshida-Uemori per quantificare la variazione di E e che questo abbia portato a ottimi risultati.
Infine è sviluppata una ricerca bibliografica parallela partita dalla discrepanza dei valori di modulo stimati dalle prove statitiche e da quelle dinamiche: queste ultime riportavano valori sistematicamente maggiori di qualche punto percentuale, tipicamente fra il 2 ed il 3 %. Ulteriori prove statitiche condotte presso l’Università di Trento hanno confermato le prove statiche effettuate durante il lavoro di Loffredo (2018), rimarcando quindi la discrepanza emersa. L’argomento è ben noto, tuttavia non vi sono indicazioni precise né tantomeno una spiegazione: ci limitiamo a riportare che se in alcuni lavori sono emerse forti differenze, con le prove dinamiche a indicare sistematicamente valori di E maggiori, in altri lavori invece i risultati non presentano questa sistematicità. Tuttavia, in generale, in letteratura si afferma che valori dinamici più elevati sono un eventualità da tenere in considerazione come molto probabile.
In considerazione di questo è stato deciso di non implementrae direttamente la legge costitutiva presentata in questa tesi. Riflettendo poi sui differenti strain rate che si riscontrano nelle prove statiche e nelle prove dinamiche appare evidente che il processo dell’autoforzamento sia più vicino, proprio per range di strain rate, alle prime.
Ciò nonostante il lavoro di questa tesi non è da considerarsi inutile: in primo luogo perché ha
permesso di provare, con “certezza” statistica e quantificare la relazione che sussiste fra E ed εp,
in secondo ha permesso la formulazione di una metodologia statisticamente efficacie ed efficiente perché non richiede un numero di prove eccessivo. Infine non necessariamente le nuove prove di trazione cicliche previste, sebbene sia stato acquisito un estensometro più preciso, riusciranno a descrivere il fenomeno con una precisione paragonabile a quella raggiunta con le prove dinamiche; pertanto è possibile che il modello che sarà implementato nel calcolatore altro non sia che la legge costitututiva proposta in questa tesi opportunamente modificata per attenersi ai risultati delle prove statiche.
2 Letteratura
Lo scopo di questo capitolo è quello di riportare le conoscenze disponibili sull’argomento al momento in cui è sorta la necessità di una simile ricerca; in particolare vuole evidenziare come la conoscenza attuale non fosse sufficientemente esaustiva e quindi, in ultima istanza, giustificare la ricerca stessa.
Come noto, il fenomeno della variazione del modulo di Young in correlazione del grado di plasticizzazione totale accumulato dal materiale è un argomento che ha trovato notevole risalto negli ultimi decenni, sia in ambito accademico che industriale. La necessità di migliorare l’accuratezza con la quale si prevedono i risultati di lavorazioni per deformazione plastica e la concomitante adozione di acciai avanzati alto-resistenziali (AHSS), soprattutto in campo automotive, hanno spinto a meglio quantificare il fenomeno.
Sono disponili molti articoli e ricerche, spesso in collaborazione o direttamente effettuate da case automobilistiche, che si concentrano molto sul miglioramento delle analisi simulative al calcolatore; diversamente sono pochi gli studi che cerchino di capire i perché del fenomeno.
In realtà il legame fra deformazione plastica e modulo di Young è un aspetto della caratterizzazione dei materiali noto da molto e riscontrato non solo negli acciai bensì anche in altri metalli, sia puri che sotto forma di leghe. Uno degli articoli più datati e citati negli ultimi anni è il lavoro di Lems (1963). Già osservando le citazioni riportate è possibile scoprire come in realtà molti altri studi erano stati condotti sull’argomento e che erano state raggiunte anche interessanti conclusioni. Si ritiene utili riportare sinteticamente i passaggi più importanti.
All’epoca era già noto come la presenza di difetti nel reticolo cristallino comporti una variazione delle proprietà elastiche del materiale; si evidenziano due meccanismi differenti che producono una variazione nelle proprietà elastiche:
il primo, chiamato “bulk effect”, ha un peso poco rilevante (allora stimano nell’ordine dello 0,01 %) ed è legato al disturbo che i vari difetti (vacanze ed atomi interstiziali) esercitano sui legami dei vari atomi del reticolo cristallino. Dienes (1952) misura come la presenza di atomi interstiziali aumenti il valore del modulo elastico mentre la presenza di vacanze ne provochi una diminuzione; propone infine un modello lineare che leghi la presenza di vacanze ed interstiziali alla variazione del modulo elastico. In realtà uno studio successivo di Thompson ed Holmes (1956) non rileva una variazione di modulo elastico anche in presenza di difetti del reticolo prodotti mediante bombardamento neutronico di un monocristallo di rame. Per sintetizzare gli effetti misurabili del “bulk effect” sono troppo piccoli perché allora potessero essere misurati precisamente, tuttavia il loro scarso peso non ha portato ad un approfondimento del tema;
il secondo effetto viene chiamato “non-elastic effects” e riguarda il movimento dei difetti del reticolo cristallino sotto l’applicazione di una tensione, movimento che contribuisce alla deformazione del reticolo stesso. Questa deformazione, chiamata appunto non-elastica, si va a sommare a quella puramente elastica; la deformazione totale, essendo quindi maggiore di quella elastica, porta a sottostimare il modulo elastico del materiale (modulo elastico apparente). Anche questo effetto tuttavia non è molto rilevante nella variazione di modulo elastico in quanto stimabile attorno allo 0.1 %.
Il contributo maggiore alla deformazione non-elastica e quindi alla variazione delle proprietà elastiche era già allora noto venire dalle dislocazioni. Il primo a mostrare come i piccoli spostamenti reversibili delle dislocazioni attivati dall’applicazione di una tensione contribuissero alla deformazione non-elastica del materiale e quindi ad una diminuzione del modulo elastico, è stato Read (1941). Già da allora erano stati proposti diversi modelli per quantificare gli effetti delle dislocazioni. Uno dei modelli al tempo considerati più di successo era quello proposto da Koehler (1952) il quale si basava sul modello continuo elastico delle dislocazioni: questo modello trova analogia con un elastico che si inflette sotto l’applicazione di una forza esterna; in particolare Koehler ha approfondito l’analogia fra la vibrazione di una linea di dislocazione
vincolata agli estremi da due impurità ed il problema delle oscillazioni forzate con smorzamento di un filo. Mott (1952) e Friedel (1953) semplificarono il modello di Koehler trascurando l’attrito interno e considerando soltanto la diminuzione del modulo elastico causata dalla flessione di un segmento di dislocazione. Arrivarono a quantificare la diminuzione quando un cristallo contiene
N segmenti di dislocazioni, ciascuno di lunghezza L: ΔG G⁄ = NL3⁄6
1+ NL3⁄6. Questo modello presenta
il limite di essere valido quando le dislocazioni siano in grado di muoversi sia nel piano di scorrimento che perpendicolarmente ad esse, possibilità riscontrata solo ad elevate temperature. Una revisione fornita da Friedel, Boulanger e Crussard (1955) ha permesso di estendere la validità del modello di Mott e Friedel al caso in cui le dislocazioni possano muoversi solo nel piano di scorrimento, quando i piani di scorrimento siano distribuiti casualmente. Questo modello
revisionato permette di stimare la variazione di modulo elastico: ΔE E⁄ = NL3⁄18
1+ NL3⁄18. Infine
Granato e Lücke (1956) hanno approfondito il modello iniziale di Koehler, in particolare lo smorzamento dipendente dall’ampiezza dell’oscillazione della linea di dislocazione, rintracciandone la causa nell’isteresi meccanica.
Non solo era quindi noto come le dislocazioni influissero sulle proprietà elastiche di molti materiali metallici diminuendone il valore, era anche noto come questo fenomeno fosse, almeno in parte reversibile: il primo ad accorgersi che col tempo un provino di alluminio puro, precedentemente deformato e posto a temperatura ambiente, vedesse gli attriti interni diminuire ed aumentare nuovamente il modulo elastico fu Köster (1940). Dato che era risaputo come l’aumento di frizioni interne e la contemporanea diminuzione di modulo elastico fossero il risultato dell’oscillazione delle dislocazioni sotto l’azione di tensioni, fu ipotizzato che il fenomeno opposto di recovery potesse essere legato alla scomparsa delle dislocazioni stesse (annihilation theory) o piuttosto ad una loro immobilizzazione a causa dell’interazione con altre dislocazioni (rearrangement teoria) o con difetti puntuali (pinning theory). Dal momento però che questo aspetto non è di interesse per la presente tesi si rimanda l’interessato lettore al materiale citato.
Il lavoro di Lems non va però segnalato solo per l’importante fonte bibliografica che rappresenta bensì anche per l’attività di ricerca svolta. Visto che lo scopo del suo lavoro era incentrato sia sulla variazione del modulo elastico sia sul fenomeno di recovery, le prove sperimentali sono state svolte a temperatura controllata, sia a 78 K costanti, sia in riscaldamento controllato a partire proprio da 78 K. Bisogna sottolineare come 78 K non sia una scelta casuale ma sia dovuta al fatto che proprio a quelle basse temperature i fenomeni diffusivi interni alla matrice cristallina non sono attivi e quindi il fenomeno di recovery è assente. Proprio per questo sia le misurazioni del modulo elastico che la deformazione plastica iniziale sono state condotte attraverso un apposito dispositivo a 78 K. Anche le misurazioni di Lems si sono basate sulla tecnica vibrometrica, in particolare sulle frequenze proprie di piastra incastrata ad una estremità. Il ricercatore ha quindi predisposto delle piastre di rame puro, argento puro e oro puro, di lunghezza 65 mm e sezione 10x1 mm, saldobrasando una delle loro estremità ad un blocco di rame per ricreare l’incastro.
Si tenga presente che tutte le prove descritte in seguito sono state eseguite sia nel caso in cui la direzione di rullatura delle piastre fosse stata parallela a quella di trazione sia invece che le due direzioni fossero perpendicolari: non sono state riscontrate differenze.
In breve si riporta la descrizione dell’apparato. Per ridurre lo scambio termico con l’esterno è stato utilizzato l’acciaio inossidabile per costruire i vari componenti in particolare il recipiente inferiore in cui è inserita la barra di trazione D alla quale è fissato il provino S. Nella parte inferiore del recipiente è fissato un meccanismo di fissaggio G che funziona mediante un coltello mobile W. Una volta inserito il provino S, la barra D viene abbassata affinché proprio il provino possa inserirsi nel sistema di fissaggio. Grazie al coltello mobile il provino rimane serrato mentre il dado N viene avvitato fino a che non si sia ottenuto l’allungamento desiderato. Agendo poi sulla leva H si rilascia il sistema di fissaggio e quindi il provino rimane incastrato solo ad una sua estremità. A rigore la deformazione plastica così ottenuta non è uniforme proprio a causa dell’interazione del sistema di fissaggio mobile col provino: per questo è presente una lama B
attivabile mediante la leva M che taglia la parte di provino in cui non si ha uniforme
plasticizzazione. La misurazione del modulo avviene mediante due bobine C1 e C2 entrambe
contenenti un magnete permanente: Nella bobina C1 viene fatta passare una corrente alternata la
quale induce nel provino l’insorgenza di correnti parassite: queste, interagendo col campo
magnetico del magnete permanente proprio di C1, generano una forza alternata agente proprio
sul provino. L’ampiezza della vibrazione è registrata dalla bobina C2 grazie all’interazione fra il
campo magnetico del proprio magnete permanente e le correnti parassite presenti nel provino.
Variando la frequenza di alimentazione della bobina C1 è possibile risalire a tutte le frequenze
proprie del provino in quanto questo sarà in risonanza e quindi ‘ampiezza dell’oscillazione sarà molto più grande. Questa configurazione dell’apparato ha funzionato egregiamente con i provini in rame e argento mentre per quelli in oro, a causa delle più alte frequenze, è stata rilevata un’interferenza con le frequenze proprie dell’apparato: per irrigidire la struttura è stata invertita la configurazione e quindi il dispositivo di fissaggio mobile è stato fissato alla barra di trazione mentre l’stremità incastrata del provino è stata fissata in basso.
Per eseguire le prove a 78 K l’intero apparato è stato immerso in un bagno di azoto liquido. La temperatura interna è stata misurata mediante la termocoppia T; per prevenire la formazione di ghiaccio sul provino o su gli altri dispositivi interni, il recipiente è stato posto sottovuoto mediante la presa V. Per l’esecuzione delle misure riguardanti il fenomeno del recovery è stato fatto ricorso ad una resistenza elettrica a spirale montata attorno al recipiente ed alimentata da una corrente tale da garantire che la temperatura interna variasse linearmente col tempo.
A conclusione di questa sezione sul lavoro di Lems si riportano alcune problematiche note già al ricercatore: dato che la deformazione plastica avviene all’interno dell’apparecchiatura non c’è modo di controllare la precisione dimensionale dei provini; purtroppo il metodo dinamico di misurazione del modulo elastico è molto sensibile alle dimensioni dei provini pertanto questa risulta essere una fonte di incertezza piuttosto importante.
Tornando ad anni più recenti, già fra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso sono apparsi nuovi studi che hanno sottolineato la necessità di migliorare i modelli costitutivi contenuti nei software di simulazione proprio per tener conto degli effetti prodotti dalla variazione del modulo elastico con la plasticizzazione: uno degli articoli più citati è quello di Morestin e Boivin (1996) anche per la ampia tipologia di metalli caratterizzati.
Due sono i punti salienti di questo studio: il primo è che tutti i metalli testati abbiano presentato un legame fra il proprio modulo elastico e la plasticizzazione accumulata, sebbene sia stato negli acciai che hanno riscontrato la variazione di modulo elastico più significativa; il secondo è che a distanza di alcune settimane dalle prime prove proprio negli acciai sia stata misurata la tendenza a recuperare, almeno parzialmente, il valore originario di modulo elastico.
L’argomento ha poi trovato interesse in campo automotive. A conferma di come le stesse aziende automobilistiche abbiano incentivato i propri gruppi di ricerca per migliorare l’accuratezza delle previsioni simulative sulla geometria finale dei pezzi stampati, si segnala l’articolo di Iwata, Tutamori, Suzuki e Murata (2003).
Sempre nella ricerca per il miglioramento delle tecniche di formatura va ad inserirsi il lavoro di Thibaud, Boudeau e Gelin (2004). questo articolo risulta importante per la presente tesi poiché ripropone l’identificazione dinamica delle proprietà elastica dei materiali, in particolare la tecnica vibrometrica. Si fa notare come, similmente alla presente tesi, anche in questo lavoro la definizione del modulo di Poisson non sia avvenuta, a causa delle difficoltà, mediante la tecnica vibrometrica bensì tramite la classica prova di trazione.
Sono stati proposti anche alcuni modelli costitutivi, più o meno diffusamente utilizzati, da implementare noi codici di calcolo. Uno dei più citati e verificati è quello proposto da Yoshida, Uemori e Fujiwara (2002), comunemente conosciuto come modello Yoshida-Uemori perché presentato all’interno di un più ampio lavoro, portato avanti proprio da Yoshida e Uemori, per la caratterizzazione dell’effetto Bauschinger.
Analiticamente il modello è definito come: E(εp) = E0 - (E0 - Ea)(1-e -ξεp). Come si può
osservare è relativamente semplice e si basa sull’identificazione di tre parametri con un forte
deformazioni plastiche infinite o meglio prossime alla nuclueazione della strizione, ed infine ζ ossia il coefficiente che definisce l’esponente dell’esponenziale.
Si possono citare i lavori di H. Kim, C. Kim, Barlat, Pavlina, Lee (2013), Phongsai, Chongthairungruang, Uthaisangsuk, Suranuntchai e Jirathearanat (2013), Chen, Gandhi, Lee e Wagoner (2016), Fallahiarezoodar, Goertemiller, Groseclose e Altan (2018). Questo modello ha consentito buoni risultati ma non tiene conto del fatto che, una volta accumulata della plasticità nel materiale, la curva di carico e scarico presenta una pendenza diversa a seconda che sia in fase di carico o scarico come riportato ad esempio da Cleveland e Gosh (2002), trovandone causa in micro deformazioni plastiche che non riescono però ad estendere il dominio entro la regione di snervamento o produrre nuove dislocazioni interne al materiale.
Un altro modello, concettualmente simile a quello di Yoshida e Uemori prima descritto, è il modello presentato da Yu (2009) sotto forma di relazione polinomiale di ordine due fra modulo
di Young e deformazione plastica: E(εp) = α εp2+ β εp+ γ. In questo caso α, β, γ sono
parametri caratterizzanti il materiale ma con minor senso fisico di quelli utilizzati nel modello Yoshida-Uemori.
Per migliorare l’accuratezza sono stati proposti altri modelli costitutivi, come ad esempio fatto da Sun e Wagoner (2011) con il Quasi-Plastic-Elastic (QPE model), modello però spesso ritenuto troppo complesso e non conveniente in applicazioni ingegneristiche (Fallahiarezoodar, Goertemiller, Groseclose, & Altan, 2018), o da Mendiguren, Trujillo, Cortés e Galdos (2013). Tuttavia in letteratura non è stato riscontrato un ampio utilizzo di questi modelli.
Gli studi riportati hanno tutti a che fare col mondo automotive, per range di deformazioni o per materiali testati. Tuttavia anche in altri settori è emersa la necessità di caratterizzare meglio il legame fra modulo elastico e plasticizzazione. Nell’ambito dello studio della fatica e della ricerca di sempre migliori performance in tale senso è noto come indurre uno stato di tensione compressivo migliori la resistenza del particolare. Non sempre è possibile ottenere questo però nel caso di cilindri sottoposti ad elevate pressioni si è solito far ricorso all’autoforzamento (autofrettage), ossia la deliberata plasticizzazione di una porzione superficiale di materiale in modo che questa, dopo lo scarico, impedisca il completo ritorno elastico del materiale non plasticizzato che quindi eserciterà sulla porzione plasticizzata un’azione compressiva. Lo sviluppo di questa tecnica negli anni ha comportato la richiesta di una sempre miglior conoscenza e caratterizzazione dell’effetto Bauschinger e quindi di formulare un criterio di snervamento il più possibile attinente al comportamento reale dei materiali. Proprio in questo ambito è emerso il fenomeno indagato nella presente tesi ossia la variazione del modulo elastico con il progredire dalla plasticizzazione del materiale. Fra tutti i lavori si segnala la ricerca di Troiano, Parker, Underwood e Mossey (2003).
Poiché nel corso delle misure è emersa una considerevole discrepanza fra i valori stimati del modulo di Young a partire dai dati delle prove di trazione, effettuate nei laboratori dell’Università di Pisa e dell’Università di Trento, e fra le prove vibrometriche sui provini non plasticizzati, è stato ritenuto necessario approfondire brevemente questo tema e cercare in letteratura una qualche spiegazione.
Differenze fra i valori misurati tramite tecniche statiche e dinamiche sono emerse già nei passati decenni, come evidenzia ad esempio il rapporto di Hammond, Ratcliff, Brinkman, Moyer e Nestor (1979) di cui si riportano alcuni dati per far meglio comprendere quanto i metodi possano far influire sulle stime calcolate.
Più recentemente, in diversi studi, si riportano ancora discrepanze fra i valori misurati dinamicamente e staticamente (Ulibarri, de Argandoña, Mendiguren, & Galdos, 2016). Una piccola differenza è teoricamente dimostrata considerando che la prova statica si svolge in condizioni pressochè isoterme mentre quella dinamica in condizioni adiabatiche (Lord &
Morrell, Elastic Modulus Measurement, 2006). In particolare, si può stimare che Ead⁄Eis ~ 1.005
per molti materiali e che quindi possa sussistere una differenza di 0,5%. Tuttavia le differenze registrate sono maggiori e nonostante il già citato lavoro di Lord e Morrell (2006) riporti diversi dati ottenuti con varie tecniche in vari laboratori che non segnalano una sistematicità fra i valori
ottenuti dinamicamente e staticamente, proprio Lord e Morrell (2014) affermano che sia lecito apettarsi dalle prove dinamiche dei valori leggermente maggiori.
L’argomento non è stato ancora risolto in maniera conclusiva, tuttavia si ritiene interessante riportare il lavoro di Wagoner e Chen (2014) nel quale si propone l’idea che la differnza registrata sia da addurre alla modalità di fitting dei dati provenienti dalle prove statiche. Inoltre, partendo dal modello Quasi-Plastic-Elastic (Sun & Wagoner, 2011), si propone una analisi non lineare del modulo elastico che sembrerebbe portare a risultati più concordanti coi valori stimati attraverso le tecniche dinamiche.
3 Dettagli sulle prove sperimentali
Questa sezione si prefigge l’obiettivo di descrivere, dettagliatamente e senza ambiguità, i vari aspetti delle esperienze di laboratorio, onde favorire una loro riproducibilità sia in futuro sia in luoghi diversi dall’Università di Pisa stessa.
3.1 Norma di riferimento
La prova vibrometrica è una tecnica usata per ricavare, a partire dalla risposta armonica di un particolare, come ad esempio un provino, le frequenze modali del pezzo in esame. Applicando i risultati ricavati dalla prova, in particolare la prima frequenza propria, alla teoria delle vibrazioni dei corpi continui è possibile risalire al modulo elastico del particolare in esame. Nel caso in cui si possa applicare il modello di materiale omogeneo isotropo allora è possibile ricavare il modulo elastico del materiale di cui è fatto il pezzo.
Nella pratica il modulo elastico frequentemente viene calcolato a partire dai dati di una prova di trazione tuttavia la prova vibrometrica permette di ottenere precisioni nelle stime di gran lunga migliori.
Come ogni prova collaudata in ambito scientifico è sottoposta ad una norma che ne regola i molteplici aspetti in modo da uniformare il più possibile i risultati. I fattori che possono influenzare maggiormente il risultato sono:
1. le dimensioni del pezzo e quindi la fondatezza dell’ipotesi di trave alla base dello sviluppo delle formule contenute nella norma;
2. le caratteristiche del sistema di vincoli ossia: tipologia di vincolo, materiale del vincolo o dei vincoli, posizionamento dei vincoli.
La norma alla quale si è fatto riferimento durante questo lavoro è stata la E 1876 – 01 (ASTM International, 2005). Si rimanda ad una sua consultazione per approfondimenti specifici; di seguito verranno trattati gli aspetti principali:
L’apparato di rilevamento del segnale può utilizzare trasduttori che non richiedono il contatto col provino come ad esempio microfoni o laser;
I supporti devono essere posizionati in corrispondenza dei nodi del primo modo proprio e devono garantire l’isolamento del provino da fonti di vibrazione esterne. Possono essere di materiali morbidi, come bande elastiche o strisce di poliuretano espanso elastico (gommapiuma); possono altresì essere di materiali rigidi quali metalli o ceramiche purché presentino uno spigolo a coltello o una superficie cilindrica sui quali posizionare il provino;
le dimensioni del provino devono essere tali da far cadere la prima frequenza propria entro il campo di operatività del trasduttore impiegato. Tuttavia viene consigliato un rapporto fra dimensione massima e minima fra 20 e 25 e comunque mai minore di 5; le superfici dei provini rettangolari devono essere piane ed in particolare quelle opposte devono essere parallele entro lo 0,1 %. Nei provini cilindrici il la cilindricità e la costanza del diametro devono rispettare il limite massimo dello 0,1 %;
la massa deve essere misurata con un errore massimo dello 0,1 %; la lunghezza deve essere misurata con un errore massimo dello 0,1 %; larghezza e spessore per i provini rettangolari, il diametro per quelli cilindrici, devono essere misurate con un errore massimo dello 0,1 % in tre punti e poi è necessario farne una media;
i nodi dove posizionare i supporti sono situati a 0,224 L dagli estremi del provino dove L indica la lunghezza totale del provino stesso;
eseguire almeno cinque test i cui risultati cadono entro l’1% di differenza e farne la media.
Infine si riportano le formule indicate per il calcolo del modulo di Young. Per le barre di sezione rettangolare:
𝐸 = 0,9465 𝑚𝑓 2 𝑏 𝐿3 𝑡3𝑇1 𝑇1= 1 + 6,585(1 + 0,0752𝜈 + 0,8109𝜈2)(𝑡 𝐿⁄ ) 2 − 0,868(𝑡 𝐿⁄ )4 − 8,340(1 + 0,2023𝜈 + 2,173𝜈 2 )(𝑡 𝐿⁄ )4 1 + 6,338(1 + 0,1408𝜈 + 1,536𝜈2 )(𝑡 𝐿⁄ )2
Equazione 3.1: Modulo di Young e relativo fattore correttivo T1 per provini di sezione rettangolare.
dove: E è il modulo di Young in Pa, m è la massa del provino in g; b è la larghezza del provino (ossia la dimensione maggiore della sezione) in mm; t è lo spessore del provino (ossia la dimensione minima della sezione) in mm; L è la lunghezza del provino in mm; f è la prima frequenza propria in Hz; ν è il modulo di Poisson.
Per le barre di sezione circolare:
𝐸 = 1,6067 𝑚𝑓2 𝐿 3 𝐷4𝑇1 ′ 𝑇1′= 1 + 4,939(1 + 0,0752𝜈 + 0,8109𝜈2)(𝐷 𝐿⁄ ) 2 − 0,4883(𝐷 𝐿⁄ )4 − 4,691(1 + 0,2023𝜈 + 2,173𝜈 2 )(𝐷 𝐿⁄ )4 1 + 4,754(1 + 0,1408𝜈 + 1,536𝜈2 )(𝑡 𝐿⁄ )2
Equazione 3.2: Modulo di Young e relativo fattore correttivo T1’ per provini di sezione circolare.
dove: E è il modulo di Young in Pa, m è la massa del provino in g; D è il diametro del provino in mm; L è la lunghezza del provino in mm; f è la prima frequenza propria in Hz; ν è il modulo di Poisson.
Proprio il modulo di Poisson merita un breve precisazione. Nel caso poi in cui il rapporto
L t ≥ 20⁄ allora il coefficiente correttivo T1 può approssimarsi ad 1 e quindi addirittura la stima
di E non richiede la conoscenza di ν . Diversamente la norma descrive come questo parametro costitutivo possa essere determinato iterativamente a partire dalla prima frequenza flessionale e torsionale. Purtroppo misurare la prima frequenza proprioa torsionale non è facile e quindi, in considerazione anche dello ristretta variabilità di ν in materiali molto diversi, è stato preferito ricavare il modulo di Poisson a partire dalla prova di trazione e considerarlo costante. In particolare il valore attribuitogli è stato di 0,31.
3.2 Cenni sull’elaborazione statistica dei dati
In questa ricerca è stato considerato prioritario non solo stimare il modulo di Young in provini a diverso livello di plasticizzazione accumulata ma anche avere una grandezza che definisse l’incertezza associata a tale stima.
In generale ogni misura porta con sé un errore che dipende da innumerevoli fattori, a partire dall’esperienza dell’operatore fino alla precisione degli strumenti utilizzati. Quindi è fin da subito chiaro che assumere l’errore totale pari alla risoluzione dello strumento sia limitativo perché andrebbe a oscurare quelle che sono le altre fonti di imprecisione. Inoltre bisogna considerare come ripetendo più volte le varie misure si sia accumulata una serie importante di dati; a questo punto emerge l’interrogativo su come gestirli: il modo più naturale è quello di mediarli ma in tal caso viene naturale chiedersi come gestire l’informazione sull’errore. Ecco dunque che è apparso naturale stimare l’errore commesso con la deviazione standard σ. Questa scelta implica che si sia usato il modello di distribuzione normale per tutte le grandezze ma questo non ha rappresentato alcuna forzatura: infatti sarà possibile analizzando i dati in seguito riportati come questi si siano addensati molto in corrispondenza del valor medio della distribuzione.
Scelto come definire l’errore di misurazione commesso, è stato necessario definire l’errore sulla stima del modulo di Young che era in realtà il vero obiettivo: in questo ci è venuto incontro la matematica statistica.
Facendo riferimento a Taylor (1997, pp. 211 - 212), si consideri q funzione di due variabili indipendenti x e y:
q = q(x,y)
in generale x e y sono variabili statistiche quindi potranno essere definite da un valor medio,
x̅ e y̅, a da una deviazione standard, σx e σy. Si considerino adesso due valori xi e yi appartenenti
alle due distribuzioni statistiche; si ottiene quindi: qi= q(xi,yi)
in realtà qi potrà essere approssimato come:
qi ≈ q(x̅,y̅)+ ∂q
∂x(xi-x̅)+
∂q ∂y(yi-y̅)
quindi si otterrà una distribuzione statistica delle qi che avrà per media q ̅= q(x̅,y̅) e per
deviazione standard: σq2 = ( ∂q ∂x) 2 σx2+ ( ∂q ∂y) 2 σy2
Equazione 3.3: Propagazione della deviazione standard di due variabili indipendenti nella deviazione standard di una loro funzione.
È necessario però definire il concetto di deviazione standard. Quando questa viene calcolata a partire da una popolazione di n soggetti assume forma:
σ= √∑ (ki-k̅) 2 n i=1 n 2
Equazione 3.4: Definizione della deviazione standard di una distribuzione statistica.
Quando invece, ed è il caso di questo lavoro, si è nell’ambito della statistica inferenziale e cioè si ha a disposizione solo un campione d n soggetti estratti da una popolazione più vasta si introduce uno stimatore corretto:
s̅= √∑ (ki-k̅) 2 n i=1 n-1 2
Equazione 3.5: Definizione della deviazione standard di una distribuzione statistica a partire da un campione estratto da tale distribuzione.
Nel seguito si richiamerà più volte, per questione di semplicità, la deviazione standard σ ma in realtà si farà riferimento a s̅. A dire il vero per n pari ad 1 si è fatto ricorso alla definizione
propria di σ per superare l’indeterminatezza del rapporto 00. Si può infine notare come n molto
grandi la differenza tenda a ridursi.
3.3 Materiali
3.3.1 Denominazione del materiale e definizione proprietà
Come visto nel precedente capitolo, il legame fra modulo di Young e deformazione plastica accumulata si ritrova in molti materiali metallici, ferrosi e non, aspetto questo che suggerisce come la causa primaria sia probabilmente riconducibile alla natura delle strutture cristalline. Tuttavia questo lavoro si è focalizzato su di un unico materiale, l’AISI 4140, un acciaio da costruzione fornito allo stato bonificato, molto utilizzato per la sua buona temprabilità e lavorabilità, sia a caldo in fucinatura che a freddo alle macchine utensili. Data la buona resistenza a caldo può essere impiegato fino a temperature prossime ai 500°C ed inoltre può essere sottoposto a nitrurazione o tempra superficiale per migliorarne la resistenza all’usura ed alla fatica. Per le principali caratteristiche dell’AISI 4140 si faccia riferimento ai dati repribili in rete (AZO Materials).
Per poter validare il metodo sperimentale adottato sono stati adoperati alcuni campioni di metalli puri, le cui proprietà, note in letteratura, possono essere prese a riferimento. In particolare è stato fatto ricorso a provini in alluminio, niobio e nichel nella quantità di due per materiale. Per tutte le proprietà dei materiali puri e per e caratteristiche dei provini si faccia riferimento ai dati disponibili on-line sul sito del fornitore (Goodfellow Cambridge Ltd.).
Vista la pericolosità del nichel, le guide tecniche per il sua corretta manipolazione sono state repertire sia sul sito del fornitore (Goodfellow Cambridge Ltd.) che dal sito di uno dei leader mondiali per quanto riguarda il commercio e la logistica (Trafigura).
Di seguito verranno descritti i provini di trazione utilizzati per pre-plasticizzare il materiale ed i provini dinamici per la prova vibrometrica. La progettazione di questi due tipi di provini non è stata argomento della presente tesi tuttavia si ritiene utile poter, seppur brevemente, richiamarla per far comprendere al lettore il perché di certe scelte che altrimenti risulterebbero arbitrarie e opinabili.
3.3.2 Definizione del provino di trazione
Il provino di trazione è necessario per poter pre-plasticizzare uniformemente il materiale al valore desiderato e poter poi, una volta ricavato il provino per la prova vibrometrica, misurare se e quanto questa plasticizzazione abbia influito sul valore del modulo di Young.
La norma che regola i provini di trazione alla quale è stato fatto riferimento è la E8/E8M – 11 (ASTM International, 2011). Tuttavia un provino così normato garantirebbe una zona ad uniforme deformazione di lunghezza pari a 50 mm: questo valore è troppo piccolo se si considerano le indicazioni della norma E 1876 - 01 (ASTM International, 2005): per questo motivo è stato deciso di modificare la lunghezza del provino per avere così un’estensione della zona di uniforme deformazione tale da consentire l’estrazione di provini vibrometrici di lunghezza pari a 60 mm.
I provini così progettati sono di seguito riportati:
I provini di trazione sono stati sottoposti ad un ciclo di carico-scarico così schematizzabile: 1. fase di carico in controllo di spostamento a velocità costante fino ad un allungamento
desiderato;
2. fase di scarico in controllo di carico velocità costante fino a quando la cella di carico non risulti scarica.
Ovviamente il livello di plasticizzazione ottenuto è inferiore al livello massimo di allungamento registrato nella fase 1 a causa del ritorno elastico. Per ricavare la plasticizzazione accumulata effettivamente nella sezione di materiale utile sono stati utilizzati sia i dati ricavati direttamente dalla macchina di trazione e dall’estensometro MKS, sia i dati ottenuti dal riscontro grafico dei provini di trazioni prima e dopo l’avvenuta plasticizzazione, in particolare calcolando la variazione della distanza fra due circonferenze di controllo tracciate a pennarello su tornio simmetricamente rispetto alla mezzeria.
Di seguito si riporta un grafico rappresentativo delle prove di trazione sui provini della prima serie.
Come già esposto, sistematicamente è stato riscontrato come le stime del modulo di Young nei provini non plasticizzati siano di alcuni GPa maggiori rispetto ai dati ottenuti mediante prova di trazione. Questo fenomeno è conosciuto in letteratura ma non sono disponibili giustificazioni diffusamente ritenute valide: le più diffuse parlano di un effetto di contatto fra i grani del materiale che renderebbe quest’ultimo più rigido in compressione oppure di una componente viscosa nelle azioni interne al materiale più marcata in caso di prova dinamica rispetto ad una normale prova di trazione.
3.3.3 Definizione del provino per prova vibrometrica
Il provino per la prova vibrometrica è un prisma a sezione rettangolare di dimensioni 60x50x10 mm. Sebbene tali dimensioni non seguano le raccomandazioni della norma E 1876 - 01 (ASTM International, 2005) comunque ne rispettano i vincoli mandatori: è stata una soluzione di compromesso fra la possibilità di facilitare la prova vibrometrica e realizzare un provino di trazione eccessivamente grande, cosa che avrebbe tra l’altro comportato un eccessivo spreco del materiale da esaminare.
Il provino per la prova vibrometrica deve essere estratto dalla zona centrale del provino di trazione, simmetricamente rispetto alla mezzeria: un provino vibrometrico per ciascun provino di trazione. Per evitare che i provini così ottenuti non siano associati al rispettivo provino di trazione, e quindi al livello di plasticizzazione, su di questi deve essere riportata la medesima denominazione presente sul provino di trazione. Di seguito si riporta il disegno.
Per quanto riguarda i provini testati, questi sono stati suddivisi in due serie, poiché ciascuno di essi è stato ricavato a partire da una medesima barra. La prima serie si compone di sei provini, mentre la seconda serie di quattro.
Denominazione provini Deformazione plastica residua [%] 1 EL 0 2 EL 0 1 PL 3,4 2 PL 1,5 3 PL 1,5 4 PL 3,4
Tabella 3.1: Denominazione dei provini della prima serie e relativa deformazione plastica residua.
Denominazione provini Deformazione plastica residua [%] 1 3,4 2 1,5 4 5,4 9 5,4
Tabella 3.2: Denominazione dei provini della seconda serie e relativa deformazione plastica residua.
3.4 Apparato Sperimentale
L’apparato sperimentale adoperato è piuttosto ampio in quanto la misurazione indiretta del modulo di Young con tecnica vibrometrica richiede la misurazione della massa del provino, delle sue dimensioni e, ovviamente, della sua prima frequenza propria. A questo nucleo essenziale di misurazioni, sono stati aggiunti il monitoraggio della temperatura di prova ed il riscontro fotografico per la determinazione di eventuali variazioni di posizionamento del provino in fase di misurazione dinamica; la tecnica vibrometrica richiede di eccitare i modi propri di vibrare del provino: avendo scelto di martellare il provino è chiaro che questo possa subire una variazione di posizionamento sugli appoggi a causa della martellata stessa.
3.4.1 Macchina di trazione
Si riporta per completezza anche la macchina di trazione: pur non essendo stata usata nella presente tesi, è grazie a questa macchina che è stato possibile plasticizzare il materiale in oggetto. Si è trattato di una macchina di trazione e torsione Schenck (250 kN, 2000 Nm, frequenza massima ≤ 20 Hz).
I dati riportati sono stati reperiti direttamente dall’Università (Machine Design - University of Pisa) in quanto la ditta produttrice risulta chiusa ormai da anni e la documentazione in rete è assente.
A corredo della macchina sono stati impiegati: cella di carico da 250 kN;
estensometro MTS;
sistema di acquisizione dati RT2 Trio sistemi.
3.4.2 Bilancia di precisione
La bilancia utilizzata è una Sartorius 1712 MP8. Di seguito si riportano alcune informazioni reperite in rete (University of Texas Arlington).
3.4.3 Strumenti per la misurazione delle dimensioni lineari
Per la misurazione delle dimensioni lineari dei provini è stato fatto ricorso in prima sede a dei micrometri analogici ed infine ad una macchina a coordinate numeriche (CMM) per migliorare la precisione delle stime.
3.4.3.1 Micrometri (serie 0 ÷ 25 mm e serie 50 ÷ 75 mm)
I modelli di micrometri utilizzati sono datati e quindi non è disponibile documentazione a riguardo. Il micrometro serie 0 ÷ 25 mm presenta un nonio millesimale mentre quello serie 50 ÷ 75 mm ha una risoluzione che si spinge fino al centesimo.
3.4.3.2 Macchina di misura a coordinate numeriche
La CMM presente nel laboraorio di metrologia dell’Università di Pisa è una MC06 6.5.3 prodotta dall’azienda Coord3.
Figura 3.5: Micrometro Pantera serie 50 ÷ 75 mm con nonio centesimale utilizzato.
3.4.4 Calibro ventesimale
Il calibro ventesimale a disposizione, un Pioner, è stato utilizzato per verificare il corretto posizionamento dei supporti, del provino su di questi ed il centraggio dello spot laser del vibrometro rispetto la mezzeria del provino stesso. Anche in questo caso la documentazione non è disponibile.
Figura 3.6: Schema di riferimento della Coord3 MC06 6.5.3 utilizzata. (Dini)
3.4.5 Attrezzatura per le prove in temperatura
3.4.5.1 Pistola termicaLa pistola termica a disposizione è una BOSCH PHG 630 DCE. Per le caratteristiche tecniche si faccia riferimento al manuale reperibile in rete (BOSCH).
3.4.5.2 Scatola termica
Per poter ricreare un ambiante di lavoro attorno al provino a temperatura più alta di quella ambiente e soprattutto stabile nel tempo è necessario poter imbrigliare il flusso di aria calda proveniente dalla pistola termica. A causa della necessità di accedere al provino per puntare il laser, verificarne il posizionamento e non ultimo eccitarlo impulsivamente, non è stato possibile utilizzare una scatola chiusa: si è cercato di operare un’apertura la più piccola possibile in corrispondenza del provino. Quello che si è ottenuto è approssimabile ad un equilibrio dinamico: se si considera una porzione di aria appartenente al flusso (sistema di riferimento lagrangiano), questa porzione varierà temperatura nel tempo; se si considera invece una porzione di spazio fissa nel tempo ed in particolare la zona di lavoro dove è posizionato il provino (sistema di riferimento euleriano), questa, una volta giunti a regime, tenderà ad assumere una temperatura costante nel tempo.
Maggiore è la velocità del flusso minore è il tempo impiegato dal provino a riscaldarsi alla temperatura di regime. Tuttavia è anche vero che una velocità del flusso elevata riesce a trasmettere maggiormente gli effetti di una variazione di temperatura del flusso d’aria al provino e quindi rende la sua temperatura meno costante. Poiché il sistema di riscaldamento non è in grado di garantire una temperatura costante e date poi le perdite della scatola termica è stato ritenuto più opportuno ridurre la velocità del flusso e pagare il pezzo di un transitorio più lungo. Per questo è stato inserito un setto di protezione in corrispondenza della bocca di entrata; questo ha permesso anche di ridurre gli effetti della corrente d’aria sul posizionamento dei supporti in polistirene favorendo la ripetibilità dei risultati delle prove. Di seguito si riportano gli schemi di massima e le fotografie del prototipo realizzato.
Utilizzando del comune cartone ricavato da scatole, è stato costruito un box opportunamente conformato: sono state predisposte delle aperture per la pistola termica, per poter abbassare il supporto che sostiene il laser, per inserire il calibro ventesimale e verificare il posizionamento del provino sui supporti; è stata praticata un’apertura sul fondo per permettere alla base del supporto di poggiare sul tavolo invece che sul cartone, troppo instabile per una corretta esecuzione delle prove; è stato riportato uno strato di cartone aggiuntivo sul fondo per isolare meglio il volume di lavoro dal piano del tavolo; inserito il setto divisore per rallentare il flusso, predisposte due coperture superiori, una delle quali con una fessura appositamente realizzata per far passare il supporto del laser; aggiunte delle ulteriori coperture per ridurre le sezioni aperte. Il tutto è stato assemblato con nastro adesivo.
Figura 3.9: Scatola termica effettivamente realizzata con copertura 2 non posizionata. Figura 3.10: Scatola termica effettivamente realizzata con copertura 2 posizionata.
3.4.6 Termocoppia
Sono stati utilizzati un termometro ad infrarossi FLUKE 568 con relativa termocoppia a goccia (tipo K) 80PJ-1. La documentazione è reperibile on-line direttamente dal produttore (FLUKE)
3.4.7 Strumentazione vibrometrica
3.4.7.1 Vibrometro laserIl generatore laser utilizzato è stato un OFV-551 prodotto dalla Polytec. Come accessorio per indirizzare il raggio laser è stata utilizzata la testa OFV-C-103 del medesimo produttore. Per le le principali informazioni si faccia riferimento alla documentazione reperibile on-line (Polytec).
3.4.7.2 Controller del vibrometro
Il controller a disposizione è un controllore OFV-5000 prodotto sempre dalla Polytec. Per le le principali informazioni si faccia riferimento alla documentazione reperibile in rete (Polytec).
3.4.7.3 Scada
Per poter acquisire ed integrare nelle misurazioni più segnali ed infine trasmetterli al calcolatore in modo da poterli elaborare con opportuni programmi è necessario disporre di un dispositivo per il controllo di supervisione e acquisizione dati o, dall’inglese, Supervisory Control And Data Acquisition, SCADA appunto. In laboratorio è disponibile un LSM SCADAS modello SCM-01. A seguito dell’acquisizione del produttore LMS International da parte di Siemens, i prodotti sono stati rimarchiati. Si è fatto riferimento sia ai dati di targa riportati dal vecchio produttore, rimasti in rete, e l’attuale (LMS International) (Siemens).
3.4.7.4 Test Lab
I segnali provenienti dagli strumenti sono stati elaborati tramite il software TestLab 15 di Siemens, in particolare avvalendosi della suite ImpactTesting®. Molti sono le possibilità di impiego di questo programma, dall’analisi acustica alla dinamica dei rotori (Siemens); in particolare dalla risposta in frequenza dei provini è stata condotta un’analisi modale per risalire al loro modulo di Young.
3.4.7.5 Martello sensorizzato
Come strumento sensorizzato per eccitare impulsivamente il provino è stato utilizzato un Impulse Hummer 5800SL della ditta Dytran. Di seguito le specifiche disponibili in rete (Dytran Instruments, Inc.).
3.4.8 Dispositivi di protezione individuale
Nel corso delle prove sperimentali effettuate dall’autore della presente tesi i pericoli per la salute hanno riguardato la vista, per quanto rigiarda l’uso dal vibrometro laser e la possibile reazione allergica dovuta al contatto diretto con i provini in nichel. Per questo sono stati adoperati due DPI: gli occhiali per la protezione laser DIN EN207 e i guanti in lattice.
Figura 3.11: Occhiali per la proteziano laser DIN EN207 utilizzati.
3.4.9 Immagini dell’apparato sperimentale per l’analisi vibrometrica
Si riportano alcune immagini scatatte all’apparato per l’analisi vibrometrica.
Figura 3.14: Panoramica della postazione e dell'attrezzatura per l'analisi vibrometrica. Figura 3.13: Schema di massima dell'apparato per la prova vibrometrica e del
Figura 3.16: Ingrandimento del provino sui supporti. Figura 3.15: Esempio di posizionamento del provino sui supporti.
Figura 3.18: Scorcio dell'interno della scatola termica con basamento installato. Figura 3.17: Installazione del basamento con supporti e provino nella scatola termica per prove in
3.5 Metodologia
Questa sezione vuole svolgere la funzione di guida per tutti coloro i quali si troveranno a portare avanti questa sperimentazione o simili all’interno dell’Università di Pisa e che avranno a che fare con le attrezzature passate in rassegna in precedenza: pertanto dovrà essere sufficientemente dettagliata e precisa.
Si ritiene opportuno sintetizzare ciò che di seguito verrà riportato in rassegna in modo da favorire una comprensione globale del metodo scelto ed evitare di tediare il lettore.
L’approccio utilizzato per misurare il modulo elastico, ampiamente dibattuto al paragrafo 3.1, consiste in una sua stima indiretta a partire dalla misura diretta della prima frequenza propria flessionale. Come già intuibile dalle formule riportate nella norma, la sola prima frequenza propria non è sufficiente per stimare il modulo di Young: anche le dimensioni lineari del provino (lunghezza, larghezza, spessore) e la massa dello stesso sono necessarie. Sebbene rilevare la prima frequenza propria possa sembrare di gran lunga l’esperimento più difficoltoso da portare a termine, basta un numero minimo di prove per rendersi conto di quanto le dimensioni lineari (in particolare lo spessore) giochino un ruolo essenziale nella stima del modulo di Young. In
effetti, osservando la formula, si può notare come, anche trascurando il fattore correttivo T1,
proprio lo spessore del provino si trovi a denominatore elevato all’esponente 3. Dal momento poi che lo spessore è la dimensione più piccola, anche un minimo errore sarebbe in grado di influenzare significativamente la stima finale. Proprio in seguito a tali considerazioni è stato deciso di accantonare i micrometri e far ricorso alla macchina di misura a coordinate; in effetti non è stato verificato se l’eccessiva dispersione delle misure dipendesse dagli strumenti utilizzati, magari non adeguatamente tarati, o piuttosto al metodo di misura manuale in sé: nel caso non si abbia una CMM a disposizione o invece i micrometri disponibili siano ritenuti affidabili è consigliabile fare alcune prove preliminari per verificare il da farsi.
Passando a descrivere sinteticamente il metodo si possono individuare tre misurazioni diverse: la misura della massa dei provini che richiede una bilancia di precisione, la misura delle dimensioni lineari del provino che può essere effettuata tramite strumenti manuali o CNC ed infine la misura della prima frequenza propria flessionale che ha richiesto l’impiego di un vibrometro laser. Le prime due misurazioni sono classiche e pertanto verranno dettagliatamente descritte in seguito. Per quanto invece riguarda la misurazione della prima frequenza propria si faccia riferimento allo schema seguente, che sintetizza le prescrizioni riportate al punto 3.1.
Dalla teoria delle vibrazioni libere è noto che una trave abbia una prima frequenza propria pari a: f1= (χ1L)2 2π 1 L√ EJ ρA= (χ1L)2 2π √ EJ mL con χ1L = 4.730
Equazione 3.6: Prima frequenza propria flessionale di una trave libera.
Purtroppo però non è possibile ricreare l’esperimento senza vincolare il provino e dal momento che i corpi sono tridimensionali non si può trascurare la presenza di vibrazioni estensionali e flessionali in direzione ortogonale: se la scomposizione in serie di Fourier permette di separare i vari contributi caratterizzati da frequenze tipiche molto diverse, bisogna evitare questi fenomeni vadano ad attivare i vincoli presenti e quindi a influenzare il primo modo proprio. Proprio per questo gli appoggi devono essere posizionati in corrispondenza dei nodi del primo modo di vibrare e che questi consentano al provino di deformarsi liberamente ossia permettano un vincolo definito free-free. La norma di riferimento indica la posizione dei supporti oltre al materiale di cui devono essere fatti: polistirene (comunemente noto come polistirolo), polietilene espanso elastico (comunemente chiamato gommapiuma) o bande elastiche.
Nei paragrafi seguenti si riportano in dettaglio le procedure adottate.
3.5.1 Misurazione della massa
La massa è la misurazione più semplice e facilmente ripetibile in quanto l’utente non è chiamato a regolazioni o aggiustamenti di sorta: l’unica accortezza, semplicemente attuabile, è quella di aspettare, sia in fase di tara, sia in fase di acquisizione della misura, che la bilancia di precisione arrivi a convergenza segnalata dalla comparsa del simbolo g sul display digitale.
La procedura di utilizzo della bilancia può essere in breve riassunta: 1. accendere la bilancia premendo sul tasto ON/OFF;
2. verificare che la bilancia sia settata per la convergenza a 160 g, altrimenti premere apposito tasto;
3. chiudere lo sportello laterale ed aspettare che il valore riportato a display sia 0.00000 oppure, per velocizzare le operazioni, aspettare che a display compaia g e quindi premere il tasto TARE;
4. aprire lo sportello, poggiare il provino sul piatto della bilancia, quindi chiudere lo sportello; nel caso dei provini di materiali puri, a causa della loro forma, è necessario fare attenzione a posizionarli in corrispondenza dei rilievi di riferimento sul piatto stesso perché altrimenti i sensori risulteranno caricati troppo diversamente e la misura sarà completamente errata;
5. la misurazione a display inizierà a convergere, acquisire la misura al momento della comparsa del simbolo g. Acquisire ed annotare la temperatura nei pressi della bilancia;
6. per eventuali ulteriori misure ripetere i punti dal 3 al 5;
7. ad utilizzo terminato chiudere lo sportello laterale e ripetere il punto 3; 8. spegnere il dispositivo con l’apposito tasto ON/OFF.