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L’intento di questo lavoro è stato quello di offrire un panorama complessivo, ed il più completo possibile, sulle conseguenze che ricadono, a seguito di cessazione della convivenza tra due persone non coniugate, sulla casa familiare quale centro degli interessi e consuetudini di vita e sui suoi abitanti, la coppia ed eventualmente i figli della famiglia di fatto. Si è scelto di utilizzare nel titolo

l’espressione “coppie di fatto”, pur nella consapevolezza che la portata innovatrice e rivoluzionaria del d. lgs. n. 154/2013 ha spinto al riguardo le correnti dottrinali verso due distinte direzioni.

Secondo un’opinione, nulla sarebbe mutato sul versante della qualificazione della convivenza tra soggetti non coniugati, tanto che l’espressione “coppie di fatto” può continuare a designare le persone non unite da vincolo matrimoniale stabilmente conviventi, non aventi legittimazione giuridica anche in presenza di prole a carico. Secondo altra opinione, invece, le coppie composte da soggetti non coniugati non presenterebbero più differenze rispetto alle coppie unite in matrimonio, tanto da non dovere più impiegare neppure la locuzione “coppie di fatto” qualora abbiano generato figli. Questo in virtù del fatto che oggi non sussiste più alcuna distinzione fra figli ex legittimi e figli ex naturali, in quanto con la riforma del 2012/2013, scompare ogni differenziazione anche terminologica sussistendo gli stessi diritti, doveri e rapporti di parentela169 in entrambe le situazioni. Considerando la disciplina generale in tema di assegnazione della casa familiare nella crisi del rapporto matrimoniale, continua a registrarsi un divario rispetto alla trattazione della medesima materia con riguardo alle coppie non coniugate. La normativa concernente il destino della casa familiare a seguito di separazione e divorzio è

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M. Rinaldi, “La nuova filiazione e la convivenza nella famiglia di fatto”, Maggioli Editore, 2014, pag. 40.

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contenuta essenzialmente nell’attuale art. 337-sexies c.c., che peraltro è applicabile anche ai procedimenti riguardanti figli di genitori non coniugati ex art. 337-bis c.c.; tuttavia si ritrovano fondamenti normativi anche nell’art. 6 della legge n. 392/1978 in materia di locazione, e nell’art. 6, 6° comma (e, di riflesso, anche il 12° comma) della legge divorzile n. 898/1970. Naturalmente, la normativa in tema di divorzio non risulta applicabile analogicamente alle coppie non unite da vincolo matrimoniale, mentre le disposizioni sulla successione nel contratto di locazione a seguito di rottura del rapporto per crisi o decesso si applicano, per effetto della sentenza storica della Corte Costituzionale n. 404/1988, anche alle convivenze more uxorio.

La differenza insuperabile che sussiste fra le due situazioni, da una parte la crisi matrimoniale e, dall’altra, la cessazione della

convivenza fra partners non uniti in matrimonio, è giuridica, oltre che sociale: il fenomeno delle convivenza fra persone non coniugate non è espressamente riconosciuto dalla legge del nostro Paese, il quale accoglie quale unico modello costituzionalmente esplicitato nell’ art. 29 Cost., la famiglia nelle vesti di “società naturale fondata sul matrimonio” e non, appunto, sulla mera convivenza. Pertanto, poiché non sussiste neppure una definizione normativa generale riguardante specificamente le convivenze fra persone non unite in matrimonio, tantomeno è possibile rinvenire una disciplina ad hoc che descriva, nei minimi dettagli, l’assegnazione della casa familiare nella crisi delle coppie non sposate. E’ possibile tuttavia sostenere che oggi, a seguito dell’entrata in vigore delle disposizioni del D.lgs. n. 154/2013 in materia di filiazione, la parificazione giuridica dei figli, unitariamente ed indistintamente considerati sia che siano nati all’interno che al di fuori del matrimonio, ha influito positivamente sulla disciplina de qua: l’art. 337-sexies c.c. riguardante

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fra genitori si applica anche ai genitori di figli generati durante una convivenza more uxorio, con una portata ancora più pregnante dell’ex art. 155-quater c.c., grazie all’eliminazione terminologica e sostanziale di ogni differenziazione in ordine ai figli. Ma ciò

nonostante, pur essendosi verificati dei decisi passi in avanti verso il riconoscimento della famiglia “di fatto” , la strada da percorrere è ancora lunga: molto di più si sarebbe potuto, e si potrebbe, fare. La giurisprudenza, come sottolineato più volte, riveste un ruolo di fondamentale importanza nel supplire alle lacune di un legislatore ancora troppo cauto e palesemente assente nella materia della crisi delle convivenze non fondate sul matrimonio: come dimostrano le recenti sentenze della Corte di Cassazione170, la tutela accordata al convivente non proprietario della casa familiare a seguito di crisi nel rapporto di coppia va a colmare le lacune della legge, ma con

riguardo alle singole fattispecie concrete che di volta in volta si presentano ai Giudici.

Troppi, dunque, rimangono i vuoti normativi e la giurisprudenza non può continuare a farsi carico di un compito che, nella società del terzo millennio, si fa sempre più pressante: l’enorme diffusione su scala nazionale del fenomeno delle convivenze al di fuori del matrimonio richiede tutele e garanzie che solo il legislatore, servendosi delle prerogative, a lui proprie, può accordare.

De iure condendo, si prospetta in primis un riconoscimento giuridico delle coppie non fondate sul matrimonio, non soltanto in quanto genitrici di figli (le quali, almeno secondo la dottrina progressista sopra richiamata, sono legittimate e tutelate a seguito della riforma del 2013) ma anche ex se, in quanto tali. E conseguentemente, in secundis, dovrebbero essere contemplati organicamente gli aspetti patrimoniali più rilevanti che vengono in luce a causa della rottura del rapporto di coppia, tra cui , per la sensibilità e delicatezza degli

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In particolare, la sentenza n. 7214/2013 e la sentenza n. 7/2014. Si rimanda ai paragrafi 3.2 e 3.3, Capitolo 3.

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interessi coinvolti, l’assegnazione della casa familiare che ha costituito il centro della convivenza. L’unica costante che rimane, e deve permanere, che accomuna entrambe le situazioni patologiche della separazione e del divorzio, e della cessazione della convivenza more uxorio, è la considerazione primaria ed irrinunciabile

dell’interesse dei figli, ove presenti: come ribadisce, stavolta sì, il dato normativo all’art. 337-sexies c.c., al primo comma, secondo cui, nell’assegnazione della casa familiare in godimento all’uno o

all’altro genitore, il Giudice deve tenere (l’imperativo è sottinteso implicitamente) prioritariamente conto dell’interesse dei figli.

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