• Non ci sono risultati.

Il Complesso del Teatro di Pompeo tra programma decorativo e funzione degli spazi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il Complesso del Teatro di Pompeo tra programma decorativo e funzione degli spazi"

Copied!
194
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 1 INTRODUZIONE

Il Complesso Pompeiano del Campo Marzio

1.1 Contesto storico e cronologia della realizzazione dei monumenta di Pompeo.

Negli ultimi anni dell'età repubblicana Pompeo (106-48 a.C.) realizzò un programma edilizio senza precedenti nella storia di Roma. Le risorse finanziarie e il prestigio sociale che gli consentirono di attuare tale programma gli derivarono dalle vittorie ottenute nelle campagne militari condotte in Italia, Spagna e Oriente e dalla gloria dei trionfi celebrati nella Capitale.

Nel 77 a.C., sotto l'impellente minaccia di una marcia su Roma ad opera di Marco Emilio Lepido (il padre del futuro triumviro) e dei suoi seguaci, i senatori decretarono il senatus consultum ultimum tramite il quale accordarono per la prima volta a Pompeo l'imperium, come provvedimento speciale, sebbene egli non avesse ancora rivestito alcuna magistratura

(2)

superiore1. Pompeo riuscì a scongiurare prontamente la minaccia e prima

ancora di poter congedare l'esercito si vide investito, sempre in deroga alle norme vigenti2, di un altro imperium contro Quinto Sertorio che aveva assunto

la guida di quella fazione politica romana di parte popolare che aveva appoggiato l'ascesa di Mario e capeggiando la rivolta dei Lusitani era riuscito a formare nella Spagna Citeriore una sorta di secondo Stato romano, con tanto di Senato, costituito dai mariani in esilio. Giunto in Spagna nel 76 a.C., Pompeo riuscì ad avere ragione delle truppe di Sertorio solo dopo una logorante guerriglia nel 72 a.C. e a debellare le ultime sacche di resistenza mariana nel 71 a.C. Sempre nel 71 a.C., tornando in Italia con il suo esercito, intercettò e sgominò in Etruria una folta schiera di schiavi in fuga sopravvissuti alla violenta repressione della rivolta capeggiata dal trace Spartaco3. Forte anche di quest'ultimo successo, una volta tornato a Roma,

Pompeo ottenne di celebrare il trionfo per la vittoria su Sertorio. Fu probabilmente in questa occasione che cominciò a realizzare le sue prime opere edilizie presso i carceres del Circo Massimo ricostruendo o restaurando (i termini precisi non sono chiari), di fronte all'Ara Massima, l'aedes Herculis

1 Geraci-Marcone 2011, p.142.; Capogrossi Colognesi 2009 pp.261-263

2 e cioè quelle dell'ordinamento sillano; vedi Geraci-Marconi, op. cit, p.141.

3 La repressione della rivolta di Spartaco era stata affidata a Marco Licinio Crasso e fu proprio per evitare che il successo fosse ascritto a quest'unico generale che il Senato ordinò a Pompeo di attaccare gli schiavi superstiti in fuga. I due generali, allontanata definitivamente la minaccia di Spartaco, fecero tutt'altro che annientarsi a vicenda come il Senato aveva auspicato, si allearono e si fecero eleggere consoli per l'anno 70 a.C., diventando di fatto padroni di Roma. Entrambi erano stati seguaci di Silla ed entrambi si misero a smantellarne la costituzione diminuendo il potere e l'autorità del Senato a favore dei tribuni e dei cavalieri. Ma la condivisione del potere Tra Pompeo e Crasso non era destinata a durare a lungo senza che i successi militari del primo in Oriente [vedi infra] eclissassero il secondo. Geraci-Marcone,

(3)

invicti che da quel momento fu chiamato anche Aedes Herculis Pompeiana4.

Nel 67 a.C. il tribuno della plebe Aulo Gabinio propose e ottenne, nonostante la strenua opposizione del Senato, che fosse accordato a Pompeo per tre anni un imperium infinitum, e cioè pieni poteri militari, quali nessun generale aveva mai avuto in precedenza, su tutto il Mediterraneo, le sue coste e buona parte dell'entroterra5. Un tale provvedimento straordinario si era reso

necessario e improrogabile per via delle sempre più numerose incursioni dei pirati nei mari orientali che stavano cominciando a colpire anche le forniture di grano della stessa Roma. Pompeo riuscì in breve tempo a debellare anche questa minaccia imprigionando e deportando i pirati in piccole comunità rurali. Nel 66 a.C. un altro tribuno della plebe, Caio Manilio, propose con successo di estendere a Pompeo anche il comando della guerra contro il re del Ponto, Mitridate6. Pompeo poté dunque marciare verso il Ponto ottenendo

come prima vittoria morale la fuga di Mitridate dal suo regno. L'anno dopo, nel 65 a.C., il generale romano condusse le sue truppe attraverso il Caucaso giungendo quasi alle coste del Mar Caspio. Nel 64 a.C. confermò all'alleato Tigrane il regno d'Armenia ma nello stesso tempo rese la Siria una vera e propria provincia romana deponendo di fatto gli ultimi sovrani seleucidi. Nel 63 a.C. Pompeo invase la Palestina, conquistando Gerusalemme e il suo tempio e rese la Giudea un protettorato romano, uno Stato autonomo ma

4 Gros-Torelli 2010, p.153.

5 Geraci-Marcone, op.cit., p.146; Capogrossi Colognesi 2009 pp.265

6 Di questo episodio si è conservata l'orazione che Cicerone scrisse a sostegno della proposta del tribuno, l'Oratio pro lege Manilia, detta anche Oratio de imperio Cn. Pompei.

(4)

tributario di Roma. Nello stesso anno Mitridate, tradito dal suo stesso figlio, Farnace, si suicidò per non cadere in mano alle truppe romane, un avvenimento che sancì la definitiva vittoria di Pompeo sul Ponto. Essendosi sottomesse anche la Bitinia e l'Armenia, nel 62 a.C. tutto l'Oriente ellenizzato si trovava ormai sotto il dominio romano, e Pompeo potè tornare a Roma come un novello Alessandro Magno con un ricchissimo bottino7. Il potere e il

prestigio che aveva acquisito era tale da consentirgli di sciogliere il suo esercito e rimettersi nelle mani del Senato rinunciando ad imporre con le armi una propria dittatura, come aveva fatto prima di lui Silla8. Fu grazie alla sua

popolarità che gli venne concesso, l'anno dopo, alla vigilia della stipulazione di quel patto privato con Crasso e Cesere che passò alla storia come Primo Triumvirato, di celebrare un trionfo nello stile di un vero e proprio sovrano

7 Pompeo agì di fatto in Oriente come un monarca assoluto senza preoccuparsi di consultare il Senato. Geraci-Marconi, op.cit., p.147;C apogrossi Colognesi 2009 p 265; Sulla questione dell'imitatio Alexandri esplicitata dall'assunzione dell'epiteto Magnus D.J. Martin ha formulato una serie di riserve. Lo studioso ha dimostrato che i romani dell'epoca di Pompeo non associavano necessariamente l'appellativo Magnus al sovrano macedone e che Pompeo non aveva interesse ad identificarsi con Alessandro dal momento che era lo stesso suo nemico Mitridate VI ad aver da sempre giocato su quella identificazione. C'è una differenza sostanziale tra imitatio, comparatio ed aemulatio, se il primo termine esprime un desiderio di identificazione da parte di un personaggio con un altro, il secondo fa riferimento al confronto tra due figure illustri fatto da terzi (gli storici solitamente) mentre il terzo indica il porsi di un soggetto in atteggiamento di rivalità simbolica nel tentativo di superare ancor più che eguagliare le glorie di un modello. Secondo Martin nel caso di Pompeo non è corretto parlare di imitatio ma piuttosto di comparatio ed aemulatio. Pompeo non voleva apparire secondo a nessuno e quindi non seguiva l'esempio di nessuno, aveva l'interesse ad assumere l'autorevolezza e il prestigio di un sovrano ellenistico ma di questo intento faceva parte l'apparire migliore del celebre Alessandro, migliore nel campo militare come generale e migliore nel senso morale in quanto uomo romano. Martin 1998, pp. 24-27 e 39-42. [cfr. § 6.2] 8 L'aver rinunciato ad una prova di forza col Senato, valse a Pompeo le critiche del “cesariano” Mommsen, che lo descrive come un vigliacco e un mediocre (Mommsen 1966, Vol VII, p.198-203). Non occorre abbracciare questo severissimo giudizio per riconoscere che l'indole di Pompeo presentasse degli aspetti controversi se non proprio contraddittori: la sua ambizione politica e la sete di potere convivevano con un rigido ossequio delle istituzioni che lo rendeva riluttante a prendere delle posizioni radicali e di rottura formale delle tradizioni della Repubblica. Cfr. Capogrossi Colognesi 2009 pp.261-268 [cfr. § 6.2]

(5)

orientale9. In quell'occasione sfilarono per le strade di Roma, per due giorni,

carri ricolmi di lingotti d'oro, statue d'oro colossali, animali e piante esotiche, seguiti da un corteo di prigionieri vestiti coi loro costumi nazionali e affiancati da pannelli recanti per iscritto le gesta di Pompeo e del suo esercito, o dipinti con le scene di guerra più salienti10. All'inizio del corteo vennero

fatte sfilare le insegne di tutte le regioni assoggettate al dominio romano: il Ponto, L'Armenia, Cappadocia, Paflagonia, Media, Siria , Cilicia, Mesopotamia, Fenicia, Palestina, Giudea e Arabia per finire con le insegne dei pirati11. Al termine della processione trionfale era invece collocato un pinax

con la raffigurazione dell' oikoumene, cioè l'intero Mondo abitato.

Fu con ogni probabilità a partire da quell'avvenimento che presero avvio i cantieri del grandioso progetto edilizio di Pompeo all'interno del Campo Marzio12 [Fig.1]. Si affermò così definitivamente la vocazione alla

monumentalità di questa vasta area di Roma extra moenia13 con la

realizzazione, immediatamente ad ovest dell'attuale Largo Argentina, sull'allineamento dei Saepta e della Porticus Minucia, di un grande complesso architettonico che comprendeva, oltre al primo teatro stabile in muratura

9 Beard 2007, pp.15-17.

10 La parata è descritta nel dettaglio da Appiano nel paragrafo 115 delle Guerre Mitridatiche. Cfr. nota prec.; ma vedi anche Plinio, Nat.His, 7,98; Putarco, Pomp. 45; Vell, 2,40,3; Dio 37,21; cfr. Bravi 2012, p.63.

11 Plut. Pomp, 45, 6-7 12 Gros-Torelli 2010 p. 253 13 Coarelli '97, pp. 539-544;

(6)

costruito a Roma14 (un emiciclo in opera cementizia su sostruzioni a volta), un

insieme di strutture ad esso annesse come una porticus pone scaenam conclusa da una grande esedra assiale (la Curia Pompei), dei giardini, almeno un tempio (dedicato a Venus Victrix) e probabilmente dei sacelli.

Non era la prima volta che la cavea di un teatro veniva impostata su un terreno completamente piano, cioè senza la possibilità di sfruttare alcun pendio naturale. Gli architetti del teatro di Pompeo poterono verosimilmente sfruttare l'esperienza maturata nel corso degli anni dalla tradizione dei theatri exaggerati, cioè di quei teatri costruiti su terrapieno artificiale nella Campania romana già dalla fine del II sec. a.C.15 . La vera novità fu la scelta di

sopraelevare la cavea tramite la costruzione di vere e proprie sostruzioni in muratura, una soluzione destinata a diventare la caratteristica principale del teatro romano ma che al tempo di Pompeo non conosceva nessun precedente a Roma anche se conosciamo un certo numero di teatri, come quelli di Cales, Teano e Bologna, che sembrano aver tracciato il cammino verso una concezione di cavea autoportante di cui il teatro di Pompeo rappresentò, appunto, l'arrivo per le dimensioni raggiunte e per la qualità della tecnica di costruzione delle sostruzioni interne16 [cfr. § 5.3.

2 sul teatro di Teano]. Di fatto, a Roma, gli edifici in cui si svolgevano le rappresentazioni teatrali erano stati, per secoli strutture provvisorie in legno o in pietra destinate ad essere

14 In un'area tra l'attuale Campo dei Fiori e la chiesa di Sant'Andrea della Valle. [vedi § 1.4]

15 Sear 2006, pp. 53-56; Gros-Torelli, ibid.; 16 Sear, op.cit., p 57.

(7)

smantellate alla fine dei ludi17. Nel 154 a.C., dunque un secolo prima la realizzazione del teatro di Pompeo, Cassio Longino aveva edificato sulle pendici del Palatino un theatrum lapideum connesso con il tempio della Magna Mater e gli spettaccoli che si svolgevano in suo onore, i Ludi Megalenses, ma l'ostilità della classe politica dominante nei confronti di tale novità era così forte che i senatori istigati da Scipione Nasica, ne decretarono poco dopo la demolizione e comminarono il divieto di installare seggi fissi di qualsiasi sorta nel raggio di un miglio dal pomerium18.

Il teatro di Pompeo fu inaugurato nel 55 a.C. nel giorno del compleanno del suo committente, il 29 settembre, esattamente sei anni dopo il trionfo del 6119.

Il nuovo complesso fu il più impegnativo realizzato fino ad allora a Roma e raggiunse un'estensione che può essere paragonata solo ai successivi Fori

17 Ce ne parla Tacito in Annales, XIV, 20.2: Quippe erant qui Cn. quoque Pompeium

incusatum a senioribus ferrent, quod mansuram theatri sedem posuisset. nam antea subitariis gradibus et scaena in tempus structa ludos edi solitos, vel si vetustiora repetas, stantem populum spectavisse, [ne], si consideret theatro, dies totos ignavia continuaret. Vedi nota prec.

18 Gros-Torelli, op.cit, p.146; Sear, op.cit, pp.55-56; La celebrazione dei ludi Megalenses, in onore della “Grande Madre” Cibele (culto di origine frigia secondo le stesse fonti antiche) ci è nota a Roma almeno a partire dagli anni intorno al 200 a.C. vedi Cicerone, “Haruspicum responsis”, 12.24. Il teatro in pietra del 154 a.C. non era altro che una monumentalizzazione del primitivo edificio in legno, eretto ogni anno a partire dalla fondazione dei ludi. Sui ludi e sull'ostilità del Senato nei confronti del teatro stabile vedi anche Beacham 1999, pp.61-67.

19 Un anno prima, nel 56 a.C., Pompeo aveva svolto il delicato incarico di curator annonae, suscitando molti malumori nel popolo romano, si era dunque reso necessario, nell'ottica di una prosecuzione della sua carriera politica, il dover compiere atti pubblici eclatanti volti a recuperare il consenso perduto (Cfr. Geraci-Marcone 2011, pagg 155-57). La data del 55 a.C. per l'inaugurazione del teatro è deducibile da numerose fonti, [vedi, per es., Cicerone (Epistule

ad familiares, VII, I, 2-3), Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, VII, 158 e VIII, 20), Plutarco

(Pompeo, 42, VIII, 9), Cassio Dione (Storia Romana, XXXIX, 38) [Cic.4, Plin.2 e 3; Plut.3;

Dion.1], e da un commento di Asconio a un passo dell'orazione di Cicerone contro Pisone (il

27.65) in cui si legge: “haec oratio dicta est Cn. Pompeio Magno II M. Crasso II coss. Ante

paucos dies quam Cn. Pompeius ludos faceret quibus theatrum a se factum dedicavit”; cfr.

Coarelli 1972, pag. 99, nota 2. Sull'apparente disaccordo di queste fonti con Gellio (Noctes Acticae, X, 7-9) [Gel.1] vedi §1.3.

(8)

Imperiali.

Pompeo si trovò in possesso di una porzione considerevole del Campo Marzio nel quadro di una progressiva privatizzazione dell'area inziata già da tempo20,

e fu nel Campo Marzio che probabilmente realizzò parte dei suoi horti21.

Sembrerebbe infatti degna di fede una testimonianza di Plutarco che collega l'abitazione principale degli horti di Pompeo al suo teatro come una “scialuppa ormeggiata a una grande nave”22.

Sappiamo che Pompeo per tutto il tempo in cui mantenne i poteri proconsolari fu costretto a vivere lontano dal cuore della città (ai proconsoli era infatti vietato di entrare all'interno del pomerium se prima non avessero deposto l'imperium). Questo impedimento spiega verosimilmente la collocazione degli horti e della stessa residenza di Pompeo nel Campo Marzio, fuori dal pomerium, ma fu anche la causa per cui, dopo le agitazioni seguite alla morte di Clodio e l'incendio della Curia Hostilia23, nel 52 a.C., il Senato, per poter permettere a Pompeo di partecipare alle riunioni, cominciò a riunirsi presso i suoi stessi monumenta24. L'esedra posta sul lato orientale della sua porticus

20 Vedi la voce Campus Martius, in LITUR I, pp.221-222; Coarelli, op. cit., pp.544-5

21 Sulla questione degli horti di Pompeo vedi la voce Horti Pompeiani in LITUR III, 1996, pp78-79 e la diffusa trattazione di Coarelli, op. cit., pp.. 544-459.

22 Plutarco, Pompeo, 40,9: “In seguito Pompeo, quando fece erigere per i romani quel suo teatro bello e famoso, si fece costruire vicino, a mo' di scialuppa accanto a una nave, una casa più bella della precedente […].

[Traduzione da Plutarco, “Vite”, Vol. VI, Utet, 1998,]; [Plut.1] 23 La Rocca 1988 p. 271.

24 Sempre nel 52 a.C., Pompeo ricevette la nomina di console sine collega diventanto di fatto l'uomo più potente e influente di Roma, come dimostra, per esempio il suo successo nel processo contro un'avversario politico come Milone; vedi Plutarco, Cicero, 35.5. e Cicerone,

(9)

pone scaenam venne scelta infatti come nuova sede della Curia25.

Ma la collocazione dell'intero complesso fuori dal pomerium risultò certamente funzionale anche ad altri scopi. Difficilmente Pompeo avrebbe avuto la stessa libertà di realizzare un progetto così innnovativo e per alcuni espetti rivoluzionario se si fosse trovato all'interno del pomerium26. Già solo la costruzione di un teatro stabile dovette essere percepita negli ambienti più conservatori in aperto contrasto con le norme del mos maiorum e come un esempio di luxuria orientale27.

Il teatro stabile non era l'unica struttura innovativa del complesso pompeiano, anche la porticus munita di giardini era una novità rispetto alle altre porticus precedentemente costruite a Roma28. La comprensione di queste scelte di

rottura con la tradizione romana è legata alla questione dell'influenza dei modelli greci e orientali nell'ideazione dell'intero progetto architettonico. È innegabile che Pompeo si sia ispirato all'ideologia dei principi ellenistici in molte forme della sua autorappresentazione. Questa scelta fu in una certa

25 I resti della Curia si trovano sotto l'attuale via di Torre Argentina; vedi la voce “Curia Pompei” del Lexicon Topographicum Urbis Romae [LTUR] , vol. I, Roma 1993, pp. 334-335 e cfr. Coarelli 1997 pp. 572-575;

26 Coarelli, op. cit, pag. 544; sulle riserve sul valore da dare al cognomen Magnus e sul concetto di imitatio vedi nota 7 e cfr. § 6.2

27 Gros-Torelli, op.cit., pp 145-146; il concetto di luxuria rappresentava per i romani una categoria analitica addirittura storiografica, nelle monografie di Livio e Sallustio è presente una visione della storia romana come un lento declino morale, un progressivo distaccarsi dall'età dell'oro degli antichi, e cioè dal mos maiorum, verso una corruzione delle tradizioni e dei costumi dovuta alla luxuria sempre crescente e quasi sempre amputabile all'influenza che la cultura greca e orientale andava esercitando su Roma man mano che questa procedeva con le sue conquiste territoriali. Sul solco di questa tradizione storiografica un autore di età imperiale come Plinio il Vecchio inquadrerà addirittura la luxuria come un sovvertimento dell'ordine naturale delle cose, un deplorevole esercizio di violenza sulla natura perpetrato nel nome della cultura. G.Parker 2002 p.56 ;Wallace-Hadrill 1990, pp 92-94. [crf. § 6.1].

(10)

misura dichiarata ed esplicita se in seguito al trionfo del 61 a.C. a Pompeo fu accordato il cognomen di Magnus, l'appellativo del più celebre sovrano e conquistatore ellenistico, e non è un caso se le fonti insistono sul concetto di imitatio Alessandri29.

La stessa costruzione di un teatro stabile, si è detto, doveva essere stata percepita come un atto legato più alla tradizione greca che romana, eppure secondo i criteri di classificazione di un contemporaneo di Pompeo come Vitruvio il modello architettonico del teatro fu di evidente ispirazione “latina”30. Questa interpretazione vitruviana sembrerebbe in contrasto con la

testimonianza che ci fornisce lo scritttore greco Plutarco secondo cui Pompeo, trovandosi nel teatro di Mitilene ad assistere ad un concorso che gli era stato dedicato per intervento del suo cliente Teofane, manifestò la volontà di costruire a Roma un teatro simile ma più grande31. Sempre secondo Plutarco,

Pompeo fece a tal proposito eseguire dei disegni e addirittura un modello di quel teatro da portare a Roma. In mancanza di dati di scavo del Teatro di Mitilene è praticamente impossibile capire se e dove vi siano state delle corrispondenze tra il teatro di Pompeo e il suo presunto modello32, del resto è

29 Coarelli, op. cit, pag.559

30 De architettura, V, 6-7

31 Plutarco, Pompeo, 42, 8-9: “Giunto, infatti a Mitilene, liberò la città per un riguardo a Teofane e assistette al tradizionale concorso dei poeti, che aveva allora come unico soggetto le sue imprese. Poichè il teatro gli piacque molto, ne fece disegnare la pianta e il modello, per poterlo far costruire uguale a Roma, ma più grande è più importante (semnòteron). [Plut.2]

32 Nel corso della storia degli studi sono state fatte a riguardo diverse ipotesi tra le quali la più complessa e articolata è stata quella della Bieber che ha supposto che il modello lesbico a cui si riferisce Plutarco non fosse il teatro ma il Bouleterion di Mitilene :Bieber,1961, p.181; Sear,

(11)

la conoscenza stessa della struttura del teatro di Pompeo ad essere problematica per via della scarsità delle evidenze archeologiche di cui oggi disponiamo.

1.2 Le ipotesi ricostruttive delle strutture del complesso

La scarsità dei resti sopravvissuti e visibili del Teatro di Pompeo ha da sempre creato seri problemi di interpretazione delle varie strutture che lo compongono e di quelle annesse. Solo pochi tratti di murature sono oggi rintracciabili a livello dei sotterranei e delle cantine di vari palazzi storici. Restano tratti dell'ambulacro periferico semianulare e di corridoi radiali e della porticus post scaenam (lato Est) nell'area sacra di Largo Argentina. Il Teatro è infatti obliterato da una sequenza di stratificazioni edilizie che va dalle fasi medievali ai giorni nostri, anche se le sue caratteristiche, come ad esempio l'andamento curvilineo della cavea, si possono ancora oggi rintracciare nell'allineamento delle vie e dei palazzi storici e nella forma di alcune facciate di questi ultimi [Figg. 11 e 12 e cfr Fig. 1 e 2, vedi anche § 1.5]33. Questa complessa situazione archeologica e l'assenza di una documentazione esaustiva ha portato all'elaborazione di varie ipotesi ricostruttive basate sul confronto incrociato dei pochi resti architettonici con

(12)

quelli dei frammenti della pianta marmorea severiana della Forma Urbis e dei suoi disegni rinascimentali e settecenteschi [Figg. 3, 4, 5]. Il più recente e completo lavoro di ricerca in questo senso è stato condotto dal'equipe di archeologi diretta da Fedora Filippi negli anni 2009-2011 su committenza della Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma34. Questo

progetto ha visto il censimento di tutti i resti architettonici oggi esistenti e l'esame sistematico dei materiali d'archivio per arrivare al posizionamento di tutte le strutture antiche di cui siamo a conoscenza all'interno di un rilievo unitario (planimetrico e altimetrico) del teatro e di tutto il suo complesso. Il rilievo ha dovuto confrontarsi con le ricostruzioni grafiche tradizionali del teatro che ci derivano dai lavori di due importanti studiosi dell'Ottocento, l'architetto Beltard [Fig. 6] e Luigi Canina [Figg. 8 e 9]. Il primo, dopo aver condotto dei sondaggi di scavo, aveva disegnato delle tavole accurate in cui era presente una distinzione tra il rilievo dei resti ancora visibili (all'epoca più numerosi degli attuali) e le sue ipotesi integrative35. Secondo la sua

ricostruzione la cavea del teatro era composta da 23 cunei radiali dei quali i tre centrali, di ampiezza maggiore, corrispondevano alla larghezza di un tempio (quello di Venus Victrix, vedi. §seg.) collocato sulla summa cavea. L'ipotesi ricostruttiva di Luigi Canina36 dalla quale deriverà quella della

Forma Urbis di Rodolfo Lanciani [Fig. 7], prevedeva invece una cavea

34 Filippi 2015

35 Ancora oggi fondamentali le indagini di scavo di Beltard interessarono l'area del Largo dei Librai e quella di Piazza dei Satiri; vedi Beltard 1837 A e 1837 B

(13)

composta da 25 cunei radiali, anche se la corrispondenza dei tre cunei centrali col tempio era del tutto simile a quella presente nelle tavole di Beltard. Negli ultimi anni le nuove acquisizioni di Parker37 e di Monterroso38, sia pure

importanti per quantità e qualità, non hanno apportato dei cambiamenti sostanziali all'impostazione generale delle ricostruzioni grafiche ottocentesche. Nel nuovo rilievo realizzato all'interno del progetto diretto da Fedora Filippi invece [Fig. 10], la cavea sembra poter contenere non più di 22 cunei radiali sostruttivi39, e la larghezza del tempio corrisponde a quella dei

soli due cunei centrali. Un'altra importante acquisizione di quel progetto è derivata dalla scoperta e dall'indagine di un ambiente ipogeo relativo alle sostruzioni dell'ima cavea40. Prima di allora non era mai stato riscontrato nessun ambiente pertinente all'ima cavea, e le ricostruzioni di quest'ultima erano costituite da un prolungamento del tutto ipotetico delle sostruzioni radiali della summa e media cavea in direzione dell'orchestra. Queste ricostruzioni si sono rivelate infondate, perchè le sostruzioni dell'ima cavea appaiono strutturalmente diverse dai cunei radiali della summa e media cavea. Nelle ricostruzioni tradizionali si è sempre ipotizzata una suddivisione in tre grandi settori semicircolare della cavea (la summa, la media e l'ima appunto) tra di loro separati da quei due muri curvilinei di cui si conoscevano alcuni tratti, ma oggi sono state acquisite sufficienti evidenze, almeno a livello delle 37 Gagliardo- Packer 2016; Packer 2007, pp.257-278; Packer- Burge- Gagliardo 2007, pp.505-522; Packer- Gagliardo- Hopkins 2010

38 Monterroso 2006; Monterroso 2010 39 Filippi 2015, pag. 352 e nota 13 40 Filippi op cit pag. 353

(14)

sostruzioni, per ricostruire un terzo muro curvilineo che taglia a sua volta l'ima cavea in altri due settori.

I nuovi studi hanno anche ridimensionato l'ampiezza della scaena rispetto alla ricostruzione che ne aveva fatto Luigi Canina, e per compensazione hanno attribuito una maggiore ampiezza delle basiliche laterali41. Il Codice Vaticano

Latino 3439, 23 recto42 [Figg. 4 e 5] ci fornisce la restituzione grafica cinquecentesca di una porzione della Forma Urbis severiana oggi perduta. In questo disegno su ciascuno dei lati della pulpiti frons del teatro sono rappresentate delle strutture a loggia aperte e cioè sprovviste di muri perimetrali, il cui andamento è determinato da una serie di pilastri. Queste strutture sarebbero appunto le basilicae del Teatro e dovevano essere delle vere e proprie cerniere di collegamento tra l'esterno e l'interno, il punto di arrivo ideale dei percorsi della porticus post scaenam e dei giardini43.

Fungevano dunque da ingresso (uno dei possibili) per il teatro immettendo direttamente nell'orchestra e collegandosi, forse con degli archi, a quelli che si potrebbero definire gli aditus maximi, le due entrate sceniche, cioè nient'altro che l'evoluzione tardo-ellenistica delle parodoi del teatro greco classico44. Le

basilicae creavano un prolungamento ottico della scena facendola corrispondere all'intero diametro della cavea.

41 Filippi, ibid.

42 FUR 1960

43 Tosi 2003, pagg 728-29 44 Tosi, op. cit., pag.756-57

(15)

Il disegno del codice rinascimentale, così come la Forma Urbis da cui deriva, ci restituiscono gli edifici solo in pianta senza fornirci indicazioni sugli alzati, ma è facile immaginare che sia la frons scaenae che le due basilicae dovessero sopraelevarsi per più piani raggiungendo l'altezza della summa cavea45. Non stupisce che nel disegno non compaiono i due parascaenia. I due avamposti hanno senza dubbio caratterizzato la forma del teatro greco occidentale del IV e III sec. a.C., ma già verso la fine del II sec. hanno cominciato progressivamente a scomparire cedendo il posto ad altre soluzioni architettoniche quali potevano essere appunto le basilicae. La scaene frons originaria era probabilmente lignea. Per l'età imperiale l'edificio si ricostruisce con una grande esedra rettangolare al centro, con tre porte sul fondo e due ampie esedre semicircolari laterali con porta sul fondo. Il prospetto delle esedre era ornato da una columnatio.

Gli ambulacri semianulari che collegavano i due settori radiali, erano alla base dei percorsi predisposti nelle sostruzioni della cavea. Vi era un collegamento diretto tra edificio scenico e porticus post scaenam da nove porte aperte.

L'elemento più caratteristico e originale del complesso pompeiano è la connessione del teatro con la cosiddetta Porticus post scaenam, un imponente quadriportico. La Porticus si estendeva lungo l'asse centrale del teatro posteriormente e perpendicolarmente alla scaenae frons così che il suo lato

(16)

breve occidentale si trovava ad essere collegato ai colonnati, ai vani e alle esedre poste sul retro dell'edificio scenico. Tali spazi di servizio venivano usati probabilmente per conservare gli allestimenti teatrali ma non è da escludere che a quest'uso fosse adibita anche la stessa porticus come sembrerebbe evincersi da un interessante passo di Vitruvio46. In effetti,

secondo le restituzioni grafiche che ci sono pervenute, anche il quadriportico si trovava ad essere ricco di esedre, nicchie e vani di vario genere, e certamente avrà ospitato arredi e decorazioni di vario tipo oltre che diverse statue (con ogni probabilità veri e propri cicli scultorei) [vedi Cap. seg]. Nella Forma Urbis severiana una serie di quattro file di piccoli segni a forma di quadratini pieni sono poste al centro del cortile del quadriportico, secondo Packer questi quadratini potrebbero indicare o la presenza di alberi o di fontane47. Da quanto ci è noto dalle fonti, all'interno del quadriportico

dovevano essere presenti degli spazi verdi, giardini o boschetti, decorati con fontane [cfr. §2.4] e caratterizzati da platani. Un epigramma di Marziale48

allude infatti alla presenza di questi alberi fin dai tempi di Pompeo. In un altro epigramma49 Marziale, fa riferimento a un nemus duplex che fa pensare a

una doppia fila di alberi. E infine Properzio50, sempre parlando del Portico di 46 Vitruvio, De Architectura, V,9: Post scaena porticus sunt constituendae, uti, cum imbres

repentini ludos interpellaverint, habeat populus quo se recipiat ex theatro, choragiaque laxamentum habeat ad comparandum: uti sunt Porticus Pompeianae, itemque Athenis Porticus Eumenicae, Patrisque Liberi fanum et exeuntibus e theatro sinistraparte Odeum[...]

47 Packer 2010, p. 156 e fig. 5.25;

48 Marziale, Epigrammi, libro IX, 61 e segg.: [v.6...] Stat platanus [...] [vv.19 seg.] /O dilecta

deis, o magni Casaris arbor,/ ne metuas ferrum sacrilegosque focos/ Perpetuos sperare licet tibi frondes honores:/ non Pompeianae te posuere manus. [Mar.2]

49 Marziale, Epigrammi, libro II, 14, v.10: illinc Pompei dona nemusque duplex.

(17)

Pompeo, cita una schiera di platani che “alla stessa altezza, senza interruzione alcuna si susseguono”.

1.3 La ricostruzione del tempio

Una questione ancora discussa è quella relativa ai disegni eseguiti nell'Ottocento di resti all'epoca visibili e oggi scomparsi del tempio di Venus Victrix. Non si può essere certi infatti che essi rappresentino dei rilievi oggettivi o non siano piuttosto delle ricostruzioni ideali basate sull'osservazione della restituzione rinascimentale dei frammenti oggi perduti della Forma Urbis51 . Non è neanche da sottovalutare la possibile influenza

della letteratura scientifica antica sull'architettura dei teatri e dei templi.

I sostenitori dell'origine italica del cosiddetto tipo del "teatro-tempio" hanno potuto avvalersi di numerosi confronti coi santuari di siti come Gabii, Praeneste, Tivoli e Pietrabbondante52 [vedi Cap.5] e l'apparente

inconciliabilità della testimonianza di Plutarco con le teorie vitruviane sul teatro greco e latino53 può far pensare che lo storico greco abbia riportato un

aulaeis nobilis Attalicis,/ et platanis creber pariter surgentibus ordo,/ flumina sopito quaeque Marone cadunt,/ et situs lymphis toto crepitantibus orbe,/ cum subito Triton ore refundit aquam.

51 Codice Vaticano Latino 3439,23 recto, vedi nota 40.

52 Sear, op.cit. p.58; È proprio dal confronto con questi santuari italici che Hanson elaborò la teoria del teatro-tempio (Hanson 1952). La questione del teatro-tempio sarà oggetto del

[Cap.5].

(18)

aneddoto inventato di sana pianta. Ma forse è opportuno considerare quanto spesso le “traduzioni” latine possano distaccarsi dai modelli originari, reinterpretandone e adattandone le forme e le funzioni al nuovo contesto di Roma54. Del resto “è indubbio -scrive Coarelli- che l'assunzione di modelli

orientali in età tardo-repubblicana non avrebbe potuto non essere mediata dalle tradizioni locali, anch'esse risultato di una più lontana “ellenizzazione”, ma ormai consolidatesi fino ad assumere carettere ed aspetto del tutto autonomi”55.

Da Plinio il Vecchio56 sappiamo che il tempio di Venus Victrix ebbe la sua

dedicatio durante il secondo consolato di Pompeo, cioè nel 55 a.C [cfr. §1.1]. Plutarco57 cita il tempio come un edificio quanto meno visibile dalle scalinate

della cavea raccontando che alla vigilia della battaglia di Farsalo Pompeo sognò di adornare il santuario di “Afrodite Nikephoros” (chiara trasposizione greca del nome Venus Victrix) mentre il popolo applaudiva entrando in teatro. Aulo Gellio58 ci fornisce un'informazione importante, anche se non del tutto 54 Si pensi per esempio al rapporto degli edifici di Villa Adriana coi loro diversi modelli greci e orientali, cfr. Coarelli 1996, pag.559

55 Coarelli, ibid. La questione dell'origine del modello architettonico del teatro-tempio e i suoi rapporti col complesso pompeiano saranno oggetto di trattazione nel capitolo V.

56 In “Naturalis Historia”, VIII, 20, cita il tempio di Venus Victris all'interno di un discorso sugli elefanti: Pompei quoque altero consulatu, dedicatione templi Veneris Victricis, viginti

pugnavere in circo aut, ut quidam tradunt, XVIII, Gaetulis ex adverso iaculantibus, mirabili unius dimicatione […]. [Plin.3]

57 Pompeo, 68, 2-3: “Durante la notte Pompeo in sogno si vide entrare a teatro fra gli applausi del popolo e ornare di molte spoglie il tempio di Afrodite Vincitrice (nikefòrou). Questa visione per un verso lo incoraggiò, ma dall'altra parte lo turbò perchè temeva di dover essere lui stesso a dare la fama e la gloria del trionfo della stirpe di Cesare, che risaliva ad Afrodite. […].” [Plut.IV]

58 Gellio, “Noctes Acticae”, X, 7-9: […] Quod de Pompeio Varro breviter et subobscure dixit,

(19)

chiara, sulla posizione dell'edificio di culto, riportando un passaggio di una lettera di un liberto di Cicerone, Tullio Tirone, in cui si legge che le gradinate del Tempio di Venere eretto da Pompeo stavano “al posto” (vicem) del teatro. Preziosa è anche la testimonianza di Tertulliano59 che all'interno di un suo

discorso polemico contro la presunta immoralità degli edifici per spettacoli sostiene che Pompeo abbia volutamente fatto passare il suo teatro per un luogo di culto, ponendovi sopra il tempio (Veneris aedem superposuit) e cambiando il suo nome, (da “teathrum” a “templum” appunto), e che per rendere questo camuffamento più credibile avrebbe detto di aver costruito “sotto” delle gradinate per gli spettacoli (cui subiecimus, inquit, gradus spectaculorum). Non possiamo essere certi dell'attendibilità di Tertulliano anche se sembra plausibile che l'apologista cristiano si sia avvalso di una fonte autorevole come il Rerum divinarum di Varrone o della Ludrica Historia di Svetonio, ma è soprattutto dall'interpretazione di questo suo passo, insieme alle altre fonti sopra citate, che ha preso avvio la teoria/questione del

"Cum Pompeius" inquit "aedem Victoriae dedicaturus foret, cuius gradus vicem theatri essent, nomenque eius et honores inscriberentur, quaeri coeptum est, utrum "consul tertio" inscribendum esset an "tertium". Eam rem Pompeius exquisitissime rettulit ad doctissimos civitatis[...]Id autem, quod et Varro et Tiro dixerunt, in eodem nunc theatro non est ita scriptum. Nam cum multis annis postea scaena, quae prociderat, refecta esset, numerus tertii consulatus non uti initio promoribus litteris, sed tribus tantum lineolis incisis significatus est.

[Gel.1]

59 in De Spectaculis, 10, 3-6: [3...]A loci vitio theatrum proprie sacrarium Veneris est. Hoc

denique modoid genus operis in saeculo evasit. [4]Nam saepe censores nascentia cum maxime theatra destruebant moribus consulentes, quorum scilicet periculum ingens de lascivia providebant, ut iam hic ethnicis in testimonium cedat sententia ipsorum nobiscum faciens et nobis in exaggetationem disciplinae etiam humanae praerogativa. [5]Itaque Pompeius Magnus solo theatro suo minor cum illam arcem omnium turpitudinum extruxisset, veritus quandoque memoriae suae censoriam animadversionem Veneris aedem superposuit et ad dedicationem edicto populum vocans non theatrum, sed Veneris templum nuncupavit, cui subiecimus, inquit, gradus spectaculorum. [6]ita damnatum et damnandum opus templi titulo praetexuit et disciplinam superstitione delusit. [Ter.1]

(20)

teatro-templio60. È anche necessario ricordare però che, se l'interpretazione

corrente del passo di Gellio sopra citato è corretta, il tempio di Venere fu dedicato ben tre anni dopo l'inaugurazione del teatro stesso (in disaccordo con quanto scrive Plinio). Gellio infatti ci parla di un'inaugurazione avvenuta nell'anno del terzo consolato di Pompeo (e cioè il 52 a.C. e precisamente il 12 agosto), si è dunque pensato che non si riferisca all'inaugurazione del teatro, la cui diversa data è sufficientemente accertata [vedi §1.1] e che di fatto non è esplicitamente citato, ma a quella del solo tempio di Venere61. La

constatazione che vi sia stato un tale intervallo di tempo fra la dedica del teatro e il suo tempio non può che indebolire la valenza della testimonianza di Tertulliano.

Il frammento 38f della Forma Urbis62 è una piccola lastrina con gli orli

rilavorati che rappresenta secondo i suoi editori una parte del tempio di Venere Vincitrice adiacente al portico perimetrale della summa cavea, e precisamente al suo tratto centrale. Questa interpretazione del frammento accoglie sostanzialmente quella dei precedenti editori da Beltard a Canina a Lanciani. Fra questi l'architetto francesce tentò un disegno della planimetria del tempio integrando il frammento della Forma con i rilievi dei resti che al suo tempo era ancora visibili e fu il primo a tracciare un abside in fondo alla struttura. Dopo di lui tutti i disegni ricostruttivi previdero una planimetria del

60 Cfr. Tosi, pag 725-26

61 Coarelli 1972, pag.99, nota 2 62 FUR 1960

(21)

tempio con pronao, cella e abside. Non tutti gli studiosi però sono convinti che il frammento della Forma vada interpretato come parte di un tempio. Secondo Tosi, la convenzione grafica del quadratino esterno alla linea evidenzia la presenza di portici, non di strutture templari (è infatti la stessa convenzione usata per la Porticus post scaenam dello stesso teatro di Pompeo, per esempio, negli altri frammenti della Forma)63. Una serie di

valutazioni sulla tradizione editoriale cinquecentesca e ottocentesca, fa propendere la studiosa a considerare il frammento 38f come la rappresentazione di un portico presente sul piano di spiccato (cioè quello dell'orchestra) del teatro, piuttosto che come un'edificio posto in summa cavea. Se questa interpretazione cogliesse nel segno si potrebbe pensare a un viale porticato che collegava il complesso alla villa di Pompeo che, come abbiamo visto [cfr.1.1], secondo Plutarco “era ancorata al teatro come una scialuppa alla sua nave”64. Ma a rendere poco plausibile l'intera ipotesi della

Tosi sono proprio le diverse fonti, sopra citate, che testimoniano esplicitamente un tempio in summa cavea.

Qualunque sia la corretta interpretazione da dare al frammento, la questione del rapporto tra il tempio e il teatro risulta ulteriormente complicata dal fatto che, secondo le fonti, l'aedes di Venus Victrix non era l'unico edificio di culto architettonicamente connesso al teatro di Pompeo. Svetonio65 ci descrive una

63 Tosi 2003, pagg. 733-734 64 vedi nota 20

65 In Vita dei Cesari, Libro V (Claudio) 21,3: Ludos dedicationis Pompeiani theatri, quod

ambustum restitverat, e tribunali posito in orchestra commisit, cum prius apud superiores aedes supplicasset perque mediam caueam sedentibus ac silentibus cunctis descendisset.

(22)

scena in cui l'imperatore Claudio attende ad una cerimonia religiosa presso le aedes poste sopra (superiores) alla cavea. Lo scrittore purtroppo non riferisce il nome dei culti a cui queste aedes dovevano essere consacrate, ma le informazioni che ci fornisce possono essere integrate da alcune iscrizioni calendariali appartenenti ai Fasti Allifani e a quelli Amiternini66 che fanno riferimento a dei sacelli posti a coronamento della cavea e dedicati a Onos e Virtus , Victoria e Felicitas oltre che allo stesso tempio di Venus Victrix che doveva essere più grande o almeno più importante per posizione (centrale e assiale rispetto al centro della scena, alla porticus retrostante e alla curia)67. Di queste attribuzione dei sacelli, solo su quello che dovrebbe essere dedicato a Victoria come divinità distinta dalla Venere Vincitrice sussistono a tutt'oggi dei dubbi68. Secondo Coarelli la testimonianza di Gellio depone a favore della

distinzione delle due divinità, mentre Tosi ritiene che vi sia stata un'assimilazione/confusione dei nomi (Victoria e Venus Victrix) da parte delle fonti e che quindi le aedes superiores citate da Svetonio fossero solo quattro e non cinque (Venus Victrix, Honos, Virtus e Felicitas)69. Secondo l'ipotesi di

Rossetto, infine , le aedes erano solo tre (o al massimo quattro, ipotizzando una distinzione tra Venus Victrix e Victoria) dal momento che le divinità

66 CIL I(2), 217, 244, 324

67 vedi la voce Theatrum Pompei e la voce Venus Victrix, Aedes in LITUR V, p.36 e pp.120.121 ; cfr. anche Coarelli 1996, pagg. 567-570.

68 L'iscrizione relativa (CIL I(2), 324), V[---], presenta infatti una lacuna che rende leggibile solo la lettera iniziale del nome della divinità; vedi nota prec.

69 Coarelli, ibid., ma non così in Coarelli 1972 (nota 2 a p.99) dove invece scriveva commentando il passo di Gellio sopra citato: “Non credo che debba distinguersi questo tempio della Vittoria da quello di Venus Victrix” ; Tosi 2003, pagg. 727-728

(23)

Honos e Virtus a cui le epigrafi fanno riferimento dovevano essere venerate in quanto coppia in un unico saccello70.

1.4 Le vicende del complesso pompeiano dopo Pompeo

Sappiamo che Giulio Cesare fu insignito di una corona radiale nel Teatro di Pompeo proprio prima del suo assassinio71 e che i cospiratori avevano

discusso se fosse il caso di ucciderlo, come dice Svetonio, proprio all'ingresso del teatro72. Augusto stesso scongiurò un attentato da parte di alcuni militari

all'interno del teatro73 e nonostante questo episodio fu il primo ad effettuare

una ricostruzione dell'edificio74. Augusto accrebbe la fama d'opulenza del

teatro rivestendo di marmo la cavea, e proponendo un nuovo allestimento delle decorazioni della scena, ma il suo intervento non fu circoscritto al solo edificio teatrale. Se da una parte, infatti, aveva fatto murare la Curia in quanto locus sceleratus75 dall'altra aveva provveduto a rinnovare anche le decorazioni della porticus. Proprio nella porticus, e precisamente nel suo lato occidentale, all'interno del loggiato immediatamente alle spalle della scena del teatro,

70 Vedi la voce Theatrum Pompei, ibid. 71 Florus II, 13.8.; vedi Sear, op.cit. P 58; 72 Svetonio, Ciulio Cesere, 80.4

73 Appiano, Guerre Cilivi, 5.15; Svetonio, Augusto, 14

74 In Res Gestae, XX, 1 si legge: Capitolium et Pompeium theatrum utrumque opus impensa

grandi refeci sine ulla inscriptione nominis mei. [Aug. 1]

75 Vedi Svetonio, Divus Augustus, 31.9, e Divus Iulius, 88; Monterroso, op.cit., pp. 328-334; La Rocca 1988, pp. 286-287.; Sear, ibid.

(24)

aveva fatto ricollocare la scomoda statua di Pompeo che era stata “testimone” dell'assassinio del padre adottivo [vedi §2.5 e §4.1].

Anche Tiberio mise mano al complesso pompeiano danneggiato da un altro incendio nel 22.d.C.76, in quell'occasione eresse dentro l'edificio una statua in

bronzo del prefetto Seiano77 ma il suo programma di interventi fu portato a

termine sotto Caligola mentre fu Claudio a celebrare addirittura la cerimonia di una nuova dedica78.

Nerone rivoluzionò parte delle decorazione. Secondo Plinio, in occasione della visita del re Tiridate a Roma, fece dorare tutto l'edificio teatrale in un solo giorno79 coprendolo per altro con un tendone (vela) color porpora al

centro della quale campeggiava l'immagine dipinta di Nerone stesso alla guida di un carro e circondato da stelle dorate80.

Dopo il grande incendio dell'80 d.C. che distrusse gran parte del Campo Marzio, il progetto di restauro di Tito prima, ma soprattutto di Domiziano modificò radicalmente la natura dell'intero sito81, e previde un importante

intervento di rifacimento del Teatro. Le opere non si limitarono, infatti, alla sola scena, che, come ci informa Cassio Dione fu totalmente distrutta dalle fiamme82 ma consistettero soprattutto nel rifacimento strutturale delle parti più

76 Tacito, Annali, VI, 45.2 77 Cassio Dione, 57, 21.3

78 Svetonio, Claudio, 21.1; vedi Sear, ibid. 79 Nat. Hist., XXXIII, 54 [Plin.4]

80 Cassio Dione 62, 6.1-2.

81 Si susseguirono infatti il rifacimento dell'area Sacra del Largo Argentina, la costruzione dell'Odeum e dello Stadio (Coarelli 1997, p.556).

(25)

esterne maggiormente compromesse dall'incendio. Secondo Sear sebbene la scaenae frons rappresentata sulla pianta marmorea venga in genere interpretata come severiana, essa si accorderebbe molto bene con quanto conosciamo del progetto di costruzione del periodo di domiziano83. Al 210

d.C. risale l'attestazione epigrafica di un procurator operis theatri Pompeiani, che è stata interpretata come una carica preposta alle opere di restauro. Il teatro fu nuovamente danneggiato dal fuoco nel 247 d.C., durante i ludi saeculares, e restaurato al tempo di Filippo I84. Nel 282 d.C. un ulteriore

incendio interessò le strutture per cui si rese necessario un intervento di restauro da parte dell'imperatore Diocleziano nel 285 d.C. Sotto Carino in seguito ad uno spettacolo che prevedeva l'uso scenografico del fuoco, un altro incendio interessò il teatro e tutto il suo complesso. In quell'occasione il complesso fu restaurato con grandiosi lavori da Diocleziano. La porticus in particolare fu restaurata sotto la direzione del Prefetto urbano Aelius Helvius Dionysius che mise il nome di porticus Iovia ad uno dei due settori restaurati e di porticus Herculea all'altro in onore di Diocleziano e Massimiano85. Altri

interventi si registrarono sotto Massenzio, Arcadio e Onorio dopo un terremoto86. Tra il 476 e il 483, durante il regno di Odoacre, l'attività del teatro

è attestata da iscrizioni sulle gradinate relative ai posti dei senatori, consoli,

83 Sear, op.cit, p.59 e nota 113

84 Historia Augusta, Car., 19; vedi la voce Porticus Pompei del LITUR IV, pp.148.49; Sear

ibid.

85 Lo testimoniano due basi rinvenute con dedica a Diocleziano e Massimiano: CIL VI 255 e 256; Sear ibid.

(26)

cavalieri, sacerdoti, pedagoghi, plebe. L'ultima testimonianza che allude a un restauro operato da Simmaco, risale agli anni 507-511 d.C. al tempo di Teodorico che Cassiodoro ci informa si sia riferito al teatro come un edificio che crollava sotto il suo stesso peso87.

Le rovine del teatro erano ancora visibili durante l'VIII sec. d.C. e ci sono ancora riferimenti al suo nome antico fino al XII sec.88 Durante il XIII secolo

parte della cavea fu convertita in una residenza fortificata dalla famiglia Orsini e gradualmente anche gli altri resti furono obliterati da nuove costruzioni.

Parte del teatro ritornò alla luce quando iniziarono i lavori per la Chiesa di Sant' Andrea della Valle nel 1591. La piccola chiesa di Santa Maria in Grottapinta fu costruita proprio al centro della cavea. Il grande seicentesco Palazzo Pio-Righetti che si affaccia su Campo de' Fiori venne costruito sopra una larga porzione della cavea che includeva il Tempio di Venus Victrix.

Le nuove costruzioni mantennero lo stesso andamento curvilineo della cavea, seppur obliterandone completamente i resti. Ancora oggi l'intera estensione di via Grottapinta riproduce quello che era il diametro interno della ima cavea, mentre il tratto che va da via del Biscione e via dei Giubbonari riprende approssimativamente la curva del diametro esterno di quella che era la summa cavea [vedi § seg].

87 “theatri fabricam magna se mole solventem”: Cassiodoro, Var., 4. 51. 88 Sear, op.cit., p.59

(27)

1.5 La posizione delle strutture e i resti del complesso pompeiano sopravvissuti oggi.

La posizione originaria del tempio di Venus Victris dovrebbe corrispondere attualmente alla sporgenza del Palazzo Pio Righetti in direzione Campo dei Fiori89 [Figg 1 e 3]. La curva perimetrale esterna della cavea si snoda lungo piazza del Paradiso, Piazza del Biscione, piazza Campo dei Fiori, Via dei Giubbonari e Largo dei Librari, mentre la curva interna della cavea corrisponde a Largo del Pallaro, via di Grotta Pinta e Via dei Chiavari. L'edificio scenico doveva allinearsi lungo l'attuale via dei Chiavari e il suo angolo Nord occupava la posizione attuale della chiesa di S. Andrea della Valle. L'area della porticus post scaenam (anticamente di m 180,00-200,00x135,00 ca.90) è delimitata a Nord da via del Sudario, a Sud da Vicolo dei Chiodaroli e Via si S. Anna, ad Est dal Largo di Torre Argentina, a Ovest da via dei Chiavari che la separa dall'area della scena teatrale.

89 Tosi 2003 p. 90 Tosi 2003 p.

(28)

Capitolo II

La ricostruzione delle decorazioni del Teatro di Pompeo sulla base delle testimonianze scritte: i cicli statuari.

2.1 Gli ornamenta theatri

Dal momento che la maggioranza delle evidenze archeologiche relative al complesso pompeiano è andata perduta o è stata obliterata [§ 1.2.], sono soprattutto le testimonianze scritte a permetterci oggi di farci un'idea generale di quello che doveva essere il programma decorativo dell'edificio teatrale e degli spazi annessi. Molte di queste fonti appartengono a periodi storici di gran lunga successivi alla prima realizzazione del complesso, ma per quanto l’aspetto dei suoi monumenta sia cambiato nel corso dei secoli, alcune caratteristiche fondamentali hanno mantenuto stretti riferimenti al programma originario.

In una lettera ad Attico del 27 aprile del 55 a.C. [Cic. 2], Cicerone riporta all'amico il ringraziamento di Pompeo per aver fornito e curato l'allestimento

(29)

delle statue per l'inaugurazione del suo complesso monumentale91. Sappiamo

che Attico aveva già svolto lo stesso compito per il Tuscolanum di Cicerone e che era considerato un consulente d'arte di grande prestigio92. L'allestimento

di un monumentale complesso pubblico non può essere paragonato a quello di una villa privata, eppure i monumenta di Pompeo rappresentano per molti aspetti l'esito di quel processo di ellenizzazione della cultura romana rappresentato proprio dalla storia e dall'evoluzione delle ville private così come è stata tracciata da Paul Zanker93. Lo studioso ha evidenziato in

particolare come all'interno di spazi privati delle ville si realizzavano ambienti e strutture architettoniche che riprendevano, seppur in scala marcatamente ridotta, i diversi settori e gli edifici dei complessi pubblici greci. Questa derivazione era del resto resa manifesta da quello che secondo Varrone era il vezzo di mettere ai vari ambienti della villa i nomi greci gymnasium, palestra, xystus, academia, bibliotheca ecc94.

Le lettere di Cicerone sono un'interessante testimonianza di quale grado di attenzione, di studio e di lavorio intellettuale ci fosse dietro alla scelta degli allestimenti95. Le decorazioni statuarie, tutt'altro che accessorie, non dovevano

91 Cicerone, Ad Atticum 4.9.1, scritta a Napoli il 27 aprile 55 a.C:[...]Nos hic cum Pompeio

fuimus [...] tibi etiam gratiam agebat quos signa componenda suscepisses […].; Cadario 2011,

p.11

92 vedi Cicerone, ad Att., I,5,7; VI,2; VII; VIII,2; IX,2; XIX,3; XI,3; Neudecker 1988, pp.12-14.

93 Zanker 1979, pp. 284 e segg.

94 Rer. Rus. 2, praef. 2. La polemica di Varrone si inserisce nel più ampio discorso contro la

luxuria e l'abbandono dei rustici e genuini costumi della tradizione romana a favore di quella

rovinosa fonte di corruzione che per lo scrittore era la cultura greca. Cfr. Narducci 2003, p. 119 95 Quando, per esempio, volle realizzare un Amaltheion, cioè un edificio dedicato alla ninfa Amaltea, Cicerone chiese ad Attico di inviargli, oltre a una descrizione di quello che l'amico si era fatto costruire per se stesso, anche gli scritti (poemata e historiae) riguardanti la ninfa

(30)

perseguire il solo fine estetico, ma erano pensate in intima connessione con la funzione del luogo in cui erano ospitate e spesso connotavano gli spazi monumentali con precisi messaggi culturali e politici. Questo secondo aspetto giocava un ruolo fondamentale nel caso di dediche pubbliche come poteva essere quella del complesso Pompeiano la cui funzione propagandistica è fuori discussione [vedi § 1.1 e § 4.2].

Quale sia stata l'esatta collocazione di questi cicli statuari resta però una questione aperta. Plinio il Vecchio, la nostra fonte principale, ci fornisce delle indicazioni topografiche abbastanza precise, ma solo all'interno del libro XXXV della sua Naturalis Historia [Plin. 6-9] appare una distinzione tra il teatro vero e proprio e la porticus96. Nelle altre sezioni dell'opera [Plin. 1; 11; 12] l'espressione ornamenta theatri che potrebbe apparentemente far pensare al solo edificio teatrale, sembra da intendersi piuttosto come un riferimento generico all'intero complesso pompeiano97. Del resto, se è quasi certo che la

Amaltea (Ad Atticum, 1.16.18); Neudecker, op. cit., pp.10-11.

96 “Nat. Hist.”, XXXV, 59: Huius est tabula in porticu Pompei, quae ante curiam eius fuerat,

in qua dubitatur ascendentem cum clupeo pinxerit an descendentem […]; “Nat. Hist.”, XXXV,

114: […] Parva et Callicles fecit, item Calates comicis tabellis, utraque Antiphilus. Namque et

Hesionam nobilem pinxit et Alexandrum ac Philippum cum Minerva, qui sunt in schola in Octaviae porticibus,[...] in Pompeia vero Cadmum et Europen. [...].; “Nat. Hist.” XXXV, 126: Pausias autem fecit et grandes tabulas, sicut spectatam in Pompei porticu boum immolationem[…].; “Nat. Hist.”, XXXV, 132 :[…] Fecit et grandes picturas, in quibus sunt

Calypso et Io et Andromeda; Alexander quoque in Pompei porticibus praecellens et Calypso sedens huic eidem adscribuntur.

97 “Nat. Hist.”, VII, 34: […] Pompeius Magnus in ornamentis theatri mirabiles fama posuit

effigies, ob id diligentius magnorum artificum ingeniis elaboratas inter quas legitur Eutychis a XX liberis rogo inlata Trallibus enixa XXX partus, Alcippe elephantum. […];“Nat. Hist.”, XXXVI, 41: […] Varro [...] idem et a Coponio quattuordecim nationes, quae sunt circa Pompeium, factas auctor est. ; “Nat. Hist.”, XXXVI, 115: Signa aerea inter columnas, ut indicavimus, fuerunt III numero, cavea ipse cepit hominum LXXX, cum pompeiani theatri totiens moltiplicata urbe tantoque maiorum populo sufficiat large XXXX sedere. Relicus apparatus tantus Attalica veste, tabulis pictis, cetero choragio fuit, ut, in tusculanam villam reportatit quae superfluebant cotidiani usus deliciis, incensa villa ab iratis servis

(31)

cavea del teatro ospitasse decorazioni scultoree98, gli spazi come i portici e i

giardini, ricchissimi di nicchie ed esedre, così come testimoniato dai frammenti della Forma Urbis [vedi § 1.2], risultano comunque più idonei ad accogliere i grandi cicli come quelli descritti dallo scrittore e dalle altre fonti.

2.2 Le Nationes

Un'ipotesi molto plausibile è che all'interno del complesso, verosimilmente nell'area della porticus, avesse un ruolo di spicco un gruppo statuario raffigurante 14 Nationes99, ovvero le personificazioni di nazioni sconfitte e sottomesse a Roma, con ogni probabilità quelle investite dalla grande riorganizzazione dell'Oriente romano attuata da Pompeo dopo le gloriose vittorie sul Ponto, la Siria e la Palestina e la sottomissione di Armenia e Bitinia. [vedi §1.1]. Il primo immediato rimando delle statue doveva essere al bottino conquistato nelle guerre Pompeiane grazie al quale verosimilmente l'intero complesso era stato realizzato [vedi §1.1]. Sappiamo che durante il trionfo del 61 a.C. aveva avuto luogo una rappresentazione scenica delle

concremaretur HS/CCC.; Cadario, op.cit, p. 43.

98 Vedi per es. Svetonio, “Vita dei Cesari”, Libro VI, (Nero), 46: […] vidit […] modo

simulacris gentium ad Pompeo theatrum dedicatarum circumiri acerique progressu […].

99 Monterroso 2008, pp. 277-285 e Monterroso 2010, pp 377-383; Sauron 1999, pp. 259-261. Il numero 14, benché non esattamente coincidente, è molto vicino a quelli delle popolazioni sconfitte e delle province riportate dagli elenchi di Plinio il Vecchio(13), Plutarco e Zonara (15) e Appiano (12), mentre Diodoro lo aumenta (20).; Plinio, Naturalis historia,7.98; Plutarco, Pompeius, 45.5; Zonara, Epitome historiarum, 2.351; Diodoro Siculo, Bibliotheca

(32)

nazioni sconfitte realizzata con i prigionieri di guerra vestiti con attributi caratteristici dei popoli sottomessi e forse anche con le immagini dei loro dèi trasportate in processione100 [App. 2].

Fondamentale è la testimonianza di Plinio che ci informa di aver appreso da Varrone che le Nationes erano state realizzate su diretta commissione di Pompeo dallo scultore Coponius e probabilmente indossavano vesti e attributi propri del popolo raffigurato101 [Plin.11].

Pompeo fu così il primo generale romano a creare delle immagini allegoriche permanenti delle gentes devicte. Anche in questa che doveva essere vista come un'altra novità introdotta da Pompeo appare chiara l'ispirazione alla propaganda dei sovrani ellenistici [cfr. §1.1].

Da un aneddoto riportato da Svetonio102 [Svet. 5] in cui l'imperatore Nerone

atterrito da segni premonitori funesti103 sogna che i simulacra gentium del

teatro di Pompeo gli si presentino dinnanzi sbarrandogli la strada, si evince che le statue dovevano essere imponenti, di dimensioni monumentali probabilmente. La loro esatta collocazione resta però incerta, perché nessuna delle fonti si esprime con chiarezza a riguardo, troppo generici sono infatti il “circa Pompeium” di Plinio104 [Plin. 11] e l' “ad Pompei theatrum” di

Svetonio.

100 vedi nota prec.

101 “Nat. Hist.”, XXXVI, 41, riportata in nota 91

102“Vita dei Cesari”, Libro VI, (Nero), 46, riportata in nota 92

103 Un evidente riferimento all'imminente ribellione dei provinciali contro Nerone e i suoi soprusi.

(33)

Da Plinio sappiamo che a Roma esisteva una Porticus ad Nationes105 [Plin. 10] riferibile, però, secondo la testimonianza di Servio106 alla successiva età augustea. Un'ipotesi plausibile secondo Coarelli è che le 14 Nationes di Pompeo facessero parte del nucleo originario di statue che decoravano quella che diventerà appunto la Porticus ad Nationes di Augusto107. Questa porticus

avrebbe dunque dovuto trovarsi nel Campo Marzio e, secondo La Rocca, sarebbe da identificare con la Porticus Lentulorum a sua volta identificabile con l'Hecatostylum108. Secondo questa ipotesi dunque, le statue delle Nationes commissionate da Pompeo non erano in diretta connessione con la Porticus pone scaenam, ma si trovavano in una struttura posta in prossimità di questa, qualche metro più a Nord. In questo modo però, quello che era verosimilmente il ciclo statuario più importante dal punto di vista del messaggio politico-ideologico veicolato, si sarebbe venuto a trovare in una posizione piuttosto defilata rispetto all'asse centrale del complesso109.

L'ipotesi, più recente, di Monterroso fa cadere ogni collegamento tra le personificazioni delle province di Augusto e le statue di Coponio, non riferendo più la Porticus ad Nationes al Campo Marzio ma a un braccio del Foro di Augusto in cui le fonti citano la presenza di simulacra gentium110.

105 “Nat. Hist.”, XXXVI, 39: Inhonorus est nec in templo ullo Hercules […] humi stans ante

aditum porticus ad nationes.[...]

106 Ad Aeneidem, 8.721

107 Coarelli 1996, pp. 9-10 e Coarelli 1997 pp. 165-168 108 La Rocca 1987, pp. 286-287

109 Cadario 2011, p. 12

(34)

Infine, nel passo di Svetonio, relativo all'incubo di Nerone111, le espressioni

“circumire” e “circa theatrum”, potrebbero alludere, secondo Monterroso, ad una disposizione delle statue in uno spazio circolare o semicircolare quale poteva essere la cavea stessa del teatro, forse lungo la Porticus in summa gradiatione, che correva lungo il perimetro esterno della summa cavea112. Secondo quest'ultima ipotesi molto convincente a questo allestimento si sarebbe poi ispirato Erode il Grande quando in età augustea fece a sua volta collocare negli intercolumni del porticato in summa cavea del teatro di Gerusalemme i trofei dei popoli sconfitti da Augusto113.

2.3 Le statue di donne di “fama mirabile”

Fra gli ornamenta del teatro di Pompeo, Plinio cita un ciclo di statue di donne famose (“fama mirabiles”) eseguite da scultori a loro volta illustri114 [Plin. 1].

Due di loro sono caratterizzate dall'essere madri di una straordinaria prole: Eutichide di Tralle che aveva avuto trenta figli, e Alcippe che aveva prodigiosamente partorito un'elefante115. Le stesse statue sono ricordate anche

111 vedi nota 96

112 Monterroso, op.cit., p.186

113 Giuseppe Flavio, Antiquitates Iudaicae, 15. 272

114 “Naturalis Historia”, VII, 34:[…] Pompeius Magnus in ornamentis theatri mirabiles fama

posuit effigies, ob id diligentius magnorum artificum ingeniis elaboratas inter quas legitur Eutychis a XX liberis rogo inlata Trallibus enixa XXX partus, Alcippe elephantum. […]

(35)

dall'apologista cristiano Taziano che però non cita il nome della prima e storpia il nome della seconda in “Glaucippe”116 [Tat. 2]. Taziano non fornisce

indicazioni topografiche precise (le due statue sono inserite in un elenco di opere visibili a Roma), vi sono però una serie di elementi che rendono ragionevole circoscrivere buona parte delle statue menzionate da Taziano se non al solo Complesso pompeiano, almeno al Campo Marzio117. Taziano deve

aver visitato e analizzato su base autoptica il Teatro di Pompeo, dal momento che egli stesso ci riferisce di aver visto di persona ogni statua che menziona e che, come abbiamo detto, Plinio ci riferisce che le statue di Eutichide e Alcippe facevano parte degli ornamenta del teatro. È anche verisimile che proprio nel teatro di Pompeo abbia assistito a qualcuno di quegli spettacoli teatrali, per lui immorali, che Taziano stesso afferma di aver visto a Roma. La condanna del teatro di Pompeo era un motivo ricorrente nella pubblicistica cristiana, la sua consacrazione alla dea Venere ne faceva il luogo di dissolutezza per eccellenza118. Non è improbabile dunque che Taziano abbia,

116 Taziano, “Contra Graecos”, 33. 6: Trad.: “Che cosa vi ha insegnato di dignitoso

Glaucippe che partorì un piccolo obbrobrio, come mostra la sua immagine raffigurata in bronzo da Nicerato figlio dell'ateniese Euctemone? Per quale motivo gode di onori pubblici se ha partorito un elefante? La statua di Frine, l'etera l'hanno realizzata Prassitele ed Erodoto , Euticrate invece ritrasse in bronzo Panteuchide resa gravida dal suo seduttore. Dinomede si ingegnò con la sua arte a conservare memoria di Basantide, regina dei Peoni, perchè partorì un figlio nero.”

117 Coarelli, op.cit., pp. 34-36; Cadario 2011, pp. 28-29

118 Tosi, op. cit. pp.725-726; cfr. Tertulliano, “De Spectaculis”, 10, 3-6: [3...]A loci vitio

theatrum proprie sacrarium Veneris est. Hoc denique modoid genus operis in saeculo evasit. [4]Nam saepe censores nascentia cum maxime theatra destruebant moribus consulentes, quorum scilicet periculum ingens de lascivia providebant, ut iam hic ethnicis in testimonium cedat sententia ipsorum nobiscum faciens et nobis in exaggetationem disciplinae etiam humanae praerogativa. [5]Itaque Pompeius Magnus solo theatro suo minor cum illam arcem omnium turpitudinum extruxisset, veritus quandoque memoriae suae censoriam animadversionem Veneris aedem superposuit et ad dedicationem edicto populum vocans non theatrum, sed Veneris templum nuncupavit, cui subiecimus, inquit, gradus spectaculorum. [6]

Riferimenti

Documenti correlati

 Continua la frequenza scolastica in attesa di effettuare il tampone rapido di controllo programmato dal personale sanitario del Dipartimento di Prevenzione direttamente a scuola

Titolo contributo: L'accordéon Luogo di edizione: Paris Anno di edizione: 1971 BIBLIOGRAFIA [10 / 22]. Genere: bibliografia di confronto Autore:

23 Nel 1933 viene segnalato con un ex aequo al Premio Ribicone che vincerà l’anno successivo con gli apprezzamenti di una giuria composta da Cipriano Efi sio Oppo, Arturo Martini

Scendiamo in questa via lasciandoci guidare da Francesco e Chiara di Assisi che hanno fatto del mistero dell’umiltà dell’incarnazione e la carità della passione il

E così, sussistendo un obbligo di mantenimento per il solo fatto di avere generato un figlio, ove all’atto della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, non verrà

Copia sotto ogni immagine il rumore, il suono o il verso che la cosa raffigurata produce, scegliendo tra le onomatopee qui sotto; poi collega con una linea ogni cosa al contenitore

In generale quando un corpo viene deformato questo reagisce con una forza elestica.. Questa forza si oppone

Le immagini che interessano allo storico sono immagini collettive rimescolate dalle vicissitudini della storia: esse si formano, cambiano, si trasformano. Si esprimono con parole,