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Coppie di fatto e diritti successor

Le coppie di fatto non sono giuridicamente riconosciute all’interno del nostro ordinamento, né eterosessuali né tantomeno omosessuali, e ciò comporta notevoli lacune normative sotto vari profili riguardanti la comunione di vita instaurata da tali persone. Un aspetto che soffre terribilmente il silenzio normativo, anche alla luce di recenti fatti di cronaca, è quello riguardante i diritti successori (o meglio, l’assenza di essi), soprattutto per la sorte a cui è destinato inevitabilmente il convivente del de cuius al fronte delle pretese legali di eventuali eredi legittimi. Da tempo addietro la società ha invocato una maggiore considerazione per la sorte a cui va incontro il convivente in caso di decesso del compagno in assenza di matrimonio, lamentando appunto una discriminazione palese del principio di uguaglianza rispetto alle coppie unite in matrimonio, in cui il coniuge assume legittimamente e legalmente lo status di successibile. Una sentenza della Corte Costituzionale del 1989141 rigettò le eccezioni di incostituzionalità avanzate nei confronti dlel’art. 540 c.c., nella parte in cui escludeva il convivente more uxorio dal diritto di abitazione della casa adibita a residenza familiare in caso di morte del convivente. L’art. 540 c.c., intitolato proprio “Riserva a favore del coniuge”, al secondo comma espressamente riconosce al marito o moglie in caso di morte dell’uno o dell’altro la riserva dei diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili

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Come, ad esempio, nel caso assai frequente nella pratica della casa familiare concessa in comodato, la cui proprietà sia di un terzo estraneo alla coppia di fatto.

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che la corredano, se di proprietà del de cuius o comuni, quando concorra con altri chiamati. Nel caso considerato dalla Corte Costituzionale si invocava per il convivente more uxorio legato al de cuius da un legame di solidità comprovata, la stessa posizione ereditaria di cui il coniuge superstite beneficiava e continua a beneficiare. La Corte rigettò le eccezioni di incostituzionalità dell’art. 540, 2° comma, c.c. argomentando sulla palese diversità tra la convivenza, intesa come unione sostanzialmente libera, nata per la volontà dei suoi stessi membri al di fuori di ogni schema legale, ed il matrimonio quale istituto da cui origina un rapporto giuridico stabile, certo e qualificato da diritti e doveri reciproci. E già al tempo osservò come il convivente more uxorio non potesse essere ammesso dalla Corte a godere dell’assegnazione della casa familiare ex art. 540, 2° comma, c.c., altrimenti presentandosi quella della Corte stessa una pronuncia additiva, causando indebite ingerenze nelle competenze riservate esclusivamente al legislatore. Il quale legislatore, trascorsi ben 25 anni dalla sentenza della Corte Costituzionale, è rimasto in silenzio, lasciando totalmente scoperti e sprovvisti di tutela successoria i conviventi colpiti dalla morte dei rispettivi compagni di vita in assenza di vincolo matrimoniale.

Un caso emblematico a lungo discusso è stato quello della morte del cantante Lucio Dalla, poiché il partner convivente nell’appartamento di proprietà del cantante non ha potuto vantare alcun diritto né di abitazione né sull’eredità, essendo il cantante deceduto ab intestato. Avendo conseguentemente avuto luogo la successione legittima, l’appartamento in cui il partner di Dalla viveva è stato venduto dai suoi eredi, costringendolo a lasciare l’immobile senza poter vantare alcunché od altrimenti tutelarsi. Allora, in caso di morte di uno dei due conviventi all’interno di una coppia di fatto, non sussistendo lo status di coniuge (o non potendo sussistere, come per le coppie omosessuali) l’unica via per ottenere quantomeno una quota di

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eredità del convivente è prevedere un lascito all’interno di un testamento142. Tuttavia con un monito: essenziale è che questo lascito non leda la porzione di legittima spettante ex lege a determinati soggetti, quali eventuale coniuge anche separato (purché non con addebito), figli ed ascendenti143. Dunque i conviventi more uxorio non hanno diritti successori nei confronti dell’altro in quanto non legati da vincolo di parentela o di matrimonio, e vengono considerati dalla legge quali estranei fra loro. A meno che uno dei due non nomini erede l’altro nel proprio testamento, rispettando sempre e comunque i diritti successori dei legittimari ove presenti ed in vita. In questo caso, il convivente nominato erede potrà ricevere la quota disponibile del convivente de cuius, mentre sono vietati in assoluto dalla legge nella disciplina generale e pertanto anche tra conviventi i patti successori ( ossia, quei contratti con cui ciascuno dei conviventi si impegna a nominare proprio erede l’altro, e ove stipulati, sono nulli ex art. 458, c.c.) . Altra soluzione prospettabile al fine di tutelare il convivente dopo la morte del compagno è la donazione indiretta, cioè l’intestazione di determinati beni, come la casa centro della convivenza, al convivente di fatto. Le donazioni indirette sono atti che producono gli stessi effetti economici della donazione, ossia il risultato di arricchire una persona, come il convivente, senza stipulare un vero e proprio atto di donazione in senso tecnico- giuridico (come ad esempio, il contratto a favore di terzo) il quale invece richiederebbe la stipulazione formale per atto pubblico alla presenza di testimoni. Le norme sostanziali tuttavia rimangono le

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Il cantante Lucio Dalla, per garantire una qualche tutela al compagno che riguardasse anche la casa in cui convivevano, avrebbe dovuto redigere

testamento eventualmente nominandolo suo erede universale: nel caso di specie, il cantante non aveva né moglie né figli od ascendenti viventi, pertanto poteva disporre di tutto il suo patrimonio.

143 L’art. 536 c.c., il quale prevede i soggetti ai quali la legge riserva una quota di

eredità o altri diritti nella successione(cd. Legittimari)è stato modificato dal Dlgs. n. 154/2013, a decorrere dal 7 febbraio 2014: le parole “legittimi” riferite ai figli ed agli ascendenti sono state soppresse, in ragione della conclamata unicità dello

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stesse, ossia quelle sulla revocazione per ingratitudine, sopravvenienza di figli e soprattutto, sull’azione di riduzione esperibile dagli eredi del donante per lesione della legittima, al fine di reinserire quei beni (come la casa familiare, in caso di donazione della stessa effettuata dal de cuius in favore del convivente) . Uno degli esempi più frequenti di donazione indiretta è appunto quello della donazione dell’immobile adibito a casa familiare della coppia di fatto, da parte di un convivente a favore dell’altro. A seguito di morte del convivente donante, se vi sono eredi cd. legittimari del de cuius questi potrebbero vittoriosamente esperire l’azione di riduzione ex artt. 553 ss. c.c. nella misura in cui la donazione della casa lesiona la loro quota di legittima.

Occorre analizzare due ipotesi particolarmente frequenti nella pratica, concernenti l’assegnazione della casa nella quale i conviventi more uxorio condividono la loro comunione di vita, e la sua sorte in seguito alla morte di uno dei conviventi: la casa in locazione e la casa familiare in proprietà di uno solo di essi.

Per quanto riguarda la locazione, fondamentale in materia si rivela la sentenza della Corte Costituzionale n. 404/1988, la quale ha esteso la tutela rappresentata dalla successione automatica ope legis nel contratto di locazione a seguito di morte del conduttore al suo convivente more uxorio, a prescindere dalla presenza di eredi legittimi.

Nel caso di proprietà della casa familiare in capo ad uno solo dei due conviventi, in caso di morte del titolare di diritto sull’immobile la legge attualmente non riconosce alcun diritto successorio in favore del convivente more uxorio superstite. Nell’esperienza pratica, il convivente che sopravvive si trova costretto ad abbandonare l’immobile a seguito di richiesta degli eredi, divenuti legittimi proprietari della casa, a meno che questi per spirito di liberalità non

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decidano di concedere a costui l’utilizzo della casa stessa ( ipotesi che purtroppo, nella maggioranza dei casi, non accade) .

Una sentenza di particolare interesse nella materia de qua è stata pronunciata nel 2002 dal Tribunale di Torino144, la quale ha riconosciuto in capo al convivente more uxorio convivente con il de cuius con compossesso ultraventennale il diritto di abitazione per usucapione. Nel caso in cui non si rientri nell’usucapione, per cui occorre il possesso continuato, pacifico e pubblico per venti anni e porta all’acquisizione della proprietà della casa, l’unico modo per tutelare il convivente è conferire il diritto di abitazione nella casa ex familiare (a seguito della morte del compagno di vita, comportando quest’ultima la cessazione della comunione di vita materiale e spirituale) tramite testamento. Il testamento deve essere redatto validamente, di fronte ad un notaio al fine di tutela a fronte di impugnazioni pretestuose ad opera di eventuali eredi contrari. Con tale atto di ultima volontà, si può prevedere che la casa spetti, in caso di propria morte, al convivente, nei limiti della quota di legittima spettante agli eredi legittimari.

All’interno del testamento, oltre alla piena proprietà della casa può essere concesso l’usufrutto od altro diritto reale minore, il cui valore non può comunque superare la quota disponibile del convivente deceduto, e gli eredi che si troveranno di fronte ad un eventuale testamento lasciato in favore del convivente more uxorio del de cuius avranno davanti a sé due soluzioni.

La prima è scegliere di accettare le ultime volontà espresse dal defunto in favore del convivente nei confronti del quale nutriva un legame affettivo profondo, e costui potrà permanere nell’abitazione della casa ex familiare.

La seconda scelta per cui potranno optare gli eredi (nella pratica, maggiormente frequente se il convivente de cuius disponeva di un

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patrimonio cospicuo) è contestare l’atto testamentario: in tale situazione, il convivente beneficiario del testamento non potrà più vantare l’usufrutto o la piena proprietà della casa, ma avrà la comproprietà del bene insieme agli eredi nei limiti della quota di cui il convivente de cuius poteva disporre a suo favore.

Concludendo, in definitiva il nostro ordinamento giuridico non prevede alcuna tutela in caso di morte di uno dei membri della coppia di fatto, e pertanto solo ed esclusivamente gli strumenti dell’autonomia privata possono andare incontro alle esigenze e necessità dei conviventi more uxorio. La giurisprudenza di legittimità non è insensibile alle vicende successorie dei conviventi more uxorio quanto lo è il legislatore: la Corte di Cassazione ha anche riconosciuto al convivente il diritto a subentrare nell’assegnazione di un alloggio dell’edilizia residenziale pubblica (ossia, casa popolare) in caso di morte del convivente assegnatario, purché al momento del decesso il rapporto di convivenza fosse in corso. Alcuni aspetti dunque della vicenda successoria dei conviventi nella coppia di fatto sono stati regolati e considerati dalla giurisprudenza, ma rappresentano comunque eccezioni di fronte al dilagare del fenomeno della convivenza di fatto, che attualmente nella materia de qua si sente, non a torto, discriminata rispetto allo status di erede legittimario riconosciuto al coniuge. E’ auspicabile pertanto un intervento del legislatore, volto a riconoscere dal punto di vista giuridico- normativo una posizione successoria quantomeno garantita in capo ai conviventi membri di una coppia di fatto, rispettando le ultime volontà di chi, indipendentemente dal vincolo matrimoniale o dalla diversità di sesso, abbia inteso beneficiare una persona particolarmente cara in vita.

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3. L’assegnazione della casa familiare nella coppia di