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Caratterizzazione e simulazione di sensori di velocità delle particelle acustiche CMOS compatibili

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Academic year: 2021

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IPARTIMENTO DI

I

NGEGNERIA DELL

’I

NFORMAZIONE

C

ORSO DI

L

AUREA

M

AGISTRALE IN

I

NGEGNERIA

E

LETTRONICA

Caratterizzazione e simulazione di sensori di velocità

delle particelle acustiche CMOS compatibili

Relatori:

Candidato:

Prof. Paolo Bruschi

Lorenzo Pimpolari

Prof. Massimo Piotto

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1

Introduzione

Le onde acustiche rappresentano un’importante sorgente informativa ed un fondamentale mezzo di comunicazione per gli esseri viventi. Per questo motivo, assume una notevole importanza sviluppare sensori in grado di misurare grandezze legate al suono.

Tradizionalmente, le misure in campo acustico vengono effettuate con i microfoni, dei sensori sensibili alle onde di pressione. Tuttavia, il campo acustico è caratterizzato non solo da una variazione di pressione acustica, ma anche da un moto delle molecole del mezzo entro il quale l’onda acustica si propaga. Le misure in campo acustico possono pertanto essere realizzate anche con sensori sensibili alle onde di velocità acustiche.

In questa tesi verranno descritti ed analizzati degli innovativi sensori di velocità acustiche, detti sensori APV (acoustic particle velocity). Tali sensori, CMOS compatibili, si basano su un principio di trasduzione termica.

Particolare attenzione sarà rivolta alla caratterizzazione del rumore elettrico del sensore, che costituisce un aspetto di fondamentale importanza perché limita il minimo segnale rilevabile dal sensore.

I sensori APV fin qui realizzati hanno mostrato una bassa sensibilità; in questo lavoro verrà analizzata l’influenza dei vari parametri di progetto sul comportamento del sensore, con l’obiettivo di massimizzare la sensibilità e la risposta in frequenza, caratteristiche fondamentali per rendere il sensore effettivamente utilizzabile.

Questa tesi è strutturata in quattro capitoli.

Nel capitolo 1, dopo una breve introduzione all’acustica, verrà fornita una panoramica dei sensori acustici, con particolare attenzione all’unico sensore di velocità acustiche ad oggi commercialmente disponibile: il Microflown. Verranno inoltre discussi gli ambiti applicativi nei quali i sensori di velocità acustiche possono essere impiegati.

Nel capitolo 2 si introdurranno i sensori APV: saranno descritti il loro principio di funzionamento, la loro realizzazione tecnologica e le diverse versioni realizzate fino ad oggi.

Nel capitolo 3 verranno documentate le misure di rumore effettuate sull’ultima versione del sensore APV.

Nel capitolo 4 verranno infine descritte le simulazioni numeriche sviluppate per analizzare la dipendenza delle caratteristiche del sensore dai parametri di progetto e saranno forniti i risultati ottenuti.

(7)

2

Capitolo 1

Sensori acustici

1.1 Introduzione all’acustica

Il suono viene generato da una sorgente sonora, cioè da un corpo posto in vibrazione; questa vibrazione si trasmette alle molecole del mezzo adiacente al corpo vibrante, che a loro volta la trasmettono alle molecole ad esse vicine. In questo modo, il movimento vibratorio si propaga originando un'onda meccanica, detta onda acustica (o sonora), nella direzione dell’oscillazione delle molecole.

Il suono può quindi essere associato alla propagazione di un’onda acustica in un mezzo elastico, sia esso liquido, solido o gassoso. Non si ha invece propagazione acustica nel vuoto. Preliminarmente è bene introdurre alcune definizioni dell’acustica, che saranno largamente utilizzate nel seguito.

Si definisce particella acustica, un volume del mezzo entro il quale l’onda acustica si propaga, piccolo rispetto alla lunghezza dell’onda acustica e grande rispetto al libero cammino medio delle molecole (5 ∙ 10−8 𝑚 per le molecole di aria [1]). La lunghezza d’onda dipende dalla frequenza dell’onda tramite la relazione:

λ = 𝑐

𝑓 (1.1)

dove 𝑐 è la velocità del suono (340 𝑚 𝑠⁄ in aria) e 𝑓 la frequenza dell’onda. Quindi una particella acustica è un agglomerato di molecole di aria, piccolo rispetto alla minima lunghezza d’onda, che si ha in corrispondenza della massima frequenza di interesse.

Con velocità di una particella acustica (o velocità acustica), si intende la velocità istantanea 𝒖(𝑡) con cui si muove la particella per effetto della sola onda acustica.

Si definisce pressione acustica (o pressione sonora), 𝑝′(𝑡), la variazione istantanea di pressione, rispetto alla pressione statica del mezzo 𝑝0, provocata dall’onda acustica. Si può

esprimere la pressione complessiva istantanea come:

(8)

3

𝑝′(𝑡) è difficilmente superiore a qualche centinaio di 𝑃𝑎, risultando in generale assai minore di 𝑝0 (per l’aria 𝑝0 = 1 𝑎𝑡𝑚 = 101325𝑃𝑎, a temperatura ambiente).

Il concetto di pressione acustica è strettamente legato al numero di particelle acustiche. Infatti, la pressione acustica locale è riconducibile alla presenza di una certa quantità di particelle in una determinata regione dello spazio; se il numero di particelle in tale regione varia nel tempo, cioè se sono presenti flussi netti di particelle, si ha una corrispondente variazione della pressione acustica locale del mezzo.

Come già accennato, un’onda acustica viene prodotta da una sorgente sonora, che può essere ad esempio una superficie solida in vibrazione ad una certa frequenza, e si propaga nel mezzo circostante con velocità 𝑐. Il moto vibratorio della sorgente viene trasmesso alle particelle adiacenti; queste iniziano quindi ad oscillare, cioè si spostano intorno alla loro posizione di riposo e lungo la direzione di propagazione dell’onda, trasmettendo a loro volta il movimento alle altre particelle vicine, e così via. Come conseguenza delle oscillazioni delle particelle acustiche del mezzo, le regioni interessate divengono alternativamente più dense di molecole, e meno dense. Questo provoca variazioni locali di pressione acustica e di densità del mezzo. Come risultato di questi fenomeni, il movimento vibratorio si propaga meccanicamente originando un’onda acustica, che può quindi essere vista come una variazione rispetto alla pressione statica del mezzo e un moto di particelle acustiche con una certa velocità.

Il campo acustico è quindi determinato dalla pressione acustica e dalle tre componenti del vettore della velocità delle particelle: la misura di queste quattro grandezze ne permette la completa caratterizzazione.

I fenomeni acustici possono generalmente essere considerati come perturbazioni di piccola entità: si può cioè assumere che inducano piccole variazioni rispetto alla condizione statica (quella di assenza dello stimolo acustico). Sotto questa ipotesi, i loro effetti possono essere analizzati con equazioni alle derivate parziali linearizzate. Si parla in questo caso di acustica lineare.

Definendo i valori statici 𝑝0, 𝜌0, 𝒖0 rispettivamente per la pressione acustica, la densità e

la velocità delle particelle del mezzo e 𝑝′, 𝜌′, 𝒖′ le relative variazioni dovute al campo acustico, si può scrivere:

𝑝 = 𝑝0 + 𝑝′

𝜌 = 𝜌0 + 𝜌′

𝒖 = 𝒖0 + 𝒖′ = 𝟎 + 𝒖

(1.3)

avendo imposto 𝒖0 = 𝟎 perché, in assenza di una sollecitazione acustica, le particelle del

mezzo sono macroscopicamente in quiete. In caso di piccole perturbazioni, valgono le relazioni: 𝑝′ ≪ 𝑝 0 𝜌′ ≪ 𝜌 0 (1.4)

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4

1.1.1 Acustica lineare monodimensionale

Per semplicità, si assume che il suono si propaghi solamente lungo la direzione 𝑥. Si consideri il volume di aria 𝑆 ∙ 𝑑𝑥 riportato in figura 1.1. Questo contiene un certo numero di particelle acustiche che determina la densità del fluido indisturbato, 𝜌0.

Figura 1.1: volume di aria attraversato da una perturbazione acustica.

Il volume è attraversato da un flusso di particelle acustiche entranti in 𝑥 con velocità 𝑢(𝑥, 𝑡), mentre da 𝑥 + 𝑑𝑥 esce un flusso di particelle acustiche con velocità 𝑢(𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑡). Questi flussi provocano una variazione nella densità del materiale entro il volume; le masse per unità di

tempo entranti ed uscenti sono rispettivamente 𝜌(𝑥, 𝑡) 𝑢(𝑥, 𝑡) 𝑆 e 𝜌(𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑡) 𝑢(𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑡) 𝑆. Il flusso netto di massa che attraversa il volume è quindi:

𝑆[𝜌(𝑥, 𝑡) 𝑢(𝑥, 𝑡) − 𝜌(𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑡) 𝑢(𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑡)] = −𝑆 ∂

∂x(𝜌(𝑥, 𝑡) 𝑢(𝑥, 𝑡))𝑑𝑥 (1.5) Per il principio di conservazione della massa, il flusso netto deve eguagliare la variazione di massa nel volume:

−𝑆 ∂

∂x(𝜌(𝑥, 𝑡) 𝑢(𝑥, 𝑡))𝑑𝑥 = 𝑆 d

dt 𝜌(𝑥, 𝑡)𝑑𝑥 (1.6)

che è la legge di conservazione della massa. La densità nel volume può essere espressa come:

𝜌(𝑥, 𝑡) = 𝜌0 + 𝜌′(𝑥, 𝑡) (1.7)

dove 𝜌0 è la parte statica e 𝜌′(𝑥, 𝑡) la variazione dovuta allo stimolo acustico. In virtù della

(1.4) è possibile assumere che quest’ultima sia trascurabile rispetto alla parte statica, quindi si può scrivere: ∂ ∂t 𝜌 ′(𝑥, 𝑡) + 𝜌 0 ∂ ∂x𝑢(𝑥, 𝑡) = 0 (1.8)

(10)

5

che è l’equazione di conservazione della massa linearizzata.

La (1.8) può essere utilizzata per calcolare la pressione sonora di un’onda acustica, se è nota la velocità delle particelle in due punti a distanza ravvicinata 𝛥𝑥; infatti integrandola rispetto al tempo: 𝜌′(𝑥, 𝑡) = −𝜌 0∫ ∂ ∂x𝑢(𝑥, 𝑡)𝑑𝑡 ≈ −𝜌0∫ 𝑢(𝑥 + 𝛥𝑥, 𝑡) − 𝑢(𝑥, 𝑡) 𝛥𝑥 𝑑𝑡 (1.9)

Per perturbazioni acustiche sufficientemente piccole, la variazione di pressione e quella di densità sono legate linearmente come:

𝑝′ = 𝑐2𝜌(1.10)

e la pressione acustica risulta così:

𝑝′(𝑥, 𝑡) ≈ −𝜌0𝑐 2

𝛥𝑥 ∫[𝑢(𝑥 + 𝛥𝑥, 𝑡) − 𝑢(𝑥, 𝑡)] 𝑑𝑡 (1.11)

Quindi dalla misura della velocità delle particelle in due punti ravvicinati (𝛥𝑥 ≪ 𝜆) , si è in grado di ricavare la pressione acustica. Questo è noto come metodo u-u, perché richiede l’utilizzo due sensori di velocità per ricavare anche l’altra grandezza fondamentale del campo acustico: la pressione.

L’accelerazione delle particelle nel volume può essere espressa derivando la velocità:

d dt 𝑢(𝑥, 𝑡) = ∂𝑢(𝑥, 𝑡) ∂x ∂x ∂t + ∂𝑢(𝑥, 𝑡) ∂t = ∂𝑢(𝑥, 𝑡) ∂x 𝑢(𝑥, 𝑡) + ∂𝑢(𝑥, 𝑡) ∂t (1.12)

Se le particelle si muovono di moto armonico, il primo termine del secondo membro è trascurabile rispetto al secondo termine (essendo 𝑢 ≪ 𝑐). La forza netta lungo 𝑥 è scrivibile come 𝑆[𝑝′(𝑥, 𝑡) − 𝑝′(𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑡)]; allora, applicando la seconda legge di Newton, si ha:

𝑆[𝑝′(𝑥, 𝑡) − 𝑝(𝑥 + 𝑑𝑥, 𝑡)] = −𝑆∂𝑝 ′(𝑥, 𝑡) ∂x 𝑑𝑥 = 𝜌0𝑆𝑑𝑥 ∂ ∂t 𝑢(𝑥, 𝑡) (1.13) e quindi: 𝜌0 ∂ ∂t 𝑢(𝑥, 𝑡) + ∂ ∂x𝑝 ′(𝑥, 𝑡) = 0 (1.14)

Questa è la legge di conservazione della quantità di moto linearizzata (valida se 𝑢 ≪ 𝑐). La (1.14) può essere utilizzata per ricavare la velocità delle particelle a partire dalle pressioni acustiche misurate in due punti a distanza 𝛥𝑥. Integrandola rispetto al tempo:

(11)

6 𝑢(𝑥, 𝑡) = − 1 𝜌0∫ ∂ ∂x𝑝 ′(𝑥, 𝑡)𝑑𝑡 ≈ − 1 𝜌0𝛥𝑥∫[𝑝 ′(𝑥 + 𝛥𝑥, 𝑡) − 𝑝(𝑥, 𝑡)] 𝑑𝑡 (1.15)

Questo è il metodo p-p (duale del metodo u-u), che impiega una coppia di sensori di pressione posti a distanza sufficientemente piccola (𝛥𝑥 ≪ 𝜆) per determinare la velocità delle particelle lungo una direzione.

Differenziando la (1.8) rispetto a 𝑡 e la (1.14) rispetto a 𝑥, si ottiene:

∂2𝑝(𝑥, 𝑡) ∂𝑥2 − ∂2𝜌(𝑥, 𝑡) ∂𝑡2 = 0 ⇒ ∂2𝑝(𝑥, 𝑡) ∂𝑥2 − 1 𝑐2 ∂2𝑝(𝑥, 𝑡) ∂𝑡2 = 0 (1.16)

che è l’equazione delle onde acustiche (equazione di d’Alembert) nel caso monodimensionale.

1.1.2 Estensione al caso tridimensionale

Le equazioni derivate nel paragrafo precedente per il caso monodimensionale, possono essere estese al caso più generale di propagazione delle onde acustiche nello spazio.

La legge di conservazione della massa linearizzata (1.8) diviene: ∂𝜌′

∂t + 𝜌0𝛻 ⋅ 𝒖 = 0 (1.17)

mentre quella di conservazione della quantità di moto linearizzata (1.14) diventa:

𝜌0

∂𝒖 ∂t + 𝛻𝑝

= 0

(1.18)

che è una particolare forma dell’equazione di Eulero linearizzata. Infine, l’equazione di d’Alembert nel caso tridimensionale risulta essere:

𝛻2𝑝 1

𝑐2

∂2𝑝′

∂𝑡2 = 0 (1.19)

1.1.3 Propagazione in mezzi viscosi e termicamente conduttivi

L'equazione delle onde acustiche può essere derivata nell'ambito della fluidodinamica, imponendo particolari condizioni al moto del fluido entro il quale si propaga l’onda acustica.

(12)

7

Nello studio dei fenomeni fluidodinamici, in particolare quelli acustici, il fluido è trattato come una sostanza continua di cui è possibile definire la densità 𝜌(𝒓, 𝑡) e la pressione 𝑝(𝒓, 𝑡) tramite due campi scalari, mentre il campo vettoriale 𝒖(𝒓, 𝑡) descrive la velocità del fluido all'istante 𝑡 in ogni punto r dello spazio occupato dal fluido stesso.

Si parte dalla forma generale della conservazione della massa:

∂𝜌

∂t + 𝛻 ∙ (𝜌𝒖) = 0 (1.20)

e dalla legge di conservazione della quantità di moto valida per un fluido ideale (incomprimibile e non viscoso), nella quale si trascura il campo gravitazionale:

𝜌∂𝒖

∂t + 𝒖 ∙ 𝛻𝒖 + 𝛻𝑝 = 0 (1.21)

Se il fluido non è termicamente conduttivo (non avvengono cioè scambi di calore tra le particelle del fluido), si conserva l’entropia totale 𝑠 :

𝜌∂s

∂t+ 𝒖 ⋅ 𝛻𝑠 = 0 (1.22)

Sotto le ipotesi (1.4), per le quali le variazioni delle quantità fisiche rispetto ai valori di equilibrio sono piccole, le equazioni (1.20) e (1.21) si riducono rispettivamente alla (1.17) e (1.18), mentre dalla (1.22) si può derivare la (1.10). Si ricava così l’equazione delle onde, che risulta dunque un caso particolare del moto di un fluido, in cui le onde acustiche si propagano attraverso il mezzo senza dissipazioni di energia e senza trasporto di materia.

Nel caso in cui i fenomeni viscosi e termicamente conduttivi siano rilevanti, le equazioni precedenti devono essere modificate. La legge di conservazione della massa è ugualmente valida, mentre l’equazione di Eulero viene modificata diventando (sempre nell’ipotesi di piccole variazioni): 𝜌0∂𝒖 ∂t = −𝛻𝑝 ′+ (1 3𝜇 + 𝜇𝐵) 𝛻(𝛻 ∙ 𝒖) + 𝜇𝛻 2𝒖 (1.23)

nota come equazione di Navier-Stokes; 𝜇 e 𝜇𝐵 sono rispettivamente la viscosità dinamica e la

seconda viscosità del mezzo. L’equazione di conservazione dell’energia è invece esprimibile come [2]:

(13)

8 𝜌0𝑇0∂𝑠 ′ ∂t = 𝛻 ⋅ (𝑘𝛻𝑇 ′) ⇨ 𝜌 0𝐶𝑝 ∂𝑇′ ∂t = 𝛻 ⋅ (𝑘𝛻𝑇 ′) + α𝑇 0 ∂𝑝′ ∂t (1.24) dove α = −𝜌1 0 ∂𝜌′

∂T è il coefficiente di dilatazione termica, 𝑘 la conducibilità termica, 𝑇0 la

temperatura statica, mentre 𝑠′ e 𝑇′ sono le piccole variazioni di entropia e temperatura. Se il mezzo è un gas ideale, utilizzando l’equazione di stato dei gas perfetti si può riscrivere la (1.24) come: 𝜌0𝐶𝑝∂𝑇 ′ ∂t = 𝛻 ⋅ (𝑘𝛻𝑇 ′) +∂𝑝 ′ ∂t (1.25)

Le equazioni (1.17), (1.23) e (1.24), consentono di studiare il moto di un’onda acustica (che provoca piccole variazioni delle caratteristiche del mezzo) in un fluido viscoso e termicamente conduttivo.

1.1.4 Definizioni

Come già detto, il campo acustico può essere caratterizzato completamente dalla conoscenza della pressione acustica e della velocità delle particelle. Dalla loro conoscenza si possono infatti ricavare una serie di grandezze acustiche molto utili, che saranno definite di seguito.

Si definisce impedenza acustica specifica in un punto di un generico mezzo in un campo acustico, il rapporto complesso tra l’ampiezza di una singola componente frequenziale della pressione acustica e quella di una di una singola componente frequenziale della velocità delle particelle (nella direzione di propagazione dell’energia acustica), entrambe valutate nel punto in esame:

𝑍𝑠(𝜔) =

𝑝(𝜔)

𝑢(𝜔) (1.26)

È una caratteristica intrinseca del mezzo, che fornisce una misura della capacità del mezzo stesso di opporsi alla propagazione delle onde acustiche. Risulta molto utile per caratterizzarne le proprietà acustiche di un mezzo (come la riflessione o l’assorbimento acustico) o per valutare l’efficienza radiativa di una sorgente acustica.

Si consideri ad esempio una superficie molto riflettente: la sua impedenza acustica sarà molto elevata perché vicino alla superficie la velocità delle particelle è quasi nulla, mentre la pressione sonora viene incrementata dalla riflessione.

Nel caso di propagazione acustica in un mezzo spazialmente esteso (ad esempio l’aria), è utile introdurre il concetto di impedenza acustica caratteristica. La definizione è la stessa di 𝑍𝑠, ma adesso si fa riferimento ad un’onda piana progressiva che si propaga in campo libero

(14)

9

(quindi le onde di pressione e velocità sono sempre in fase tra loro) e l’impedenza risulta essere:

𝑧 = 𝜌0𝑐 (1.27)

che è una quantità indipendente dalla posizione e dalla frequenza. L’approssimazione di onda piana è valida lontano dalla sorgente (in campo libero); in queste condizioni il mezzo può essere caratterizzato con 𝑧. Per l’aria 𝑧 ≈ 410 𝑃𝑎 ⋅ 𝑠 𝑚⁄ a temperatura ambiente.

La densità di energia acustica è l’energia per unità di volume associata all’onda acustica;

trascurando l’eventuale viscosità e conducibilità termica del mezzo, è scrivibile come 𝐸 = 𝑈 + 𝐾, essendo 𝑈 l’energia potenziale per unità di volume dovuta alla pressione acustica:

𝑈 = 𝑝

2

2𝜌0𝑐2 (1.28)

e 𝐾 l’energia cinetica per unità di volume dovuta alla velocità delle particelle:

𝐾 = 1 2𝜌0𝑢

2

(1.29)

𝐸 rappresenta dunque la quantità di energia meccanica immagazzinata in un’onda acustica. Si definisce intensità acustica (o sonora) l’energia che nell’unità di tempo attraversa una superficie unitaria posta in un punto perpendicolare alla direzione di propagazione del suono:

𝑰(𝑡) = 𝒖(𝑡)𝑝(𝑡) (1.30)

È una grandezza vettoriale, la cui direzione è la direzione media dell’energia sonora. Si può definire l’intensità acustica media come:

𝑰(𝑡) = lim 𝑇→∞ 1 𝑇∫ 𝒖(𝑡)𝑝(𝑡) 𝑑𝑡 𝑇 0 (1.31)

L’intensità sonora è molto utile per quantificare l’energia acustica trasportata da un’onda. Dà un’indicazione della “quantità” di suono che si propaga, ed è pertanto legata al volume sonoro, che discrimina un suono percepito come debole o forte.

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10

In corrispondenza di una superficie molto riflettente, tutto il suono viene riflesso e quindi l’intensità acustica media è nulla; infatti, tutta l’energia acustica che si propaga verso la superficie, viene riflessa e si propaga anche nella direzione opposta: non esiste quindi alcun flusso netto di energia acustica. L’energia acustica stessa è invece scarsamente influenzata dalla vicinanza di una superficie dove, rispetto ad un’onda in propagazione libera, aumenta la pressione sonora ma si riduce la velocità delle particelle, lasciando praticamente inalterata la densità di energia.

Solitamente per confrontare le entità dei fenomeni acustici considerati, si definiscono delle quantità di riferimento rispetto alle quali rapportare le grandezze in esame. I riferimenti tipicamente utilizzati sono:

 la pressione acustica di riferimento 𝑝𝑟𝑒𝑓 = 20 𝜇𝑃𝑎, che è la minima variazione di

pressione udibile alla frequenza di 1 𝐾𝐻𝑧;

 una velocità delle particelle 𝑢𝑟𝑒𝑓 = 𝑝𝑟𝑒𝑓⁄𝜌𝑐 ≈ 50 𝑛𝑚 𝑠⁄ ;

 un’intensità acustica 𝐼𝑟𝑒𝑓 = 𝑝𝑟𝑒𝑓 𝑢𝑟𝑒𝑓 = 1 𝑝𝑊 𝑚⁄ 2.

Si possono così definire le quantità relative SPL (sound pressure level), PVL (particle velocity level) e SIL (sound intensity level) come:

𝑆𝑃𝐿 = 20 log10( 𝑝 𝑝𝑟𝑒𝑓) 𝑃𝑉𝐿 = 20 log10( 𝑢 𝑢𝑟𝑒𝑓) 𝑆𝐼𝐿 = 10 log10( 𝐼 𝐼𝑟𝑒𝑓) (1.32)

Queste vengono espresse in 𝑑𝐵 perché le quantità che rappresentano possono variare entro degli intervalli di valori molto ampi, come mostrato dalla tabella 1.1.

Fenomeno 𝑝’ (𝑃𝑎) |𝒖| (𝑚 𝑠⁄ ) |𝑰| (𝑊 𝑚 2) 𝑆𝐼𝐿 (𝑑𝐵)

Fuoco di artiglieria, decollo di un aereo 200 0.45 100 140

Concerto rock 20 0.045 1 120

Riferimento 1 2.5 ⋅ 10−3 2.5 ⋅ 10−3 94

Traffico intenso 0.2 4.5 ⋅ 10−4 10−4 80

Conversazione ravvicinata 0.02 4.5 ⋅ 10−5 10−6 60

Sussurro 2 ⋅ 10−3 4.5 ⋅ 10−6 10−8 40

Dentro un teatro vuoto 2 ⋅ 10−4 4.5 ⋅ 10−7 10−10 20

Soglia di udibilità 2 ⋅ 10−5 4.5 ⋅ 10−8 10−12 0

(16)

11

I valori in tabella 1.1 danno un’idea dei tipici ordini di grandezza di alcuni fenomeni acustici. Il limite superiore entro il quale le perturbazioni acustiche possono essere considerate piccole, e quindi sono valide le relazioni (1.4), è indicativamente di 160 𝑑𝐵𝑆𝐼𝐿. La quasi totalità dei

fenomeni acustici rientra in questo limite, quindi la trattazione acustica lineare assume una validità generale.

L’orecchio umano è in grado di apprezzare suoni compresi tra i 20 𝐻𝑧 e i 20 𝐾𝐻𝑧. Tuttavia, la percezione di un suono dipende fortemente dalla sua frequenza. Ad esempio, una variazione 𝑝’ = 1 𝑃𝑎 è percepita come molto forte a 1 𝐾𝐻𝑧 , mentre risulta debole a 20 𝐻𝑧. Le intensità sonore dai 180 𝑑𝐵𝑆𝐼𝐿 in su sono intollerabili per l’udito umano, e possono portare

a danneggiamenti dell’apparato uditivo.

1.2 Sensori acustici

1.2.1 Sensori di pressione acustica: i microfoni

I microfoni sono dei sensori acustici sensibili alle variazioni di pressione sonora. Sono basati su un principio di trasduzione elettroacustico: una variazione di pressione acustica viene convertita in un segnale elettrico ad essa proporzionale. I moderni microfoni di qualità hanno un SNR (Signal to Noise Ratio) molto elevato: di fatto, il solo rumore rilevante è quello acustico dell’ambiente dove si trovano ad operare. Questo li rende particolarmente adatti alla registrazione di suoni (che potranno successivamente essere elaborati, trasmessi, riprodotti), ambito nel quale trovano un larghissimo impego in molti settori (telefonia, musica, radio ecc.).

Il funzionamento di un microfono è simile a quello dell’orecchio umano: una membrana sottile forma una cavità, al cui interno la pressione è costante e pari ad un valore di riferimento (ad esempio la pressione statica dell’aria). Una variazione della pressione esterna alla cavità, provoca uno spostamento della membrana, che può essere convertito in un segnale elettrico. Il modo in cui questa conversione viene realizzata, differenzia il tipo di microfono.

Una tipologia di microfoni molto utilizzata è quella dei microfoni capacitivi, che presentano una buona risposta in frequenza e un ottimo SNR, e costituiscono tutt’oggi lo stato dell’arte per la registrazione e l’amplificazione del suono. Questi microfoni hanno una piastra metallica fissa che funge da armatura di un condensatore; l’altra armatura è costituita da una membrana metallica, ed è separata dall’altra da un gap di aria. Una semplice versione di questo microfono prevede che il condensatore, in serie ad un resistore di valore elevato, venga polarizzato con una tensione costante 𝑉0, in modo che, a regime, sul condensatore sia immagazzinata una carica costante 𝑄. Se 𝐴 è l’area delle armature e 𝑑(𝑝0) la distanza tra le

stesse a riposo, cioè in assenza di stimoli acustici, quando entrambi i lati della membrana sono sottoposta alla pressione statica 𝑝0, la capacità statica del condensatore è:

𝐶0 = 𝜀0 𝐴

(17)

12

Una variazione di pressione 𝛥𝑝 fa spostare la membrana, alterando la distanza tra le armature di una quantità 𝛥𝑑(𝛥𝑝) e, di conseguenza, il valore della capacità. Si ha così una variazione della tensione ai capi del condensatore, proporzionale alla variazione di pressione. Il resistore ed il condensatore sono in serie al generatore 𝑉0, quindi la somma delle loro tensioni deve

essere pari a 𝑉0. Pertanto, la variazione di tensione ai capi del condensatore comporta una

variazione uguale ed opposta ai capi del resistore; questa può essere prelevata ed amplificata, in modo da ottenere un segnale di uscita, proporzionale alla variazione di pressione, esprimibile come: 𝛥𝑉 = 𝑄 𝐶(𝛥𝑝)𝐺 = 𝑄𝛥𝑑(𝛥𝑝) 𝜀0𝐴 𝐺 = 𝑉0𝐶0𝛾 𝜀0𝐴 𝛥𝑝 (1.34)

dove 𝛾 è un coefficiente di proporzionalità tra 𝛥𝑑 e 𝛥𝑝, che include anche l’amplificazione 𝐺. Molto utilizzati sono anche i microfoni dinamici. Questi hanno una piccola bobina connessa alla membrana. L’intera struttura è immersa in un campo magnetico, generato da un magnete permanente. Quando la membrana si sposta per effetto di un’onda acustica, fa muovere anche la bobina nel campo magnetico, con conseguente induzione di una corrente elettrica lungo la bobina stessa, proporzionale allo spostamento.

Recentemente, la crescente diffusione dei dispositivi wireless e di telefonia mobile, ha reso conveniente lo sviluppo di microfoni che integrassero nello stesso chip sia il sensore vero e proprio che l’elettronica di elaborazione. Questo consente di ridurre i disturbi (rumore e capacità parassite) e le dimensioni del sensore. Sono stati sviluppati così i microfoni MEMS (Micro Electro-Mechanical Systems), nei quali una cavità nel substrato di silicio, ottenuta con attacchi chimici tipici delle tecnologie micro-elettromeccaniche, viene aperta sotto una membrana (che può essere formata, ad esempio, da un sottile strato di polisilicio): si ottiene così la classica struttura microfonica. I meccanismi di trasduzione possono essere di diversa natura: capacitiva, piezoelettrica, piezoresistiva. Negli ultimi anni, grazie al miglioramento della qualità e alla riduzione dei costi, i microfoni MEMS stanno trovando un sempre maggior impiego, destinato ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni [3].

Quelli fin qui descritti sono microfoni a pressione. Esistono anche dei microfoni a gradiente di pressione, costituiti da una membrana accessibile da due ingressi acustici, posti a distanza 𝑑. La membrana è quindi esposta su entrambe le facce alle variazioni di pressione acustica, ed il suo spostamento è dovuto alla differenza di pressione 𝑝1− 𝑝2, essendo 𝑝𝑖 la pressione

acustica in corrispondenza dell’i-esimo ingresso. La sostanziale differenza rispetto ai microfoni a pressione è che la sensibilità dipende dall’angolo di incidenza del suono rispetto alla posizione del sensore. La sensibilità ad un’onda acustica che si propaga in direzione parallela al piano della membrana è nulla: l’onda raggiunge infatti entrambi gli ingressi allo stesso istante, con conseguente annullamento della differenza di pressione. Questo sensore è anche detto (impropriamente) microfono di velocità, perché permette di misurare indirettamente la velocità delle particelle con il metodo p-p precedentemente descritto.

(18)

13

1.2.2 Sensori di velocità acustica: il Microflown

La pressione sonora, come visto, è solo una delle componenti che caratterizzano un campo acustico. L’altra componente è la velocità delle particelle acustiche. Questa, a differenza della pressione acustica, è una quantità vettoriale; la sua misura diretta apre pertanto a numerose applicazioni, che saranno in parte descritte nel paragrafo successivo.

I sensori che realizzano una misura diretta della velocità delle particelle sono detti sensori di velocità acustiche. Nel seguito sarà presentato e descritto l’unico sensore di velocità acustiche commercialmente disponibile: il Microflown [4].

Il Microflown si basa su un principio di trasduzione termico. Il nome deriva dalla sua sensibilità ai flussi di aria. Gli elementi attivi di questo sensore sono due fili paralleli, formati da dei supporti di nitruro di silicio sopra i quali è deposto uno strato di platino, che costituisce l’elemento elettricamente conduttivo. I fili vengono riscaldati con una corrente continua, che li porta alla temperatura stazionaria di qualche centinaio di gradi centigradi (tipicamente tra i 200°𝐶 e i 400°𝐶). Il platino è un metallo con un TCR (temperature coefficient of resistance) positivo, quindi la sua resistività aumenta all’aumentare della temperatura. La presenza di un flusso di aria, dovuto alla propagazione dell’onda acustica, in direzione perpendicolare alla lunghezza dei fili, induce un trasferimento di calore per convezione forzata nella direzione del flusso stesso. Vengono così alterate asimmetricamente le distribuzioni istantanee di temperatura intorno ai fili; l’effetto netto è che uno dei due fili si raffredda più dell’altro, e si instaura così una differenza di temperatura 𝛿𝑇 tra i fili. Questa provoca una variazione della resistenza dei fili, che può essere messa in relazione con una tensione elettrica tramite un apposito circuito di misura (si veda ad esempio [5]); si ottiene così una tensione proporzionale alla velocità delle particelle acustiche.

Sono pertanto presenti due meccanismi di trasduzione: un primo meccanismo termoacustico, che dà una differenza di temperatura 𝛿𝑇 a fronte di una velocità delle particelle 𝒖; un secondo meccanismo elettrotermico, in cui la differenza di temperatura si traduce in una differenza di resistenza.

In figura 1.2 è mostrata una scansione al SEM della struttura del Microflown.

Figura 1.2: scansione al SEM (scanning electron microscope) di una parte del Microflown. Sono visibili i due fili paralleli sospesi sopra la cavità ricavata nel substrato. Le dimensioni dei fili di questa versione del sensore sono: lunghezza di 1 𝑚𝑚, larghezza di 5 𝜇𝑚, spessore di 200 𝑛𝑚 di platino + 150 𝑛𝑚 di nitruro di silicio.

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Figura 1.3: distribuzioni di temperatura nell’intorno del filo situato in 𝑥0.

Per descrivere più dettagliatamente il principio di funzionamento del Microflown, conviene considerare dapprima un singolo filamento riscaldato. Questa è, di fatto, la struttura di un anemometro a filo caldo, il cui funzionamento è basato sul raffreddamento del filo provocato dalla convezione termica. L’anemometro a filo caldo opera per velocità delle particelle superiori a 10 𝑐𝑚 𝑠⁄ , per le quali il raffreddamento del filo risulta proporzionale alla radice quadrata della velocità del flusso. Non si possono distinguere versi positivi o negativi per la velocità, perché entrambi provocano un raffreddamento del filo. Per velocità più basse, minori di 1 𝑐𝑚 𝑠⁄ , il filamento si raffredda poco per effetto del flusso d’aria, mentre la distribuzione di temperatura circostante viene comunque alterata dal flusso convettivo. In figura 1.3 è riportata la distribuzione della temperatura intorno al filo. L’ascissa 𝑥0 indica la posizione del filo, considerato puntiforme; la linea blu rappresenta la distribuzione in assenza di flussi di aria, quella nera la perturbazione convettiva per basse velocità delle particelle e quella rossa tratteggiata la distribuzione di temperatura alterata dal moto convettivo.

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Si considerino adesso entrambi i fili che costituiscono il Microflown. In presenza di una velocità non nulla delle particelle acustiche, si hanno delle perturbazioni nelle distribuzioni di temperatura di entrambi i fili, rappresentate dalle linee tratteggiate in figura 1.4. La linea continua della stessa figura rappresenta la distribuzione di temperatura risultante che, per la linearità del sistema, è data dalla somma delle distribuzioni perturbate dei singoli fili.

Nella situazione rappresentata in figura 1.4, la velocità delle particelle segue il verso di 𝒙̂ e quindi il filo posto in 𝑥2 si porta ad una temperatura maggiore, perché scaldato da una parte

del flusso di calore uscente dall’altro filo; questo provoca una differenza di temperatura 𝛿𝑇 tra i fili, proporzionale alla velocità delle particelle. Il sensore è in grado di discriminare il verso del flusso di aria: se questo fosse opposto, si avrebbe una 𝛿𝑇 di segno invertito.

Si possono analizzare in modo più dettagliato i fenomeni fisici che contribuiscono al funzionamento del sensore partendo dallo schema di figura 1.5. 𝑊1 e 𝑊2 sono i due fili e 𝑇1 e 𝑇2 le rispettive temperature. I fili vengono riscaldati dalle potenze elettriche 𝑃𝑒𝑙, che li portano

alla stessa temperatura statica 𝑇1 = 𝑇2 = 𝑇𝑆. In queste condizioni non si verificano

trasferimenti di calore tra i due fili per conduzione attraverso l’aria. L’aria circostante ai fili viene riscaldata dai flussi di calore 𝑞𝑎 uscenti dai fili stessi: questi sono gli unici trasferimenti

di calore in assenza di flussi d’aria.

La presenza di un flusso di particelle di aria, indotto dallo stimolo acustico, causa dei trasferimenti di calore per convezione forzata, 𝑞𝑐𝑜𝑛𝑣.1 e 𝑞𝑐𝑜𝑛𝑣.2, che riducono le temperature dei fili. Tuttavia, questi non si raffreddano allo stesso modo: con riferimento al verso della velocità delle particelle riportato in figura, il filo 𝑊2 viene riscaldato da una parte del flusso di

calore convettivo proveniente da 𝑊1, 𝑞𝑐𝑜𝑛𝑣.1→2. Risulta pertanto 𝑇2 > 𝑇1, con conseguente

differenza di temperatura tra i due fili, 𝛿𝑇, proporzionale alla velocità delle particelle acustiche.

Figura 1.5: rappresentazione schematica dei due fili, riportati in sezione, e dei fenomeni fisici alla base del funzionamento del sensore.

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16

Non tutto il flusso convettivo uscente da 𝑊1 raggiunge 𝑊2: un’aliquota 𝑞𝑙 viene persa nell’aria circostante. Tale aliquota aumenta tanto più quanto più i fili sono lontani. Quindi allontanare i fili riduce l’efficacia del meccanismo convettivo, riducendo la sensibilità del sensore. D’altra parte, però, anche avvicinare eccessivamente i sensori è sconveniente. Infatti, l’instaurarsi di una differenza di temperatura tra i due fili, provoca un flusso di calore conduttivo, 𝑞𝑐𝑜𝑛𝑑., in direzione opposta al gradiente di temperatura secondo la legge di

Fourier. Questo genera una sorta di meccanismo di reazione termica, che tende a mantenere i fili alla stessa temperatura; riducendo la distanza tra i fili, si favorisce l’efficacia di questa reazione, che può divenire prevalente rispetto alla convezione forzata e ridurre la sensibilità. Quindi la sensibilità dipende dalla combinazione di questi due fenomeni, che hanno un comportamento opposto rispetto all’aumento della distanza tra i fili. Questo significa che la sensibilità non è una funzione monotona della distanza tra i fili, e che quindi esiste un valore ottimo che la massimizza. Questo aspetto sarà indagato nel capitolo 4.

Il Microflown è sensibile a valori di velocità delle particelle compresi entro un range molto ampio, indicativamente da 10 𝑛𝑚 𝑠⁄ a 1 𝑚 𝑠⁄ . Il confronto con i dati riportati nella tabella 1.1, mostra come tale range di velocità corrisponda ad una gamma di applicazioni assai estesa. Dalla stessa tabella si vede come la velocità delle particelle relativa ad una conversazione a distanza ravvicinata sia prossima a 45 𝜇𝑚 𝑠⁄ ; la differenza di temperatura indotta da uno stimolo di questo livello è solo di pochi 𝑚𝐾. Pertanto, la sensibilità costituisce un aspetto critico di questo sensore, anche se negli anni è stata molto migliorata. Infatti, a partire dalla sua (relativamente) recente invenzione [6, 7], il Microflown è stato continuamente migliorato in termini di robustezza e prestazioni: sono stati utilizzati materiali e package volti ad ottimizzare la sensibilità e sono state esplorate diverse soluzioni strutturali, con conseguente possibilità di riduzione delle dimensioni dei fili, che risulta vantaggiosa in termini di risposta in frequenza [8].

1.2.3 Direzionalità dei sensori acustici

Con direzionalità di un sensore si intende il modo in cui questo risponde al suono proveniente da diverse direzioni. Viene tipicamente rappresentata tramite il diagramma polare, che indica la sensibilità del sensore rispetto all’angolo di incidenza dell’onda acustica.

Nel caso di un microfono a gradiente di pressione, lo spostamento della membrana è proporzionale alla differenza di pressione sonora sulle due facce, cioè a 𝒏̂ ⋅ 𝛻𝑝, dove 𝒏̂ è il versore della normale alla superficie della membrana. Detto θ l’angolo tra la direzione di propagazione dell’onda e 𝒏̂, il segnale di uscita sarà proporzionale a 𝛻𝑝 cos θ. Questo tipo di microfono presenta quindi una sensibilità direzionale simmetrica rispetto al piano della membrana; il relativo diagramma polare è detto bidirezionale ed è riportato in figura 1.6 (𝑎). In un microfono a pressione, invece, la membrana è esposta su un solo lato alla pressione sonora e, nel limite in cui le dimensioni del sensore siano inferiori alla lunghezza d’onda del suono incidente, il microfono risponderà con un segnale indipendente dalla direzione

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(a) (b)

Figura 1.6 : diagramma polare bidirezionale, tipico di sensori per i quali la sensibilità è proporzionale al coseno dell’angolo formato tra la direzione di incidenza dell’onda acustica e l’asse di sensibilità del sensore (a); diagramma polare omnidirezionale, relativo ai sensori la cui risposta è indipendenti dalla direzione di provenienza del suono (b).

dell’onda acustica. Il diagramma polare risultante è circolare (omnidirezionale), come mostrato in figura 1.6 (𝑏). Tuttavia, questo è vero solo per frequenze dell’onda acustica sufficientemente basse: all’aumentare della frequenza si riduce infatti la lunghezza d’onda, e le dimensioni fisiche del microfono iniziano ad ostacolare la propagazione dell’onda. Questo si traduce in una riduzione della sensibilità per certi angoli di incidenza.

È possibile ottenere microfoni con direzionalità diverse dalle suddette, ad esempio combinando opportunamente un microfono a pressione ed uno a gradiente di pressione.

Per quanto riguarda il Microflown, dalla descrizione del principio di funzionamento appare chiaro come sia un sensore direttivo. Il suo asse di sensibilità è quello perpendicolare alla lunghezza dei fili, lungo la quale è favorito il meccanismo di convezione alla base del principio di trasduzione. Se la velocità delle particelle fosse diretta parallelamente ai fili, l’uscita sarebbe (teoricamente) nulla. Idealmente la sensibilità del Microflown può quindi essere espressa come 𝑆(θ) = 𝑆𝑚𝑎𝑥cos θ, essendo 𝑆𝑚𝑎𝑥 la massima sensibilità e θ l’angolo tra la direzione di

propagazione dell’onda e l’asse parallelo alla lunghezza dei fili. Il diagramma polare è quindi dello stesso tipo di quello del microfono a gradiente di pressione (figura1.6 (𝑎)). Questo significa che per ottenere un sensore di velocità in un campo acustico tridimensionale, è necessario utilizzare tre Microfown, orientati in direzioni tra loro ortogonali.

1.3 Applicazioni dei sensori di velocità acustica

Tradizionalmente per le misure in campo acustico si utilizzano i microfoni. La recente introduzione dei sensori di velocità acustiche ha aperto però alla possibilità di misurare direttamente la velocità delle particelle. Di seguito saranno descritte alcune applicazioni per le quali è possibile, e in alcuni casi vantaggioso, utilizzare i sensori di velocità acustica.

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1.3.1 Misure di grandezze acustiche

La velocità delle particelle acustiche è una grandezza vettoriale; tuttavia, anche misurandone il solo modulo, si possono ricavare, previa conoscenza della pressione sonora, diverse grandezze di interesse per la caratterizzazione del campo acustico. Fra di esse ci sono la densità di energia acustica, l’intensità acustica e l’impedenza acustica, definite nel paragrafo 1.4.

È possibile abbinare un normale microfono a pressione al Microflown, ottenendo così un sensore p-u molto compatto, in grado di misurare il modulo della velocità e la pressione in un punto. Questo consente di misurare localmente l'energia, l’intensità e l’impedenza in modo semplice e su una larga banda frequenziale (l’intero range delle frequenze audio può essere coperto).

La misura dell’intensità sonora locale richiede di determinare 𝑝 ed 𝑢 nella stessa posizione e contemporaneamente. Tipicamente, per questo tipo di misura si utilizza il metodo p-p, descritto nel paragrafo 1.1.1, che richiede l’utilizzo di due microfoni spazialmente ravvicinati e permette di approssimare 𝑢 tramite la differenza tra le pressioni misurate dai microfoni. È necessario un elevato matching tra i due sensori, in quanto eventuali mismatch comportano un errore che viene amplificato nella differenza tra le misure di pressione. Un significativo problema di questo metodo è che anche un piccolo sfasamento tra le risposte dei microfoni (nominalmente identici), comporta un notevole errore nella misura per alti rapporti pressione/intensità [9]. In queste condizioni è preferibile l’uso del metodo p-u, che è stato impiegato con risultati soddisfacenti per la misura dell’intensità acustica [10, 11].

Il metodo p-u è stato anche utilizzato per la misura dell’impedenza acustica (e dei coefficienti di assorbimento e riflessione) di una superficie, dando risultati in linea con quelli attesi [12]. Come già accennato, le misure di impedenza sono molto utili perché consentono di caratterizzare le proprietà acustiche di un materiale, ad esempio la fonoassorbenza. L’utilizzo del Microflown permette di misurare in loco l’impedenza acustica di una superficie [12, 13]: la misura non è infatti perturbata dalla presenza di un corpo nelle vicinanze. Senza un sensore di velocità acustiche questo è praticamente impossibile, data la necessità di inserire il campione in un apposito tubo per la misura, che è generalmente distruttiva.

Un importante vantaggio dei sensori di velocità rispetto a quelli di pressione è costituito dalla maggior sensibilità in condizioni di campo vicino (cioè nei dintorni della sorgente sonora). Questo è dovuto al fatto che vicino alla superficie vibrante che emette il suono, la pressione acustica è molto ridotta, mentre la velocità delle particelle è praticamente coincidente con quella della superficie in vibrazione. Inoltre, eventuali disturbi acustici che arrivano in corrispondenza della superficie vibrante riflettono su di essa: quindi la loro pressione sonora raddoppia, mentre la loro velocità acustica tende ad annullarsi; questo significa che in queste condizioni il rumore di fondo non è praticamente presente nella misura effettuata con un sensore di velocità acustiche. In altre parole, i sensori di velocità consentono di effettuare misure acustiche con una ridotta influenza dell’ambiente acustico circostante. Questo li rende particolarmente adatti alla localizzazione di sorgenti acustiche in campo vicino, applicazione nella quale sono avvantaggiati anche dalla loro intrinseca direzionalità, e alla rilevazione delle

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vibrazioni di un corpo, aprendo alla possibilità di impiegarli per le misure delle velocità strutturali di oggetti in vibrazione, in alternativa agli strumenti laser ed agli accelerometri [14].

1.3.2 Misure direzionali

Un’importante differenza tra un microfono e un sensore di velocità acustiche è che quest’ultimo misura una grandezza vettoriale. Questo richiede l’impiego di due sensori di velocità per misure nel piano e tre sensori per misure nello spazio tridimensionale. La natura vettoriale di questa grandezza può essere sfruttata in molte applicazioni.

Nei casi in cui l’onda acustica possa essere considerata piana o sferica, la direzione della velocità delle particelle misurata in un punto è legata a quella di propagazione dell’onda acustica stessa. La misura della velocità delle particelle può quindi consentire una misura diretta della direzione di arrivo (DOA, direction of arrival) del suono. Questo può consentire la rilevazione della posizione di una sorgente acustica, informazione che risulta fondamentale in una vastissima gamma di applicazioni quali: monitoraggio ambientale, sistemi a comando vocale (ad esempio per dispositivi di assistenza per persone, o per trasmettere comandi ad un robot), miglioramento della percezione sonora in ambienti soggetti a rumore o riverbero, registrazioni direttive in ambienti di grandi dimensioni, sorveglianza acustica, localizzazione di corpi sommersi (sonar), dispositivi biomedici di tipo uditivo, tracciati di mappe acustiche ecc. Un singolo sensore di velocità bidimensionale può ricavare l’azimuth (nel piano) della sorgente acustica; uno tridimensionale anche l’elevazione della stessa. Per localizzare completamente la sorgente sonora nel sistema di riferimento 3D, e quindi determinare anche la distanza della stessa dal punto di misura, sono necessari due o più sensori di velocità acustiche.

La misura della direzione di un’onda acustica è possibile anche con i tradizionali sensori di pressione: si può infatti utilizzare un array di microfoni, formato da almeno due microfoni disposti opportunamente nello spazio. Questo permette l’individuazione della DOA sfruttando le differenze di fase della pressione nei diversi punti in cui sono posizionati i microfoni per calcolare l’angolo di incidenza tra l’onda e l’asse dell’array. I diversi microfoni dell’array realizzano, di fatto, un campionamento spaziale. A partire dalle loro misure di pressione si possono localizzare le sorgenti con diverse tecniche. Una delle più utilizzate è il beamforming, che consiste nel sommare i segnali misurati dai singoli elementi dell’array, dopo averli ritardati di quantità che dipendono dal posizionamento relativo dei microfoni, dalla velocità del suono nel mezzo interessato e dalla frequenza; il calcolo non può quindi essere esteso su intervalli frequenziali troppo ampi. Gli array di microfoni presentano però una serie di problemi:

 richiedono un elevato matching tra i singoli elementi dell’array per ottenere misure accurate dell’angolo di incidenza del suono;

 la loro banda di funzionamento è limitata inferiormente dalla distanza tra i microfoni, che deve essere comparabile con la lunghezza d’onda acustica: quando questo non è verificato, gli sfasamenti di pressione sono molto piccoli e, anche piccoli errori di

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misura (comunque presenti), causano errori rilevanti nella localizzazione della sorgente. Questo ne rende problematico l’utilizzo alle basse frequenze; ad esempio, per 𝑓 = 20 𝐻𝑧 ⇨ λ = 17 m in aria: è quindi necessario un array molto ingombrante;  la loro banda di funzionamento è limitata superiormente: all’aumentare della

frequenza, aumenta infatti l’aliasing dovuto al campionamento spaziale. Pe ridurlo è necessario ridurre la distanza tra i microfoni, peggiorando però la risoluzione;

 prima di poter procedere al calcolo della DOA, è necessario raccogliere le misure di tutti i microfoni ed elaborarle complessivamente. Questo può essere problematico in applicazioni real time, e complicare l’implementazione di array wireless, che non possono utilizzare un algoritmo di calcolo distribuito: ogni nodo deve trasmettere la propria misura all’unità di elaborazione, con conseguente aumento dei tempi di calcolo.

I sensori acustici costituiscono un’alternativa agli array di microfoni. Sono stati sviluppati dei sensori detti AVS (acoustic vector sensor), formati da un sensore acustico 3D e da un microfono omnidirezionale. Questi dispositivi sono intrinsecamente a banda larga: l’unico limite è costituito dalla risposta in frequenza dei singoli sensori che li compongono. Possono quindi essere utilizzati per applicazioni su un ampio intervallo frequenziale (ad esempio la banda audio).

La misura di un AVS in un punto consente di ricavare la DOA. Tuttavia, per determinare anche la distanza del sensore dalla sorgente acustica, e quindi poter individuare la posizione della sorgente, servono (almeno) due AVS spazialmente distribuiti. Pertanto si ricorre spesso all’utilizzo di array di AVS, che però, a differenza degli array di microfoni, possono essere estremamente compatti. Poiché l'AVS misura gli angoli di incidenza di un suono, un piccolo errore nell'orientamento degli elementi del sensore può causare un errore significativo nella misura della DOA: è quindi richiesta un’accurata calibrazione direzionale. Un algoritmo appositamente sviluppato per i sensori AVS consente di discernere le componenti della velocità misurata e ricavare la DOA.

Sono stati confrontati i risultati delle misure di localizzazione di una sorgente sonora ottenuti con un array di microfoni con quelli ottenuti con un array di AVS. Questo confronto ha evidenziato come, per frequenze abbastanza elevate, l’array di microfoni sia affetto da aliasing spaziale; in tali condizioni, l’array di AVS ha mostrato un’accuratezza delle misure migliore [15, 16].

Il ritardo nella risposta è determinato dallo specifico algoritmo; tuttavia, i sensori di velocità acustiche possono implementare algoritmi di calcolo distribuito e trasmettere dati già parzialmente elaborati [4, 17]. Questo li rende idonei all’impiego in applicazioni real time.

Particolarmente interessante è l’utilizzo di array di AVS per applicazioni alle basse frequenze, dove, come detto, gli array di microfoni presentano problemi di ingombro. Sono state eseguite misure per applicazioni atmosferiche nel campo dell’infrasuono con array di AVS, comparate con quelle di normali array di microfoni che utilizzano la tecnica di beamforming [18]. Quest’ultimi hanno il problema di necessitare di dimensioni molto grandi per l’uso a tali frequenze (fino a 3 𝐾𝑚); gli array di AVS, invece, hanno dimensioni contenute senza perdere in risoluzione nella stima della DOA.

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Le dimensioni ridotte, rendono gli array di AVS adatti anche all’impiego come sonar passivi per il monitoraggio sott’acqua, dove risulta complicato installare array ingombranti e si possono dover eseguire misure sia nel campo degli infrasuoni che in quello degli ultrasuoni.

In definitiva, il sostanziale vantaggio degli array di AVS è quello di poter operare su larga banda ed essere adatti ad applicazioni real time. Questo li rende potenzialmente utilizzabili in un’ampia gamma di applicazioni come reti di sensori distribuiti per il monitoraggio ambientale (ad esempio per la rilevazione di navi o aerei, unitamente ai radar). In questi ambiti potrebbero essere preferibili agli array di microfoni che, dati i limiti di banda, possono in realtà dover essere divisi in più array per monitorare fenomeni a frequenze diverse (anche array molto ingombranti, nel caso di frequenze basse). Nel caso degli AVS è invece sufficiente un unico array compatto per coprire un’ampia banda frequenziale.

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Capitolo 2

Sensori APV

2.1 Introduzione

Nel capitolo precedente è stato introdotto il sensore di velocità acustiche Microflown. Sono stati inoltre presentati dei potenziali ambiti nei quali questo tipo di sensore può trovare applicazione.

Tuttavia, il Microflown presenta dei limiti che lo rendono inutilizzabile in molti contesti. I limiti principali sono:

 la fragilità della struttura, dovuta all’utilizzo di fili relativamente lunghi (indicativamente 1 𝑚𝑚), sospesi su una cavità realizzata nel substrato. Questo aspetto, seppur migliorato negli anni, rimane tutt’oggi deficitario;

 l’elevato costo di produzione. Questo è dovuto principalmente all’utilizzo di materiali e tecnologie dedicate, che rendono la fabbricazione incompatibile con i processi microelettronici standard.

Un sensore di velocità delle particelle acustiche alternativo al Microflown, basato sullo stesso principio di trasduzione termica, è stato recentemente sviluppato presso l’Università di Pisa, sotto il nome di sensore APV (acoustic particle velocity) [19, 20]. L’idea che ha portato al suo sviluppo è stata quella di realizzare un sensore di velocità delle particelle acustiche completamente CMOS compatibile. Questo costituisce potenzialmente un grande vantaggio rispetto al Microflown, in quanto:

 consente di ridurre i costi di fabbricazione, almeno per volumi produttivi abbastanza elevati;

 consente di integrare sullo stesso chip il sensore e l’elettronica di lettura ed amplificazione del segnale. Questo permette di migliorare la robustezza verso i disturbi e le interferenze elettromagnetiche esterne, aspetti che possono essere molto critici, date le piccole ampiezze dei tipici segnali in uscita dai sensori di velocità acustiche;

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 apre a possibilità tecnologiche precluse al Microflown, quale, ad esempio, l’implementazione on chip di un sensore APV e di un microfono MEMS CMOS compatibile, per realizzare una sonda p-u estremamente compatta e comprensiva dell’elettronica di lettura ed elaborazione.

Inoltre, grazie all’implementazione di opportuni accorgimenti tecnologici, il sensore APV risulta essere strutturalmente più robusto del Microflown.

I sensori APV sono realizzabili con tecnologie microelettroniche standard seguite da semplici passi aggiuntivi, in fase di post processing, basati su attacchi anisotropi dell’ossido di silicio e del substrato di silicio, necessari per isolare termicamente i fili, che costituiscono la parte attiva del sensore, dal substrato. Questo metodo è comunemente utilizzato in ambito MEMS per la fabbricazione di parti sospese.

L’impiego di tecnologie microelettroniche permette di realizzare dei fili di piccole dimensioni e, quindi, dalla ridotta massa termica: questo migliora la risposta in frequenza del sensore.

Naturalmente, rendere il progetto CMOS compatibile pone dei vincoli sulla scelta dei materiali da utilizzare e sulle dimensioni geometriche della struttura, che devono essere tali da rendere gli attacchi nella fase di post-processing compatibili con il chip precedentemente fabbricato dalla foundry.

2.2 Principio di funzionamento

I sensori APV si basano sullo stesso principio di trasduzione descritto nel capitolo 1.

Due fili elettricamente conduttori, spazialmente disposti in parallelo, sono sospesi sopra ad una cavità ricavata nel substrato; si trovano pertanto immersi in un fluido (tipicamente l’aria), dove si propaga l’onda acustica da rilevare.

Viene imposta una differenza di potenziale elettrico ai capi dei fili: questa induce un flusso di corrente elettrica attraverso i fili stessi, che vengono così riscaldati per effetto Joule. I fili sono nominalmente identici e polarizzati nelle stesse condizioni; quindi, per simmetria, si portano alla stessa temperatura statica (dell’ordine di qualche centinaio di gradi centigradi). La resistenza elettrica dei fili è funzione della temperatura: se questi si trovano ad una temperatura 𝑇 per effetto del riscaldamento, la loro resistenza può essere calcolata come:

𝑅𝑇(𝑇) = 𝑅0[1 + 𝛼(𝑇 − 𝑇0) + 𝛽(𝑇 − 𝑇0)2] (2.1)

dove 𝛼, 𝛽 sono i TCR rispettivamente di primo e secondo ordine, e 𝑅0 è la resistenza alla temperatura di riferimento 𝑇0 (tipicamente coincidente con la temperatura ambiente:

𝑇0 = 298.15 𝐾). Dato che, per i conduttori utilizzati nei sensori APV proposti, il TCR di primo ordine ha segno positivo e quello di secondo ordine, negativo, ha un valore modesto, la

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Figura 2.1: distribuzione di temperatura nell’intorno dei fili, rappresentati in sezione. 𝛥𝑇 è l’incremento della temperatura media del filo rispetto alla temperatura ambiente.

resistenza è una funzione crescente della temperatura, almeno nell’intervallo delle temperature di interesse.

I due fili sono posti ad una distanza di qualche micron/decine di micron, in modo che siano termicamente interagenti tra loro.

In assenza di sollecitazioni acustiche, la distribuzione statica dell’aria intorno ai fili è rappresentata dalla linea continua di figura 2.1. Si osservi come, in queste condizioni, la distribuzione di temperatura sia simmetrica.

La presenza di un moto delle particelle acustiche lungo 𝒙̂ provoca un trasferimento di calore convettivo nella stessa direzione, che altera la distribuzione della temperatura dell’aria intorno ai fili. In questo stato perturbato, rappresentato dalla linea tratteggiata di figura 2.1, i due fili sono a contatto con aria a temperatura diversa: si instaura così una differenza di temperatura 𝛿𝑇 tra i fili stessi. Questa differenza di temperatura provoca una variazione della resistività dei fili (tramite il TCR dei materiali che li compongono) ad essa proporzionale.

La perturbazione di temperatura 𝛿𝑇, data la piccola entità dei segnali acustici che la provocano, può essere considerata come una piccola variazione rispetto alle condizioni statiche; allo stesso modo può essere trattata la corrispondente variazione di resistenza dei fili, 𝛿𝑅, che è pertanto esprimibile linearizzando l’equazione (2.1):

𝛿𝑅 = 𝑅0[𝛼 + 2𝛽(𝑇 − 𝑇0)]𝛿𝑇 (2.2)

Questa può essere sommata al valore statico della resistenza (riscaldata) per ottenere il valore complessivo della resistenza dei fili a fronte della perturbazione acustica:

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dove la presenza di entrambi i segni indica che la resistenza può essere incrementata o ridotta a seconda del verso del flusso; infatti, per simmetria, quando la resistenza di un filo subisce un incremento 𝛿𝑅 rispetto al valore statico, quella dell’altro filo viene decrementata della stessa quantità.

Se il flusso di aria è una funzione oscillante, come è quello indotto da un’onda acustica, il profilo surriscaldato di aria oscilla avanti e indietro tra i fili, e così anche la differenza di temperatura tra di essi sarà una funzione oscillante alla stessa frequenza dell’onda acustica che l’ha provocata.

Il risultato netto è che dalla misura della variazione di resistenza si può risalire alla velocità istantanea locale del flusso di aria. Questo principio, noto da molto tempo, è utilizzato in alcune categorie di flussimetri termici per misurare l’intensità e la direzione di flussi statici o lentamente variabili. La riduzione dei fili su scala micrometrica, con conseguente riduzione della loro massa termica, ha aperto alla possibilità di estendere questo principio di trasduzione a frequenze più alte, quali quelle della banda audio.

Le variazioni di resistenza possono facilmente essere messe in relazione ad una tensione elettrica, che costituisce l’uscita del sensore, con un opportuno circuito elettronico. La soluzione circuitale proposta sarà presentata nel paragrafo 2.5.

2.3 Limite di rivelazione

La sensibilità ed il rumore elettrico concorrono a determinare il minimo segnale rilevabile dal sensore, cioè la minima velocità delle particelle acustiche che questo è in grado di riconoscere. Il minimo segnale rilevabile, detto limite di rivelazione, è definito come l’ampiezza rms della velocità delle particelle, 𝑢𝑚𝑖𝑛, per la quale il SNR è unitario. Detto 𝑣𝑛 il rumore rms totale

(riferito all’uscita del sensore) nella banda frequenziale di interesse, il limite di rivelazione del sensore risulta:

𝑢𝑚𝑖𝑛 = 𝑣𝑛

𝑆 (2.4)

essendo 𝑆 è la sensibilità del sensore, data dal rapporto tra la tensione di uscita del sensore e l’ampiezza della velocità delle particelle che l’ha prodotta:

𝑆 =𝑣𝑜𝑢𝑡

𝑢𝑖𝑛 (2.5)

In generale, né la sensibilità né il rumore sono costanti in frequenza. Pertanto, anche il limite di rivelazione del sensore è funzione della frequenza.

L’equazione (2.4) evidenzia l’importanza di massimizzare la sensibilità e ridurre il rumore. La sensibilità rappresenta uno degli aspetti più critici per i sensori di velocità acustiche, data la piccola ampiezza delle tipiche velocità delle particelle acustiche. Misure sperimentali

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realizzate su una delle ultime realizzazioni del sensore APV [20] hanno mostrato come la massima sensibilità, cioè quella valutata in corrispondenza della frequenza per la quale il sensore è massimamente sensibile, sia 𝑆 ≈ 10−3𝑉𝑠/𝑚; con il livello di rumore rms misurato sperimentalmente in corrispondenza della stessa frequenza, il limite di rivelazione, ricavabile dalla (2.4), risulta 𝑢𝑚𝑖𝑛 ≈ 4 ⋅ 10−4𝑚/𝑠. Questo corrisponde ad un’intensità acustica di

78 𝑑𝐵SIL, valore decisamente più grande di quello necessario per rendere utilizzabile in

sensore nelle applicazioni pratiche. A titolo di esempio, l’intensità acustica di una conversazione a distanza ravvicinata si aggira sui 60 𝑑𝐵SIL, come riportato in tabella 1.1.

Affinché il sensore possa essere effettivamente utilizzabile è necessario migliorarne il limite di rivelazione. Questo significa:

 ridurre il rumore elettrico prodotto dal sensore. A questo proposito sono state eseguite delle misure sugli ultimi campioni del sensore APV per caratterizzarne il rumore. Queste saranno riportate nel capitolo 3;

 aumentare la sensibilità del sensore. Dati i bassi valori di sensibilità riscontrati è necessario dimensionare accuratamente i parametri del sensore. Va inoltre considerato il fatto che la sensibilità dipende dalla frequenza: dovrà pertanto essere massimizzata in corrispondenza delle frequenze di interesse. Al fine di valutare come i diversi parametri liberi influenzino la risposta del sensore, sono state sviluppate delle simulazioni numeriche i cui risultati saranno presentati nel capitolo 4.

2.4 Realizzazione tecnologica

I fili, costituenti la parte attiva del sensore APV, sono stati realizzati in polisilicio, materiale che presenta delle buone proprietà meccaniche. Per aumentare il TCR del materiale, e quindi incrementare la variazione di resistenza a parità di variazione di temperatura (si veda l’equazione (2.2)), il polisilicio è stato siliciurizzato. Per le versioni del sensore APV fin qui realizzate si è fatto uso del processo tecnologico BCD6s di STMicroelectronics, che rende disponibile il siliciuro di titanio.

Alla fine della fabbricazione del sensore, i fili devono essere sospesi sopra uno scavo realizzato nel substrato di silicio e separati tra loro da un gap di aria.

I fili del sensore non vengono in realtà realizzati monoliticamente, ma sono composti da più sezioni connesse tra loro. Ogni sezione è costituita da una serie di segmenti che, sospesi sopra la cavità, formano dei cantilever a forma di U. La divisione dei fili in segmenti più piccoli permette di:

 facilitare la fase di post processing, riducendo i tempi di attacco necessari per aprire le cavità;

 migliorare la robustezza della struttura, permettendo comunque di ottenere un valore di resistenza del filo relativamente grande.

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Figura 2.2: foto al microscopio ottico dei cantilever che costituiscono i fili del sensore prima dell’apertura della buca nel substrato.

La parte attiva del sensore è dunque costituita da più segmenti di polisilicio, elettricamente connessi da linee di alluminio (metal 1). I fili di polisilicio e le interconnessioni di alluminio, sono ricoperti da degli strati dielettrici (ossido di silicio), che migliorano la stabilità strutturale e facilitano la realizzazione tecnologica.

In figura 2.2 sono ben visibili i cantilever prima dell’attacco del substrato di silicio (quindi non ancora sospesi). Sono in realtà visibili solo i rivestimenti dielettrici esterni: le metal sono immerse negli ossidi che costituiscono i bracci laterali di sospensione, mentre i tratti di polisilicio, anch’essi circondati dagli ossidi, sono disposti ortogonalmente alle metal.

Per permettere ai fili di riscaldarsi, una parte del substrato (sottostante ai fili) viene rimossa dalla parte frontale del chip nella fase di post-processing. Questo metodo, comunemente utilizzato nelle tecniche di micromachinig del silicio, permette di realizzare parti sospese con qualche semplice passo in coda al regolare processo della foundry.

In figura 2.3 sono rappresentati schematicamente i passi della fase di post-processing. A partire dal chip realizzato dalla foundry:

a. vengono deposti degli strati di photoresist, che delimitano le aree attive del sensore, sotto le quali verranno aperte delle cavità;

b. vengono rimossi gli strati dielettrici attorno ai fili del sensore. Questa prima apertura è necessaria per poter successivamente accedere al substrato; inoltre, rimuovere una parte del dielettrico intorno ai fili, riduce l’inerzia termica della struttura di sensing. L’apertura del dielettrico è realizzata con attacchi anisotropi in plasma di tetrafluoruro di carbonio (𝐶𝐹4) mediante tecnica RIE (reactive ion etching). L’attacco è selettivo verso l'alluminio; per questo motivo, sono stati previsti dei layer di metal 2, fabbricati dalla foundry, sopra ai fili, che costituiscono una maschera (ad alta risoluzione) per la parte attiva del sensore durante l’attacco del dielettrico;

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Figura 2.3: rappresentazione schematica dei passi della fase di post-processing.

c. vengono rimosse le metal 2 (con un attacco selettivo nei confronti dell’ossido) e, quindi, gli strati di photoresist. Infine, si esegue un attacco anisotropo in soluzione di idrossido di tetrametilammonio (TMAH), che lascia esposte le superfici di silicio parallele ai piani cristallini (111). Questo attacco è CMOS compatibile e selettivo verso l'alluminio e l’ossido: non sono quindi necessarie maschere aggiuntive.

Ulteriori dettagli sulla realizzazione tecnologica sono disponibili in [19].

In figura 2.4 è mostrata una scansione SEM dei cantilever dopo la fase di post processing.

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2.5 Versioni del sensore

2.5.1 Prima versione

Nella prima realizzazione del sensore APV [19], i fili sono stati divisi in cinque segmenti. Nella fotografia al microscopio ottico riportata in figura 2.2, relativa a questa versione del sensore, sono visibili i cinque cantilever che costituiscono un singolo filo, di fronte ai quali sono disposti, simmetricamente e sopra la stessa cavità, i cantilever che formano l’altro filo. Quindi, ciascuna sezione di un filo è termicamente accoppiata con la corrispondente dell’altro filo. Sono distinguibili due cavità, ognuna delle quali contiene una coppia di fili termicamente interagenti. Queste due coppie di fili costituiscono altrettanti sensori di velocità acustiche, sensibili a velocità delle particelle lungo direzioni ortogonali.

La singola coppia di fili è disposta sui rami opposti di un ponte di Wheatstone (in configurazione half bridge), sulla cui diagonale viene prelevata una differenza di tensione proporzionale alla variazione di resistenza dei fili: 𝑣𝑜𝑢𝑡 ∝ 𝛿𝑅.

I segmenti di polisilicio di ciascun cantilever hanno una resistenza nominale di 160 𝛺 e sono elettricamente connessi in serie a formale il singolo filo che, pertanto, avrà una resitenza di 800 𝛺. La connessione in serie consente di ottenere una resistenza del filo maggiore rispetto a quella della singola sezione, con conseguente aumento di 𝛿𝑅 (si veda l’equazione (2.2)) e, quindi, di 𝑣𝑜𝑢𝑡. Migliora così la sensibilità del sensore ed anche il suo SNR, dal momento che l’incremento di resistenza fa aumentare la tensione di uscita più di quanto non faccia aumentare il rumore termico. Inoltre, l’aumento del segnale di uscita rende meno critica la successiva amplificazione del segnale stesso. Di contro, la soluzione con più sezioni in serie aumenta il consumo di area e richiede una maggior tensione di polarizzazione per portare i fili alla temperatura di lavoro; le tensioni necessarie per polarizzare questa versione del sensore sono dell’ordine delle decine di volt.

2.5.2 Seconda versione

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