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Il bilancio d'esercizio delle imprese

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CAPITOLO IV

I CRITERI DI VALUTAZIONE

di Annalisa Baldissera

SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. La valutazione delle immobilizzazioni

immateriali. Premessa - 3. I costi di impianto, ampliamento e sviluppo - 4. L’avviamento - 5. La valutazione delle immobilizzazioni materiali. Criteri generali - 6. La valutazione delle immobilizzazioni finanziarie - 7. I crediti e i debiti - 8. La valutazione delle attività e delle passività in valuta - 9. La valutazione delle rimanenze di beni - 10. La valutazione dei titoli e delle attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni - 11. La valutazione dei lavori in corso su ordinazione - 12. Gli strumenti finanziari derivati - Appendici.

1. INTRODUZIONE

Le norme in materia di valutazione1 sono principalmente contenute nell’art. 2426 del Codice Civile, così come modificato dal D. Lgs. 139/2015.

In questa sede si considereranno i criteri di valutazione relativi alle classi attive e passive dello stato patrimoniale, con specifico riguardo agli aspetti innovativi introdotti a seguito del recepimento della direttiva 2013/34/UE (in seguito Direttiva).

Con particolare riferimento ai crediti, l’analisi verrà condotta unitariamente, ossia a prescindere dalla loro collocazione nell’attivo immobilizzato o nell’attivo circolante, soprattutto in considerazione dell’identità del criterio di valutazione applicabile.

Per la medesima ragione, si analizzeranno congiuntamente le attività e le passività in valuta, per le quali la distinzione tra classi monetarie e non monetarie costituisce il tratto accomunante di maggiore rilievo.

1 Vedi CAGNASSO O. (a cura di), La nuova disciplina del bilancio

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Con riguardo alle rimanenze, la trattazione verrà suddivisa secondo l’oggetto che le origina, distinguendosi tra beni, titoli e attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni.

Infine, gli strumenti finanziari derivati verranno considerati quale unica classe, a prescindere dalla loro iscrizione nell’attivo immobilizzato o nell’attivo circolante, atteso che in entrambe le ipotesi si applica la valutazione al fair value.

Si illustrano di seguito i contenuti sopra enunciati.

2. LA VALUTAZIONE DELLE IMMOBILIZZAZIONI

IMMATERIALI. PREMESSA

Per quanto attiene alle immobilizzazioni immateriali, per effetto del recepimento della Direttiva, il numero 5) dell’art. 2426 del Codice Civile, inerente gli oneri pluriennali, è stato interamente riscritto.

Mentre la disciplina generale relativa alla valutazione delle immobilizzazioni immateriali è rimasta sostanzialmente invariata ed è riconducibile, nei principi fondamentali, a quella prevista per le immobilizzazioni materiali (vedi ultra), gli elementi di maggiore novità sono riconducibili ai seguenti:

a) l’espunzione dagli oneri capitalizzabili dei costi di pubblicità e di ricerca;

b) l’introduzione di una specifica disciplina per l’ammortamento dei costi di sviluppo e dell’avviamento.

3. I COSTIDIIMPIANTO, AMPLIAMENTOESVILUPPO

In relazione all’eliminazione, dagli oneri capitalizzabili, dei costi di pubblicità e di ricerca, la modifica normativa ravvicina la disciplina interna alle previsioni dei principi contabili internazionali IAS/IFRS, i quali escludono la possibilità di iscrivere fra le attività immateriali costi per i quali risulti incerta la stima della capacità di generare benefici economici futuri.

Ne consegue che i medesimi costi, anche se potenzialmente idonei a produrre ricavi per una pluralità di esercizi2, devono venire integralmente iscritti a conto economico, nel periodo amministrativo di competenza.

2 Vedi D’IPPOLITO T., Le determinazioni di ragioneria, Abbaco, Palermo,

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Con riguardo ai costi di pubblicità, già prima della riforma, la prassi nazionale3 constatava il divario tra la disciplina italiana, che iscriveva i medesimi costi fra quelli suscettibili di capitalizzazione, e la prassi internazionale, che, al contrario, anche allora escludeva tale possibilità.

Su queste basi, e in stretta aderenza al principio di competenza, la prassi nazionale distingueva4 tra:

a) spese di pubblicità per così dire ricorrenti o ordinarie, rappresentative delle casistiche più frequenti;

b) spese di pubblicità eccezionali o straordinarie, prevedibilmente in grado di generare benefici economici duraturi.

Per le spese sub a), la capitalizzazione era esclusa, data l’assenza del requisito dell’utilità ripetuta; viceversa, le spese sub b), in quanto idonee a contribuire alla produzione reddituale di più esercizi, erano suscettibili di venire iscritte fra i costi pluriennali.

Anche con riguardo alle spese di ricerca, i principi contabili internazionali non ne ammettevano -e tuttora ne escludono- l’iscrizione fra le attività immateriali, mentre i principi contabili nazionali5 operavano una distinzione basata su criteri di durata dell’utilità economica, in tutto simili a quelli sopra descritti per le spese di pubblicità.

In particolare, le attività di ricerca potevano suddividersi in due classi:

a) la ricerca di base, intesa quale attività ricorrente di perfezionamento dei prodotti o dei processi produttivi e non connessa a progetti specifici, i cui oneri dovevano ritenersi costi di periodo, in quanto tali da iscrivere a conto economico;

b) la ricerca applicata, invece riferibile a un’attività non ripetitiva e non generica, bensì mirata alla realizzazione di una specifica applicazione, i cui costi potevano venire capitalizzati, subordinatamente (i) alla concreta fattibilità dell’applicazione medesima e (ii) alla sua capacità di generare benefici economici futuri.

Questa articolazione delle spese di pubblicità e delle spese di ricerca realizzava un proporzionato contemperamento tra la

3 Vedi OIC 24, 2005.

4 Questa distinzione permase anche nella versione successiva del medesimo

principio contabile (OIC 24, 2015), mentre è venuta meno nella formulazione attuale (OIC 24, 2016).

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disciplina nazionale, che le includeva fra gli oneri pluriennali, e i principi contabili internazionali6, invece, sul punto, antitetici: ne risultava un’opzione intermedia adeguatamente equilibrata che non escludeva a priori la capitalizzazione, ma neppure la ammetteva senza riserve, imponendo invece una specifica analisi della prevedibile utilità delle spese.

Occorre peraltro osservare che, sebbene l’esclusione dallo schema di stato patrimoniale delle spese di pubblicità e di ricerca, prescritta dalla Direttiva, avvicini i bilanci degli Stati membri alla prassi contabile internazionale, questo aggiornamento rappresenta, rispetto alla disciplina italiana, un adeguamento non esattamente congruente con la struttura logica dei rendiconti di esercizio nazionali, e in particolare con il sistema del reddito.

Si introduce infatti nel medesimo sistema una condizione estranea al raggiungimento degli obbiettivi che di esso sono propri: atteso infatti che lo scopo del bilancio è la determinazione del reddito e del derivato capitale di funzionamento, l’impossibilità di capitalizzare oneri dotati di utilità pluriennale ostacola la corretta determinazione -secondo competenza economica- dei risultati di periodo.

Per quanto attiene all’ammortamento dei costi di sviluppo, la nuova disciplina risulta invece essenziale per il pieno compimento della logica reddituale.

Rientrano generalmente fra i costi di sviluppo le spese sostenute, a diverso titolo, per l’applicazione concreta, a un progetto specifico, dei risultati ottenuti tramite la ricerca applicata o comunque attraverso le conoscenze in possesso dell’impresa.

A questo proposito, è utile ricordare che la disciplina previgente prevedeva che il processo di ammortamento dei costi di sviluppo dovesse concludersi entro un periodo non superiore a cinque anni.

Da questo limite all’estensione temporale del processo di ammortamento non discendeva, evidentemente, né che esso dovesse durare esattamente cinque anni, potendo anche concludersi in un minor numero di esercizi, né che le singole quote dovessero essere necessariamente costanti.

6 Vedi sul tema SAITA M., SARACINO P., PROVASI R., MESSAGGI S.,

Evoluzione dei principi contabili nel contesto internazionale, FrancoAngeli, Milano, 2012; CARATOZZOLO M., Il bilancio d’esercizio, Giuffrè, Milano, 2006.

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Ne derivava la possibilità di eseguire stanziamenti determinati non solo macchinalmente, in misura pari a un ventesimo dell’onere capitalizzato, ma anche criticamente, attraverso la ripartizione ragionata del costo.

Tuttavia, la statuizione convenzionale di un limite massimo al periodo di ammortamento equivaleva a rendere inavverabili tutte le casistiche corrispondenti a un’utilità prevista maggiore di cinque anni.

Diversamente dispone la disciplina ora vigente, secondo la quale i costi di sviluppo devono venire ammortizzati in base alla loro vita utile7; solo laddove -in casi eccezionali- la

medesima vita utile non possa stimarsi attendibilmente, l’ammortamento deve concludersi entro un periodo non superiore a cinque anni.

Il criterio convenzionale diviene dunque residuale e soccorre nei casi, che la norma considera non ricorrenti, in cui le stime della vita economica dei costi di sviluppo non risultino sufficientemente affidabili.

Per converso, il criterio della vita utile presunta diventa principale, e in questo senso rende il processo di ammortamento rispondente al principio cardine dell’imputazione dei costi secondo competenza economica.

Con riferimento infine alle altre disposizioni inerenti gli oneri pluriennali, rileva ricordare anzitutto che i costi di impianto e ampliamento aventi utilità pluriennale seguitano a essere capitalizzati.

Si includono nella classe in esame8 i costi sostenuti per la costituzione dell’impresa e per i successivi ampliamenti della sua capacità operativa, quali tipicamente:

- i costi inerenti la fase pre-operativa, o costi di start-up; - i costi inerenti le ristrutturazioni e le riconversioni aziendali.

I costi di impianto e di ampliamento devono venire ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni. Continua dunque ad applicarsi, per questa classe di oneri, il criterio convenzionale della durata massima quinquennale del periodo di ammortamento, che potrebbe trovare giustificazione sia nella presunzione che i costi in esame tendano

7 Vedi FERRERO G., La valutazione del capitale di bilancio, Giuffrè, Milano,

1995.

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verisimilmente a esaurire la loro utilità nel medio periodo9, sia nell’opportunità di porre un limite alle politiche di capitalizzazione spinta.

Sia i costi di impianto e ampliamento, sia i costi di sviluppo a utilità ripetuta possono essere iscritti nell’attivo subordinatamente al consenso del collegio sindacale, ove presente.

Infine, è stabilito che sino a quando l’ammortamento dei costi di impianto, ampliamento e sviluppo non sia concluso, possono venire distribuiti dividendi solo se residuino riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzato.

La disposizione, già prevista ante-riforma, è ispirata al principio, immanente nell’ordinamento, secondo il quale la preservazione del patrimonio aziendale deve venire giuridicamente perseguita al precipuo fine della tutela dei creditori sociali.

A questo proposito, occorre infatti osservare che le capitalizzazioni di costo -e specialmente dei costi in esame, per i quali la stima della vita utile risulta difficoltosa- possono prestarsi all’implementazione di politiche di bilancio finalizzate all’occultamento dei risultati negativi di esercizio o alla sovrastima di quelli positivi. L’iscrizione fra le attività immateriali di costi che invece dovrebbero più propriamente considerarsi di periodo genera infatti un’alterazione dei valori particolarmente funzionale all’ostentazione di redditi e di patrimoni non esistenti.

In questo senso, in assenza di riserve capienti, l’imposizione del divieto di distribuire dividendi, sino a quando gli effetti reddituali della capitalizzazione, cioè gli ammortamenti, siano ancora in corso, risponde all’esigenza di impedire erogazioni di utili fittizi, che, in quanto tali, mascherino veri e propri rimborsi di capitale10.

4. L’AVVIAMENTO

9 Per questa interpretazione vedi SUPERTI FURGA F., Il bilancio di esercizio

italiano secondo la normativa europea, Giuffrè, Milano, 2004.

10 Vedi CECCHERELLI A., Il linguaggio dei bilanci. Formazione e

interpretazione dei bilanci commerciali, Le Monnier, Firenze, settima edizione, 1961.

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4.1. La determinazione del valore dell’avviamento

Le disposizioni relative all’avviamento in parte confermano e in parte innovano la disciplina pre-vigente.

In particolare, risultano confermate le condizioni che ne consentono l’iscrizione in bilancio, e specificamente:

a) il consenso del collegio sindacale, ove quest’organo sia presente;

b) l’acquisizione a titolo oneroso;

c) l’iscrizione nei limiti del costo sostenuto.

La condizione sub a) è principalmente ascrivibile alla cautela11 usata dall’ordinamento nel consentire l’iscrizione in bilancio di costi sospesi per i quali risulti incerta la previsione dei benefici economici futuri. In questo senso, il vaglio del collegio sindacale, cui è sottoposto l’avviamento, varrebbe ad assicurare l’accertamento -da parte di soggetti terzi e imparziali- della sussistenza dei requisiti di utilità pluriennale del costo.

In altri termini, e soprattutto al precipuo scopo di tutela dei terzi, il legislatore mira a circoscrivere la discrezionalità degli amministratori, rimettendo a un organo indipendente le decisioni inerenti la rappresentazione in bilancio dell’avviamento e le determinazioni di reddito e di patrimonio che ne derivano.

La condizione sub b) vale a escludere la possibilità di iscrivere in bilancio il cosiddetto “avviamento interno”, ossia l’avviamento generato dall’impresa, posto che, laddove la medesima iscrizione venisse ammessa, ne conseguirebbe la possibilità di accogliere nei conti annuali redditi attesi e incerti, in evidente violazione del principio di prudenza.

L’avviamento iscrivibile a bilancio è dunque solo quello emergente da fattispecie traslative dell’azienda o di rami di essa, quali la cessione, il conferimento, la fusione e la scissione. In questi casi, infatti, l’avviamento non è auto-prodotto, ma viceversa affiora a seguito di operazioni di scambio con terze economie, tramite le quali viene acquisito dall’impresa, al pari di qualsivoglia altro fattore produttivo.

In relazione alla condizione sub c), atteso che l’iscrizione a patrimonio deve avvenire secondo il costo sostenuto, vengono

11 Vedi sul tema SANTOSUOSSO D. U., LAGHI E., BIANCHI M. T.,

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in considerazione le tematiche inerenti la determinazione del valore di avviamento.

A questo proposito, posto che è iscrivibile a bilancio il solo avviamento ottenuto a titolo oneroso, l’evidenza del suo valore risulta diversa in funzione del tipo di operazione attraverso la quale viene acquisito.

In particolare, occorre distinguere gli atti traslativi dell’azienda a seconda che in essi il valore dell’avviamento si configuri quale prezzo oppure come costo12: nel primo caso, il valore dell’avviamento è dato dal corrispettivo espressamente pattuito a tale titolo; nella seconda ipotesi, invece, il medesimo valore è implicito, ossia incorporato nel costo complessivo dell’operazione.

Nelle fattispecie ove sussista un prezzo, come ad esempio in talune operazioni di cessione d’azienda13, evidentemente non si pongono questioni di stima in capo all’impresa che acquisisce l’avviamento, posto che il corrispettivo è esplicitamente convenuto dai contraenti e costituisce, in quanto tale, il valore massimo iscrivibile a bilancio.

Viceversa, in occasione di altre operazioni aziendali, come ad esempio le fusioni, ha luogo la formazione non già di un prezzo, bensì di un costo, rispetto al quale emergono problematiche valutative specifiche, posto che il valore dell’avviamento non è espressamente convenuto e deve quindi venire ricostruito tramite stima, sia nell’esistenza, sia nella misura.

A questo proposito, occorre rilevare che la disciplina civilistica non definisce il concetto di avviamento, né statuisce i criteri da seguire per determinarne il valore, limitandosi a prescrivere che l’imputazione a bilancio avvenga nei limiti del costo sostenuto. Risulta dunque necessario ricorrere ai metodi di stima dell’avviamento elaborati dalla dottrina economico-aziendale14.

12 Vedi DE GOBBIS F., Le nuove proposte di riforma del codice di

commercio riguardanti i bilanci delle società anonime: lezione tenuta il 4 giugno 1935-XIII dal Prof. Francesco De Gobbis per la chiusura del suo corso di Ragioneria, Stabilimento Tipografico Villarboito, Torino, 1935.

13 Così accade nelle operazioni di cessione d’azienda nel cui ambito le parti

abbiano previsto il pagamento di un prezzo a titolo di avviamento.

14 Vedi ONESTI T., ROMANO M., TALIENTO M., Il bilancio di esercizio

nelle imprese: dal quadro concettuale di riferimento alle nuove regole contabili nazionali e internazionali, Giappichelli, Torino, 2016.

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Dalle considerazioni sopra effettuate emerge come -qualsiasi sia l’operazione con la quale viene acquisito-l’avviamento iscritto in bilancio costituisca sempre un valore stimato, nonostante l’esteriore somiglianza ai valori realizzati, che ritraggono la loro oggettività dall’esser frutto di scambi conclusi con terze economie: “La rilevazione di conto dell’avviamento nelle scritture sistematiche si suole credere limitata ai casi nei quali l’avviamento, essendo pervenuto all’azienda per negoziazione, ha un costo «effettivo»”. […] “Se un valore di scambio, in relazione all’avviamento, si vuole determinare consapevolmente, se la redditività di un’impresa può addurre alla logica determinazione di un valore di scambio, questo non è già il valore del supposto capitale immateriale avviamento, ma bensì il valore dell’impresa avviata, o del suo capitale considerato come complesso economico atto alla produzione. E non vi può essere invocata capacità di esperti o di tecnici che possa risolvere fondatamente il problema irreale dell’attribuzione del valore di scambio ai singoli fattori complementari di un complesso economico, i quali in quanto tali non possono essere destinati a disgiunta negoziazione.” […] “l’avviamento, come elemento singolo di patrimonio non può avere un costo di autonoma formazione.”15.

Per le considerazioni di cui sopra, la presenza di un’operazione di scambio intercorsa tra economie indipendenti determina bensì l’insorgenza di un prezzo certo e reale, ma tale è solo il prezzo globale dell’operazione, ossia il corrispettivo della cessione o dell’apporto, oppure il disavanzo di fusione o di scissione, mentre non lo sono i singoli valori che derivano dalla scomposizione del medesimo prezzo in componenti disgregati.

In questo senso, non potendo l’avviamento avere un costo di autonoma e distinta formazione, la locuzione “costo per esso sostenuto”, utilizzata dal legislatore, deve venire correttamente intesa, quale riferita non già a un costo numerario certo, specificamente sopportato a titolo di avviamento, bensì a un valore di costo determinato tramite congetture, e in particolare mediante la separazione di una quota-parte del prezzo complessivamente corrisposto.

15 Vedi ZAPPA G., Il reddito di impresa. Scritture doppie, conti e bilanci di

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4.2. L’ammortamento dell’avviamento

In relazione all’ammortamento dell’avviamento, la norma vigente sino al 2015 stabiliva che il medesimo dovesse concludersi entro un periodo non superiore a cinque anni, secondo un criterio di tipo convenzionale, dettato più da ragioni di prudenza che di competenza economica.

Occorre infatti por mente, da un lato, alle menzionate incertezze che gravano sulla determinazione del valore dell’avviamento16 e ai conseguenti margini di capitalizzazione

indebita che da esse possono derivare; dall’altro alle difficoltà insite nella stima della vita utile dell’avviamento, che rendono altamente ipotetico anche il relativo processo di ammortamento. In questo senso, l’apposizione, ante-riforma, di un termine relativamente breve alla durata dell’ammortamento contribuiva a porre un argine, sia temporale, sia valutativo, alle incertezze di stima sopra descritte: anzitutto, comprimeva il numero degli esercizi in cui l’avviamento poteva figurare a patrimonio; in secondo luogo, semplificava le previsioni di recuperabilità del costo, riducendole a cinque anni e sottraendole alle determinazioni soggettive degli amministratori.

A seguito del recepimento della Direttiva17, la disciplina di cui sopra risulta sensibilmente modificata, specialmente con riguardo al criterio della durata massima, che, da un lato, cessa di essere esclusivo e diventa sussidiario; dall’altro, muta nell’estensione, ampliandosi da cinque a dieci anni.

In particolare, la norma vigente prevede che l’ammortamento dell’avviamento debba venire effettuato secondo la sua vita utile; laddove, in casi eccezionali, quest’ultima non sia stimabile attendibilmente, l’ammortamento deve concludersi entro un periodo non superiore a dieci anni.

Risulta dunque centrale la stima della vita utile, atteso che essa anzitutto costituisce il criterio principale di ammortamento; e, in secondo luogo, rappresenta -quantomeno secondo la norma- un processo ordinariamente eseguibile su basi affidabili, poiché le ipotesi nelle quali può rivelarsi non attendibile sono limitate, per presunzione di legge, a situazioni eccezionali.

16 Vedi MASINI C., L’economia delle imprese industriali di medie

dimensioni nelle rilevazioni di azienda, Giuffrè, Milano, 1947.

17 Vedi QUAGLI A., Bilancio di esercizio e principi contabili, Giappichelli,

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Si osserva peraltro che, con il mutamento normativo in esame, si modifica altresì la prospettiva ispiratrice della disciplina dell’avviamento: prima del recepimento della Direttiva sembrava infatti prevalere un orientamento improntato al principio di prudenza, in virtù del quale l’ammortamento doveva concludersi in breve tempo, qualunque fosse la durata effettiva o stimabile della sua vita utile.

Viceversa, la disposizione attuale risulta maggiormente improntata al principio di competenza, atteso che il processo di ammortamento deve dispiegarsi non già secondo una durata imposta -il quinquennio-, bensì sul fondamento del periodo di tempo effettivo nel corso del quale si prevede possano prodursi gli effetti reddituali imputabili all’avviamento.

Vengono pertanto in considerazione le problematiche connesse al computo dell’ammortamento, da esaminare con particolare riguardo alle peculiarità che questo elemento patrimoniale è solito presentare, rispetto ad altri componenti del capitale di bilancio.

In relazione alle menzionate problematiche, si pongono in particolare due temi rilevanti, entrambi connessi all’intangibilità dell’attivo in esame: a) in primo luogo, l’individuazione -fra le diverse ammissibili- della nozione di vita utile adatta all’avviamento, tenuto conto che non possono a tal fine soccorrere i criteri fondati sulla vitalità tecnologica, sull’integrità fisica o sul concorso alla produzione tecnica, tipicamente riferibili alle immobilizzazioni materiali18; b) in secondo luogo, la determinazione della presumibile durata della medesima vita utile, considerato che l’assenza di un deterioramento corporeo rende inapplicabili i criteri che commisurano il tempo di ammortamento al logorio fisico19 o all’obsolescenza tecnologica.

In relazione al profilo sub a), attesa l’inservibilità dei criteri validi per i beni tangibili, la nozione di vita utile deve venire ricondotta al diverso e sovraordinato concetto di vita reddituale, basato sulle correlazioni intertemporali tra costi e ricavi.

18 Vedi AMODEO D., Note sulla tecnica e la politica dell’ammortamento,

Giannini, Napoli, 1951; CASSANDRO P. E., L’incidenza dei fattori produttivi a lungo termine sul risultato economico di periodo, Cacucci, Bari, 1950.

19 Vedi PAOLONE G., DE LUCA F., Il sistema delle rappresentazioni

quantitative d’azienda: le rilevazioni amministrativo-contabili, Giapeto Editore, Napoli, 2015.

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In questo senso, l’utilità dell’avviamento può venire sinteticamente espressa quale attitudine del medesimo a influire sulla produzione reddituale corrente e prospettica dell’impresa, e può dirsi sussistente in tanto in quanto il costo sostenuto sia prevedibilmente in grado di tramutarsi in ricavi futuri.

In relazione al profilo sub b), la stima della durata della vita utile si sostanzia, in sintesi, nella previsione del numero degli esercizi alla cui produzione reddituale l’avviamento acquisito potrà contribuire.

A questo proposito, basti ricordare che l’avviamento “è un capitale immateriale costituito da quei fattori che concorrono a far sì che la rimanente porzione del patrimonio di una determinata impresa frutti oltre la misura normale”20.

Atteso dunque che la redditività eccedente il livello ordinario è il nesso economico attraverso il quale l’avviamento si manifesta, si può concludere che la durata della vita utile dell’avviamento coincide con il periodo di tempo durante il quale potrà conseguirsi il soprareddito.

Tuttavia, a dispetto della presunzione di ordinaria determinabilità contenuta nella norma, la misurazione della durata dei sopraredditi specificamente riferibili all’avviamento21 risulta invero generalmente complessa, soprattutto ove si consideri che, una volta assorbito il compendio aziendale oggetto di acquisizione, le coordinazioni lucrative che esso incorpora vengono a intrecciarsi con quelle esistenti, producendo un unico e inscindibile risultato reddituale, che contiene anche il soprareddito.

La soluzione del problema è strettamente connessa alle specificità di ciascuna impresa, acquirente e acquisita, sicché non possono utilmente determinarsi a priori regole di generale applicazione22. Al contrario, deve rimettersi all’apprezzamento degli amministratori l’individuazione delle circostanze

20 Vedi ZAPPA G., Le valutazioni di bilancio con particolare riguardo ai

bilanci delle società per azioni, Soc. An. Istituto Editoriale Scientifico, Milano, 1927.

21 Sulle fattispecie che possono determinare una durata limitata dell’utilità

dell’avviamento vedi in particolare DE GOBBIS F., Il bilancio delle società anonime, Società Anonima Editrice Dante Alighieri, Milano, seconda edizione, 1931. Sul tema vedi anche DE GREGORIO A., I bilanci delle società anonime, Vallardi, Milano, 1938; CARATOZZOLO M., Il bilancio d’esercizio, op. cit.

22 Vedi AMODEO D., Ragioneria generale delle imprese, Giannini, Napoli,

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maggiormente idonee a cogliere i nessi reddituali attraverso i quali l’avviamento dispiega la propria utilità23.

A questo proposito, rileva ricordare che nella nota integrativa devono venire illustrati i criteri seguiti per la determinazione del periodo di ammortamento. In virtù delle considerazioni sopra effettuate, la medesima illustrazione deve consistere nella spiegazione dei fattori interni ed esterni all’impresa sulla cui base è stato individuato il numero degli esercizi nei quali avrà luogo la produzione dei sopraredditi. 4.3. Le rettifiche di valore dell’avviamento

Una particolare disciplina, diversa da quella prevista per le altre immobilizzazioni, è stata introdotta, a seguito del recepimento della Direttiva, per le rettifiche di valore inerenti l’avviamento.

Da un lato, infatti, è ammesso che l’avviamento possa subire riduzioni durevoli di valore, tali da richiedere l’iscrizione in bilancio della svalutazione stimata; dall’altro, tuttavia, è stabilito che la disposizione relativa al ripristino del valore originario, a seguito della sopravvenuta cessazione delle ragioni della svalutazione, non si applica all’avviamento.

Ne consegue che, una volta svalutato, il valore di avviamento potrà solo formare oggetto di eventuali riduzioni ulteriori, restando invece esclusa la possibilità di ricostituire i valori iscritti ante svalutazione.

5. LA VALUTAZIONE DELLE IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI.

CRITERIGENERALI

La riforma conseguente al recepimento della Direttiva non ha modificato il procedimento di valutazione delle immobilizzazioni materiali, che seguita ad articolarsi in tre fasi essenziali24:

a) la determinazione del valore da ammortizzare; b) la stima delle quote di ammortamento;

23 Vedi ARDEMANI E., L’avviamento dell’impresa, Marzorati, Milano, 1958;

CARAMIELLO C., La valutazione dell’azienda. Prime riflessioni introduttive, Giuffrè, Milano, 1993.

24 Vedi SUPERTI FURGA F., Il bilancio di esercizio italiano secondo la

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c) la rettificazione del valore originario.

Con riguardo alla fase sub a), il costo costituisce il criterio generale di valutazione delle immobilizzazioni, siano esse acquistate presso terzi o prodotte internamente.

Nel costo di acquisto devono venire inclusi anche i costi accessori, mentre nel costo di produzione devono venire obbligatoriamente computati tutti i costi suscettibili di diretta imputazione.

In relazione ai costi indiretti, la loro inclusione nel costo complessivo di produzione è facoltativa e comunque regolata da tre precetti:

- essa deve operarsi per la quota ragionevolmente imputabile al bene prodotto;

- i costi indiretti devono essere riferiti al periodo di fabbricazione;

- l’inclusione dei costi indiretti termina nel momento a partire dal quale il bene può essere utilizzato.

Con i medesimi criteri sopra descritti possono venire inclusi nel costo di produzione anche gli oneri finanziari inerenti il finanziamento della fabbricazione interna o presso terzi.

In relazione al processo di ammortamento sub b), laddove l’utilizzazione delle immobilizzazioni sia limitata nel tempo, il relativo valore deve venire ammortizzato sistematicamente, in ogni esercizio, tenendo conto della residua utilità del bene25.

La sistematicità del processo di ammortamento implica che esso debba svolgersi non già secondo criteri estemporanei e variabili di esercizio in esercizio, bensì sulla base di piani pluriennali di ripartizione, definiti al momento dell’entrata in funzione del bene e riferiti alla durata complessiva dell’immobilizzazione.

La norma è evidentemente improntata, da un lato, a dare attuazione al principio della competenza economica, imponendo la stima del concorso delle immobilizzazioni alla produzione reddituale dell’esercizio; dall’altro, a impedire che, attesa la natura congetturata dei valori di ammortamento, i medesimi possano venire determinati non già secondo programmi preventivi, bensì sulla base di convenienze contingenti e mutevoli, secondo i fini di volta in volta perseguiti.

25 Vedi QUAGLI A., D’ALAURO G. (a cura di), Contabilità e bilancio,

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In questo trova altresì ragione la disposizione secondo la quale eventuali modifiche dei criteri di ammortamento e dei coefficienti applicati devono venire motivate nella nota integrativa.

Da ciò si desume come la variazione dei piani di ammortamento non sia in generale preclusa; tuttavia, essa dovrà avvenire sulla base di circostanze oggettive e sopravvenute, in grado di influire sulle residue possibilità di utilizzazione dei beni da ammortizzare.

In relazione, infine, alle rettifiche di valore sub c), occorre osservare come, per effetto di quanto previsto dal n. 3 dell’art. 2426 del Codice Civile, il costo, determinato secondo i criteri sub a), costituisca il valore massimo ammissibile al quale possono venire iscritte in bilancio le immobilizzazioni materiali.

La disposizione impone infatti che laddove, alla chiusura dell’esercizio, le immobilizzazioni risultino durevolmente di valore inferiore al costo di acquisto o di produzione, esse debbano venire iscritte a tale minor valore.

Ѐ questa un’applicazione concreta del principio di prudenza al quale è improntata la maggior parte dei criteri di valutazione, atteso che lo scopo della disposizione è impedire che le immobilizzazioni iscritte in bilancio risultino, per qualsivoglia ragione, sopravvalutate.

La riduzione di valore deve peraltro possedere natura durevole, non assumendo dunque rilevanza le svalutazioni transitorie od occasionali, ossia le diminuzioni di valore che gli amministratori reputino non destinate a permanere nel tempo.

Il precetto in virtù del quale il costo rappresenta il valore massimo ammissibile26 è altresì confermato dalla previsione secondo cui, laddove vengano meno le ragioni che hanno determinato la svalutazione, il minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci, occorrendo a tal fine rivalutare l’immobilizzazione; la medesima rivalutazione può tuttavia avvenire solo entro i limiti del costo sostenuto.

La necessità di ripristinare il costo originario spiega altresì le ragioni per le quali la svalutazione dell’immobilizzazione debba essere giudicata durevole dai redattori del bilancio. Laddove infatti dovessero iscriversi anche le riduzioni di valore momentanee, occorrerebbe operare altrettante rivalutazioni. Ne

26 Vedi DE GOBBIS F., Ragioneria generale, Società Anonima Editrice

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potrebbe quindi conseguire un’inverosimile instabilità dei valori che, in assenza di vantaggi informativi apprezzabili, opererebbe a discapito della chiarezza del bilancio.

6. LAVALUTAZIONEDELLEIMMOBILIZZAZIONIFINANZIARIE

6.1. I titoli immobilizzati

Innovativa è la disposizione che prevede l’iscrizione in bilancio dei titoli iscritti fra le immobilizzazioni secondo il criterio, ove applicabile, del costo ammortizzato, così come definito dai principi contabili internazionali omologati dall’Unione Europea27.

Negli intenti del legislatore nazionale, questa tecnica -solo in apparenza agganciata al criterio del costo storico-permetterebbe di ottenere una migliore rappresentazione delle componenti reddituali correlate ai titoli, e in particolare degli interessi, la cui rilevazione avviene sulla base del tasso di rendimento effettivo, anziché del tasso di rendimento nominale28.

Come illustrato in Appendice 1, il metodo del costo ammortizzato si articola in quattro fasi principali29:

a) la determinazione del tasso di interesse effettivo, ossia del tasso che rende nulla la somma algebrica dei flussi finanziari in entrata e in uscita originati dal titolo (tale tasso è anche definito Tasso Interno di Rendimento o TIR);

b) la determinazione del piano di ammortamento, mediante il computo delle quote di remunerazione di competenza di ciascun esercizio, calcolate sulla base del tasso di rendimento effettivo, come determinato sub a).

c) l’iscrizione a conto economico -secondo il piano sub b)-dei differenziali tra rendimento effettivo e rendimento nominale;

d) l’imputazione al costo del titolo dei differenziali sub c)30.

27 Si vedano in particolare gli IAS 32 e 39.

28 In questo senso si esprime la Relazione Illustrativa al D. Lgs. 139/2015. 29 Per un’applicazione del metodo vedi COMOLI M., CORNO F., VIGANÒ

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Il metodo in esame presenta peraltro alcuni profili di criticità, in particolare connessi alla complessità applicativa e alla sostanziale estraneità rispetto alla logica che governa la redazione del bilancio nell’ordinamento giuridico-contabile nazionale.

Quanto al primo aspetto, la laboriosità del metodo contrasta soprattutto con gli obbiettivi di semplificazione perseguiti dalla Direttiva, la quale infatti non ne impone l’adozione agli Stati membri, ma si limita a consentirla.

In relazione al secondo profilo, occorre rilevare come il metodo in argomento non sia pienamente coerente con i principi di redazione codificati dall’art. 2426 del Codice Civile, e specialmente con il principio di prudenza, che ancora oggi vige quale assioma fondante, disapplicabile solo in presenza di deroghe espresse.

In particolare, costituiscono declinazioni essenziali del medesimo principio: da un lato (i) il criterio del costo storico, quale limite massimo alle valutazioni; dall’altro (ii) il divieto di iscrizione in bilancio di componenti positivi di reddito non effettivamente realizzati.

Ѐ dunque opportuno precisare come si ponga il metodo del costo ammortizzato rispetto a questi due profili, considerato che la sua applicazione può dare luogo alle seguenti diverse fattispecie:

a) ove il tasso di rendimento effettivo sia inferiore al tasso nominale, il titolo risulta iscritto a valori decrescenti nel tempo e minori del costo storico, mentre gli interessi attivi sono imputati a conto economico in misura inferiore a quella effettivamente realizzata 31;

b) ove il tasso di rendimento effettivo sia superiore al nominale, il valore del titolo risulta crescente nel tempo e maggiore del costo storico, mentre gli interessi attivi vengono imputati a conto economico per un importo superiore a quello effettivamente realizzato32.

Ѐ dunque evidente come l’eccezione al principio di prudenza si verifichi nel caso sub b) e riguardi entrambi i profili (i) e (ii): il limite del costo storico viene oltrepassato e nel

30 L’imputazione a capitale sub d) avviene in contropartita all’imputazione a

conto economico sub c).

31 Si veda l’Appendice 1, caso a). 32 Si veda l’Appendice 1, caso b).

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contempo si iscrivono a conto economico componenti positivi di reddito non effettivamente monetizzati.

Questa deroga al principio di prudenza non è invero isolata nell’ordinamento, ma si aggiunge a quelle prodotte da altre regole di valutazione, fra le quali: il criterio dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza, applicabile alla valutazione delle commesse pluriennali; il metodo del patrimonio netto per la valutazione delle partecipazioni33; l’iscrizione di utili su cambi stimati34, come previsto dalla riforma del diritto societario dei primi anni di questo secolo35.

Occorre tuttavia considerare che le menzionate eccezioni trovano giustificazione nel perseguimento di una più credibile illustrazione dei valori di bilancio, a vantaggio della quale e della rappresentazione chiara, veritiera e corretta il principio di prudenza viene sacrificato.

Diversamente può dirsi per il criterio del costo ammortizzato, che, da un lato, non offre, specie per le imprese non quotate, informazioni aggiuntive utili all’interpretazione del bilancio, e dall’altro comporta una volatilità del valore dei titoli immobilizzati, lungo la durata dell’investimento, che risulta solo teorica o virtuale, cioè provocata, anziché accertata, dal metodo applicato.

6.2. Le partecipazioni immobilizzate

Con riguardo alla valutazione delle partecipazioni iscritte fra le immobilizzazioni, il recepimento della Direttiva non ha apportato modifiche sostanziali alla disciplina pre-vigente.

In particolare, ai fini della determinazione del valore, occorre anzitutto distinguere le partecipazioni non qualificate da quelle di controllo e di collegamento.

Per le prime, l’unico criterio ammesso è rappresentato dal costo di acquisto; viceversa, per le seconde, è consentito che la valutazione si esegua al costo di acquisto o, in alternativa, secondo il metodo del patrimonio netto, ossia in misura pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto della partecipata.

33 Allorquando il valore della frazione di patrimonio netto della partecipata

ecceda il costo di acquisto della partecipazione.

34 Sul tema vedi SUPERTI FURGA F., Il bilancio di esercizio italiano

secondo la normativa europea, op. cit.

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L’applicazione del criterio del costo non presenta elementi di particolare complessità, dovendosi avere riguardo al costo di acquisto aumentato degli eventuali oneri accessori.

Si consideri inoltre che, laddove la partecipazione venga iscritta per un valore superiore a quello derivante dall’applicazione del metodo del patrimonio netto, oppure venga iscritta, in assenza dell’obbligo di redigere il bilancio consolidato, a un valore superiore alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio della partecipata, la differenza deve venire motivata in nota integrativa.

In relazione al metodo del patrimonio netto36, la disciplina civilistica detta i seguenti principi.

a) Il metodo del patrimonio netto non deve necessariamente venire applicato a tutte le partecipazioni qualificate detenute dall’impresa, potendo anche riferirsi soltanto a una o ad alcune fra esse.

b) In sede di prima applicazione, laddove il costo di acquisto risulti superiore alla frazione del patrimonio netto contabile della partecipata, la partecipazione può venire iscritta in bilancio a tale maggior valore, a condizione che le ragioni dello scostamento siano illustrate nella nota integrativa. La parte del maggior valore eventualmente riferibile ad avviamento o a beni durevoli deve venire ammortizzata. Occorre peraltro rilevare che a seguito del recepimento della Direttiva è stata introdotta la precisazione in base alla quale il costo di acquisto della partecipazione deve venire raffrontato con il patrimonio netto della partecipata riferito alla data di acquisizione della partecipazione.

c) Negli esercizi successivi, il valore da assegnare alla partecipazione è determinato mediante imputazione nel bilancio della partecipante del risultato di esercizio della partecipata, emergente dall’ultimo bilancio della stessa e opportunamente rettificato per tenere conto di eventuali distribuzioni di dividendi, degli ammortamenti sub b) e di altre operazioni dalle quali derivino utili o perdite infragruppo.

d) Laddove, in uno degli esercizi successivi, il valore della partecipazione, determinato con il metodo del patrimonio netto, risulti inferiore al valore dell’esercizio precedente, la partecipazione deve venire svalutata.

36 Per la disamina delle regole applicative vedi OIC 17, 2016. Il metodo è

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e) Laddove in uno degli esercizi successivi il valore della partecipazione, determinato con il metodo del patrimonio netto, risulti superiore al valore dell’esercizio precedente, la partecipazione deve venire rivalutata e la relativa plusvalenza deve venire iscritta in una riserva non distribuibile.

La scelta dell’uno o dell’altro criterio risulta in particolare connessa alle politiche di gestione della partecipazione adottate dall’impresa detentrice37: laddove, infatti, la medesima partecipazione venga conservata con finalità prioritarie di investimento, in vista dell’incameramento di redditi prospettici, il criterio del costo risulta preferibile. Viceversa, il metodo del patrimonio netto può dirsi maggiormente appropriato nel caso in cui prevalga una logica di gruppo aggregante e unitaria38, rispetto alla quale risulti confacente riflettere nel bilancio della controllante o della collegata gli andamenti economici della partecipata.

Con particolare riguardo al caso in cui il valore di iscrizione derivante dall’adozione del metodo del patrimonio netto risulti superiore al costo, la rivalutazione della partecipazione produce un corrispondente incremento del risultato reddituale della partecipante, la quale potrebbe così erogare, tramite la distribuzione dei propri utili, anche i redditi maturati in capo alla partecipata, sebbene non concretamente incassati: in breve, potrebbe avere luogo la distribuzione ai soci della partecipante di utili solo sperati, di riscossione futura ed eventuale.

Al fine di evitare il verificarsi della circostanza descritta, il legislatore ha previsto che le rivalutazioni delle partecipazioni derivanti dall’applicazione del metodo del patrimonio netto debbano venire iscritte in una riserva non distribuibile.

Occorre tuttavia osservare che questa previsione, per quanto necessaria a impedire il depauperamento del capitale, esercita i propri effetti solo a valle del processo di formazione del bilancio, posto che, a monte, l’applicazione del metodo del patrimonio netto ha prodotto l’iscrizione in bilancio di valori superiori di reddito e di patrimonio39, a dispetto della loro natura meramente potenziale.

37 Sul tema vedi anche QUAGLI A., Il metodo del patrimonio netto nella

valutazione di partecipazioni con il nuovo OIC 17, in «Amministrazione e Finanza», 10/2014.

38 Sulle strategie di gruppo vedi ONIDA P., Le dimensioni del capitale

d’impresa. Concentrazioni, trasformazioni, variazioni di capitale, Giuffrè, Milano, 1939; AZZINI L., I gruppi aziendali, Giuffrè, Milano, 1975.

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7. I CREDITIEIDEBITI

7.1. La valutazione dei crediti

I crediti sono iscritti in bilancio: a) secondo il criterio del costo ammortizzato, b) tenendo conto del fattore temporale e c) al valore di presumibile realizzazione.

Inoltre, attesi i nuovi criteri di valutazione, gli aggi e i disaggi su prestiti non necessitano di una disciplina specifica, in quanto vengono assorbiti dal procedimento di valutazione al costo ammortizzato.

Per il corretto inquadramento della fattispecie occorre anzitutto riprendere la primaria classificazione zappiana40, che distingue tra:

a) crediti di regolamento o commerciali, che nascono da operazioni di scambio con pagamento differito e sostituiscono temporaneamente la moneta nella transazione;

b) crediti di finanziamento diretto o finanziari, rispetto ai quali, invece, è la moneta l’oggetto dello scambio.

In linea generale, i crediti da valutare secondo il criterio del costo ammortizzato sono quelli -sia commerciali, sia finanziari-scadenti nel medio o nel lungo termine, ossia oltre l’esercizio successivo, posto che per essi gli elementi reddituali che maturano in funzione del tempo assumono di norma rilievo non marginale.

Viceversa, il metodo in argomento non è applicabile, in quanto meno significativo, per la valutazione dei crediti scadenti nel breve periodo, ossia entro l’esercizio successivo, in quanto per essi la componente relativa agli interessi impliciti o espliciti riveste generalmente rilevanza minore.

Si ritiene peraltro che la valutazione della necessità di utilizzare il metodo del costo ammortizzato debba venire effettuata per singola posta creditoria di valore significativo, in funzione non della sua origine, commerciale o finanziaria, bensì della sua durata contrattuale.

39 L’incremento reddituale non si verifica laddove il maggior valore della

partecipazione si iscriva direttamente in una riserva di patrimonio netto, anziché transitare dalle rivalutazioni di conto economico.

40 Vedi ZAPPA G., Le valutazioni di bilancio con particolare riguardo ai

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Possono infatti darsi sia crediti di finanziamento con durata residua breve, per i quali, nonostante la natura finanziaria, l’applicazione del metodo tende a risultare poco espressiva; sia crediti di regolamento a lunga scadenza, i quali invece, ancorché commerciali, devono venire valutati secondo il criterio del costo ammortizzato.

Rileva inoltre evidenziare come le innovazioni apportate dalla Direttiva rendano la disciplina nazionale maggiormente somigliante alle prescrizioni dei principi contabili internazionali IAS/IFRS, alla cui definizione di costo ammortizzato la disposizione in esame, al comma 2), rinvia espressamente.

In particolare, il principio contabile internazionale che illustra il criterio del costo ammortizzato è lo IAS 39, § 9, secondo il quale il costo ammortizzato di un’attività o di una passività finanziaria è dato: dal valore a cui essa è stata misurata al momento della rilevazione iniziale; dedotti i rimborsi di capitale; sommato o sottratto l’ammortamento complessivo, calcolato utilizzando il criterio dell’interesse effettivo su qualsiasi differenza tra il valore iniziale e quello a scadenza; dedotta, infine, ogni riduzione operata -sia direttamente, sia mediante accantonamento- a seguito di diminuzioni di valore o a causa di irrecuperabilità.

Il criterio dell’interesse effettivo è un metodo di calcolo del costo ammortizzato di un’attività o di una passività finanziaria (o di un gruppo di attività o passività finanziarie), con ripartizione degli interessi attivi o passivi lungo il periodo di durata della partita.

Il tasso di interesse effettivo41 è il tasso che attualizza i pagamenti o gli incassi futuri, stimati lungo la vita attesa della partita -o, se opportuno, per un periodo più breve- al valore contabile netto dell’attività o della passività finanziaria.

Per il calcolo del tasso di interesse effettivo, è necessario valutare i flussi finanziari, tenendo conto di tutti i termini contrattuali della partita (ad esempio, il pagamento anticipato, un’opzione all’acquisto o simili), senza tuttavia considerare perdite su crediti future.

Il calcolo include tutti gli oneri e i punti base pagati o ricevuti -i quali sono parte integrante del tasso di interesse effettivo-, i costi di transazione e tutti gli altri premi o sconti relativi alla partita.

41 Vedi AZZALI S. (a cura di), Financial Reporting and Accounting

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Si presume che i flussi finanziari e la vita attesa possano essere valutati in modo attendibile. Tuttavia, nei casi in cui non sia possibile determinarli con sufficiente affidabilità, è necessario utilizzare i flussi finanziari contrattuali per tutta la durata della partita42.

Ai fini dell’applicazione del metodo del costo ammortizzato43 occorre distinguere tre fasi:

a) la determinazione del tasso di interesse effettivo; b) la formulazione del piano di ammortamento, utilizzando il tasso di interesse effettivo in luogo di quello nominale;

c) il calcolo del costo ammortizzato.

Per quanto attiene alla fase sub a), la determinazione del tasso di interesse effettivo avviene secondo un procedimento simile a quello considerato per i titoli, e dunque mediante: i) la stima dei flussi finanziari derivanti dal credito; ii) il calcolo del tasso di interesse che eguaglia il valore attuale dei flussi futuri al valore del credito, comprensivo degli oneri e dei proventi accessori.

Sono tipicamente oneri accessori i costi di transazione sostenuti per la concessione o l’acquisizione del credito, quali:

42 Secondo lo IAS 39, § 9: The amortised cost of a financial asset or liability

is the amount at which the financial asset or financial liability is measured at initial recognition minus principal repayments, plus or minus the cumulative amortisation using the effective interest method of any difference between that initial amount and the maturity amount, and minus any reduction (directly or through the use of an allowance account) for impairment or uncollectibility. The effective interest method is a method of calculating the amortised cost of a financial asset or a financial liability (or group of financial assets or financial liabilities) and of allocating the interest income or interest expense over the relevant period. The effective interest rate is the rate that exactly discounts estimated future cash payments or receipts through the expected life of the financial instrument, or, when appropriate, a shorter period to the net carrying amount of the financial asset or financial liability. When calculating the effective interest rate, an entity shall estimate cash flows considering all contractual terms of the financial instrument (for example, prepayment, call and similar options) but shall not consider future credit losses. The calculation includes all fees and point paid or received between parties to the contract that are an integral part of the effective interest rate (see IAS 18 Revenue), transaction costs, and all other premiums or discounts. There is a presumption that the cash flows and the expected life of a group of similar financial instruments can be estimated reliably. However, in those rare cases when it is not possible to estimate reliably the cash flows or the expected life of a financial instrument (or group of financial instruments), the entity shall use the contractual cash flows over the full contractual term of the financial instrument (or group of financial instruments).

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- le commissioni di intermediazione; - le commissioni per consulenze; - le spese legali;

- le spese assicurative; - gli oneri tributari.

Costituiscono invece ricavi di transazione i proventi connessi all’erogazione del credito, quali:

- le provvigioni poste a carico del debitore; - le commissioni sui finanziamenti.

I costi e i ricavi di transazione sono capitalizzabili a condizione che siano:

- sostenuti o riscossi in via anticipata; - direttamente imputabili alla transazione; - determinabili all’atto della transazione44.

Il tasso di interesse effettivo (TIR) rimane costante nel tempo per i crediti a tasso fisso, mentre viene rideterminato periodicamente -ad ogni revisione contrattuale- in caso di tasso variabile.

Con riguardo alla fase b), il tasso di interesse effettivo determinato con il procedimento sub a) deve venire utilizzato per il calcolo, secondo competenza, del flusso di interessi attivi da rilevare a conto economico. In altri termini, gli interessi attivi da attribuire a ciascun esercizio vengono computati non già in base al tasso nominale, bensì secondo il tasso effettivo.

Le eventuali differenze tra i due tassi determinano corrispondenti differenze tra interessi effettivamente incassati in base al tasso nominale e interessi calcolati al tasso effettivo.

Atteso inoltre che il conto economico deve accogliere gli interessi computati secondo il tasso effettivo, le differenze rispetto agli interessi calcolati al tasso nominale devono venire imputate, in contropartita, a rettifica del valore del credito.

Con riferimento alla fase sub c), il costo ammortizzato al quale il credito deve venire iscritto in bilancio risulta dal seguente calcolo:

VALORE DI PRIMA ISCRIZIONE DEL CREDITO − RIMBORSI DEL CAPITALE

± AMMORTAMENTO CUMULATIVO DELLA DIFFERENZA TRA VALORE INIZIALE E VALORE A SCADENZA

− SVALUTAZIONI

44 Vedi in particolare FUSA E., La valutazione dei crediti secondo i Principi

contabili internazionali: caratteristiche operative ed incertezze fiscali, in «Il fisco», n. 32, settembre, 2008.

(25)

COSTO AMMORTIZZATO

Occorre infine osservare che la disposizione civilistica impone altresì di tenere conto di due profili ulteriori:

1) il fattore temporale;

2) il valore di presumibile realizzazione.

In relazione al fattore sub 1), la considerazione della dimensione temporale si traduce nella necessità di procedere all’attualizzazione dei crediti e alla determinazione degli interessi a essi riferibili.

Occorre a tal fine riprendere la distinzione zappiana sopra ricordata e operare le seguenti suddivisioni ulteriori.

La classe a), relativa ai crediti di regolamento, può venire così scomposta:

a1) crediti di regolamento a breve termine;

a2) crediti di regolamento a lunga scadenza, fruttiferi; a3) crediti di regolamento a lunga scadenza, infruttiferi. Similmente, i crediti di finanziamento sub b) possono distinguersi in:

b1) crediti di finanziamento a breve termine;

b2) crediti di finanziamento a lunga scadenza, fruttiferi; b3) crediti di finanziamento a lunga scadenza, infruttiferi. L’attualizzazione, in quanto finalizzata a dare adeguata rappresentazione al fattore temporale e ai componenti di reddito a esso correlati, non si opera, generalmente, né per i crediti a breve termine, siano essi di regolamento o di finanziamento [a1) e b1)], né per quelli a lunga scadenza fruttiferi di interessi [a2) e b2)]45.

Ѐ peraltro opportuno osservare che la mancata attualizzazione dei crediti fruttiferi può ritenersi ammissibile solo laddove il tasso applicato non risulti sensibilmente inferiore a quello dei finanziamenti onerosi, ai quali l’impresa dovesse eventualmente fare ricorso.

Il problema dell’attualizzazione, ossia della quantificazione e della rappresentazione degli interessi riferibili alla dilazione, si presenta dunque per i crediti sia di regolamento [a3)], sia di finanziamento [b3)], che contemporaneamente risultino:

(i) a lunga scadenza;

(ii) infruttiferi di interessi, oppure fruttiferi a saggi esigui, notevolmente inferiori a quelli di mercato.

45 Vedi CARATOZZOLO M., I bilanci straordinari, Giuffrè, Milano, seconda

(26)

Laddove infatti i termini di incasso non siano brevi e la dilazione concessa non sia produttiva di proventi finanziari, si impone la necessità di considerare l’interesse relativo al rinvio accordato, atteso che, per effetto della posticipazione dell’introito, il creditore subisce l’aggravio economico derivante dall’immobilizzo di risorse liquide.

Gli interessi impliciti computati attraverso l’attualizzazione devono concorrere alla formazione del risultato di esercizio secondo competenza economica; in altri termini, occorre che il loro importo complessivo venga imputato, pro-rata temporis, ai periodi amministrativi corrispondenti alla durata del credito.

In questo senso, è utile ricordare, con il De Gobbis, come la rilevazione di risconti, per il rinvio dei componenti positivi di reddito inerenti la dilazione, non solo risponda allo scopo di determinare il reddito secondo competenza economica, in modo tale che si attribuiscano “a ciascun esercizio i profitti che gli sono propri”, ma produca altresì l’effetto concomitante di ricondurre i crediti al loro valore attuale, così come risultante dalla differenza tra i valori nominali iscritti nell’attivo e le corrispondenti voci rettificative (i risconti), esposte nel passivo46.

Atteso infine che il procedimento di attualizzazione richiede l’applicazione di un tasso di interesse appropriato, è necessario che il medesimo risulti il più possibile prossimo: a) ai tassi correnti di mercato, quali mediamente praticati per operazioni di finanziamento con caratteristiche similari, oppure b) al tasso al quale l’impresa potrebbe acquisire risorse finanziarie presso terzi, mediante indebitamento per operazioni di gestione corrente.

A ciò si aggiunga la necessità di considerare non solo le condizioni correnti del mercato monetario, ma anche: le tendenze prospettiche dello stesso; l’entità dei crediti e la durata della dilazione; il rischio specifico delle partite da valutare47.

Con riguardo ai crediti di finanziamento concessi senza corresponsione di interessi, oppure con l’applicazione di tassi notevolmente ridotti48, il procedimento di attualizzazione può

46 Vedi DE GOBBIS F., Il bilancio delle società anonime, op. cit.

47 Vedi ONIDA P., Il bilancio d’esercizio nelle imprese. Significato

economico del bilancio. Problemi di valutazione, Giuffrè, Milano, quarta edizione, 1974.

48 Queste ipotesi possono ad esempio verificarsi nel caso di finanziamenti

(27)

evidenziare differenziali più o meno significativi tra il valore attuale dei crediti e il loro valore nominale.

In tal caso, tuttavia, l’eventuale iscrizione al valore attuale deve venire attentamente valutata, specialmente rispetto ai riflessi che può produrre sulla corretta determinazione del reddito di esercizio.

Innanzitutto, occorre considerare che, in condizioni di intensa variabilità del mercato monetario, la stima del credito al valore attuale può risultare notevolmente incerta e dare luogo alla rilevazione di variazioni reddituali marcatamente ipotetiche e instabili.

Laddove infatti il tasso applicato al finanziamento fosse fisso e risultasse, in un dato esercizio, notevolmente inferiore a quelli di mercato, il differenziale tra valore attuale e valore nominale potrebbe risultare elevato e occorrerebbe procedere alla svalutazione del credito.

Tuttavia, data la mutabilità dei saggi tempo per tempo vigenti, la medesima svalutazione potrebbe risultare solo provvisoria, e in particolare destinata a divenire inadeguata allorquando, in taluno degli esercizi successivi, i tassi di mercato dovessero scendere a livelli prossimi a quello pattuito, assottigliando l’entità del differenziale tra valore nominale e valore attuale e provocando il venir meno della condizione (il divario fra i tassi) che in precedenza aveva reso necessaria l’attualizzazione.

In secondo luogo, occorre osservare che, in alcune situazioni, l’assenza o l’esiguità degli interessi attivi potrebbe trovare giustificazione in altri vantaggi economici, di natura compensativa49, in grado di ridurre o annullare il pregiudizio derivante dalla concessione del credito a tasso agevolato.

In questi casi, si ritiene che il differenziale tra valore nominale e valore attuale possa non venire iscritto a conto economico, risultando tuttavia necessario che di esso, ove di importo significativo, venga data adeguata illustrazione in nota integrativa.

Per quanto attiene al profilo sub 2), ossia alla determinazione del valore di presumibile realizzazione, è necessario ricordare che la svalutazione dei crediti è già compresa, quale fase integrante e conclusiva, nel procedimento

49 Tali potrebbero essere la fidelizzazione della clientela, il maggior volume

degli ordini pattuito, l’irrobustimento patrimoniale delle società partecipate, nel caso dei gruppi.

(28)

di calcolo del costo ammortizzato (vedi supra). In questo senso, la previsione normativa secondo cui è necessario tenere conto del valore di presumibile realizzo dei crediti assume valenza eminentemente enfatica, posto che, una volta valutati secondo il criterio del costo ammortizzato, i crediti risultano già espressi al valore presuntivamente recuperabile.

Al fine della corretta determinazione delle svalutazioni in esame, la dottrina economico-aziendale suggerisce l’utilizzazione combinata di parametri plurimi.

In primo luogo, il presumibile valore di realizzazione dei crediti deve determinarsi mediante l’analisi distinta di ciascuno di essi, mirata alla verifica delle circostanze che ne rendono l’esazione più o meno incerta.

Secondo le risultanze di questa analisi, i crediti possono venire distinti in due classi principali: A) quelli di dubbia riscossione; B) quelli per i quali non sussistono specifiche ragioni per ritenere insicura la riscossione.

Con riferimento alla classe sub A), una volta riscontrata la sussistenza di circostanze che rendono incerto il realizzo dei crediti, occorre procedere alla loro svalutazione, mediante riduzione diretta del valore nominale al quale sono iscritti in bilancio.

Suggerisce peraltro la dottrina aziendale che laddove i crediti siano numerosissimi e di importo unitario non rilevante, in luogo della valutazione analitica di ciascuno di essi, possa optarsi per la loro suddivisione in classi di rischio, applicando a ciascuna un coefficiente di svalutazione appropriato, ossia un coefficiente sufficientemente improntato a prudenza50.

Viceversa, con riguardo ai crediti sub B), anche laddove non si riscontrino gravi presunzioni di insolvenza del debitore, tali da giustificare le svalutazioni tipiche della classe A), sussiste comunque un rischio generale di mancato incasso, riferibile alla globalità dei crediti restanti, sicché per questi, in luogo della riduzione diretta, occorre istituire un apposito fondo rischi che ne rettifichi indirettamente il valore nominale51.

Infatti, anche laddove il debitore, al momento della valutazione per la redazione del bilancio, non mostri segni di difficoltà ad adempiere, risulta comunque prudente muovere dal

50 Vedi ZAPPA G., Le valutazioni di bilancio con particolare riguardo ai

bilanci delle società per azioni, op. cit.

51 Vedi SUPERTI FURGA F., Il bilancio di esercizio italiano secondo la

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presupposto che non tutti i crediti possano venire senza dubbio riscossi integralmente, giacché, anche in presenza di clientela finanziariamente solida, non può escludersi l’eventualità di successive contestazioni o di insolvenze future.

Tali eventualità non attengono, si noti, a specifici crediti analiticamente individuati, poiché, ove così fosse, occorrerebbe svalutarli singolarmente, ma riguarda invece la massa dei crediti restanti, considerati nel loro insieme.

Le medesime eventualità variano, evidentemente, da azienda ad azienda e mutano altresì di tempo in tempo, sicché ciascuna impresa dovrà stimarne la probabilità sulla base delle proprie speciali connotazioni52.

A tal fine, per la determinazione della rettifica di valore da apportare globalmente ai crediti della classe B), ossia della misura dell’accantonamento ad apposito fondo rischi, possono seguirsi due procedimenti alternativi:

(i) l’applicazione, al valore totale dei crediti di tipo B), di una percentuale unica, valida per tutte le partite appartenenti alla classe;

(ii) la suddivisione dei crediti della classe B) in gruppi diversi, cui applicare percentuali di svalutazione altrettanto differenziate.

Il procedimento sub (i) può utilmente venire seguito in presenza di crediti sostanzialmente omogenei, rispetto ai parametri di rischio sopra ricordati. In questo caso, la percentuale potrà essere elevata laddove, ad esempio, la globalità o la maggioranza delle partite aperte sia rappresentata da crediti verso clienti occasionali o che offrano modeste garanzie di solidità patrimoniale o, ancora, che abbiano manifestato comportamenti commerciali opportunistici. Viceversa, potranno adottarsi percentuali più contenute nell’ipotesi in cui la maggior parte dei crediti sia vantata verso clienti stabili, di comprovata moralità e di adeguata solidità finanziaria.

Il procedimento sub (ii) deve invece venire seguito nell’ipotesi in cui i crediti esistenti alla chiusura dell’esercizio siano riferiti a una clientela composita e connotata da eterogeneità apprezzabile.

Laddove infatti nella classe sub B) si riuniscano crediti portanti profili di rischio marcatamente diversi, anche su base geografica, risulta opportuno scomporre la medesima classe in

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