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I figli della famiglia di fatto a seguito della riforma del

2.5 L’interesse dei figli della famiglia di fatto

2.5.2 I figli della famiglia di fatto a seguito della riforma del

Con l’avvento della nuova riforma, la legge n. 219/2012, la disciplina sulla filiazione nel codice civile si è evoluta per adeguarsi maggiormente ai tempi e alla società moderna: un esempio su tutti, l’art. 315 c.c. è stato riformato in maniera esemplare stabilendo che “ tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. Pertanto, in tutta la normativa vigente i riferimenti ai figli “legittimi” e ai figli “naturali” vengono sostituiti con la parola “figli”: lo status giuridico della filiazione si presenta oggi unico, senza più alcuna distinzione fra figli

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nati all’interno del matrimonio e figli nati da coppie di fatto. Il legislatore si è finalmente accorto che il modello familiare consacrato nell’art. 29 della Costituzione quale società naturale fondata sul matrimonio sta cambiando: sempre più figli nascono da coppie non unite in matrimonio (statisticamente, si parla circa del 23% del totale di bambini che nascono in un anno). Di essenziale importanza viene a rivestire anche il novellato art. 315-bis c.c., in virtù del quale il figlio ha diritto, oltre all’assistenza morale, educativa e materiale da parte dei genitori nel rispetto delle sue capacità ed aspirazioni, a crescere in una famiglia mantenendo rapporti significativi con i parenti, e , compiuti i 12 anni di età, ad essere ascoltato in tutte le procedure e questioni che lo riguardano: diritti dunque, e non soltanto obblighi del figlio di contribuire al mantenimento della famiglia. Oggetto di tale norma è qualunque figlio, compreso ovviamente quello nato all’interno di una famiglia di fatto: con la riforma del 2012, attuata in seguito con il Dlgs. n. 154/2013 entrato in vigore il 7 febbraio 2014, il concetto di famiglia recepito nel codice civile si adegua alla nozione di responsabilità genitoriale che non è più solo potestà ma anche protezione e cura responsabile ed attenta della prole. La rivoluzione rappresentata dai nuovi artt. 315 e 315-bis c.c. non è solo giuridica, ma ancora prima e soprattutto culturale. Grazie al riconoscimento formale della parentela( esteso alle famiglie dei genitori) anche per i figli nati al di fuori del matrimonio, tale vincolo si estende alla successione ereditaria, rispetto alla quale i figli ex naturali avranno pieni diritti. La riforma inoltre, ha influito sulla disciplina dei figli nati fuori dal matrimonio in termini non soltanto di diritto sostanziale, ma anche processuale in quanto i procedimenti per la regolamentazione dell’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, in precedenza devoluti al tribunale dei minorenni, ora sono di competenza del tribunale ordinario con applicazione dei principi e delle garanzie patrimoniali per le

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obbligazioni economiche relative al mantenimento dei figli che si applicano nei procedimenti di separazione e divorzio; ivi compreso, il diritto all’assegnazione della casa familiare al genitore collocatario od affidatario dei figli della coppia di fatto.

La disciplina dell’assegnazione della casa familiare, a seguito di crisi nella famiglia di fatto è contenuta attualmente nell’art. 337-sexies c.c. inserito ex novo dall’art. 55 del Dlgs. n. 154/2013, emesso dal Governo in ottemperanza alla delega conferitagli dalla L. n. 219/2012 per modificare ed eliminare ogni discriminazione tra figli, ed è stata mutata anche la collocazione strutturale delle disposizioni dedicate ai provvedimenti da adottarsi riguardo ai figli conseguentemente alla crisi della coppia di genitori. L’art. 337-sexies c.c., riproponendo quasi lo stesso contenuto del primo comma dell’abrogato art. 155-quater c.c.: l’assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza, confermando che l’interesse prioritario e prevalente di cui il giudice deve assolutamente tenere conto nel giudizio relativo è quello dei figli. Tutti i figli, senza distinzione: infatti, l’art. 55 del Dlgs. n. 154/2013 ha inserito l’art. 337-bis c.c., il quale prevede espressamente che tutte le norme contenute nel Capo II, Titolo IX del primo libro del codice civile, tra cui anche l’art. 337-sexies c.c. in tema di assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza, si applicano anche nei “procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio”. L’art. 337- sexies c.c., alla stregua dell’abrogato art. 155-quater c.c., di cui ripropone quasi integralmente il contenuto, rende applicabile anche alla crisi della coppia di fatto e conseguente assegnazione della casa familiare, il criterio fondamentale dell’interesse prioritario della prole, e della considerazione dell’eventuale titolo di proprietà di uno dei due conviventi o di entrambi da parte del giudice. Vengono riproposte le medesime cause di estinzione del diritto al godimento della casa familiare: la cessazione stabile o non abitazione da parte

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del convivente nella casa familiare, l’instaurazione di una nuova convivenza more uxorio oppure la celebrazione di un matrimonio con un altro soggetto. Nell’ultima parte del primo comma, si riconferma inoltre la trascrivibilità e conseguente opponibilità ai terzi ex art. 2643 c.c. del provvedimento di assegnazione a favore di uno dei due conviventi more uxorio. Il secondo comma, tuttavia, subisce una modifica di rilievo: l’ex art. 155-quater c.c. prevedeva che, in caso di cambiamento di domicilio o residenza da parte di uno dei due coniugi, si ridefinissero gli accordi già presi, compresi quelli economici, se il mutamento interferisse con le modalità di affidamento della prole. Attualmente, l’art. 337-sexies c.c., al secondo comma, tutela maggiormente i figli, in particolare minorenni: già il cambiamento si nota sul piano terminologico, riferendosi l’articolo non più ai “coniugi” ma ai “genitori” tout court. E si prevedono maggiori garanzie al fine di evitare pregiudizi alla prole: l’obbligo di comunicazione da parte del genitore nei confronti dell’altro dell’avvenuto cambio di residenza o di domicilio, congiuntamente alla perentorietà del termine di 30 giorni (fissato, dunque, a pena di decadenza) entro il quale rendere la comunicazione. In aggiunta, è previsto un diritto al risarcimento del danno da mancata comunicazione, eventualmente patito dal genitore o dai figli per le difficoltà nel reperimento del genitore allontanatosi. E’ interessante notare che il dodicesimo comma dell’art. 6, legge n. 898/1970 (normativa in tema di divorzio), abrogato dal dlgs. n. 154/2013, aveva letteralmente lo stesso contenuto del 2° comma dell’art. 337-sexies c.c. Attualmente dunque la portata applicativa della norma si è ampliata, comprendendo fra i suoi destinatari anche le coppie di fatto con prole, diversamente dalla legge sul divorzio logicamente destinata esclusivamente alle coppie ex coniugate. Anche alla luce della nuova normativa, l’assegnazione della casa familiare a seguito della crisi della coppia di fatto può essere disposta

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solo ed esclusivamente in presenza di prole minorenne o maggiorenne da tutelare, senza potersi tuttavia attribuire a tale statuizione differenti finalità che si discostino dal primario e fondamentale interesse per i figli( la convivenza more uxorio ne esce ulteriormente sconfitta in quanto alla possibilità di ottenere un riconoscimento giuridico- normativo). Interesse prioritario, come inteso dalla giurisprudenza anche precedente alla riforma sull’ ex art. 154-quater c.c. rimasto quasi immutato, della prole “a permanere nell’ habitat domestico, postulando, oltre alla permanenza del legame ambientale, la ricorrenza del rapporto di filiazione cui accede la responsabilità genitoriale, mentre non si pone anche a presidio di rapporti affettivi ed economici che non involgano, in veste di genitori, entrambi i componenti del nucleo che coabitano la casa familiare oppure i figli della coppia che abbiano cessato di convivere nell’abitazione, già comune, allontanandosene”115

. Attualmente dunque, anche nei procedimenti relativi a figli di genitori non uniti in matrimonio, nell’affidamento della prole è necessario tenere in considerazione in primis la possibilità di un affido condiviso ad entrambi i genitori non più conviventi, ed anche la casa familiare sarà attribuita “tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli” (art. 337-sexies, 1° comma, c.c.) . Allo stesso modo di quanto avviene nelle procedure di separazione e per la cessazione degli effetti civili, scioglimento ed annullamento del matrimonio, anche in occasione della crisi della coppia di genitori “di fatto” l’assegnazione della casa familiare dovrà essere disposta col l’unico fine ed obiettivo primario di tutela della prole minorenne o maggiorenne non autosufficiente economicamente. Dunque, la casa familiare dovrà essere assegnata al genitore affidatario di figli minori, in caso di disposizione di affidamento esclusivo o monogenitoriale, oppure a quello prevalentemente convivente( ossia definito, collocatario) con

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la prole minore, in caso sia stato disposto l’affidamento bigenitoriale. Infine, in presenza di figli maggiorenni della coppia di fatto che però non siano in grado di mantenersi dignitosamente, la casa familiare sarà assegnata dal giudice al genitore convivente con costoro.

I requisiti della casa familiare ai fini della sua assegnazione nell’ambito della famiglia di fatto in caso di cessazione della convivenza more uxorio, oltre alla presenza di prole convivente, sono i medesimi di quelli previsti per le procedure di separazione e divorzili: nel momento in cui il giudice dovrà assumere una decisione nel merito, deve sussistere un immobile destinato a casa familiare dotato dei requisiti essenziali di abitualità, stabilità e continuità nel godimento da parte della famiglia di fatto. Tali elementi essenziali sono stati ribaditi e ritenuti essenziali anche per la casa familiare dove abita la famiglia di fatto dalla Corte di Cassazione: in una sentenza del 2012116, la I Sezione civile della Suprema Corte ha negato il diritto di una madre tenutasi lontana insieme alla figlia dalla casa in cui conviveva more uxorio per tre anni circa, ad ottenere l’assegnazione della casa medesima in sede giudiziale nell’ambito di una procedura relativa a figli di genitori non coniugati. La ratio decidendi sottesa alla sentenza della Suprema Corte si ricollega all’esclusivo interesse del minore nell’assegnazione della casa: la prole non può subire alcun pregiudizio dalla separazione dei genitori vedendosi allontanato repentinamente dall’abitazione in cui è vissuto e all’interno della quale si trova il centro dei propri affetti. La casa, secondo la Corte, rappresenta infatti la conservazione delle abitudini quotidiane acquisite nel tempo; per il figlio minore o comunque convivente, costituisce un punto di riferimento importante per la salvaguardia del proprio equilibrio psichico e fisico. Nel caso di specie, una donna convivente more uxorio con un imprenditore, entrambi genitori di una bambina, dopo

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la convivenza si era allontanata dalla casa a causa di oggettive condizioni di conflitto con il compagno che non permettevano più ai due di vivere in maniera pacifica; la donna,avendo richiesto l’assegnazione della casa e avendo subito il rigetto della richiesta, ha proposto ricorso per Cassazione. In sede di legittimità, la Cassazione ha rigettato il ricorso della donna ricorrente, statuendo che la durata prolungata dell’allontanamento dalla casa familiare( tre anni circa), avvenuto tenendo con sé la figlia, ha ormai provocato un distacco della minore dalle abitudini dell’ambiente familiare, permettendole così di costruire ex novo la sua routine giornaliera in un altro luogo. Conclude dunque la Corte che non si presenta più come auspicabile l’assegnazione della casa alla madre, in quanto è venuta meno la sua “funzione di habitat domestico), cessata proprio a causa dell’allontanamento della minore dalla casa ormai ex familiare. Infatti, in tema di assegnazione della casa familiare occorre considerare in via prioritaria l’interesse dei figli a rimanere nell’habitat domestico; ciò nonostante, l’esigenza di conservare tale habitat, inteso come “il centro degli affetti, interessi e consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare”, viene meno nel caso in cui tale presupposto fondante risulti carente, poiché come nel caso di specie i figli si sono già sradicati dal luogo in cui si evolveva l’esistenza della famiglia di fatto.

Frequente nella pratica è che il genitore di un bambino avuto durante il matrimonio o da un precedente rapporto costituisca in seguito una convivenza con un’altra persona, andando a formare un nuovo nucleo familiare. In questo caso, la responsabilità genitoriale spetta ai genitori “ biologici” del minore nel rispetto dei provvedimenti emessi dal Tribunale ordinario. E’ però possibile che il convivente del genitore con cui venga a stabilirsi la nuovo famiglia proceda all’adozione del minore stesso, ex L. n. 184/1983: in caso di mancato assenso da parte del genitore, occorre un provvedimento del

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Tribunale per poter instaurare una convivenza alla stregua di vera e propria famiglia di fatto nella casa destinata ad abitazione familiare. E’ necessario tuttavia che la coppia adottante, quale conditio sine qua non per procedere all’adozione, contragga matrimonio in quanto in Italia le coppie di fatto di per sé non possono adottare se non in vista della celebrazione del matrimonio, calcolando un periodo di almeno 3 anni di convivenza complessivi e continuativi: in una prospettiva de jure condendo, tale discriminazione va eliminata in quanto, così come a seguito della riforma del 2012-2013 tutti i figli hanno lo stesso status giuridico indipendentemente dall’essere nati all’interno o al di fuori di un matrimonio o dall’essere stati adottati, anche i genitori non devono più essere distinti al fine dell’adozione alla stregua dell’unico discrimine, peraltro oggi ancora più fragile ed instabile che in passato, rappresentato dalla celebrazione o meno di un matrimonio. E tale discrimine rappresenta un limite invalicabile non attualmente superabile, alla stregua della normativa vigente, per le coppie di fatto omosessuali, le quali non possono neppure procedere all’adozione in quanto in Italia non è loro riconosciuto il diritto di sposarsi.