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L'assegnazione della casa familiare nella crisi delle coppie di fatto

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INDICE

CAPITOLO I

CESSAZIONE DELLA VITA IN COMUNE E

INTERESSE ALL’ABITAZIONE: DISCIPLINA

GENERALE

Pag. 7

1.1 Nozione di “casa familiare”

1.1.1 La casa familiare: profili caratterizzanti

1.1.2 Le nozioni di convivenza,coabitazione e residenza

1.2 Assegnazione della casa familiare in caso di separazione

1.2.1 L’assegnazione della casa coniugale prima

della riforma del 2013: l’art. 155-quater c.c.

1.2.2 Locazione e assegnazione della casa coniugale

1.2.3 La casa coniugale concessa in comodato

1.2.4 Assegnazione della casa coniugale e spese

(2)

2 di assegnazione

1.2.6 L’estinzione del diritto all’assegnazione

1.3 La riforma del 2013

1.3.1 Affidamento della prole e casa coniugale

1.4 Il provvedimento di assegnazione: presupposti, contenuto, revoca

1.4.1 Il provvedimento di assegnazione nella separazione consensuale e nel divorzio a domanda congiunta

1.5 Disciplina in materia di divorzio: caratteri comuni e peculiarità

1.5.1 Questioni tributarie

CAPITOLO II

TUTELA DELLE CONVIVENZE SENZA

MATRIMONIO NELLA PATOLOGIA DEL

RAPPORTO

Pag.59 2.1 “Casa familiare” e “coppia di fatto”:

(3)

3

2.1.2 Caratteristiche peculiari delle convivenze non matrimoniali

2.1.2 La convivenza omosessuale nella coppia di fatto

2.2 La tutela “interna” alla coppia: cessazione della convivenza per mutuo consenso o recesso unilaterale

2.3 La tutela “esterna” alla coppia: il diritto all’abitazione

nei confronti dei terzi

2.3.1 Tutela del convivente verso terzi nella

locazione

2.3.2 Le tutele nel comodato

2.3.3 Spese per l’uso della casa familiare concessa in comodato

2.4 La rilevanza dell’esigenza abitativa nella circolazione del bene casa

2.4.1 I contratti di convivenza

2.4.2 Coppie di fatto, casa familiare e Trust

(4)

4

2.5.1 I figli della famiglia di fatto prima della riforma del 2013

2.5.2 I figli della famiglia di fatto a seguito della riforma del 2013

2.5.3 I figli maggiorenni della coppia di fatto

2.5.4 Figli “non biologici”: quale tutela?

2.6 L’ordine di allontanamento dalla casa familiare

2.6.1 Il procedimento per l’adozione dell’ordine di allontanamento dalla casa familiare contro gli abusi (art. 736-bis c.p.c.)

2.6.2 L’allontanamento dalla casa familiare del convivente more uxorio nel diritto processuale penale

2.7 Il procedimento della crisi tra genitori non coniugati davanti al tribunale ordinario

2.7.1 I procedimenti riguardanti prole minorenne di genitori non sposati: le regole processuali

2.7.2 L’ascolto del minore da parte del giudice nella crisi della coppia di fatto

(5)

5

CAPITOLO III

L’assegnazione della casa familiare nella coppia di

fatto: evoluzione giurisprudenziale e recenti sviluppi

Pag.144 3.1 La sentenza della Corte Costituzionale n ° 404/1988

in materia di locazione

3.1.1 Un’estensione recente della tutela abitativa sulla base della sentenza della Corte Cost. n. 404/1988

3.2 Convivente more uxorio e tutela possessoria

nella sentenza della Corte di Cassazione n ° 7214/2013

3.2.1 L’evoluzione della posizione giuridica del convivente non proprietario della casa familiare

3.2.2 La tutela del convivente non proprietario nella sentenza della Suprema Corte n. 7214 del 2013

3.3 Comodato e rapporti con i terzi

3.3.1 L’interesse della prole in tema di comodato secondo la giurisprudenza della Suprema Corte

3.3.2 Comodato gratuito e convivenza more uxorio nella sentenza della Corte di Cassazione n. 7 del 2014

(6)

6 Conclusioni

Bibliografia

(7)

7

1. CESSAZIONE DELLA VITA IN COMUNE E

INTERESSE ALL’ABITAZIONE:DISCIPLINA

GENERALE

“Nulla è più triste che il trovarsi in una casa dove le persone e le cose che dovrebbero essere le più intime ci sono quasi sconosciute”.

Carlo Maria Franzero, Il fanciullo meraviglioso, 1920

1.1 Nozione di “Casa familiare”.

La parola 'casa' deriva dal latino, con il significato di “capanna”, e la sua radice indoeuropea 'Ska'(anche cha o sku) ha il senso di coprire, richiamando propriamente un luogo coperto;talvolta, per indicare l’origine della parola casa, viene evocato il termine latino 'castrum' che significa fortezza, riparo.

In entrambi i casi, l’etimologia indica il luogo dove si può dimorare protetti e nel tempo è divenuta anche espressione della personalità degli abitanti, ossia delle persone che vi abitano:in primis e soprattutto, i membri della famiglia.

Il binomio casa e famiglia, mutato nel corso del tempo, si è fuso nell'espressione unitaria 'casa familiare', con la quale si è soliti indicare la qualifica che l’ immobile assume in presenza di un nucleo familiare ivi stanziato, come centro di aggregazione durante la convivenza, con tutto ciò che occorre per tale destinazione funzionale: pertanto, la casa familiare è l’insieme dei beni destinato alla convivenza della famiglia. Inoltre il termine “abitazione”, assunto come voce sostantiva del transitivo verbale “abitare”,presenta un collegamento diretto con la casa familiare. Precisamente nel codice civile, all’ art. 337-sexies, 1° comma (già presente nell'abrogato art. 155-quater), la casa familiare si pone strictu sensu come oggetto dell'abitazione, nella sua accezione di

(8)

8

complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l'esistenza domestica della comunità familiare.

Proprio l'immagine della comunità, evocata sempre in positivo per celebrare il mondo di fiducia, solidarietà1 e rispetto reciproco tra i membri della famiglia, rispecchia lo spazio concluso in cui organizzare la propria esistenza, in termini di sentimenti, ricordi ed esplicazione delle varie personalità; tuttavia l’espressione “casa familiare”, che a quella comunità inerisce direttamente, viene ad assumere rilevanza per il diritto proprio con riguardo a momenti in cui l’esistenza fra le mura domestiche e la comunità stessa entrano in crisi.

Paradigmatico è il nuovo art. 337-sexies c.c. introdotto con il dlgs. n° 154/2013 (e prima l’abrogato art. 155-quater c.c.), la cui rubrica “Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza” pone la stessa casa familiare al centro della disciplina applicabile in caso di separazione, divorzio, cessazione degli effetti civili, o nullità del matrimonio, ma anche a procedimenti relativi a figli di genitori non coniugati, tutti scaturenti dalla patologia del rapporto di coppia sullo sfondo dell’ambiente casalingo.

Inoltre, nel Titolo IX-bis del codice civile, intitolato “Ordini di protezione contro gli abusi familiari”, l’art. 342-ter c.c. prevede come extrema ratio contro la condotta gravemente pregiudizievole del coniuge o convivente l’allontanamento dalla casa familiare, iussu iudicis. Altro rilevante esempio nell’utilizzo della terminologia legislativa della parola casa con riguardo a momenti in cui il tepore domestico si è spento2 si ritrova nell’art. 540, 2° comma c.c. che riserva il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare,

1 De Giorgi, “La casa nella geografia familiare” , Europa e diritto privato 3/2013,

pag. 761.

2

G.Frezza, “La casa (già) familiare”, nel “Trattato di diritto di famiglia” , diretto da P. Zatti, Milano, 2006, p. 210 ss.

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9

e di uso dei mobili che la corredano, a favore del coniuge del de cuius.

Indubbiamente la casa ha un grande rilievo giuridico, economico ma anche sociale; conserva ancora in parte il significato di rappresentazione di benessere, ed il legame tra casa e famiglia è imprescindibile e, nonostante attualmente sempre meno, duraturo: come magistralmente diretto dal regista Ettore Scola nel film “La famiglia”, la cui trama, che si snoda attraverso la vita di varie generazioni della stessa famiglia per circa ottant’anni, trova il punto unificatore in un grande appartamento.

Da notare è che il diritto di abitazione (definito come diritto reale di godimento su bene altrui che ha per oggetto una casa e consiste nel diritto di abitarla solo per i bisogni del titolare del diritto e della sua famiglia:art. 1022 c.c.) si configura quale diritto fondamentale della persona, che gode di una tutela di rango costituzionale3, così come quello di sposarsi e costituire una famiglia (art. 9 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea o Carta di Nizza); la stessa formula costituzionale, nel riferirsi alla famiglia come società naturale, richiama l’idea di un luogo – la casa appunto intesa come “focolare” – ove si instaura la comunione di vita tra i familiari, pertanto diritto di abitazione e diritto di costituire una famiglia (all’interno della casa familiare quale oggetto del primo diritto) appaiono inscindibilmente uniti.

La prima constatazione è che, al di là degli sparsi indici normativi che alla casa familiare fanno riferimento, manca nell’ordinamento un esplicito “statuto” che disciplini in modo organico i numerosi profili che scaturiscono dalla specifica destinazione familiare impressa ad un immobile. In considerazione di essa, in linea di principio, potrebbe essere limitata l’ampiezza del diritto dominicale ex art. 42 Cost., come accade in altri ordinamenti: ad esempio in quello

3

Cfr. Corte Cost. 7 aprile 1988, n. 404; al riguardo cfr. Umberto Breccia, Il diritto

(10)

10

francese (art. 215, comma 3 code civil) e in quello catalano (art. 9

Codi de familia4). Anche nel diritto romano arcaico il pater familias

non poteva compiere atti dispositivi sulla casa familiare e l’appartenenza della sede della famiglia al pater era rigorosamente funzionalizzata alle esigenze della familia stessa, al punto da non essere nemmeno liberamente trasmissibile mortis causa mediante testamento5.

Alla domanda su cosa debba intendersi giuridicamente per “casa familiare”, il legislatore quindi non ha dato risposta: come accennato in precedenza, non ha fornito una definizione di “casa coniugale”, nonostante tale termine sia dallo stesso frequentemente utilizzato. Al riguardo si utilizza spesso l’espressione “casa parafamiliare” in luogo di “casa familiare” (come,invece,tende ad impiegare la Corte di Cassazione6), per enfatizzare già a livello letterale l’assenza nel primo caso, del vincolo matrimoniale e dunque la differenza concettuale tra le due ipotesi.7

Inoltre, promiscuamente, si parla di casa “coniugale” o “familiare”, essendo i due termini interscambiabili e considerati sinonimi; tuttavia appare opportuno precisare che per casa “coniugale” si intende quella nella quale i coniugi risiedevano, con carattere di stabilità durante il matrimonio, mentre in presenza di prole o comunque in assenza di vincolo matrimoniale maggiormente adeguato è il riferimento alla casa “familiare”. Nonostante l’evidente diversità di concetti (che prevalentemente non viene rilevata8), comune si svela la visione dell’ordinamento giuridico: la salvaguardia dell’interesse all’abitazione nella quale si svolge (o si svolgeva) la vita dei coniugi, in funzione della tutela della famiglia.

4

SESTA, Manuale di diritto di famiglia, Padova, 2011, 76.

5 Così M. Sesta, “Comunione di vita e di ‘diritti’ sulla casa familiare(Appunti per

una relazione)”,2012.

6

Vedi Cass. Sez. 1, 26 maggio 2004, n. 10102.

7

Frezza, “I luoghi della famiglia”, Torino,2004, pp. 7 ss, 273 ss.

(11)

11

Alberto Trabucchi scriveva: “ Uxor facit domicilium”9

, sottolineando la differenza tra la casa nell’accezione di centro delle relazioni domestiche e come edificio, bene oggetto di diritti a contenuto patrimoniale10. Nello stesso senso i giudici distinguono due significati di casa familiare: la casa intesa come il bene immobile in cui si è svolta la vita coniugale e come nucleo domestico aggregativo durante la convivenza, inteso in senso psicologico. La normativa relativa all’assegnazione della casa coniugale si riferisce a questa seconda interpretazione.

1.1.1 La casa familiare: profili caratterizzanti

Caratteristiche della casa familiare sono l’abitualità, la stabilità e la continuità nel godimento dell’immobile; conseguentemente oggetto di assegnazione è solo quell’immobile che sia stato centro di aggregazione durante la convivenza. Tuttavia, parte della dottrina esclude che seconde case o altri immobili, di cui i coniugi potevano avere la disponibilità, possano essere oggetto di assegnazione, anche se si ritiene da tempo assente il principio di unicità dell’abitazione sulla base del rilievo che la convivenza familiare può svolgersi in più luoghi: non sembra infatti da escludere che più immobili possono aver costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, anche se in via temporanea11. La casa familiare comprende anche tutto il complesso di beni mobili, arredi,

9 De Giorgi, “Due cuori e una capanna” , negli Atti del convegno in onore di G.Galli,

2012.

10

“Il domicilio coniugale esiste fino a che esiste un focolare domestico dove si

svolge la convivenza del marito con la moglie…dove c’è la moglie che tiene la casa del marito” A.Trabucchi, “Uxor facit domicilium” in Studi in onore di A.Cicu,

Milano 1951.

11 Come osserva Quadri, “L’attribuzione della casa familiare in sede di separazione

e divorzio, cit., p.283, “…non si può negare che anche l’abitazione per le vacanze

rappresenti una specie di “estensione”(stagionale) dell’ambiente familiare, …con la conseguenza di rendere ipotizzabile che i poteri del giudice la investano in sede di disciplina delle conseguenze della crisi familiare”.

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12

suppellettili e attrezzature orientato ad assicurare le esigenze della famiglia: con riguardo a quest’ultimo aspetto, non è trascurabile il collegamento funzionale esistente tra le due categorie di beni - l’immobile e i beni destinati alla vita domestica-, anche se non necessariamente le vicende relative all’immobile sono strettamente legate a quelle dell’arredo domestico12

.

In definitiva, secondo la giurisprudenza più recente, formatasi con riguardo all’assegnazione della casa familiare in sede di separazione e divorzio, risulta chiaro che la nozione di casa familiare ricomprenda quell’insieme di beni, mobili e immobili, finalizzati all’esistenza domestica della comunità familiare e alla conservazione degli interessi in cui si esprime e si articola la vita familiare13, ed ha altresì precisato14 che l’assegnazione della casa familiare, rispondendo all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, è consentita con riguardo a quell’immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza.

1.1.2 Le nozioni di convivenza,coabitazione e residenza

Va messa in rilievo un’altra differenza terminologica: si parla di “convivenza” in assenza di vincolo matrimoniale tra coloro che abitano la casa familiare, mentre la parola “coabitazione” fa parte expressis verbis del novero dei doveri che nascono dal matrimonio ( ex art. 143, 2°comma, c.c., il quale dunque pone la casa come centro

12

In caso in cui venga meno la disponibilità stessa dell’immobile dopo l’assegnazione della casa di abitazione, non inevitabilmente il rapporto di strumentalità che lega l’arredo alla casa impone di escludere la possibilità di mantenere il godimento dei soli beni mobili.

13 Cfr. FREZZA, Casa familiare, in Tratt. dir. fam., diretto da Zatti, I, 2, II ed.,

Milano, 2011, 1753.

14

Cass., 4 luglio 2011, n. 14553; cfr. anche Cass., 9 settembre 2002, n. 13065; Cass., 20 gennaio 2006, n. 1198.

(13)

13

di riferimento di obblighi domestici) . A riguardo, è innegabile che il diritto-dovere di coabitazione abbia perso la connotazione rigida e rigorosa da cui era permeato (prima della riforma attuata dalla L. n. 151/1975 si imponeva alla moglie il domicilio del marito), ciò nonostante è indiscutibile che, comportando esso una convivenza animata dall’affectio coniugalis, debba escludersi la possibilità per i coniugi di prescindere integralmente dallo stesso. Sul terreno della tutela della stabilità della famiglia e del mantenimento della comunione di vita, l’obbligo della coabitazione diviene inderogabile nel senso che debba considerarsi immanente al vincolo matrimoniale, se si ritenga lo stesso quale irrinunciabile scelta dei coniugi circa l’individuazione della loro vita insieme. Secondo parte della dottrina dunque, la derogabilità si trasferisce alla nozione di residenza, che può essere comune ad entrambi o separata e può mutare, non secondo il bisogno egoistico del singolo ma tramite la regola dell’accordo ragionevole.

Importante nozione, ai nostri fini, è proprio quella di “residenza”, riferita a quella familiare: contemplando la residenza tra i luoghi di individuazione della persona fisica, l’art. 43, 2°comma, c.c. la definisce come il “luogo in cui la persona ha la dimora abituale”, caratterizzata dunque dalla presenza effettiva della persona in un luogo con carattere di stabilità; tale definizione assume un particolare significato proprio se riferita al luogo in cui (non la singola persona, ma) la famiglia ha la dimora abituale.

Si parla allora di “residenza familiare”15

, cui la legge attribuisce importanza al punto di porla al centro dell’art. 144 c.c., il cui 1° comma stabilisce chiaramente: “I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia

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14

stessa”; e al successivo art. 145 c.c., il quale prevede il ricorso al giudice in caso di disaccordo.

Pertanto, la legge tende a fare riferimento alla residenza per le vicende della vita personale o familiare: si veda l’art. 146 c.c., il quale prevede l’allontanamento dalla residenza familiare come causa di sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale.

Occorre prendere atto che l’elezione di un immobile a residenza della famiglia, in vista della coabitazione futura, è sottoposta ai limiti di vincolatività che si vuole riconoscere al consenso prestato dai coniugi nella definizione dell’indirizzo della vita familiare, il quale è subordinato alla permanenza delle circostanze sussistenti al momento dell’intesa: se da un lato si può concordare con l’affermazione secondo cui la residenza della famiglia presuppone l’esistenza di un accordo sul luogo in cui essa debba realizzarsi, viceversa, l’assenza di una precisa scelta a riguardo non esclude che il luogo in cui di fatto si svolge la vita in comune possa essere considerato residenza della famiglia, sotto il profilo della localizzazione della vita familiare. Va da sè che i coniugi possono, di comune accordo, cambiare residenza o domicilio (come prevedeva al 2° comma l’art. 155-quater, c.c., ora abrogato).

Parte della dottrina16 definisce la residenza familiare come “complesso di persone che stabiliscono tutte di fatto e d’accordo la residenza nello stesso luogo” in senso metaforico e improprio: la residenza infatti è nel luogo e non il luogo17 (o le persone), ed è costituita dalla dimora in un luogo qualificato dall’abitudine, ad indicare che sotteso al concetto di dimora abituale vi è l’attribuzione di valore giuridico ad una serie di comportamenti reali.

A sua volta, alla nozione di “dimora” la legge si riferisce solo indirettamente per definire la residenza, dalla quale si desume a

16

V. Esu, Il domicilio,la residenza, la dimora, cit., p. 381.

17

Carnelutti, Note critiche intorno ai concetti di domicilio, residenza e dimora nel

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15

contrario che può esistere un luogo in cui la persona soggiorna in

modo non abituale ma temporaneo, come le case utilizzate per periodi limitati di tempo quali ad esempio le case di villeggiatura o altre usate per soggiorni temporanei.

Per completezza espositiva, si aggiunga che nei vari ordinamenti europei, relativamente all’ambito di rilevanza della casa familiare nel diritto di famiglia, si ricorre di volta in volta a principalmente a due concezioni: una della casa quale punto di riferimento della coabitazione del nucleo familiare e degli interessi dei figli18, e una che preferisce concentrare sul rapporto tra i coniugi la tutela della casa familiare19. Quello che accomuna le diverse realtà resta l’emersione di una sfera di protezione che oltrepassi il singolo bene di abitazione fornendo una tutela nel maggior modo onnicomprensiva dei diritti dei coniugi, dilatando il concetto di casa “coniugale” rendendone problematica l’individuazione stessa, come accade in Germania dove si è passati dal concetto di casa coniugale all’estensione della tutela nell’ottica di una realizzazione personale del singolo coniuge nel matrimonio, che vada dunque oltre la sfera abitativa dei coniugi congiuntamente considerati.20

1.2 Assegnazione della casa familiare in caso di separazione.

La crisi coniugale costituisce, oltre a un avvenimento psicologicamente ed emotivamente avvilente, un fatto giuridico: come noto, la legge ricollega ad essa, in presenza di determinati presupposti e in determinate circostanze, conseguenze giuridicamente rilevanti per l’ordinamento in generale.

18 Così in Italia, in Francia (“logement de la famille”), in Belgio e in Svizzera

(“Wohnung der Familie”).

19

In Germania (“ Ehewohnung”) e Austria, e in Inghilterra (“Matrimonial Homes”).

20

Anche una casa di vacanze utilizzata in comune dai coniugi è stata ritenuta qualificabile come “Ehewohnung” in Germania.

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16

E’ ciò che avviene nel caso in cui i coniugi, in presenza di fatti che, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza o rechino grave pregiudizio ai figli: presupposti sostanziali per domandare la separazione giudiziale (art. 151, 1° comma, c.c.) ossia la separazione personale e legale21 pronunciata dal giudice con sentenza, all’esito di un procedimento contenzioso instaurato con ricorso da uno dei coniugi22.

La disciplina generale del nostro codice civile prevede, oltre alla separazione giudiziale, anche quella consensuale: se i coniugi sono concordi nel separarsi e sulle condizioni relative all’affidamento dei figli, obblighi di mantenimento e all’assegnazione della casa familiare, essi possono presentare ricorso al tribunale e domandare che il giudice dichiari, con decreto di omologazione, l’efficacia di tale accordo(art. 158 c.c.).

Molteplici sono gli effetti che la legge fa conseguire alla separazione dei coniugi, i quali vanno a incidere direttamente sia nei loro rapporti personali23 che in quelli patrimoniali: ai nostri fini, uno su tutti la cessazione dell’obbligo di coabitazione (art. 143, 2°comma, c.c.), e allo stesso tempo l’inefficacia degli accordi di indirizzo anche con riferimento alla casa familiare.

In questo caso, la protezione della casa familiare non serve solo a difesa dell’unità e stabilità della famiglia,ma si giustifica anche in relazione agli interessi che su di essa emergono in seguito alla crisi coniugale24:l’interesse all’abitazione in particolare, a seguito della

21

La separazione di fatto non ha alcun effetto legale sul matrimonio, pur potendo essere uno dei presupposti oggettivi per la richiesta di separazione legale.

22

Diritto Privato,Tomo terzo, Utet giuridica, pag.1124 ss.

23 Stretta attinenza con la materia trattata de qua riveste la presunzione di

concepimento durante il matrimonio - id est, di paternità del marito-, la quale non opera rispetto al figlio nato oltre trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o omologazione di quella consensuale, quando i coniugi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione (art. 232, 2°comma, c.c.).

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17

cessazione della comunione di vita materiale e spirituale, assume rilevanza primaria, configurandosi come diritto inviolabile che deve essere ricompreso tra quelli individuati ex art. 2 della nostra Carta Costituzionale25.

Secondo la Corte Costituzionale26,la ratio del diritto di abitazione della casa familiare non consiste nella semplice attribuzione ad uno dei coniugi di un titolo per poter usare l’abitazione, al fine di realizzare un personale vantaggio economico; al contrario, l’assegnazione della casa familiare è “giustificata esclusivamente dall’interesse morale e materiale della prole, che ha interesse alla conservazione della comunità domestica” (tale valutazione è stata poi codificata nell’art. 155-quater c.c., ora abrogato).

Dunque le conseguenze giuridiche della cessazione dell’obbligo di coabitazione in ordine ai diritti sulla casa familiare dipendono, in primo luogo, dall’esistenza di figli minori o maggiori non autosufficienti dei cui interessi l’attuale art. 337-sexies c.c. dispone debba tenersi prioritariamente conto: sul piano pratico ciò comporta che la casa sarà assegnata a quel genitore presso il quale i figli siano collocati.

Attingendo alla sentenza fondamentale in materia della Corte Costituzionale poc’anzi richiamata, la definizione, in termini generali, di “assegnazione” della casa coniugale è quella di provvedimento adottato dal giudice in caso di separazione o di divorzio dei coniugi, volto ad assicurare al residuo nucleo familiare (coniuge affidatario ed eventuali figli) la conservazione dello stesso ambiente di vita domestica goduto in costanza di matrimonio.

25 Cass. civile , sez. II, sentenza 11.03.2011 n° 9908.

26 Corte Cost., n. 454 /1989, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’allora

art. 155, 4°comma c.c., nella parte in cui non prevedeva la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini della opponibilità ai terzi.

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18

La giurisprudenza (in particolare, della Corte Suprema di Cassazione)27 è da tempo stabilmente orientata nel ritenere che l’assegnazione della casa in favore del coniuge non proprietario sia necessariamente subordinata alla sua convivenza con figli minori o maggiori non autosufficienti; in mancanza di detto presupposto, non è dato al giudice provvedere in tal senso.

L’orientamento appare criticabile, tenuto conto che sembra trascurare che l’habitat domestico costituisce, data la sua fondamentale importanza per la vita dell’individuo, un bene primario, il quale deve quindi essere concretamente e adeguatamente tutelato anche nella fase di separazione della coppia, in relazione alla condizione di ciascun coniuge.

Occorre quindi considerare, con riferimento alla separazione, che l’art. 156 c.c., pur non menzionando espressamente il problema della assegnazione della casa coniugale, dispone che il giudice stabilisca il diritto di un coniuge di ricevere dall’altro quanto è necessario al suo mantenimento qualora egli non abbia adeguati redditi propri: non si ravvisano ostacoli a ricomprendere nel mantenimento, che un coniuge deve somministrare all’altro, anche il godimento della casa familiare. Inoltre occorre considerare che la separazione non fa venire meno lo stato di coniugio, né elimina il diritto del coniuge a succedere all’altro in veste di erede necessario, così beneficiando della previsione di cui all’art. 540, comma 2, c.c.28

: se il fondamento del diritto di abitazione ivi espresso consiste nella tutela dell’interesse a vivere, dopo la morte dell’altro coniuge, nel luogo della coabitazione matrimoniale29, questo interesse persiste

27 Cass., 18 febbraio 2008, n. 3934; Cass., 22 novembre 2010, n. 23591 . 28 La separazione del resto può avere carattere temporaneo e venir meno a

seguito della riconciliazione.

29

GABRIELLI, Il diritto di abitare nella casa già familiare dopo la dissoluzione della

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19

nonostante la coabitazione si sia interrotta per cause diverse dalla morte30.

Da tutti questi elementi può dedursi che i perduranti doveri di solidarietà coniugale e di mantenimento ben possono consentire al giudice, visto che la legge non lo esclude, di assegnare la casa familiare al coniuge separato non proprietario, qualora ne ravvisi le condizioni ex art. 156 c.c., dato che oltremodo non si spiega perché, a seguito di separazione(o divorzio) debba ritenersi del tutto irrilevante l’interesse del coniuge diversamente da quello dei figli, che verrebbe a risultare meritevole di tutela in via esclusiva.

In passato a riguardo la dottrina riteneva che il giudice potesse attribuire il godimento della casa, anche in assenza di figli, a tutela del coniuge più debole; la giurisprudenza prevalente era tuttavia difforme e questo orientamento oggi sembra prevalere.31

1.2.1 L’assegnazione della casa coniugale prima della riforma del 2013: l’art. 155-quater c.c.

La normativa italiana in materia di assegnazione della casa familiare in caso di separazione trovava il suo perno centrale nell'art. 155- quater c.c. (inserito dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54), il quale stabiliva (e tutt’ora, il 337-sexies c.c. stabilisce) al 1° comma che “ Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente

conto dell'interesse dei figli ”.32

L’assegnazione costituisce perciò una misura di tutela diretta ad evitare ai figli minorenni, o anche maggiorenni non economicamente indipendenti, l’ulteriore trauma di un allontanamento dall’abituale ambiente di vita e di aggregazione dei sentimenti e la presenza dei

30 Scarano, La casa familiare, cit., pag. 151. 31 V. nota 33.

32

Prima ancora, il legislatore del 1975, con una disposizione innovativa oltre ogni misura, aveva attribuito al giudice della separazione il potere di assegnare la casa familiare, “di preferenza e ove possibile, al coniuge affidatario della prole”.

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20

figli permette, nella quasi totalità dei casi, l’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario.

Sicuramente non c’è differenza tra figli legittimi e figli naturali (ora meno che mai, avvenuta dopo la riforma del 2012/2013 la loro equiparazione), tuttavia i figli devono essere di entrambi i coniugi che si stanno separando, non rientrano nel concetto di figlio (ai fini dell’assegnazione della casa familiare), quelli avuti da un precedente matrimonio (anche se conviventi con i coniugi che si separano); quindi, se uno dei due coniugi aveva dei figli provenienti da un precedente rapporto, questi ultimi non sono presi in considerazione per valutare la sussistenza o meno del diritto di abitazione della casa familiare33.

I figli possono essere minorenni o maggiorenni34, ma, in quest’ultimo caso, non devono essere economicamente autosufficienti, sempre secondo giurisprudenza della Suprema Corte : il conseguimento della maggiore età non comporta un’automatica decadenza dell’assegnazione della casa familiare, ma per estinguere il diritto di abitazione è anche necessario che i figli diventino economicamente autosufficienti. Quindi, solo quando i figli diventano autosufficienti (e maggiorenni) il provvedimento di assegnazione della casa familiare può essere eliminato35: questo perché rimane fermo il principio secondo il quale il provvedimento di assegnazione della

33

Cass. civ. sez. I, 2 ottobre 2007 n. 20688 : “Deve escludersi che possa darsi luogo ad assegnazione della casa coniugale al coniuge non affidatario dei figli minori o non convivente con figli maggiorenni non autosufficienti

economicamente …...allorquando, come nella specie, con il coniuge divorziato che richieda detta assegnazione conviva un figlio minore che non sia anche figlio dell’altro coniuge, ma di una persona diversa. La disciplina dell’assegnazione della casa coniugale postula invero, come correttamente ritenuto dalla Corte

territoriale, che i soggetti alla cui tutela è preordinata l’assegnazione siano figli di entrambi i coniugi ai quali sia riferibile la disponibilità, in via esclusiva o in comproprietà, della casa coniugale”.

34 L’art. 155-quinquies c.c. (attualmente art.337-septies, c.c.) contempla

espressamente il diritto del figlio maggiorenne non autosufficiente a essere mantenuto dai genitori, e la norma viene estesa con larghezza al godimento dell’abitazione.

(21)

21

casa familiare (come gli altri provvedimenti relativi alla separazione e al divorzio) è suscettibile di modifica al variare delle condizioni dei coniugi e della prole.

Nella casa i figli vivranno insieme al genitore con cui trascorrono la maggior parte del tempo(denominato dalla giurisprudenza “collocatario”): il giudice individuerà perciò una prevalente localizzazione (o una collocazione privilegiata) anche in caso di affidamento condiviso, e assegnerà la casa familiare al genitore presso il quale tale collocazione privilegiata sussiste.

Nelle norme introdotte dalle legge sull’affido condiviso n. 54 del 2006, prevale in maniera netta l’interesse superprotetto del figlio o meglio della prole (parola abitualmente usata dai giudici nei momenti di crisi): sembra quasi che legislatore e giudici, non fidandosi più dei genitori che “vengono e vanno”, affidi i figli, come unica sicurezza, alla casa in cui vivranno con il genitore “collocatario” (cioè quello con cui abiteranno per la maggior parte del tempo)36.

La prevalenza dell’interesse dei figli alla salvaguardia dell’habitat domestico fornisce, secondo la prospettiva prescelta da legislatore, una presunzione legale circa l’interesse prioritario ai fini dell’assegnazione:interesse nel nome del quale , sin da epoca risalente, ci si è mostrati pronti a sacrificare eventuali ragioni meramente patrimoniali dei coniugi.37

Con la previsione successiva secondo cui “dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori,considerato l’eventuale titolo di proprietà” invece, il legislatore ha inteso adottare la regola, già elaborata dalla giurisprudenza, che imponeva, in sede di determinazione del contributo dovuto per il mantenimento sia dei figli che del coniuge,

36

Cfr., U. Roma, Commento all’art. 155-quater c.c., nel Commentario alla l.

54/2006 a cura di M. Mantovani, cit., p. 15.

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22

di imputare il beneficio economico derivante a quest’ultimo dalla detenzione dell’immobile di proprietà del coniuge obbligato.

Dell’assegnazione della casa familiare, pertanto, il giudice dovrà tenere conto in sede di determinazione del contributo dovuto dal coniuge non assegnatario nei confronti dei figli, nonché dell’eventuale contributo di mantenimento dovuto dall’uno in favore dell’altro coniuge.38

Con l’inciso “considerato l’eventuale titolo di proprietà”, il legislatore intendeva (e intende) che l’assegnazione della casa potesse essere disposta tanto nel caso in cui l’immobile fosse oggetto di un diritto reale (quali in primis come espressamente citato proprietà, ma anche ad esempio usufrutto) facente capo a uno o ad entrambi i coniugi, quanto nel caso in cui il godimento del bene derivasse da contratto costitutivo di un mero diritto personale (locazione,comodato): fondamentale in materia rimane la l. 27 luglio 1978, n. 392, il cui art. 6 stabilisce che l’assegnazione della casa familiare determina la successione ex lege del coniuge assegnatario nel rapporto di locazione, lasciando così presupporre l’implicita ammissibilità della stessa in presenza di diritto personale di godimento, la quale comporterà la semplice “voltura” del contratto. In particolare per quanto concerne il diritto di proprietà o altro diritto reale, si possono verificare (e di fatto, si verificano) svariate situazioni:

- uno dei due coniugi è proprietario della casa (o abbia sulla stessa un altro diritto reale, come l’usufrutto) e l’altro non abbia nessun diritto reale sulla medesima: in presenza di figli, nella stragrande maggioranza dei casi, la casa sarà assegnata al genitore collocatario, indipendentemente dal titolo vantato;

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23

- la casa è in comproprietà tra i coniugi: in questo caso si potrebbe parlare di assegnazione del diritto di abitazione nei limiti della quota dell’altro coniuge39

;

-la casa coniugale appartiene in comproprietà ad entrambi i coniugi ma mancano i figli: in assenza di altri accordi tra i coniugi (sull’assegnazione della medesima) si dovrà procedere alla divisione dell’immobile (vendita, frazionamento, ecc.) dopo lo scioglimento della comunione familiare che consegue al passaggio in giudicato della sentenza di separazione40.

Il coniuge non assegnatario della casa coniugale e non affidatario della prole (le statistiche sono tutte a sfavore del padre41) sarà obbligato ad andarsene, senza alcuna possibilità di poter fare il “separato in casa”: anche una recente sentenza della Suprema Corte42

ha statuito che il diritto di abitazione riconosciuto a uno dei coniugi (o ex conviventi) presuppone l’allontanamento dall’immobile di chi non sia titolare del diritto medesimo, perché l’assegnazione si sostanzia nel diritto di continuare a vivere nell’abitazione familiare senza l’altro coniuge, e la condanna al rilascio dell’immobile è

39

Tuttavia: Cass. civ. sez. I, 5 settembre 2008 n. 22394 “in materia di separazione

o divorzio l’assegnazione della casa familiare è finalizzata esclusivamente alla tutela della prole a permanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta; pertanto, anche nell’ipotesi in cui l’immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all’imprescindibile presupposto dell’affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ma economicamente non autosufficienti: diversamente, infatti, dovrebbe porsi in discussione la legittimità costituzionale del provvedimento, il quale, non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell’indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del contitolare; poiché il V.,

comproprietario della casa familiare, non è affidatario dei figli, il provvedimento di assegnazione in suo favore è illegittimo”.

40 Cass. sez. I, 28 gennaio 1998, n. 822; Cass., civ. sez 13 gennaio 2012 n. 387; la

possibilità di divisione resta immutata anche dopo l’introduzione dell’art. 155 quater c.c. salvo, eventualmente, il diritto di abitazione ex art. 155-quater medesimo.

41

U.Beck, La mela tardiva di Eva o il futuro dell’amore, in Il normale caos

dell’amore, p. 198.

(24)

24

implicitamente inclusa nel provvedimento che attribuisce il diritto in capo all’assegnatario.

Tuttavia, una recente decisione43 ha chiarito che il coniuge convivente e i figli sono detentori qualificati della casa appartenente all’altro coniuge/genitore; ed ancora che il rapporto di coniugio o di convivenza non è idoneo a configurare un compossesso “ad usucapionem” e, tantomeno, che possa aversi alla morte del titolare un consolidamento del possesso nelle mani del superstite. Una sentenza penale44 ha altresì precisato che il coniuge allontanatosi dalla casa coniugale ha il diritto di tornarvi, né l’altro coniuge può escluderlo dalla casa coniugale:in assenza di provvedimento di assegnazione, cacciare un coniuge dalla casa o impedirgli di tornare costituisce reato.

1.2.2 Locazione e assegnazione della casa coniugale

Fino ad ora è stato considerato come presupposto(così expressis verbis l’art.155-quater,1°comma,c.c.) che la casa familiare fosse di proprietà di uno dei coniugi o di entrambi;occorre però considerare cosa accade in caso di separazione,se la casa familiare è locata da un terzo ad uno dei coniugi.

L’opponibilità dei provvedimenti di assegnazione della casa familiare emessi dall’autorità giudiziaria nelle procedure di separazione o di divorzio, qualora l’immobile sia condotto in locazione, trova il proprio fondamento normativo nell’art. 6 , ai commi 2 e 3, della L. 392/1978: essi stabiliscono che,in caso di separazione giudiziale, scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede al conduttore l’altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare gli sia stato attribuito iussu iudicis, mentre in caso di separazione

43

Cass., 14 giugno 2012, n. 9786.

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25

consensuale o nullità matrimoniale la successione dell’altro coniuge nel contratto avviene se i coniugi abbiano convenuto in tal senso. Qualora la casa familiare nell’ambito delle procedure di separazione coniugale sia condotta in locazione, l’opponibilità del provvedimento di assegnazione e del diritto abitativo dell’assegnatario si verifica ex lege , con l’automatica successione dello stesso all’originario conduttore nel contratto di locazione. Poiché la successione si verifica ope legis, a prescindere dalla volontà del locatore, quest’ultimo non potrà opporsi. La ratio della subordinazione della posizione contrattuale del locatore a quanto statuito nel provvedimento di assegnazione si fonda sulla necessità di privilegiare la tutela della famiglia e in particolare della prole a permanere nell’habitat familiare,a maggior ragione messa in rilievo a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 155-quater c.c e che continua a rimanere. In ogni caso, anche se in virtù del provvedimento di assegnazione il coniuge originario conduttore perde la sua pregressa posizione contrattuale,lo stesso può agire in giudizio per opporsi alle conseguenze verificatisi sulla titolarità del contratto di locazione,come ha espressamente riconosciuto la Corte di Cassazione.45

Il contratto di locazione46 della casa familiare può essere stato concluso da parte di entrambi i coniugi oppure da uno solo di essi: in

45

Cass. Civ., n. 22485/2006.

46 La locazione è il contratto con il quale una parte (tecnicamente definita

“locatore”) si obbliga a far godere un bene sia mobile che immobile,come in questo caso) all’altra (“conduttore” o “locatario”) per un periodo di tempo determinato in cambio di un corrispettivo in danaro. La disciplina delle locazioni trova regolamentazione sia nel codice civile (art.1571-1614 c.c.) sia nelle leggi speciali (locazione ad uso abitativo: L. 431/1998 e L. 392/1978; locazione ad uso commerciale: L. 392/1978).

46

De Sanctis, Contratto di locazione e convivenza col conduttore, in Riv. dir. civ., 1974, II, 23.

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26

ogni caso, si realizza una co-detenzione47, tenuto anche conto delle specifiche previsioni della legge n. 392/78, che da un lato – in caso di morte dello stipulante -, garantiscono la successione nel contratto da parte del coniuge e di altri familiari conviventi e, dall’altro, prevedono che in caso di separazione o scioglimento del matrimonio succede nel contratto di locazione il coniuge a cui sia stato attribuito dal giudice (o dagli accordi tra i coniugi) il diritto ad abitare nella casa familiare: in caso di separazione giudiziale, come accennato, bisogna far riferimento alla sentenza del giudice. Se quest’ultima assegna la casa al coniuge che era già intestatario del contratto di locazione, non sorgono problemi e tutto rimane com’era prima; viceversa, se l’abitazione viene assegnata all’altro coniuge, la legge dispone che nel contratto di locazione succede, al precedente conduttore, l’altro coniuge. In altre parole, se il giudice stabilisce che la casa coniugale debba essere assegnata alla moglie, mentre l’originario contratto di locazione era intestato al marito, la prima subentra nella locazione medesima: una sorta di “voltura automatica” operata per effetto della sentenza di separazione,a differenza della separazione consensuale o nullità matrimoniale nelle quali al conduttore succede l’altro coniuge se tra i due si sia così convenuto. La Cassazione48 ha avuto modo di puntualizzare che, nell’ipotesi di separazione giudiziale o di fatto, scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, il coniuge assegnatario della casa coniugale è sostituito automaticamente per effetto della legge nella titolarità del contratto di locazione, con l’attribuzione dei relativi diritti ed obbligazioni che ne derivano e con la cessazione del rapporto di locazione in capo all’altro coniuge. La cessazione degli effetti del contratto in capo all’ex coniuge (ex conduttore) comporta che quest’ultimo, dalla data della separazione, non è più tenuto al 48 Cass. sent. n. 1423 del 21.01.2011.

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27

pagamento dei canoni e delle spese. Se il coniuge subentrato nel contratto di locazione non ha i mezzi per pagare i canoni di locazione, il proprietario di casa può agire con l’azione di sfratto per morosità e chiedere la liberazione dei locali. Quanto però al recupero del credito non corrisposto, il locatore può rivalersi solo sui beni di proprietà del nuovo inquilino.

1.2.3 La casa coniugale concessa in comodato

Anche nel caso in cui l’immobile sia detenuto da uno o da entrambi i coniugi a titolo di comodato49 l’assegnazione è possibile: anzi, non di rado la detenzione è riconducibile ad un contratto di comodato con un terzo il quale ha messo a disposizione l’immobile a motivo di vincoli affettivi. Solitamente si tratta del genitore che ha consentito al figlio di occupare la casa, il quale suo malgrado viene ad essere coinvolto nella sopravvenuta crisi della famiglia, vedendo la propria casa occupata da una persona non (più) gradita. Questa situazione, che assume rilievo soprattutto quando vi siano dei figli, resta principalmente governata dalle norme che il codice civile detta in tema di comodato (art.1803-1812 c.c.), anche se le Sezioni Unite50 hanno fornito una soluzione innovativa: quando il terzo abbia concesso in comodato il bene immobile perché sia destinato a casa familiare e sussista il presupposto dell’assegnazione nell’interesse dei figli, il provvedimento determina una concentrazione del godimento in favore della persona dell’assegnatario. Di conseguenza, ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a tempo indeterminato, il comodante è tenuto a rispettare il godimento del comodatario, restando il suo interesse a riottenere la disponibilità del

49 Secondo l’art.1803 c.c., il comodato è il contratto col quale una parte consegna

all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Nel secondo comma si precisa inoltre che è contratto essenzialmente gratuito.

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bene rilevante solo nei circoscritti limiti segnati dalla previsione dell’art. 1809, 2° comma, c.c. Questa lettura giurisprudenziale del contratto di comodato senza determinazione di tempo, quale è di norma quello concluso tra genitore e figlio, mette in risalto la rilevanza che riveste l’esigenza abitativa della casa familiare: essa costituisce l’effettivo presupposto per imporre e rendere opponibile al comodante stesso l’assegnazione del bene, mentre ove sia possibile escludere la comune intenzione di adibire l’immobile ad abitazione familiare del comodatario, viene meno la possibilità di opporre al comodante la continuazione nel godimento del bene. Nel caso in cui si possa prescindere da tale condivisa finalità abitativa, segnata dall’esigenza di abitazione familiare, dovrebbe trovare applicazione la regola dettata dall’art. 1810 c.c.,che riserva al comodante il diritto di recedere ad nutum51 (secondo cui, se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall'uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede).

Pertanto la concessione in comodato di un immobile, perché sia destinato ai bisogni del nucleo familiare del comodatario, non può essere revocata dal comodante sino a che permangano le esigenze abitative della famiglia, salva l’ipotesi di necessità urgente ed imprevista del comodante stesso, ex art. 1809 c.c.

In particolare, laddove sussista un rapporto di parentela tra il comodante (in genere i nonni) ed i beneficiari del comodato (in genere i nipoti) la ricostruzione della volontà presunta delle parti consente di valorizzare i vincoli di solidarietà all’interno della famiglia in senso ampio, soprattutto nel momento in cui la crisi della coppia determina una dispersione di risorse patrimoniali e personali52. In questa prospettiva la “circostanza che il comodatario

51

Vincenzo Cuffaro, Circolazione del bene casa ed esigenze abitative.

52

AL MUREDEN, Casa in comodato, crisi coniugale e persistenti doveri di

(29)

29

sia coniugato ed abbia dei figli” assume una valenza tale da “modificare, (anche) sotto il profilo contenutistico i rapporti contrattuali che il medesimo mantiene generalmente con i terzi”53

. D’altra parte,occorre tenere conto del fatto che lo stesso criterio illustrato è stato oggetto di opinioni critiche che hanno messo in evidenza incongruenze e paradossi difficilmente superabili. In particolare, si è osservato che la soluzione adottata dalle Sezioni Unite contrasta con la disciplina normativa del comodato e con la funzione causale tipica di detto contratto e lascia perplessi per la ben più intensa tutela che viene attribuita al comodatario rispetto al conduttore54. In effetti, appare quasi paradossale che la scelta di uno schema contrattuale come il comodato, funzionale ad assicurare al proprietario la pronta restituzione del bene, possa dar vita ad una pretesa dei beneficiari alla permanenza nell'immobile per un lasso di tempo ben superiore a quello che sarebbe stato garantito qualora si fosse stipulato un contratto di locazione55.

Occorre rilevare che l’orientamento delle Sezioni Unite56

è stato in una certa misura “circoscritto” da sentenze successive. Esso tuttavia, esso è stato ribadito da diverse pronunce e, recentemente, da una decisione nella quale è stato ulteriormente confermato che il vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari originariamente impresso al comodato per effetto della concorde volontà delle parti, dà vita ad un termine implicito di durata che persiste “anche oltre l’

53

In questo senso Scarano, Comodato di casa familiare e provvedimento di

assegnazione in sede di separazione personale dei coniugi o di divorzio, in Familia,

2004, 895, secondo il quale «ferma restando l’applicazione della regola dettata in tema di restituzione del bene concesso in comodato senza determinazione di tempo (art. 1810 c.c.), l’esigenza di giustificare la fissazione giudiziale di un congruo termine per il rilascio – garantendo così la permanenza dei figli nella casa familiare – dovrebbe più correttamente basarsi sul disposto dell’art. 1183 c.c.».

54

Acierno, L’opponibilità dell’assegnazione della casa coniugale, in Fam. e dir., 2005, pag. 561.

55 Al Mureden, Casa in comodato, crisi coniugale e persistenti doveri di solidarietà

tra familiari, in Fam. e dir., 2012, pag. 696.

56

Tale disciplina risulta applicabile non solo in caso di separazione e divorzio, ma anche di cessazione della convivenza more uxorio.

(30)

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eventuale crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà, ad nutum, del comodante” 57

.

Tutto ciò riguarda il caso in cui l’immobile è stato concesso in comodato per intero (o comodato totale), ma occorre anche chiedersi cosa accade quando l’immobile è usato contemporaneamente dal comodante (e dalla famiglia di questo) e dal comodatario (e dalla famiglia di questo): cioè, bisogna chiedersi cosa accade quando l’immobile è concesso solo in parte in comodato e il comodante si riserva il diritto di continuare ad abitare l’intero immobile (anche la parte concessa in comodato). In tali ipotesi, ci si chiede, se il coniuge del comodatario ha il diritto di richiedere l’assegnazione della casa familiare (in tutto o in parte) e, addirittura, se può chiedere l’allontanamento del comodante dall’immobile concesso in abitazione. Se l’immobile è facilmente “divisibile”, non sussistono problemi per l’assegnazione della casa familiare, almeno, sulla “parte” concessa in comodato, provvedendo, ovviamente, alla separazione (frazionamento) materiale dell’immobile.

Il problema si complica quando l’immobile in cui abitano il comodante e il comodatario non è facilmente divisibile e il comodante si è riservato il diritto di continuare ad abitare la parte dell’immobile concessa in comodato.

In tale ipotesi, la richiesta del coniuge (es. moglie) del comodatario (es. marito) di avere, in modo esclusivo, il diritto di abitare la casa familiare concessa in comodato, presuppone una richiesta diretta di allontanamento del comodatario (es. marito), ma anche una richiesta (di solito, indiretta) di allontanamento del comodante (es. suocero) dall’intero immobile. In questa situazione, il diritto del coniuge assegnatario della casa non può essere espanso (sull’intero immobile) oltre i limiti del diritto che in origine era stato concesso al

(31)

31

comodatario (solo su una parte dell’immobile). Eventualmente si potrebbe prevedere una sorta di indennità per la parte di immobile occupata oltre il dovuto.

1.2.4 Assegnazione della casa coniugale e spese.

Un altro aspetto senza dubbio interessante sotto l’aspetto pratico riguarda la questione delle spese dell’immobile attribuito come abitazione, ossia a quale dei due coniugi spetti farsi carico di pagare le tasse, le ristrutturazioni e quanto altro. In sede di separazione infatti, oltre alle questioni relative all’affidamento e al mantenimento dei figli e all’assegnazione della casa coniugale,andranno valutati gli aspetti economici inerenti alla suddivisione delle spese.

Quando non sia possibile un ricorso congiunto spetta al giudice assumere le determinazioni del caso, anche se generalmente le spese ordinarie relative alla casa familiare (per tali intendendosi, ad esempio, gli esborsi per la manutenzione ordinaria, le spese condominiali ordinarie e le utenze) ricadono sul coniuge assegnatario, in quanto fruitore dell’immobile a cui queste sono connesse: qualora il giudice “attribuisca ad uno dei coniugi l’abitazione di proprietà dell’altro, la gratuità di tale assegnazione si riferisce solo all’uso dell’abitazione medesima (per la quale, appunto, non deve versarsi corrispettivo), ma non si estende alle spese correlate a detto uso (ivi comprese quelle, del genere delle spese condominiali, che riguardano la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell’abitazione familiare), onde simili spese vanno legittimamente poste a carico del coniuge

assegnatario58.

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Andranno diversamente suddivise pro quota le spese straordinarie ovvero quelle da sostenersi, ad esempio, per un’eventuale ristrutturazione dell’immobile che sia in comproprietà dei coniugi.” Da ultimo, per quanto riguarda la tassazione sugli immobili, la legge n. 147 del 27 dicembre 2013 ha istituito l’Imposta Unica Comunale (I.U.C.) che si articola in due componenti: una prima, patrimoniale, riferita all’I.M.U. (Imposta Municipale Unica) dovuta - fatta esclusione per l’abitazione principale - dal possessore degli immobili e, quindi, in caso di separazione o divorzio, dall’assegnatario dell’abitazione; una seconda, riguardante i servizi, riferita, nel caso della TASI (Tassa sui Servizi Indivisibili), alla copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili del Comune di riferimento e da porre a carico sia del possessore che dell’utilizzatore dell’immobile, e, nel caso della TARI (Tassa sui Rifiuti), alla copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani, da porre a carico dell’utilizzatore59

. Dunque in via di principio, il coniuge che si è visto assegnare la casa familiare deve pagare l’Imu, a carico di colui che risiede effettivamente nella casa coniugale dopo la separazione o il divorzio,a differenza di quanto avveniva con la “vecchia” Ici60 per la quale si faceva carico delle spese colui che risultava legalmente proprietario del bene. Adesso l'imposta ricade su chi abita realmente la casa anche senza essere il titolare di un diritto, e visto che dell'Imu si fa carico il genitore assegnatario, sarà quest'ultimo a poter godere delle facilitazioni previste se si hanno figli sotto i 26 anni.61

59

Ad ogni modo, è bene precisare sul punto che ogni Comune dovrà adottare il Regolamento contenente la disciplina in materia di I.U.C. con riferimento alle singole componenti TARI e TASI. Pertanto, allo stato, è demandata a ciascuna Amministrazione Comunale l’assunzione di possibili provvedimenti per l’applicazione delle nuove disposizioni di legge, anche alla luce di eventuali possibili modifiche che potranno essere apportate alla richiamata previsione normativa.

60

Imposta Comunale sugli Immobili, sostituita nel 2012 dall'IMU.

61

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33

1.2.5 Trascrizione e opponibilità del provvedimento di assegnazione

L’art. 155-quater, 1° comma (attuale 337-sexies, 1°comma) stabilisce poi, che il provvedimento di assegnazione della casa familiare e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c., il quale ultimo disciplina gli atti soggetti a trascrizione (ossia che “si devono rendere pubblici col mezzo della trascrizione”). La ratio della previsione legislativa è di attribuire alla trascrizione stessa l’efficacia di opponibilità del diritto ai terzi, sancita dal successivo art. 2644 c.c. secondo il quale la trascrizione degli atti non ha effetto riguardo ai terzi che, a qualunque titolo, hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi: ad esempio, l’eventuale conflitto tra il coniuge assegnatario dell’immobile dopo la separazione e colui che abbia ottenuto dal coniuge proprietario un diverso diritto sull’immobile (come un contratto di locazione o di comodato), deve essere risolto in base al criterio della priorità della trascrizione, secondo il noto brocardo latino, “Prior in tempore, potior in iure”.

Tuttavia, la Suprema Corte a Sezioni Unite62 ha chiarito, dopo notevoli dibattiti avvenuti prima dell’introduzione dell’art. 155-quater in tema di circolazione del bene immobile adibito a casa familiare oggetto del provvedimento di assegnazione da parte del giudice, che tale provvedimento previsto dalla legge sul divorzio63 ma applicabile per analogia anche in tema di separazione personale dei coniugi è opponibile, ancorchè non trascritto, al terzo e successivo acquirente nei nove anni dalla data dell’assegnazione ,

62 Cass. Sent. n. 11096 del 26 luglio 2002. 63

Art.6, 6°comma, l. n. 898/1970 secondo il quale, nella parte finale:

“L'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 del codice civile”.

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34

ovvero, se trascritto, anche oltre i nove anni e potenzialmente senza limiti di tempo (salva la sopravvenuta caducazione dell’interesse dei figli alla detenzione ex art. 155-quater, 1°comma, c.c.).

La trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare in caso di separazione ha funzione dichiarativa ai sensi dell’art.2644 c.c., e di conseguenza risolve il conflitto tra il diritto del coniuge assegnatario e i titolari di diritti incompatibili; e inoltre,poiché l’art. 1599 c.c. richiamato dalla legge sul divorzio si presenta come norma speciale rispetto all’art. 2643 (invero, si limita a stabilire le condizioni affinchè la locazione sia opponibile al terzo acquirente della cosa locata64), l’opponibilità nei confronti del terzo resta disciplinata proprio da questa norma. Da ciò deriva che il provvedimento di assegnazione non trascritto consente all’assegnatario il godimento del bene immobile adibito a casa familiare nei soli limiti del novennio. Tuttavia si tratta di un’interpretazione, quella più liberale in proposito, in contrapposizione a quella più rigorosa, la quale applicando rigidamente i principi della trascrizione, sostiene che la mancata trascrizione del provvedimento di assegnazione comporta la totale ed assoluta inopponibilità dell’assegnazione della casa familiare al terzo acquirente dell’immobile.

1.2.6 L’estinzione del diritto all’assegnazione

Infine,quanto all’estinzione del diritto all’assegnazione della casa familiare, l’ex art. 155-quater prevedeva, e il nuovo art. 337-sexies continua a prevedere, che il diritto di abitarvi venga meno in quattro casi specifici: 1) se l’assegnatario non abiti la casa familiare: ciò

64 Il riferimento è in particolare al primo comma, che stabilisce che il contratto di

locazione è opponibile al terzo acquirente solo se l’acquisto risale a data certa anteriore all’alienazione della cosa, e al terzo comma, secondo cui le locazioni di beni immobili (quale è la casa familiare) non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente se non nei limiti di un novennio dall’inizio del contratto.

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rappresenta un caso eccezionale nel quale, per sopravvenute o non prevedibili ragioni, l’assegnatario decida di non beneficiare del godimento riconosciutogli; 2) se l’assegnatario cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, caso eccezionale come il primo; 3) se l’assegnatario della casa familiare instauri una convivenza more uxorio all’interno della casa oggetto di assegnazione; 4) se, infine, l’assegnatario contragga nuovo matrimonio. In particolare, quanto a queste ultime due evenienze, appare evidente come il legislatore abbia inteso sottolineare la strumentalità dell’assegnazione alla sola realizzazione dell’interesse dei figli al mantenimento dell’habitat domestico, e pertanto abbia voluto evitare che l’assegnazione dell’immobile rappresenti la realizzazione dell’esigenza abitativa del coniuge o convivente del genitore assegnatario. E’ stato evidenziato come questa disposizione individui una nozione estesa di “casa familiare”: non intesa come mero luogo fisico dove collocare la residenza della prole in seguito alla cessazione della coabitazione coniugale, ma ambiente idoneo ad accompagnare, il più possibile senza traumi, lo sviluppo e l’esistenza dei figli65. Tali cause di estinzione del diritto di abitazione della casa familiare si fondano dunque sulla tutela dell’interesse dei figli a non assistere a una sorta di “sostituzione della figura genitoriale del coniuge non assegnatario, proprio all’interno del contesto fisico-ambientale in cui si era svolta la loro esistenza fino alla fase della disgregazione della convivenza familiare. Tuttavia, la Corte Costituzionale66, nel dichiarare infondata la questione di legittimità dell'art. 155-quater, 1° comma,c.c., con interpretazione adeguatrice ha sancito la necessità di considerare la norma nel senso che l’assegnazione della casa coniugale non venga meno di diritto (e automaticamente) al verificarsi degli eventi di cui sopra, ma che “la decadenza dalla stessa sia subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore”; e aggiunge che

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Diritto Privato, Tomo Terzo, AA.VV., Utet Giuridica, pag.1136 ss.

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considerandola altrimenti in termini di automatismo, non vi sarebbe coerenza con i fini di tutela della prole per i quali l'art. 155-quater c.c. è sorto, e la coerenza della disciplina e la sua costituzionalità possono essere recuperate soltanto ove la normativa sia interpretata in tal senso.

L’art. 155-quater , infine, stabiliva al secondo comma che, nel caso in cui uno dei coniugi decidesse di cambiare residenza o domicilio, l’altro coniuge poteva chiedere al giudice la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, compresi quelli economici, nel caso in cui tale mutamento interferisse con le modalità dell’affidamento: ciò è del tutto coerente con la ratio dell’intero articolo, permeato tutto alla tutela prioritaria dell’interesse dei figli a seguito della separazione, e soprattutto all’impianto normativo della riforma del 200667 che ha modificato e introdotto, tra le altre, tali norme.

Con la L. n. 54 del 2006 la regola infatti è divenuta quella dell’affidamento dei figli ad entrambi i genitori, ossia l’affidamento condiviso68, prevedendo il diritto del figlio, anche in caso di separazione personale dei genitori, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale. Pertanto, l’interesse dei figli a permanere nelle vicinanze del genitore non affidatario e la correlativa esigenza di quest’ultimo a non vedersi interrotta la relazione continuativa con i propri figli solo a causa di un cambio di residenza o domicilio decisa dal coniuge affidatario, trovano piena tutela soprattutto in caso di separazione.

67 Legge 08.02.2006 n° 54 , recante disposizioni in materia di separazione dei

genitori e affidamento condiviso dei figli.

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E’ derogabile la pronuncia dell’affido condiviso, qualora la sua applicazione risulti pregiudizievole per l'interesse della prole (art. 155-bis, 1° comma, c.c).

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