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Nationes o muse? Repubblicane o imperiali?

65 In Vita dei Cesari, Libro V (Claudio) 21,3: Ludos dedicationis Pompeiani theatri, quod

3.4 Nationes o muse? Repubblicane o imperiali?

In un articolo pubblicato nel 1972190 Filippo Coarelli, prendendo in esame

alcune statue tradizionalmente riferite al Campo Marzio, elabora una tesi basata sulle testimonianze scritte relative alle decorazioni statuarie del teatro di Pompeo.

Senza prendere in considerazione i tre colossi Borghese, l'archeologo accosta la Melpomene di Parigi all'Urania Farnese, due opere le cui corrispondenze nelle dimensioni, nella tipologia e nello stile appaiono immediatamente evidenti [vedi oltre]. Queste statue sarebbero appartenute originariamente ad un unico gruppo ed eseguite da uno stesso scultore o da una stessa bottega. Quello che per implicita ammissione dello stesso Coarelli non può evincersi da un'immediata evidenza, sarebbe la loro datazione da fissarsi non ad una fase imperiale avanzata ma alla fine dell'età repubblicana191. Secondo la sua

interpretazione infatti alcuni dettagli delle sculture denuncerebbero un carattere tipicamente tardo-ellenistico, per esempio il modo di disporsi delle pieghe che al centro della veste scendono dalla vita ai piedi in lunghi cannelli verticali formando quasi una colonnina che va ad accentuare l'effetto di monumentalità delle statue. Un altro indizio che deporebbe per una datazione

190 Coarelli, op. cit. 191 Coarelli, op. cit., p.112

tardo-ellenistica sarebbe la decorazione delle vesti eseguita con dei piccoli cordoncini a rilievo, forse originariamente dorati, che delimitano una serie di fasce orizzontali. Sempre secondo Coarelli la resa variegata, in certi punti plastica, in altri coloristica, del panneggio denuncia incontrovertibilmente uno stile classicista che non si è ancora del tutto affrancato dal manierismo ellenistico. Tutti questi elementi deporebbero dunque per una collocazione delle due opere intorno alla metà del I sec. a.C. A confermare questa datazione Coarelli chiama in causa un gruppo scultoreo di Muse con Apollo, provenienti quasi sicuramente e significativamente dal teatro di Delo, databili non oltre il 69 a.C192 [Fig.X]. Un confronto stilistico ancora più puntuale sarebbero le

Cariatidi dei Propilei di Claudio Pulcro ad Eleusi [Fig.X] databili tra il 54 e il 40 a.C193: oltre all'esecuzione del panneggio, lo studioso nota una stretta

somiglianza delle teste con quella della Melpomene di Parigi. Secondo la tesi di Coarelli dunque le due statue sarebbero state scolpite contestualmente alla prima realizzazione del complesso teatrale e all'interno di un articolato programma figurativo che oggi siamo in grado di ricostruire in parte grazie alle testimonianze delle fonti letterarie [Cap. 2]. È proprio basandosi sulle fonti scritte che Coarelli confuta l'interpretazione delle due statue come muse e identifica i soggetti come appartenenti al gruppo delle nationes [vedi §2.2], le rappresentazioni allegoriche dei popoli conquistati, realizzato da Coponio su diretta committenza di Pompeo. I confronti iconografici chiamati in causa

192 Coarelli, ibid, nota 42

sono le monete imperiali con rappresentazioni di province e i rilievi del tempio di Adriano in Campo Marzio194. Secondo quanto Plinio dichiara di

aver appreso da Varrone [Plin.11; cfr. §2.2 ], Coponio era uno scultore contemporaneo a Pompeo come Pasiteles e paragonabile ad Arkesilaos. Per tale motivo Coarelli ricerca dei confronti stilistici nelle opere a noi pervenute che sono state assegnate alla cerchia di Pasitele, come il gruppo di Oreste ed Elettra di Menelaos [Fig.X] e la Fanciulla di Palazzo Doria [Fig.X]195.

La tesi di Coarelli, senza dubbio suggestiva, presta il fianco a numerose obiezioni ed è a tutt'oggi avversata da molti studiosi. Innanzitutto mi sembra il caso di cogliere nelle sue argomentazioni un elemento di paradosso che, se non è sufficiente a invalidare la sua stessa tesi, risulta quantomeno infelice: lo studioso infatti da una parte chiama in causa proprio un Apollo e una Musa, e cioè due statue appartenenti a un choròs, peraltro provenienti proprio da un contesto teatrale, come confronto stilistico ellenistico per confutare una datazione di età imperiale delle due statue colossali, dall'altra cita delle corrispondenze con dei tipi iconografici di nationes che sono tutti di età imperiale avanzata per confutare l'identificazione delle statue come muse facenti parte di un choròs.

Per quanto riguarda l'interpretazione del soggetto in particolare, l'incongruenza più grave nelle argomentazioni di Coarelli, è a mio parere

194 Coarelli, op. cit, p.115.

l'addurre come prova di un'impossibile identificazione con delle Muse il dettaglio delle maniche lunghe presente in entrambe le statue196. Nel mondo

greco e latino dal V sec. a.C. fino all'età imperiale romana, il “χειριδωτòς χιτών” è stato uno dei principali elementi distintivi della veste attoriale al pari della maschera e degli alti coturni (questi ultimi per il solo genere tragico)197:

non è difficile rendersi conto di come le muse del teatro comico e tragico potessero essere rappresentate col costume di scena tipico degli attori dei loro rispettivi ambiti teatrali198. Uno dei tanti possibili esempi in tal senso è la

statuetta di terracotta proveniente da Myrina raffigurante Melpomene199

[Fig.XX] e vestita chiaramente con gli “attributi” tipici del costume degli attori tragici: un chitone con maniche lunghe, appunto, e gli alti coturni. La veste teatrale inoltre non era indossata solo dagli attori propriamente detti, spesso infatti costituiva il costume di scena di artisti performer di vario genere come gli aedi, i poeti lirici, i musicisti ecc200. Appare dunque del tutto

consequenziale che le muse delle arti performative potessero essere rappresentate con il “χειριδωτòς χιτών”. Anche il secondo argomento riportato dal Coarelli per negare l'identificazione delle statue come muse, e cioè la presenza di fibule che allacciano il mantello sulle spalle, può essere oggi facilmente confutato chiamando in causa le attestazioni sicure di muse recanti

196 Coarelli, op. cit., p. 214 197 Bieber 1961, p. 21e p. 92

198 “Es ist eine bekannte Tatsache, daß die Musen in den Theaterkostümen der jeweiligen Kunstgattung, die sie vertreten, dargestellt werden konnten”: Fuchs1982, p.72 e vedi anche nota 19 con le relative indicazioni bibliografiche.

199 È la n° 204 del catalogo di Faedo 1994 200 vedi nota 118

tale tratto iconografico201.

Per quanto riguarda lo stile, invece, l'accostamento del Coarelli delle due muse con l'Apollo di Delo rivela, ad un'attenta analisi, alcuni punti di criticità. Nell'Apollo ellenistico l'effetto dell'increspatura della stoffa sotto la cintura è reso con morbida plasticità e le fitte pieghe appaiono gonfie, vaporose e regolari, mentre nelle due muse, pur essendo, è vero, riprodotta la stessa forma del fascio aggettante, le pieghe presentano un profilo meno tondeggiante e sono rese da solchi non regolari, ma diversi per angolo e profondità. L'Apollo di Delo, inoltre, non presenta l'effetto dell'increspatura delle pieghe anche al di sopra della cintura dove il chitone aderisce al corpo con assoluta compattezza, nelle due muse invece è reso l'effetto di una continuità ideale delle pieghe al di sopra e al disotto della fascia che cinge la veste, un tratto che evidenzia una sensibilità completamente diversa nella concezione del panneggio.

A dieci anni di distanza dall'articolo di Coarelli, Michaela Fuchs202 è tornata

sulla questione dell'identificazione dell' Urania Farnese e della Melpomene di Parigi, questa volta prendendo congiuntamente in considerazione anche la questione delle tre statue Borghese. Le cinque statue, infatti, sono confrontabili per la loro dimensione, essendo più o meno quasi tutte poco sotto i 4 m. A questo dato si aggiunge che il loro luogo di rinvenimento

201 vedi ad es. la musa n°182 in Faedo 1994, p.994., tav. 717 202 Fuchs, op. cit.

potrebbe essere il medesimo (il Campo Marzio) [vedi § 3.1, § 3.2 e § 3.3]. La Fuchs respinge l'identificazione di Coarelli dell'Urania e della Melpomene come personificazioni di nationes, e considera invece attendibile la tradizione risalente all'età moderna che le aveva identificate fin dalla loro riscoperta come muse, e in quanto tali le aveva fatte restaurare. Secondo la studiosa queste due muse farebbero parte di un originario gruppo statuario unitario, un choròs raffigurante un Apollo citaredo e le nove muse, dove l'Apollo sarebbe da identificare appunto con l'Apollo Borghese. Questa statua, infatti, presenta il segno di un puntello sulla spalla sinistra: da questo dettaglio e dalle particolari pieghe della manica sul gomito sinistro, la Fuchs ricostruisce la presenza di una cetra tenuta dal dio tra la spalla e la mano203.

Per quanto riguarda la Cerere Borghese, la sua identificazione con la musa della commedia Thalia appare confermata da numerose prove. La veste della statua è simile al costume di scena tipico del carattere del'etera e della fanciulla libera borghese della Commedia Nuova204 ma il confronto

iconografico più calzante, secondo la Fuchs, è quello con la personificazione della commedia del rilievo di Archelao di Priene, oggi a Londra [fig.XX]. Nella fascia inferiore di questo rilievo infatti, la musa della commedia non è solo raffigurata con una veste di identica foggia a quella della Cerere Borghese ma, soprattutto, compie lo stesso gesto di stringere con la mano 203 E cioè senza l'ausilio di un terzo punto d'appoggio sulla coscia, elemento che, tra l'altro, renderebbe improbabile, secondo la Fuchs, una derivazione della statua dal modello del Apollo Patroos, laddove la presunta dipendenza dal modello dell'Apollo Rhamnosion, invece, è confutata dalla presenza stessa della cetra. Fuchs, op. cit. p.71

sinistra il lembo ritorto a mo' di cintura dell'himation205. Un altro chiaro confronto addotto dalla Fuschs è la musa che si può identificare incontrovertibilmente come Thalia per la presenza del bastone pastorale e della maschera comica su un sarcofago del Museo Chiaramonti206 [fig.XX].

Per la terza statua Borghese la Fuchs individua un confronto iconografico nella musa coi flauti della base di Alicarnasso207

[fig.XX].

L'Urania Farnese e la Melpomene di Parigi, infine, indossano chiaramente un costume attoriale che secondo la Fuchs, e anche a mio parere, risulta compatibile solo con un'identificazione con delle muse, differentemente da quanto sostiene Coarelli [vedi sopra] .

Ma il punto più sensibile e controverso della tesi della Fuchs non è quello sull'identificazione dei soggetti, bensì quello dell'individuazione della fase cronologica di realizzazione delle opere e della loro bottega o, più in generale, scuola di provenienza. In tutti e cinque i casi, infatti, secondo la studiosa, i tipi originari risalirebbero alla tradizione pergamena del I sec.a.C.208. Le statue

sarebbero state concepite fin dalla loro esecuzione come facenti parte di un gruppo unitario di un choròs di muse con Apollo e la loro realizzazione sarebbe avvenuta su commissione diretta di Pompeo contestualmente alla realizzazione del complesso teatrale. I confronti di tradizione pergamena chiamati in causa dalla studiosa sarebbero soprattutto la Tragodia del

205 Fuchs, op. cit., pp. 71-72 206 Fuchs, op. cit., p.72

207 È la n°250 del catalogo di Faedo 1994. 208 Fuchs, op. cit. pp 73-74

Pergamonmuseum di Berlino[fig.XX] e la cosiddetta Iuno Cesi[fig.XX] i cui tratti stilistici e tecnichi, dalla resa del panneggio all'impostazione della figura, sarebbero assimilabili a quelli della Cerere Borghese209.

La prima obiezione che si può fare alla tesi della Fuchs è a mio parere che, mentre l'attribuzione di Coarelli a Coponio e alla scuola di Pasitele risulta, quanto meno, avere una base nelle fonti scritte, non si trovano dirette testimonianze che possano deporre nel senso di una presenza di artisti pergameni a Roma nell'età di Pompeo. Senza dubbio le fonti ci rivelano ampiamente quanto nel programma politico e propagandistico di Pompeo fosse centrale l'emulazione dei sovrani ellenistici [vedi §1.1], ma porre l'enfasi su questo aspetto, in mancanza di testimonianze più concrete, non è sufficiente a dimostrare la partecipazione attiva di specifiche scuole tardoellenistiche all'interno del programma delle grandi realizzazioni pompeiane. L'ostacolo più forte ad un'attribuzione delle nostre statue monumentali ad artisti microasiatici, resta, comunque, il confronto stesso con le opere della tradizione pergamena. La Cerere Borghese, come anche le altre quattro statue, non presenta quei tratti tipicamente ellenistici che si possono riscontrare nella Iuno Cesi e nella Tragodia citate dalla Fuchs. Mancano quella ricchezza plastica dei volumi, quelle differenziazioni virtuosistiche delle superfici, quegli effetti coloristici, quella sensibilità nel rendere la trasparenza dei tessuti. Basta, per esempio, confrontare il tratto iconografico

che la veste della Cerere e quella delle due statue pergamene hanno in comune, e cioè il fascio ritorto di pieghe dell'himation attorno alla vita210.

Nelle due statue ellenistiche questo fascio è realizzato variando minuziosamente le superfici e i volumi con continui giochi chiaroscurali, nella Cerere Borghese invece il volume della cintura appare molto più compatto e scandito da pieghe essenziali e regolari. L'esecuzione del panneggio non è l'unico elemento di differenza riscontrabile. Il rapporto proporzionale delle dimensioni della testa della Iuno Cesi rispetto al corpo è di gran lunga inferiore rispetto a quello della Melpomene (l'unica delle cinque statue che ci è pervenuta con la testa)211. Lo stesso ovale del viso appare di

forma nettamente diversa nelle due statue: nella Iuno Cesi, come ci si aspetta da un'opera dell'ellenismo pergameno, è molto più scarno e allungato, mentre nella statua di Parigi è pieno e tondeggiante secondo una sensibilità più dichiaratamente classicista.

La datazione al primo secolo che la Fuchs condivide con Coarelli, non sembra reggere alla prova di un'attenta analisi delle statue. La tesi di una bottega unitaria, inoltre, è contraddetta dall'evidente disomogeneità stilistica presente all'interno delle cinque opere, una dato che non può essere banalmente liquidato come il risultato dell'utilizzo di modelli di diversa derivazione per ciascun soggetto rappresentato.

210 Cfr. Faedo 1999, p.74

Alla fine degli anni '90, Lucia Faedo riprende in considerazione la questione conducendo per la prima volta uno studio analitico e dettagliato non solo sull'iconografia ma anche sullo stile di ciascuna delle cinque statue212. Le

conclusioni a cui perviene la studiosa sono in netto disaccordo con le tesi di Coarelli e della Fuchs e, in generale, ridimensionano quell'iniziale entusiasmo che aveva accompagnato, negli anni Ottanta, la riscoperta di opere la cui identificazione con parte di quelle citate dalle fonti letterarie relative al programma figurativo pompeiano era sembrata scontata.

Al netto delle dovute precisazioni e correzioni, secondo la Faedo la tesi preliminare della Fuchs, quella di un'unità tematica delle cinque statue, potrebbe anche essere accolta. In particolare, assumendo come certa l'identificazione della prima statua Borghese come Apollo213, e condividendo

l'identificazione della seconda con la musa della commedia Thalia214, la terza

statua Borghese è per la Faedo anch'essa identificabile come musa, ma il confronto più puntuale sarebbe una statuetta di Dresda della seconda metà del

212 Faedo, op. cit. , 70-80. 213 Faedo, op. cit., p.73

214 Faedo evidenzia come, sulla base dei confronti iconografici, la foggia delle vesti della Cerere Borghese sia in realtà compatibile anche coi dei tipi di Melpomene. In effetti la personificazione del teatro tragico presente nel rilievo di Archelaos citato dalla Fuchs [ vedi

nota 130] come principale confronto per l'identificazione della Cerere Borghese come Thalia, è

vestita con lo stesso costume della personificazione del teatro comico cui è affiancata. Inoltre, fa notare Faedo, il gesto di stringere con la mano il fascio di pieghe ritorte dell' himation si ritrova anche in una statuetta di terracotta da Myrina oggi al Louvre (la n°204 del catalogo di Faedo 1994) da identificare come Melpomene per la presenza degli alti coturni. Infine, uno stesso tipo di himation compare sui sarcofagi indossato anche da Clio e Urania (vedi Faedo 1994, pp.1054-1055). Ma ciò che fa propendere per una identificazione della Cerere Borghese con Thalia, è l'atteggiamento della statua che dovrebbe tenere un solo attributo nella mano destra, probabilmente protesa: un dettaglio che sembra più compatibile con le maschere teatrali piuttosto che con il radius o lo stilo. Si può quindi ricostruire la presenza di una maschera comica piuttosto che tragica per via dell'assenza dei coturni nella statua. Faedo, 1999, p.72.

II sec. a. C. e proveniente da Myrina215 raffigurante una musa citareda

[Fig.XX] anziché la musa coi flauti della base di Alicarnasso proposta dalla Fuchs [vedi sopra]. A differenza di quest'ultima, infatti, la statua di Dresda presenta un manto traverso che crea un fascio di pieghe sovrapposte che ricadono dalla spalla sul petto in modo del tutto simile alla statua. Questo, insieme a numerosi altri confronti iconografici de II e III sec. d.C. identificati dalla Faedo, dimostra che la terza statua Borghese è realmente una musa216,

ma che non è possibile indicare, come vorrebbe la Fuchs, quale delle muse essa sia in particolare, essendo la foggia della sua veste compatibile con dei tipi di Euterpe, Erato ma anche Clio, Urania, Thalia e Melpomene.

Per quanto riguarda la Melpomene di Parigi, la Faedo concorda con la Fuchs nel ritenerla Euterpe217: la foggia della sua veste, come quella dell'Urania

Farnese è confrontabile anche con dei tipi di Melpomene, Erato e Tersicore, ma la posizione delle braccia, entrambe abbassate, sembrerebbe compatibile solo con gli attributi dei due flauti tenuti ciascuno in una mano.

Infine per la musa di Napoli la Faedo esclude con certezza l'identificazione con Urania (per via delle vesti) e con Melpomene (per l'assenza dei coturni) e ipotizza una sua identificazione come Erato218.

Tutte le statue femminili, dunque, sono muse, e non è possibile dimostrare che vi siano delle ripetizioni dello stesso soggetto, cioè che due o più statue

215 Faedo 1994, n° 182, p.994., tav. 717

216 La veste della statua aveva fatto pensare ad un identificazione con Artemide; Faedo, op. cit, p.72 e nota 20

217 Fuchs, op. cit., p. 76; Faedo, op. cit, p. 73. 218 Faedo, ibid.

raffigurino la stessa musa. Questa considerazione, congiuntamente al dato delle dimensione più o meno paragonabili e una probabile stessa area di provenienza delle opere, lascia aperta la possibilità che le statue possano essere appartenute ad un gruppo unitario. Ma questa unità è limitata alla sfera tematica e non è accompagnata da un'omogeneità di stile tale da far pensare a un gruppo statuario concepito in quanto tale fin dall'origine.

Le due statue di Napoli e Parigi risultano tra di loro confrontabili non solo per la foggia delle loro vesti, ma anche per dettagli tecnici come l'altezza, la costruzione del corpo e lo stile di esecuzione del panneggio219: una serie di

evidenze che giustificano l'accostamento che è sempre stato fatto tra le due opere220[vedi sopra]. Ma non si può riscontrare la stessa omogeneità di

caratteri e stile anche al'interno di tutte e tre le statue Borghese né, tantomeno, tra queste e le stesse muse di Napoli e Parigi. L'Apollo e la cosiddetta Cerere sono per la Faedo accostabili per la loro struttura corporea e per alcune analogie nell'esecuzione del panneggio221. Nel dettaglio, il triangolo disegnato

dalle pieghe sotto lo scollo è in entrambe le statue realizzato tramite grandi solchi dalla terminazione arrotondata e anche le increspature della stoffa intorno alla cintura sono rese in modo simile. “In tutte e due le statue -afferma inoltre la Faedo- le vesti formano tra le gambe un fascio di pieghe aggettante

219 Faedo, op. cit. p. 74

220 Coarelli, op. cit., p. 112; Fuchs, op. cit., pp. 74-75 221 Faedo, op. cit., p. 73

e distinto che si apre a ventaglio verso l'orlo inferiore, e questo si dispone sinuoso, adagiandosi sul suolo e sui piedi, dissolvendo le pieghe verticali in avvallamenti che si allargano a triangolo”222. Inoltre, l'himation dell'Apollo

ricade lungo i fianchi articolandosi in fasci di pieghe sovrapposte e scalate del tutto simili a quelle del lembo della cintura attorta tenuto in mano da Thalia. Per quanto riguarda invece la terza statua Borghese, a differenza di quanto sostiene la Fuchs223, appaiono preponderanti più gli aspetti di disomogeneità

che le somiglianze con le prime due statue. Prima di tutto le proporzioni della statua, sia pur colossali, non sembrano compatibili con quelle dell'Apollo e di Thalia. Se lo scarto di circa 15 cm tra Thalia e Apollo appare tollerabile nel senso realistico di una maggiore altezza della figura maschile rispetto alla femminile, lo scarto di circa 45 cmq tra lo stesso Apollo e la seconda musa risulta eccessivo. La struttura del corpo di questa figura femminile non presenta la stessa statica monumentalità e l'imponenza ieratica delle prime statue. La gamba scarica appare molto più flessa, al punto che il piede poggia sul terreno solo la sua punta, e, soprattutto, presenta uno scarto laterale molto accentuato. Nel complesso la linea del corpo risulta più mossa, più sinuosa, e questo aspetto risulta enfatizzato da una particolare sensibilità nella resa del tessuto delle vesti che lascia trasparire le forme dei fianchi e dell'addome. Diversamente nell'Apollo, le vesti, più pesanti e schematiche, coprono e