3. L’assegnazione della casa familiare nella coppia di fatto: evoluzione giurisprudenziale e recenti svilupp
3.3 Comodato e rapporti con i terz
3.3.2 Comodato gratuito e convivenza more uxorio nella sentenza della Corte di Cassazione n 7 del
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Una garanzia analoga a quella attribuita in sede di legittimità al convivente more uxorio del partner proprietario della casa adibita a comune abitazione è stata concessa di recente: la Suprema Corte è tornata ad occuparsi della tutela possessoria del convivente ma in ipotesi di spoglio commesso da un soggetto terzo alla coppia, ossia il comodante, e specificamente avente per protagonista una coppia di conviventi more uxorio senza figli.
Il Tribunale di Torino, nel 2003, aveva accolto la domanda di una signora torinese che chiedeva di essere reintegrata nel possesso dell’ appartamento abitato in convivenza con il compagno, concesso in comodato gratuito dal fratello di quest’ultimo alla coppia. Il partner fu vittima di un incidente stradale in conseguenza del quale dovette subire una lunga degenza in ospedale, durante la quale il fratello di costui, proprietario dell’immobile, sostituì la serratura
dell’appartamento. Il Tribunale di Torino, accertato l’avvenuto spoglio, dispose dunque la reintegrazione nel possesso
dell’appartamento a favore della donna convivente estromessa, ma in seguito a gravame del fratello del partner la Corte d’Appello
piemontese rigettò la domanda della donna nel 2006. La Corte d’Appello ritenne provato il rapporto di convivenza more uxorio fra i due membri della coppia non fondata sul matrimonio, ma escluse che a favore della donna si potesse configurare una situazione
qualificabile come possesso, poiché la relazione con la cosa –nella fattispecie, un appartamento- trovava la sua fonte in un rapporto contrattuale (il comodato intercorso fra il partner e il fratello di lui); ed inoltre, la donna era consapevole di abitare in un alloggio messo a disposizione del compagno da parte di un terzo. La Corte escluse poi che si potesse configurare una detenzione qualificata in capo alla donna convivente, la quale non era perciò legittimata all’azione di reintegrazione nel possesso poiché, essendo i due compagni di vita
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conviventi, l’appartamento era da considerarsi come messo a disposizione dal fratello del comodatario per ragioni di mera e precaria ospitalità.
A seguito di ricorso della signora, la Cassazione ha emesso la decisione n. 7 del 2 gennaio 2014, prendendo in considerazione anche quanto statuito in precedenza in tema di tutela possessoria con la sentenza n. 7214 del 2013. Con il primo motivo di ricorso si è lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c. disciplinante l’azione di reintegrazione nel possesso: la donna ha affermato che l’azione di spoglio da lei proposta si basava non sulla convivenza more uxorio, ma sul “ possesso diretto esercitato dalla medesima che aveva goduto con animus possidendi ” anche in seguito all’incidente stradale (nel quale fu peraltro coinvolta insieme al partner), possesso esercitato sull’appartamento in cui aveva trasferito i propri beni ed oggetti personali. E tale situazione non era mai stata oggetto di contestazione da parte del fratello del
comodatario, proprietario dell’immobile, il quale era perfettamente a conoscenza della convivenza instaurata al suo interno e del fatto che la donna avesse continuato a vivere nell’appartamento in assenza del compagno. Secondo la ricorrente, l’esistenza del comodato non faceva comunque venire a mancare l’animus possidendi il quale è indipendente dalla buona o mala fede e si desume dai comportamenti tenuti dal possessore. E che, in ogni caso, la permanenza della donna nel godimento dell’immobile aveva determinato l’interversione del possesso: id est, il mutamento della detenzione in possesso mediante il compimento di attività materiali in grado di manifestare
inequivocabilmente l’intenzione di esercitare il possesso esclusivamente nomine proprio, il cui accertamento integra
un’indagine di fatto rimessa al giudice di merito. Argomentando in tal senso la convivente affermava con pienezza la sua legittimazione ad agire ex art. 1168 c.c., avendo subito uno spoglio violento e
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clandestino con il quale era stata privata del possesso, o comunque, della detenzione qualificata, configurabile secondo i principi elaborati anche nel 2013 dalla Suprema Corte, a favore dei conviventi more uxorio non proprietari dell’alloggio familiare. La convivente ha lamentato anche omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, alla guisa di secondo motivo del ricorso, su un fatto decisivo della controversia, nel punto in cui la Corte d’Appello piemontese aveva affermato che l’appartamento era stato messo a disposizione del partner fratello del comodante e non della convivente di lui, poiché il proprietario era consapevole che in esso la donna aveva vissuto e continuato ad abitare anche a seguito dell’incidente e durante la degenza in ospedale del convivente, “esercitando una situazione possessoria propria o comunque, una detenzione qualificata”.
La Suprema Corte ha ritenuto fondati, entro i limiti da essa di seguito tracciati, entrambi i motivi e li ha esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi:
1) Ha affermato che è stata esclusa correttamente una situazione qualificabile in termini di possesso in capo alla convivente estromessa, poiché il rapporto di fatto con l’appartamento era iniziato a titolo di detenzione: il bene era stato consegnato dal proprietario in forza del comodato intercorso con il di lui fratello, tale da escludere la presunzione di cui all’art. 1141 c.c.167 ai fini del mutamento della detenzione in possesso. In particolare, l’opposizione fatta dal detentore contro il possessore richiede “il compimento di uno o più atti estrinseci, dai quali sia possibile desumere la modificata
167 L’art. 1141 c.c. , intitolato “Mutamento della detenzione in possesso”, pone la
presunzione iuris tantum secondo cui si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa, se non viene provato che ha iniziato ad esercitarlo “semplicemente come detenzione”. Al secondo comma, aggiunge che vi sono due modi per trasformare la detenzione in possesso: occorre che il titolo sia
modificato per causa proveniente da un terzo o in virtù di un’opposizione del detentore contro il possessore.
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relazione di fatto con la cosa detenuta, attraverso la negazione dell’altrui possesso e l’affermazione del proprio”168
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