1 e § 5.5] Secondo Hanson il prototipo del primo tipo dei teatri-tempio, cioè quello che prevedeva il tempio
5.5 Conclusioni L'interpretazione e la ridefinizione del modello del teatro-tempio di Hanson alla luce dei nuovi dat
Nella sua trattazione sull'architettura romana Vitruvio non fa mai riferimento ad una tipologia architettonica riferibile al modello del teatro-tempio di Hanson, ma considera gli edifici templari e quelli teatrali solo in sedi separate senza prevederne mai una possibile combinazione strutturale e compie la scelta di non considerare l'aspetto della religio in relazione alla descrizione tecnica delle strutture teatrali. Eppure nel contesto del suo discorso sulle norme da seguire per fondare una città, prescrive che il teatro sia edificato “Apollini Patrique Libero secundum”380, un'espressione interpretata da Tosi
nel senso di un “allineamento del teatro al tempio”381. Sempre Vitruvio in un
altro passo prescrive che una volta fondato il foro “tum deorum immortalium diebus festis eligendus est locus theatro”382, e dunque afferma esplicitamente che la ragione principale dell'edificazione di un teatro è di natura cultuale, collegando i ludi scaenici con le festività religiose. Anche Livio conferma una concezione di questo tipo dei ludi scaenici dicendoci che sono stati introdotti a Roma per finalità religiose (anche se a lui sembrano sfociare nella onnicomprensive si perda di vista la specificità dei singoli monumenti, ognuno per la sua storia e caratteristiche proprie”. Tosi 2003 p.735
380 De Arch. I.7.1
381 Tosi 2003, p.723 e nota 5 382 De Arch. V.3.1
superstizione)383. In età flavia Quintiliano si serve di una similitudine col
teatro per far capire che la “iucunditas” non è necessariamente un indicatore di scarsa importanza di un discorso così come l'aspetto di intrattenimento e di divertimento che spettacoli teatrali possono assumere non priva il teatro della sua finalità religiosa384. Anche se nessuna fonte, eccetto l'accenno di Vitruvio
sopra citato, ci parla di una connessione topografica diretta tra teatro e tempio, è dunque fuori discussione che via sia una connessione dei ludi scaenici romani, e quindi del teatro in quanto istituzione, e il culto degli dèi, così come è fuori discussione che tale connessione sia presente sin dall'origine del teatro stesso in ambito greco. È necessario, del resto, avere sempre presente quanto in tutte le istituzioni nel mondo greco e romano la componente religiosa fosse indistricabile da quella laica-civile, e quanto gli attuali criteri antropologici di distinzione delle due sfere siano spesso inapplicabili all'analisi dei fenomeni antichi. Ma è proprio all'interno di questo quadro di inscindibilità dell'interrelazione di sacro e “profano” che bisogna tentare di fare delle distinzioni.
Come si è detto nel paragrafo introduttivo di questo capitolo i santuari ascrivibili alla tipologia del teatro-tempio fanno parte di una categoria di teatri definiti dalla Nielsen “cultuali”385. Con questa definizione la studiosa
383 Urb. VII 2.3
384 Institutio Oratoria III, 8, 28-29
intendeva distinguere le strutture teatriformi topograficamente connesse a santuari dai teatri secolari, dagli odeia e dai bouleuteria, e cioè da tutte le altre strutture prive di una funzione religiosa in senso stretto adibite alla visione di spettacoli o allo svolgimento di attività collettive come le assemblee. Il nodo centrale della sua trattazione è l'ipotesi che questa categoria di teatri sia sorta in stretto collegamento con i drammi rituali. Oltre alla funzione primaria di un santuario che è quella di prestare uno spazio ufficiale alla celebrazione dei riti di devozione ad una o più particolari divinità (come ad esempio i sacrifici o le invocazioni solenni), gli storici delle religioni hanno da sempre individuato tutta una serie di funzioni secondarie dei luoghi di culto, tra queste, secondo la Nielsen, a rivestire un ruolo di primo piano erano proprio i drammi cultuali, definibili come la rappresentazione di storie a soggetto sacro e mitologico a carattere strettamente religioso386. Questi drammi dunque mettevano in scena
la vita, la morte, la rinascita, le gesta di dei ed eroi così come erano tramandate dalla tradizione orale, e le forme con cui si presentavano, secondo quanto ci riferiscono le fonti, erano quelle dei ditirambi, degli inni, dei cori, e dei thiasoi in maschera387. Secondo Nielsen la maggior parte delle strutture
teatriformi presenti in contesti cultuali e cioè all'interno di santuari non erano usate dunque per la rappresentazioni dei drammi teatrali nel senso del genere letterario propriamente detto (tragedia, commedia, dramma satiresco), i drammi che vi venivano celebrati appartenevano ad una tradizione di gran
386 Nielsen 2002 pp. 239-241
lunga più antica e per certi versi indipendente da tutte le forme, oggi più conosciute, del teatro classico. Le origini di questi antichissimi drammi si collocano in Oriente, in Egitto e nell'Egeo e risalgono almeno all'età del Bronzo. L'esistenza di drammi rituali all'interno delle pratiche ufficiali di devozione agli dei in Egitto e in Vicino Oriente, non è mai stata messa in discussione dagli egittologi e dagli orientalisti, e per la studiosa risulta inspiegabile perchè l'invenzione greca del dramma teatrale non sia mai stata connessa alle influenze orientali388. Le testimonianze più consistenti per i culti
orientali riguardano la dea Isis, Cybele, Atargatis e tutte le assimilazioni della dea Astarte (inclusi i culti di Hera, Artemide, Demetra e Afrodite), ma anche Apollo, Dioniso, Aslcepio e Serapide. Anche se gli studiosi hanno sempre mancato di tracciare questa connessione, una prova dell'origine orientale dei drammi rituali greci (dai quali sorgeranno i generi drammatici letterari secondo gli storici della letteratura) secondo la Nielsen è data dal fatto che le loro prime tracce risalgano al periodo detto orientalizzante (VIII-VII sec. a.C.), un periodo durante cui i greci assimilarono molte divinità e culti orientali389. Allo stesso modo nel territorio italico non c'è nessuna traccia
prima di questo periodo dei drammi rituali che di conseguenza sarebbero stati introdotti in Italia dall'Oriente tramite la mediazione fenicia proprio mentre avvenne quel processo di assimilazione delle divinità femminili locali a quelle
388 Nielsen 2002, pp. 180-185 389 Nielsen 2002 pp.12-38
orientali come Astarte390. Anche a Roma c'è stata una assimilazione di Astarte
come divinità protrettrice della regalità, per esempio con la dea locale Fortuna. Un'indicazione che in territorio italico i drammi rituali sono stati introdotti dai fenici è data, secondo la studiosa, dalla presenza di maschere di terracotta in alcune colonie fenice del suolo italico, trovate soprattutto in contesti tombali ma anche in santuari e raffiguranti gruppi di figure umani di diversa età391. Probabilmente i drammi rituali furono rappresentati per la
prima volta in Italia nei santuari degli empori e delle colonie fenice lungo la costa occidentale, e solo in secondo momento vennero adottati dalle popolazioni locali e rappresentati nei santuari indigeni.
Se i teatri cultuali non sono altro che strutture create appositamente per la rappresentazione dei drammi rituali dunque, la loro forma architettonica dipende evidentemente dal modo in cui tali rappresentazioni vengono concepite nei diversi contesti culturali in cui appaiono. Secondo la Nielsen questi drammi erano originariamente rappresentati nei cortili posti di fronte ai santuari e l'innovazione apportata dai greci rispetto all'Oriente fu proprio quella di prevedere dei posti a sedere per gli spettatori in modo che non dovessero più assistere alle rappresentazioni in piedi392.
390 Nielsen 2002, pp.150 e ss.
391 Ma Marinatos non vede perchè la semplice attestazione di maschere possa testimoniare a favore di rappresentazioni di drammi cultuali in particolare; Marinatos 2004, p 691
Si è detto [§ 5.3.2] alcuni studiosi come Sirano hanno visto dei predecessori dei teatro-tempio nella Grecia o nelle colone greche, ma è importante sottolineare piuttosto la netta differenza tra i teatri cultuali dell'area greca (che infatti non sono definibili come teatro-tempio secondo il canone di Hanson) e quelli trovati nel centro Italia. In Grecia il tempio è posto davanti al teatro o lateralmente all'orchestra come se l'orchestra fosse la corte stessa del tempio, cioè l'erea che tradizionalmente ospita l'altare [cfr. Ginnasio di Siracusa § 5.3.3]. Nel centro Italia, e cioè nelle attestazioni di teatro-tempio propriamente detto, il tempio e normalmente anche l'altare sono posti dietro il teatro, ed entrambi gli elementi sono legati tra loro assialmente393. Si potrebbe
forse pensare che il mondo di concepire la rappresentazione sacra in questo secondo caso prevedesse quasi che il dio o la dea venerata nel santuario assistesse alla rappresentazione dal suo tempio come spettatore o spettatrice d'onore fra gli spettatori.
In una prospettiva storica il modello architettonico del teatro-tempio appare come la forma peculiare che alcuni tipi di teatri cultuali assumono tra la fine del II e il I sec. a.C. all'interno della vasta area di diffusione culturale tardo- ellenistica soprattutto in Italia. Che cos'è il requisito fondamentale del
393 In aperta opposizione alla teoria di un'origine greca della forma del teatro-tempio la Nielsen azzarda l'ipotesi di un'origine etrusca, sebbene manchino dati archeologici probanti. Solo due siti, Castelsecco e Caere, sembrerebbero fornire antiche evidenze di teatri a cavea approssimativamente allineati con un tempio. Secondo la Nielsen l'assenza di altri confronti oltre a questi presunti era amputabile alla mancanza di scavi nell'area etrusca (Nielsen 2002, pp 248-250) ma le nuove indagini non hanno per ora colmato questo vuoto di attestazioni.
modello del teatro-tempio di Hanson, e cioè l'assialità, se non una delle caratteristiche principali del canone estetico dell'architettura monumentale santuariale tardo-ellenistica, garantita dalla progettazione unitaria di vaste aree, ricercata per il desiderio di creare un suggestivo effetto prospettico ed esaltata spesso dal gusto scenografico della disposizione a terrazze? Per la sua sontuosità e per le sue dimensioni, il santuario della Fortuna Primigenia [vedi § 5.2.1] rappresenta forse l'esempio più eclatante di elaborazione dei canoni tardo-ellenistici in area italica, e sono proprio le sue incongruenze formali rispetto alle altre attestazioni di teatro-tempio (la presenza di una tholos al posto del canonico edificio templare, la posizione del triportico, l'anomalia dei gradini della cavea, e la mancanza di un edificio scenico) a renderlo un esempio capace di far risaltare il dato comune della forte concezione assiale che lega la cavea con il luogo di culto e più in generale con tutta l'area santuariale.
Nella progettazione dei complessi santuariali ascrivibili alla tipologia del teatro-tempio è possibile rintracciare influenze e tradizioni di origine diversa, elaborate e composte insieme all'interno della temperie culturale tardo- ellenistica che caratterizza l'architettura medio-italica del II e del I sec. a.C e che proprio nel suo spirito eclettico trova la fonte di ispirazione più innovativa. Se lo spiccato gusto per la monumentalità e per gli effetti scenografici, rimanda ai modelli greci e orientali della tradizione architettonica ellenistica, sia pur elaborati in seno ai centri campani e laziali,
in molti di questi complessi è possibile cogliere un richiamo alle tradizioni locali nella tecnica edilizia impiegata , o nella sistemazione dell'area inquadrata da un recinto o da un portico/quadriportico [vedi §§ 5.2.1 e 5.2.2]. Nella scelta del tipo planimetrico impiegato per l'edificio di culto, laddove lo stato di conservazione delle strutture ne consenta oggi una lettura, si può invece riconoscere una volontà di emulazione nell'acquisizione di modelli di origine etrusco-romana rivitalizzati nel senso della nuova tradizione latina come nel caso del cosiddetto tempio “tuscanico” a tre celle.
Capitolo VI CONCLUSIONI
L'interpretazione del complesso del teatro-tempio di Pomepeo tra programma decorativo e funzione degli spazi.