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Le passioni nel corpo. Alienismo, fisiognomica e patognomica nella prima metà del XIX secolo.

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Indice

Introduzione...>> p. 3

1 La nascita dell'alienismo...>> p. 11

1.1 Pinel e il circolo degli Idéologues...>> p. 12

1.2 L'osservazione dei sintomi e la disputa sulle cause organiche della follia...>> p. 14

1.3 Il trattamento morale e le sue radici religiose...>> p. 20

1.4 Il trattamento morale: una nuova antropologia tra scienza e politica...>> p. 25

1.5 La nascita del manicomio...>> p. 30

1.6 Dall'isolamento cellulare ai primi tentativi di socializzazione nel manicomio...>> p. 39

1.7 Crisi dell'istituzione manicomiale e i primi tentativi di riforma...>> p. 46

2 La monomania...>> p. 55

2.1 La monomanie ambitieuse e la critica alla civilizzazione...>> p. 58

2.2 Il dibattito medico-legale sulla monomania...>> p. 65

2.3 Il declino della monomania: la nascita di una nuova concezione dell'alienato...>> p. 82

3 L'alienismo e la rappresentazione delle passioni tra fisiognomica e patognomica....>> p. 106

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3.2 L'eredità di Le Brun e la fisiognomica nel Settecento...>> p. 112

3.3 La disputa sulla fisiognomica tra Lavater e Lichtenberg ...>> p. 122

3.4 Il ritratto clinico del folle nel movimento alienista...>> p. 132

3.5 Géricault e la rappresentazione della monomania...>> p. 147

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Introduzione

La nascita dell'alienismo alla fine del XVIII secolo fu una vera e propria cesura nella concezione della follia. Per tutta l'età moderna, il folle era stato giudicato da due prospettive differenti senza che queste si potessero mai incontrare: da una parte vi era un approccio medico che considerava i disturbi psichici come una malattia fisica e che li spiegava e li curava secondo i principi della teoria degli umori; dall'altra vi era invece una visione religiosa che riteneva la perdita della ragione un frutto della perversione morale. Essa andava allora curata tramite tutte quelle pratiche di espiazione del peccato perché l'insensato non era un individuo malato ma possedeva uno spirito corrotto da rigenerare. L'assorbimento della follia da parte del sapere alienista costituì una specie di sintesi di queste due prospettive in cui vennero modificati molti aspetti sia dell'una che dell'altra. Le cause prossime di un tale cambiamento devono essere rintracciate nelle scoperte della fisiologia e dell'anatomia e nelle nuove tendenze dell'antropologia del Settecento: i tentativi di spiegare l'uomo esclusivamente sul piano organico-naturale, spinse a considerare anche i fenomeni spirituali come processi fisiologici e non più come manifestazioni di un'entità immateriale. Da questo punto di vista, Cabanis1 riuscì a costruire una teoria che divenne un punto di riferimento fondamentale per i primi alienisti: attraverso un'interpretazione unitario-materialista dell'essere umano, egli affermava che le moral, ossia l'insieme delle facoltà intellettive ed affettive, e le physique, ossia il sostrato organico dell'uomo, erano della stessa natura e funzionavano in base alle stesse leggi. Si veniva dunque ad eliminare la dicotomia tra anima e corpo per dichiarare un'unità nella quale si esprimevano diverse funzioni di ordine fisico e morale. Partendo da questi presupposti, Pinel, il primo alienista della storia, pensò la follia come un'alterazione delle passioni e la chiamò alienazione mentale. Ritenere le affezioni morali un fenomeno naturale gli permise inoltre di sollevare la sua teoria da qualsiasi connotazione di carattere religioso. Nonostante ciò, il giudizio morale rimaneva ma assumeva un significato differente: la Rivoluzione francese aveva posto la filantropia illuminista alla base delle proprie riforme; secondo i suoi principi l'alienato era visto come un uomo malato che doveva essere soccorso e

1 Pierre Jean George Cabanis (1757-1808) fu uno degli esponenti di maggior rilievo del circolo degli Idéologues. La sua teoria antropologica di stampo prettamente materialista ebbe molta influenza sia in ambito medico sia nelle nuove modalità di organizzazione del sistema ospedaliero particolarmente durante e dopo la Rivoluzione francese. Per un quadro generale del suo pensiero cfr. S. Moravia, Il pensiero degli Idéologues, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1974.

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soprattutto liberato dal trattamento inumano a cui era stato sottoposto fino a quel momento. Infatti, se chi aveva perso la ragione era un peccatore, allora egli non solo doveva essere punito ma la sua condizione era da paragonarsi a quella di una bestia infernale. Così gli insensati venivano spesso incatenati e trattati proprio come degli animali totalmente privi di sensibilità2. Riscoprendo il permanere di una radice umana nel folle e considerandolo non più un peccatore ma un malato, l'alienismo “addolciva” il tipo di trattamento attraverso la tecnica manicomiale3; ma al di là di questo cambiamento, per quanto importante esso sia, le cause dell'alienazione mentale continuavano ad essere riconosciute in fattori di ordine morale che richiamavano spesso i peccati della religione: un'educazione sbagliata, una vita sessuale sregolata, il lusso, la negligenza dei precetti religiosi e molto altro ancora erano ritenuti i motivi principali per cui si poteva arrivare alla perdita del giudizio. Questa continuità era dovuta probabilmente ad una forte compenetrazione tra moralità sociale e moralità religiosa per cui, pur rinunciando all'idea di peccato, non si poteva prescindere da dei valori comuni nel determinare gli elementi scatenanti la patologia mentale. D'altronde, ciò influenzò in modo determinate anche le modalità terapeutiche: l'invenzione del manicomio e del trattamento morale in esso applicato aveva come scopo proprio quello di correggere le devianze individuate nel comportamento di un internato. Almeno in un primo momento, essi funzionavano su due livelli differenti ma fortemente complementari; da una parte vi era la “polizia generale” dell'istituzione che scandiva in modo meticoloso la giornata dei pazienti e imponeva delle regole di condotta tese a far coincidere le azioni e i pensieri di ciascuno ad una norma prestabilita; dall'altra, vi era l'incontro diretto medico-paziente in cui il primo cercava di imporre una direzione alle emozioni e alle idee del secondo per correggerne le incongruenze. Specialmente in quest'ultimo caso, si può riscontrare tra alcune pratiche ecclesiastiche e quelle alieniste una sorta di rapporto genealogico: come il prete si occupava della direzione spirituale dei propri fedeli assolvendo i loro peccati e dando loro consigli affinché non ne commettessero degli altri, così l'alienista si prendeva cura della rettitudine dell'anima dei pazienti. In tutti e due casi la confessione4 assumeva un ruolo fondamentale in quanto era lo strumento attraverso il quale sia il prete che il medico potevano interpretare i 2 Sul rapporto tra animalità e follia cfr. M. Galzigna (a cura di), M. Foucault, Storia della follia nell'età

classica, Bur rizzoli, Milano 2012, pp. 236-262

3 La liberazione dei folli da parte di Pinel fu oggetto di un vero e proprio processo di mitologizzazione; la nuova istituzione manicomiale, infatti, venne pensata dai suoi promotori come la massima espressione della filantropia e di una nuova libertà donata agli insensati. In realtà, attraverso il manicomio si veniva a stabilire, in forme nuove e quasi invisibili, un altro tipo di tutela sugli internati non meno vincolante delle varie tipologie di reclusione precedenti. Per un quadro generale sul mito di Pinel e sul suo presunto gesto liberatore cfr. G. Swain, Le sujet de la folie, Privat, Toulouse 1977.

4 Sulla centralità della confessione nella pratica psichiatrica e sul suo rapporto con quella ecclesiastica cfr. M. Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 2010, particolarmente il capitolo III.

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dati forniti dall'interrogato e dirgli la verità su se stesso. Si veniva dunque a costruire un rapporto asimmetrico su cui era fondato il potere dell'alienista e la dipendenza dell'alienato. Entrambi i livelli descritti, ossia quello del regolamento istituzionale e quello del trattamento morale, tendevano ad una normalizzazione dell'internato per cui la norma era quella moralità della quale abbiamo appena parlato. Con l'affermasi dei grandi manicomi, l'enorme quantità di ricoverati rese praticamente impossibile un rapporto diretto tra il medico ed ogni singolo paziente; la “polizia generale” divenne allora il principale strumento di cura ma anche uno dei primi punti che evidenziò i fallimenti dell'asilo5 e che diede inizio ad un processo di cambiamento della strategia terapeutica: effettivamente, ci si rese conto che quella presa totale sul folle, auspicata da Pinel nel fondare una tale istituzione, veniva meno quando ci si trovasse di fronte esclusivamente ad una regolamentazione generale; bisognava allora introdurre nuovi sistemi per colmare quella lacuna e, a partire dagli anni Quaranta dell'Ottocento, nacquero i primi esperimenti di socializzazione degli internati: se, infatti, non era più possibile seguire singolarmente ogni paziente, allora era necessario creare delle “situazioni” in cui gli alienati dovessero simulare un momento sociale ordinario. Esemplificativo a tal proposito fu l'esperimento di Leuret che organizzò un banchetto per gli internati durante il quale essi stessi dovevano occuparsi della distribuzione del cibo e delle bevande senza l'intervento degli inservienti. Permettere agli alienati di vivere una situazione conviviale, quasi non fossero in manicomio, aveva come scopo preciso non tanto quello di stimolare le capacità di socializzazione ma quanto quello di dettare una regolarità nel comportamento: ad esempio, tutta la gestualità legata allo svolgersi di un banchetto, costituiva una possibilità per gestire in modo meticoloso l'atteggiamento dei commensali. Queste simulazioni, se da una parte tendevano a riavvicinare l'internato alla società, dall'altra non riuscirono mai a riprodurre la complessità dei rapporti sociali. Ciò comportò una frattura tra il tipo di socialità interna e quella esterna al manicomio per cui, invece di agevolare la reintegrazione, si venne a costruire una comunità di folli che si gestiva secondo regole proprie. Se dunque si recuperava sul terreno del controllo dei pazienti, l'istituzione asilare cominciava a fallire nella sua funzione principale destinando molti dei suoi abitanti all'incurabilità. Con la consapevolezza di queste debolezze, negli anni Sessanta dell'Ottocento, si aprì un dibattito sulla funzionalità del sistema manicomiale e si riconobbe la necessità di una riforma tesa a stabilire una maggiore osmosi con il mondo esterno soprattutto attraverso un ammorbidimento della tecnica dell'isolamento. Il riconoscimento del fallimento dell'asilo, almeno così come era stato concepito agli albori dell'alienismo, derivava anche da un cambiamento del codice teorico: infatti, alla metà del 5 Il termine asylum fu introdotto dall'alienista Esquirol, allievo di Pinel, per indicare l'istituzione manicomiale.

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secolo, soprattutto con Falret e Morel, si era passati da un approccio sintomatologico della malattia mentale ad uno eziologico. Pinel aveva concepito i sintomi come la manifestazione diretta delle cause dell'alienazione; ciò voleva dire che le passioni alterate alla base di una certa forma di follia erano rilevabili direttamente dal loro effetto visibile sull'organismo. Inoltre, la differenza tra lo stato normale e quello patologico di una determinata affezione morale non era una questione di natura bensì una questione di intensità; così si diventava folli per eccesso o per difetto di passione e questo poneva un problema nel tracciare una linea di demarcazione netta tra la condizione ordinaria della sfera affettiva e quella morbosa. Una tale visione della follia stabiliva dunque una continuità tra l'uomo sano e l'alienato e una prossimità i cui confini erano molto labili. Tenendo conto di questi elementi, la categoria nosografica della monomania fu la migliore espressione della teoria alienista: elaborata da Esquirol, essa indicava una condizione patologica per la quale un individuo delirava esclusivamente su un solo oggetto o una serie di oggetti mentre su tutto il resto egli era in grado di ragionare perfettamente. Normalità e follia arrivavano quindi ad essere compresenti in un unico soggetto mettendo in risalto quella continuità di cui si è appena detto. Per comprendere ancora meglio le modalità attraverso cui si arrivò a concepire questa forma di alienazione non si può prescindere da come l'allievo di Pinel pensava il funzionamento del delirio. Nella sua tesi di dottorato del 1805, egli aveva affermato che alla radice di ogni alienazione vi era un'idea-madre dalla quale derivavano tutti i ragionamenti e le idee false: partendo da questo concetto, è possibile che in seguito abbia concepito una forma di delirio limitata esclusivamente alla sola idea dominante.

Per le sue stesse caratteristiche, la monomania fu al centro di un vero e proprio dibattito pubblico e sollevò molte polemiche specialmente in sede legale: l'apparente normalità dei monomani e la difficoltà nel riconoscerli come tali, furono oggetto di uno scontro aspro tra giudici ed alienisti sulla possibilità che si potesse invocare questo tipo di disturbo psichico per sollevare un imputato dalle proprie responsabilità. A partire da queste discussioni nei tribunali si arrivò ad una critica della categoria esquiroliana anche all'interno del movimento alienista. Ed è proprio su questo punto che si viene a porre un legame forte tra critica alla monomania, fine dell'approccio sintomatologico e primi tentativi di riforma del manicomio. Come si è visto, per i primi alienisti l'individuazione del sintomo coincideva con l'individuazione delle cause, ossia delle passioni alterate; ora, per Falret e soprattutto per Morel con la sua teoria delle degenerescenze, l'alterazione della sfera passionale e le sue manifestazioni sulla superficie corporea divenivano i sintomi di tutta una serie di fattori patogeni che andavano dall'ereditarietà agli influssi dell'ambiente sociale e culturale in cui era vissuto un certo

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individuo6. La morbosità delle affezioni morali, quindi, diventava una causa prossima dell'alienazione e il punto di applicazione della terapia si allargava a tutta una serie di elementi considerati importanti nella determinazione dello stato patologico. Fino a quel momento ci si era limitati ad analizzare le passioni e le idee alla base del delirio e a seconda della loro tipologia si era stabilita una classificazione e una strategia terapeutica; con il nuovo approccio, questo non era più sufficiente ed era necessario andare ad intervenire nello stesso ambiente familiare degli individui per imporre uno stile di vita che eliminasse tutte le minacce potenziali alla salute mentale. I soggetti allora non venivano più analizzati esclusivamente dal punto di vista del loro disturbo psichico ma si cercava di investire la totalità della loro esistenza. Ciò influenzò inevitabilmente l'organizzazione stessa del sistema asilare sia perché l'attività profilattica assumeva un ruolo fondamentale e bisognava dunque guardare al di là delle mura manicomiali sia perché le modalità di funzionamento del manicomio così come erano state concepite fino a quel momento non erano più adatte alla nuova concezione dell'alienazione mentale; Pinel ed Esquirol, infatti, avevano considerato le varie forme di follia come delle specie distinte di un'unica patologia in quanto alla loro radice vi era come unica causa un'alterazione delle facoltà affettive ed intellettive. Una tale impostazione aveva permesso l'unità dello spazio ospedaliero al cui centro si poneva l'alienista che fungeva da vero e proprio motore dell'intero apparato. Quando si frantumò l'unità della causa per mettere in gioco diversi fattori patogeni le cui molteplici combinazioni determinavano il tipo di alienazione, anche l'unità spaziale del manicomio implose e i suoi reparti divennero simili a quelli di qualsiasi altra clinica in cui le strategie terapeutiche erano differenziate a seconda dell'origine della patologia da curare. L'alienista perdeva dunque il suo ruolo di unica forza motrice dell'intero sistema e il trattamento morale non aveva più la sua compattezza per diversificarsi in una serie di pratiche differenti.

Il nuovo approccio eziologico distrusse inevitabilmente anche la categoria della monomania: se l'alienazione non era il frutto diretto dell'alterazione di una o più passioni ma di tutta una serie di elementi che riguardavano la totalità del soggetto, diventava impensabile qualsiasi compresenza di normale e patologico all'interno di uno stesso individuo. D'altronde era cambiato radicalmente anche il modo di concepire il delirio; la malattia veniva ora considerata da un punto di vista diacronico e ogni fase del suo sviluppo consisteva in un certo grado di organizzazione delle idee deliranti. Come si è visto, Esquirol aveva affermato che l'atto del 6 Quando si parla del passaggio da un approccio sintomatologico ad uno eziologico non si intende dire che i primi alienisti trascurarono completamente alcuni fattori come l'ereditarietà o che non si interessarono agli influssi di un certo ambiente sociale sull'organismo; leggendo soprattutto i testi di Esquirol, infatti, si può scoprire come i riferimenti a questi elementi siano molto frequenti. Nonostante ciò, essi rimasero marginali rispetto alla centralità delle cause morali individuate per l'appunto in un'alterazione della sfera affettiva.

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delirare era tutto costruito intorno ad un'idea-madre a sua volta indotta da un disturbo della sfera affettiva; per Falret e Morel, invece, all'inizio della malattia i contenuti ideativi erano tutt'altro che organizzati: si partiva infatti da uno stato di confusione seguito da una progressiva sistematizzazione del pensiero per cui soltanto alla fine di un tale processo si poteva individuare una sorta di gerarchia delle idee secondo la quale si distinguevano delle ossessioni dominanti ma non esclusive. Insomma, quello che Esquirol aveva pensato all'origine dell'alienazione era in realtà soltanto l'ultimo stadio di un lungo processo. Inoltre, nel momento in cui si negava un'idea-madre alla base del delirio, si dichiarava allo stesso tempo anche l'impossibilità di una follia parziale come la monomania: l'alienazione comportava la creazione di un intero mondo immaginario in cui alcune idee ricorrevano in maniera più frequente ed erano per questo più visibili; ma in realtà esse nascondevano tutta una serie di deliri secondari che erano altrettanto necessari nell'economia del nuovo universo inventato dal folle. Così non vi era più continuità tra lo stato di normalità e quello alterato e nel passaggio da uno all'altro un individuo si trasformava radicalmente piegando tutto il suo essere a nuove logiche e ad una nuova sensibilità. Attraverso la critica della monomania, dunque, si metteva ben evidenza un cambiamento nella visione antropologica del movimento alienista; d'altronde se un tale tipo di patologia era stato concepibile, ciò era stato possibile perché le varie facoltà dell'uomo erano state pensate come relativamente autonome e quindi passibili di lesioni localizzate. Falret e Morel, al contrario, considerarono la loro divisione puramente astratta e, nei processi reali della psiche, ogni sua parte condizionava inevitabilmente anche tutte le altre: in questo modo un'alterazione dell'istinto, delle affezioni morali o dell'intelligenza non sarebbe potuta rimanere limitata alla sua sfera d'afferenza ma avrebbe condizionato inevitabilmente anche tutte le altre.

La categoria nosografica della monomania ci apre lo sguardo anche sul rapporto tra l'alienismo e la rappresentazione grafica delle passioni: i cinque monomaniaci dipinti da Théodore Géricault e commissionati quasi sicuramente dall'alienista Georget sono un celebre esempio di quanto il ritratto degli alienati fosse a tutti gli effetti uno strumento di analisi. Probabilmente utilizzati a scopo esemplificativo durante le lezioni che solitamente si tenevano all'interno del manicomio, essi portano nella loro espressione tutta quella ambiguità tra normalità e follia di cui si è appena discusso. Ma se si osservano meglio i loro volti e si confrontano con le descrizioni fisiognomiche riportate nei testi e riguardanti la monomania, si possono notare degli elementi che comunicano lo stato di alterazione dei soggetti. Essi senza dubbio sfuggivano ad un occhio profano; eppure per gli alienisti uno sguardo obliquo ed assorto, i muscoli del viso leggermente tesi e la bocca piegata verso il basso alle sue estremità

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divenivano segnali preziosi per individuare il tipo di alienazione mentale. Se i dipinti di Géricault sono l'esempio più conosciuto di quello che potremmo definire un ritratto clinico della follia, sicuramente non fu l'unico. Già Pinel nel suo Traité médico-philosophique sur

l'aliénation mentale ou la manie aveva inserito delle tavole in cui attraverso le illustrazioni

voleva dimostrare come le malformazioni craniche influissero negativamente sul corretto sviluppo dell'organo cerebrale e come portassero all'idiotismo. Esquirol fece un uso più sistematico dei ritratti e li utilizzò per veicolare i tratti salienti di una certa categoria nosografica: egli voleva creare attraverso delle litografie dei veri e propri tipi in cui si potessero riscontrare visivamente i diversi sintomi e costruire in questo modo un vero e proprio archivio grafico dell'alienazione mentale. La cosa più interessante sta nel fatto che, in una tale operazione, le modalità di rappresentazione non furono esclusivamente dettate dalla teoria alienista ma esse ebbero un debito enorme nei confronti della tradizione artistica e filosofica. Considerando le passioni alterate la causa principale dell'alienazione, la loro raffigurazione tramite specifici tratti del viso e del corpo non poteva prescindere dalla codificazione visiva elaborata nei due secoli precedenti e ancora ampiamente utilizzata per rappresentare la sfera emotiva. Analizzando le tavole del Des maladies mentales di Esquirol e alcune di quelle riportate nei suoi articoli nel Dictionnaire des sciences médicales, infatti, si può notare come gli artisti che le disegnarono si ispirarono a Le Brun7 la cui teoria divenne un punto di riferimento fondamentale per chiunque si accingesse a raffigurare un determinato stato d'animo. Inoltre, pensare di riuscire a determinare i movimenti dell'anima attraverso l'osservazione della superficie corporea inserivano l'alienismo nel solco di quella tradizione patognomica di cui Lichtenberg8 era stato uno degli ultimi esponenti più autorevoli. La sua opposizione alla fisiognomica di stampo lavateriano si basava sulla convinzione che il carattere dell'uomo e le sue inclinazioni si formassero innanzitutto sotto l'influenza di una determinata esperienza di vita e di un determinato contesto storico. Questi fattori lasciavano sul corpo dei segni manifesti ma essi non erano per nulla riferibili ad una costituzione primitiva di un individuo. Per tale motivo, tramite l'osservazione della conformazione del corpo e dei suoi movimenti era possibile ricavare, sempre con una certa possibilità di errore, la storia di un soggetto ed individuare quali emozioni stesse provando in un determinato momento. Per Lavater, invece, la forma corporea era la diretta manifestazione dello spirito; essa, dunque, poteva comunicare in modo oggettivo quali fossero le parti costitutive del 7 Charles Le Brun ( 1619-1690) fu un famoso pittore francese che si impegnò particolarmente in una codificazione delle modalità di rappresentazione della sfera emotiva.

8 Georg Cristoph Lichtenberg ( 1742-1799) fu un fisico e filosofo tedesco. Oltre che per le sue teorie scientifiche, viene anche ricordato per la polemica che ingaggiò con Lavater riguardo alla validità della presunta scienza fisiognomica.

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carattere e delle capacità intellettuali e morali di una persona. Se i primi alienisti rifiutarono una tale teoria in favore di un approccio sintomatologico che andasse a rilevare gli elementi patemici nell'espressione del corpo, si continuò comunque a ricercare una corrispondenza precisa tra conformazione organica e tipo di alienazione mentale. Ciò li spinse a tenere in considerazione fattori come il colore e la forma degli occhi e dei capelli, la taglia e soprattutto la struttura ossea in cerca di costanti e leggi generali. Questi studi non si tradussero mai in raffigurazioni dettagliate se non nelle tavole di Pinel di cui si è detto poco sopra e in certe litografie di Esquirol nelle quali erano riportate le misurazioni antropometriche di alcuni crani. Ci si trova quindi di fronte ad un'ambivalenza che, per quanto in maniera asimmetrica, poneva l'alienismo tra la fisiognomica di stampo lavateriano e la patognomica così come pensata da Lichtenberg.

Nei tre capitoli che seguiranno, dunque, verranno trattati in maniera più estesa tutti i passaggi riportati in questa introduzione e si cercherà di dimostrare come la categoria della monomania abbia rappresentato una pietra angolare della teoria alienista almeno fino alla metà del XIX secolo. Infatti, attraverso le sue stesse modalità di funzionamento, essa evidenziava chiaramente sia la fondamentale continuità tra lo stato normale e quello alterato sia la relativa autonomia delle varie facoltà umane. Due elementi che non solo erano costitutivi della concezione antropologica dei primi alienisti ma che erano anche alla base sia dell'approccio sintomatologico sia del trattamento morale. Se si tiene conto di tutto ciò, si possono spiegare le modalità d'organizzazione dell'istituzione manicomiale e l'importanza di creare un archivio grafico dell'alienazione mentale che funzionasse come una raccolta di rappresentazioni visive delle passioni alterate, ossia insieme i sintomi e le cause della follia. Non a caso la critica della categoria esquiroliana rappresentò il primo passo per un cambiamento a livello teorico del modo di concepire la patologia mentale e questo non solo sconvolse completamente il valore del sintomo nella pratica alienista ma ebbe anche forti ripercussioni sulla struttura stessa del manicomio.

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Capitolo I

La nascita dell'alienismo

Nel 1793 a Bicêtre il dottor Philippe Pinel toglieva le catene ai folli; con questo gesto di liberazione si inaugurava una nuova era nel trattamento degli alienati e la nascita di una nuova scienza: l'alienismo9. In questo evento centrale, oggetto di un vero e proprio processo di mitologizzazione, si condensano tutta una serie di significati filosofici e politici il cui peso non può essere trascurato se si cerca di comprendere attraverso quali vie si è arrivati ad una nuova visione della follia: essi, infatti, sono fondamentali per spiegare come, dietro la costruzione di un mito filantropico per cui il pazzo veniva riconosciuto non solo malato ma anche e soprattutto un uomo, la messa a punto di nuovi metodi per la cura dell'alienazione fosse comunque guidata dalla necessità di assoggettare gli alienati per neutralizzare la loro pericolosità sociale. Possiamo dunque dire che non si tolsero le catene agli internati ma si fecero diventare quasi invisibili mettendo in campo strumenti di controllo e manipolazione la cui sintesi si concretizzò nell'istituzione asilare.10 Ma andiamo con ordine. Pinel era arrivato a Parigi nel 1778 dopo essersi laureato in medicina alla facoltà di Montpellier; come la maggior parte dei medici provinciali che arrivavano nella capitale in quel periodo, non ottenne da parte della facoltà locale la certificazione necessaria ad esercitare la professione medica. Nel frattempo un suo caro amico, divorato prima dall'ambizione negli studi e poi dalla disperazione di non poter raggiungere i suoi obiettivi, decise di suicidarsi. Il profondo sconcerto e il senso di impotenza con cui Pinel visse questa esperienza lo spinsero ad occuparsi dell'alienazione mentale e trovò impiego come medico nella maison de santé di Belhomme. Di chiari sentimenti repubblicani, i suoi legami con alcuni membri della Société royale de medicine gli permisero, allo scoppio della Rivoluzione, di fare un balzo in avanti nella propria carriera e di essere nominato medico di Bicêtre; l'amicizia con Cabanis, inoltre, lo introdusse nel salon di Madame Helvétius dove si riuniva una cerchia di intellettuali noti con il nome di Idéologues. La comprensione del “gesto liberatore” e del Traité médico-9 Il termine psichiatria fu coniato in Germania nel 1808 ma trovò diffusione in Francia solo a partire dagli anni Quaranta dell'Ottocento. Per la maggior parte del XIX secolo la psichiatria veniva indicata con perifrasi quali “medicina mentale” o “medicina della follia”. Cfr. J. Goldstein, Console and classify, Cambridge University Press, Cambridge 1990, p. 6

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philosophique sur l'aliénation mentale ou la manie non può prescindere dal rapporto che Pinel

ebbe con questo ambiente11.

1.1 Pinel e il circolo degli Idéologues

Nella Société d'Auteuil12 la questione della medicina mentale era strettamente legata all'annoso problema del rapporto tra l'âme e le physique: secondo il pensiero cartesiano l'anima e il corpo andavano considerati come due sostanze di natura differente e, specificatamente, la prima era di natura metafisica mentre la seconda materiale. Dopo la metà del Settecento, se il materialismo di d'Holbach cercò di fare a meno dell'anima13, scienziati-philosophes come Buffon e Bonnet, pur non rinunciando ad essa, provarono ad impostare lo

studio del corpo umano su un terreno prettamente empirico-naturale, apportando nuovi contributi in ambito fisiologico14. Solo con Cabanis e i suoi Rapports du physique e du moral de l'homme (1802) si giunse, però, ad una visione unitario-materialistica in cui tutta

l'organisation veniva considerata mossa da forze di natura chimica e biologica e in cui le stesse facoltà che solitamente erano ritenute proprie dell'anima furono spiegate secondo criteri materialisti. A tal proposito:

Nous l'avons déjà dit, l'homme est un: tous les phénomènes qui font partie des son existence se rapportent les uns aux autres [...] Ainsi donc, quand on étudie l'homme, il faut sans doute le considérer d'une vue générale et commune, qui embrasse, comme dans un point unique et sous un seul regard, toutes les propriétés et toutes les opérations qui costituent son existence, afin de saisir leur rapports mutuels e l'action simultanée, dont résulte chacun des phénomènes qu'on veut soumettre à l'observation [...] D'où il résulte clairement que la physiologie, l'analyse des idées et la morale ne sont que les trois branches d'une seul et même science, qui peut s'appeler, à juste titre, la science de l'homme15.

Il cambiamento della terminologia dimostra chiaramente questo passaggio: al termine âme fu infatti sostituito il termine moral che bandiva qualsiasi tipo di riferimento metafisico. La nuova science de l'homme avrebbe ormai dovuto spiegare i fenomeni umani nella loro 11 Cfr. J. Goldstein, Console and classify, cit., pp. 67-72

12 Così era chiamato il circolo di Madame Helvétius , il nome deriva dal luogo in cui avvenivano le riunioni. 13 Sebbene d'Holbach abbia una concezione dell'uomo unitario-materialistica quanto quella di Cabanis e

identifichi anch'egli l'âme con le moral, non riuscirà a sviluppare come lui una psicofisiologia abbastanza elaborata da salvaguardare l'autonomia dei vari piani dell'essere umano. Cfr. S. Moravia, Il pensiero degli Idéologues, cit., pp. 95-97

14 Cfr. Ivi, pp. 133-143

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interezza, mettendo in luce i rapporti tra loro esistenti. La medicina diveniva così un'antropologia e si aprivano prospettive di indagine in ambito psicosomatico per cui l'osservazione delle “facoltà superiori” dell'uomo non poteva prescindere dalla loro collocazione all'interno di un contesto anatomico e fisiologico ben determinato: di qui lo studio del cervello e del sistema nervoso come base materiale del processo sensitivo; la sensazione veniva infatti considerata la materia prima sia delle facoltà intellettuali sia della sfera affettiva. Da questo punto di vista Cabanis sviluppò una “teoria federativa” degli organi secondo cui ogni centro nervoso ha una propria autonomia sensitiva e comunica le proprie sensazioni alle altre parti del corpo per “simpatia” o attraverso i nervi. Il risultato di queste influenze reciproche costituiscono un “senso interno” che combinato con quelli esterni determina lo stato psicosomatico di un individuo. Si viene inoltre a creare una dipendenza reciproca tra le moral e le physique per cui il malfunzionamento dell'uno può determinare la malattia dell'altro16. Da questo punto di vista Cabanis rappresenta la sintesi e insieme il superamento del sensismo di Condillac e del vitalismo settecentesco: secondo il primo, infatti, le sensibilità è alla base di tutte le operazioni mentali ed è una proprietà esclusiva dell'anima; per i secondi, invece, la materia stessa del corpo è sensibile ed è animata da una forza vitale che, per quanto connessa ad ogni singola fibra corporea, rimane comunque irriducibile al sostrato materiale. A queste due impostazioni il medico francese risponderà, come abbiamo appena visto, spiegando sia le sensazioni sia la vita organica su un piano strettamente anatomico e fisiologico. Tali considerazioni, come vedremo in seguito, avranno molte ripercussioni sulla teoria delle passioni come causa della follia.

A tali tesi scientifiche gli Idéologues affiancarono anche una questione di metodo che era fondamentalmente legata all'abbandono dell'ego cogito cartesiano per approdare ad un ego

sentio. Nel criticare il termine psicologia come etichetta della nuova scienza, intesa come

analisi delle sensazioni e delle idee, Destutt de Tracy, uno degli intellettuali più importanti del

salon di Madame Helvétius, scrisse:

Je préférerois donc de beaucoup que l'on adoptât le nom d'idéologie, ou sciences des idées. Il est trés sage, car il ne suppose rien de ce qui est douteaux ou inconnu; il ne rappelle à l'esprit aucunne idée de cause...Il est rigoureusement exact dans cette hypothése; car idéologie est la traduction littérale de sciences des idées. Il est encore trés exact, si l'on a égard à l' étymologie greque du mot idée: car le verbe eido veut dire je vois, je perçois par la vue, et même je sais , je connais. Le substantif eidos ou eideia, que l'on traduit ordinairement par tableau, image, bien analysé signifie donc réellement perception du sens de la vue. C'est sans doute sous ce 16 Ivi, pp. 216-226

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rapport qu'on l'a considéré quand on l'a transporté dans le latin e dans le français, en le généralisant...le mot idée est devenu véritablement synonime de celui de perception. Ce mot a encore un avantage: c'est qu'en donnant le nom d'idéologie à la science qui résulte de l'analyse de sensations, vous indiquez en même le but et le moyen; et si votre doctrine se trouve différer de celle de quelques autres philosophes qui cultivent la même science, la raison en est donnée d'avance: c'est que vous ne cherchez la connaissance de l'homme que dans l'analyse de ses facultés, vous consentez d'ignorer tout ce qu'elle ne vous découvre pas17.

La parola idéologie definiva dunque una scienza dal cui campo conoscitivo era escluso qualsiasi oggetto metafisico e che aveva al centro l'analisi delle idee e delle sensazioni attraverso l'osservazione dei fenomeni. Questa impostazione ci introduce al modo in cui Pinel rivoluzionò il modo di pensare e curare la malattia mentale.

1.2 L'osservazione dei sintomi e la disputa sulle cause organiche della follia

Fino alla fine del XVIII secolo la follia venne considerata il più delle volte uno status irreversibile. L'idea predominante che essa fosse una patologia fisica e dipendesse o da un'alterazione degli umori o da una lesione organica (in particolar modo del cervello)18 avallava questa tesi e spingeva i medici, là dove erano presenti dei tentativi di cura, a concentrare le varie terapie soprattutto sul corpo del malato. L'assunzione sul piano scientifico del trattamento morale e quindi delle cause morali come cause principali, colpì alla radice questa visione della malattia e la proiettò sul piano della curabilità:

Secondo un'opinione diffusa e abbastanza naturale l'alienazione delle funzioni dell'intelletto è stata ricondotta a un cambiamento o a una lesione di una parte qualsiasi della testa... Da qui il pregiudizio di considerarla, quasi sempre, incurabile, di sequestrare semplicemente gli alienati dalla società e di rifiutare loro anche i soccorsi che sono dovuti a una qualsiasi infermità. Per un altro verso, le numerose guarigioni operate in Inghilterra e in Francia, il verificato successo del trattamento morale in un gran numero di casi, il risultato di parecchie autopsie che non hanno palesato alcuna lesione organica, ed infine gli scritti di un medico inglese, che considera la mania come un'affezione puramente nervosa, sembrano dare credito a

17 Destutt de Tracy, Mémoire sur la faculté de penser, in Mémoires de l'Institut, Classe de Sciences Morales et Politiques, Baudouin Paris 1796, vol. I, pp. 324-5

18 L'idea della lesione organica come causa della follia si inserisce in un cambiamento generale della teoria medica del primo Settecento per cui le varie patologie vengono concepite come alterazione di uno o più organi. Questa nuova impostazione ebbe ripercussioni molto significative sulla nascita delle specializzazioni mediche. A tal proposito cfr. J. Goldstein, Console and classify, cit., pp. 55-63

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un'opinione contraria alla precedente.19

Partendo inoltre dal presupposto che le varie tipologie di alienazione20 si distinguessero innanzitutto a partire dai diversi sintomi osservabili, Pinel costruì una nosografia delle varie forme di follia basandosi proprio sulle loro peculiari manifestazioni21. Per comprendere quanto il piano sintomatologico fosse importante al fine di classificare e curare i pazienti basta riportare ancora alcune parole del Traité pineliano:

Annotazioni giornaliere sui fatti osservati, senza altra preoccupazione che di renderle più numerose ed esatte; questo è il procedimento che ho seguito per circa due anni, per arricchire la dottrina medica dell'alienazione con i lumi acquisiti per via empirica, o piuttosto per rendere completa la dottrina e ricondurre l'approccio empirico a principi generali di cui era sprovvisto.22

La negazione di una lesione organica, almeno per quanto riguarda la maggior parte delle sue categorie nosografiche, non era nonostante tutto rigorosa; secondo gli alienisti di allora, infatti, si fondava sulle attuali conoscenze della fisiologia e dell'anatomia non ancora abbastanza avanzate per poter individuare un rapporto di causalità incontrovertibile tra una determinata lesione, lì dove veniva trovata, e una certa specie di patologia mentale. Che la questione non fosse definitivamente chiusa su questo versante lo dimostrano le numerose autopsie eseguite sui cadaveri degli internati23. Comunque, anche quando venivano trovate lesioni organiche riconducibili alla follia esse erano sempre collocate nella zona epigastrica e mai nell'organo cerebrale. D'altronde lo stesso Esquirol, l'erede principale dell'insegnamento pineliano, si mostrava molto scettico sulla possibilità di arrivare a instaurare collegamenti certi tra un determinato stato cerebrale e le varie forme di alienazione:

Tous les travaux sur l'anatomie du cerveau, n'ont eu d'autres résultats qu'une description plus 19 F. Fonte Basso, S. Moravia (a cura di), Ph. Pinel, La mania. Trattato medico-filosofico sull'alienazione

mentale, Marsilio, Venezia 1987, p. 79 (le citazioni e i riferimenti che verranno fatti in seguito riguardanti questo testo si riferiranno al trattato di Pinel e non ai saggi introduttivi dei due curatori). Quando parla del famoso medico inglese si riferisce ad Andrew Harper che pubblicò un Treatise on the real cause of insanity nel 1789.

20 La sostituzione del termine aliénation a quello di folie da parte di Pinel si inserisce all'interno di un processo di medicalizzazione del linguaggio volto ad epurare tutta la terminologia extra-scientifica e a rafforzare il dominio medico su questa branca del sapere. Tale tendenza continuerà anche tra i suoi successori, specialmente con Esquirol. Cfr. J. Goldstein, Console and classify, cit., p. 133

21 Cfr. F. Fonte Basso, S. Moravia (a cura di), Ph. Pinel, La mania..., cit., pp. 16-21 22 Cfr. Ivi, p.18

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exacte de cet organe, et la certitude désespérante de ne pouvoir jamais assigner à ces parties des usages d'où l'on puisse tirer des connaissances applicables à l'exercice de la faculté pensante, soit dans l'état de santé, soit dans la maladie. Avant de rien conclure des lésions organiques observées chez les fous, ne fallait-il pas connaître toutes les variétés du crâne et du cerveau compatibles avec l'intégrité des facultés de l'entendement? C'eût été là le véritable point de départ de toutes recherches pathologiques. Or, dit le savant Chaussier, il n'est pas d'organe dans lequel on trouve plus de variétés pour le volume, le poids, la densité, les proportions respectives que dans l'organ encéphalique.24

A ciò aggiungeva che, in ogni caso, tali limiti nella conoscenza delle manifestazioni fisiche della follia non costituivano un problema per il successo della strategia terapeutica, infatti:

Etudions les causes, les caractères, la marche, les terminaisons de la folie; tâchons de bien apprécier l'influence que les agens physiques, intellectuels et moreaux, exercent sur cette maladie, et nous trouverons les moyens propres à la combattre. Pour guérir la folie, il n'est pas plus nécessaire d'en connaître la nature, qu'il n'est nécessaire de connaître la nature de la douleur, pour employer avec succès les calmans et les sédatifs.25

Una tale sottovalutazione della dimensione organica aveva già procurato a Pinel le critiche di Cabanis. Questi non solo affermava che molti anatomisti avevano individuato nelle loro autopsie, eseguite sui corpi di alcuni alienati, lesioni al livello delle meningi e della stessa polpa cerebrale, ma anche che un eccessivo affidamento sulle cause morali avrebbe potuto portare a pericolosi equivoci:

C'est sur le traitement moral ou sur le régime des habitudes qu'il paraît compter le plus pour leur guérison [...] mais cet excellent esprit n'ignore point que tout ce qui porte le nom de moral réveille des idées et des passions sur toutes les fonctions des organes en général, ou sur quelques-unes en particuler, est encore au nombre de ces vertus occultes, qui, par les ténèbres mystérieuses dont elles sont environnées, font les délices des visionnaires.26

La necessità di sostenere una nuova visione dell'uomo poggiata su una prospettiva totalmente materialistica avrebbe dovuto spingere Pinel a meglio chiarire attraverso quali processi fisiologici l'azione sul moral interagisse con l'intera economia animale. Il rischio poteva essere quello di lasciare spazio ancora una volta a spiegazioni di tipo metafisico. D'altronde 24 J.E.D. Esquirol, Des maladies mentales: considérées sous les rapports médical, hygiénique et médico-légal,

Baillière, Paris 1838, vol. I, pp. 110-111 25 Ivi, p. 114

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Cabanis era fortemente persuaso che ci fosse un legame certo tra alienazione e lesione organica e che questa in molti casi fosse la causa preponderante della follia:

C'est au moyen d'une grande quantité de faits recuilles dans tous les pays et dans tous les siècles qu'on a reconnu la liaison constante et régulière de la folie avec différentes maladies des viscères et du bas-ventre, et avec certaines lésions sensibles de la pulpe cérébrale, ou des parties adjacentes capables d'agir immédiatament sur elle. Mais ce qui constate encore mieux cette liaison, c'est l'utilité bien vérifiée égalment de certains remèdes appliqués à la maladie primitive, et dont l'action fait disparaître tout ensemble et la cause et l'effet. […] Mais il faut convenir que souvent la folie ne saurait être rapportée à des causes organiques sensibles; que l'observation se borne souvent à saisir ses phénomènes extérieurs, et que les altérations nerveuses dont elle dépend échappent à toutes les recherches du scalpel et du microscope. Quoique vraisemblament dans la plupart des cas de ce genre il y ait de véritables lésions organiques, cependant tant qu'il est impossible d'en reconnaître les traces, ils doivent tous être rangés dans la même classe que ceux qui tiennent purement aux habitudes vicieuses du système cérébral.27

Nella sua edizione dei Rapports (1844), L. Peisse commentò il passo appena citato notando come, se non si era ancora arrivati ad un pieno riconoscimento di questa verità dopo mezzo secolo, ciò era avvenuto per due motivi fondamentali: da una parte, a differenza della restante anatomia patologica, non ci si accontentava di rilevare l'alterazione complessiva dell'organo cerebrale ma si andava a cercare una corrispondenza univoca tra una determinata alterazione e una specifica forma di follia; dall'altra, una riabilitazione della lesione organica avrebbe potuto avere grandi ripercussioni politiche e sociali rievocando lo spettro dell'incurabilità.28 Nonostante lo scetticismo di fondo, Esquirol non esitò comunque a spingere i suoi studenti a ricercare in questo campo. Lo dimostra il fatto che, i primi due premi da lui istituiti al fine di incentivare la ricerca sull'alienazione mentale, furono assegnati uno a Georget nel 1819 grazie ad una memoria sulle autopsie dei corpi dei lunatici e l'altro a Delaye e Foville nel 1820 per uno studio sul delirio prodotto dall'irritazione della sostanza corticale del cervello29. D'altra parte i due fondatori della frenologia, Gall e Spurzheim, con le loro dissezioni stavano dando un grande impulso allo studio anatomico e fisiologico dell'organo cerebrale. Essi erano convinti che, anche nel momento in cui non veniva trovata traccia di una lesione, non per questo bisognava concludere che essa non fosse presente30. Una tale asserzione venne accolta 27 Ivi, pp. 560-561

28 Cfr. Ivi, pp. 559-560 in nota

29 Cfr. J. Goldstein, Console and classify, cit., pp. 251-253

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con molte riserve da alcuni alienisti al di fuori della scuola frenologica. A tal proposito sono esemplari le parole di Leuret:

Je reconnais volontiers, avec M. Ferrus, que nos moyens d'investigation sont souvent insuffisans, et que, sur beaucoup de points, nos connaissances anatomiques sont fort imparfaites; mais si, quand je ne vois aucune altération dans le cerveau, je m'abstiens de conclure qu'il n'y a, en effet, aucune altération dans cet organe, je me garde, avec le même soin, de conclure qu'il y a en ait une. Lorsque le cerveau d'un aliéné me paraît sain, je n'affirme pas avec M. Ferrus que ce cerveau soit malade; je reste dans le doute jusqu'à ce que la vérité me soit démontrée.31

Altri invece erano fortemente persuasi della presenza di alterazioni cerebrali alla base della follia e della necessità di orientare le ricerche in questo senso. Ad esempio Scipion Pinel, nel suo Traité de pathologie cérébrale, ou des maladies du cerveau, affermava che studiare l'alienazione mentale limitandosi a rilevare e classificare i vari tipi di sintomi, è come pensare di studiare le patologie dell'apparato respiratorio classificando i vari tipi di tosse32. Particolarmente interessante da questo punto di vista è la posizione di Georget se non altro per la sua vicinanza ad Esquirol e perché dimostra come fin dalla nascita dell'alienismo il problema del rapporto tra natura e sede della follia e l'approccio sintomatologico alla base del trattamento morale rappresentasse un impasse di non poco conto:

Aujourd'hui, les médecins s'occupent spécialment de rechercher la cause prochaine des phénomènes pathologiques; la médicine empirique, des symptômes, perd de son crédit: on sait que ce ne sont point les ramifications, mais la source du mal, qu'il faut atteindre, qu'on ne doit point donner de remèdes sans en connaître l'action, et sans prévoir les effetts qu'il pourront produire, tant sur l'organe malade que sur le reste de l'économie.33

Nonostante ciò, Georget era ancora convinto dell'efficacia dei mezzi morali per la guarigione della follia; esse infatti non solo agivano direttamente sul delirio, inteso come sintomo dell'alienazione, ma avevano un loro effetto anche sulle cause le quali, nella maggior parte dei casi, andavano ricercate nella sfera emotiva e intellettiva piuttosto che in quella organica. Dunque un'incongruenza evidente rispetto alle affermazioni precedenti, dovuta probabilmente ad una fragilità teorica e al bisogno di difendere a tutti i costi le strategie terapeutiche del

particulier, Schoell, Paris 1812, t. 2, pp. 272-273

31 Leuret, Du traitement moral de la folie, Ballière, Paris 1840, p. 44

32 Cfr. Scipion Pinel, Traité de pathologie cérébrale, ou des maladies du cerveau, Rouvier, Paris 1844,, p. 11 33 E. G. Georget, De la folie. Considérations sur cette maladie, Crevot, Paris 1840, p. 245

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movimento alienista. D'altronde, se esisteva questa specie di contraddizione era anche perché la teoria pineliana e quella dei suoi successori si trovava controcorrente rispetto alla contemporanea evoluzione del sapere medico; in effetti, proprio mentre Pinel basava la sua nuova visione della follia su un piano prettamente fenomenico, nello stesso ambiente parigino il resto della medicina andava al di là dei sintomi cercando nei tessuti e negli organi l'intelligibilità e le cause delle varie patologie34. La ragion d'essere di questo scarto va ricercata probabilmente nella necessità di sostenere una specifica pratica istituzionale di cui parlerò in seguito.

Il dibattito sulle cause organiche della follia va ricollegato inoltre a due diverse impostazioni filosofiche secondo cui veniva concepita la sfera psichica dell'uomo: da una parte i cosiddetti “fisiologi” concepivano le moral prendendo spunto dall'antropologia di Cabanis così come l'abbiamo descritta precedentemente. In questo gruppo possono essere annoverati Pinel, Esquirol e tutta la sua cerchia. Dall'altra invece gli “psicologi”35 concepivano la mente come un'entità separata dal corpo non soggetta alle sue leggi fisiche. Questa dottrina filosofica era promulgata da filosofi come Victor Cousin, Theodore Jouffroy e Pierre-Paul Royer-Collard. In ambito medico le loro idee furono riprese da Antoine-Athanase Royer-Collard, fratello di Pierre-Paul, su cui ebbe molta influenza anche il pensiero di François-Pierre Maine de Biran. Quest'ultimo considerava l'Io una forza volitiva e autocosciente grazie ad un senso interno. Esso inoltre non poteva essere assimilato al sostrato materiale del corpo umano ed era completamente opaco a quei metodi di indagine con i quali venivano analizzati i vari processi fisiologici; per Biran, infatti, le physique era sì dotato di sensibilità, ma esso si presentava come l'elemento passivo dell'uomo, cioè si limitava esclusivamente a ricevere le sensazioni del mondo esterno e ad alimentare l'immaginazione, unico punto di contatto con l'Io. Dunque soltanto la mente era in grado di avere una vera influenza sul corpo poiché, anche quando essa veniva stimolata dalle sensazioni corporee, era sempre in grado di controllarle o addirittura di interrompere la loro azione. Quindi, costituendo le moral una sfera non solo autonoma ma anche egemone, era impensabile per i “psicologi” che una sua eventuale patologia potesse dipendere da una causa organica o, per lo meno, che le alterazioni organiche potessero spiegare interamente l'alienazione mentale36. Ma torniamo ora a parlare del trattamento morale.

34 Cfr. R. Castel, L'ordine psichiatrico. L'epoca d'oro dell'alienismo, Feltrinelli, Milano 1980, pp. 79-81 35 Naturalmente i termini “fisiologi” e “psicologi” non sono usati in questo caso secondo i loro significato

contemporaneo. Queste due correnti filosofiche hanno avuto in realtà diverse denominazioni (ad esempio materialismo/spiritualismo oppure filosofia positiva/metafisica). La scelta dei due termini su indicati è stata dettata dal fatto che essi esprimono meglio il rapporto mente-corpo concepito dalle due filosofie.

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1.3 Il trattamento morale e le sue radici religiose

Se le autopsie davano ancora dei risultati controversi, una causa certa dell'alienazione mentale andava ricercata allora in un'alterazione delle passioni: queste hanno origine nella zona epigastrica e possono avere influenze sia benefiche sia nocive sull'intera economia animale secondo quella reciprocità psicosomatica già descritta da Cabanis. Il concetto di passione utilizzato da Pinel venne direttamente ripreso da Alexander Crichton che, nella sua opera An

inquiry into the nature and origine of mental derangement, libera la passione da qualsiasi tipo

di giudizio morale e la considera come un semplice fenomeno organico-naturale37. Questo gli consentì di affrontare la questione su un piano prettamente scientifico e di allestire una terapia votata a dirigere le passioni e a neutralizzarne gli effetti patologici. Il trattamento che ne derivò venne chiamato appunto morale in quanto agiva sul moral di cui la sfera passionale ne è parte integrante. Nonostante la distanza presa dall'ambito religioso, un'analisi di come funziona questa terapia non può non far emergere alcune analogie con tecniche utilizzate da ordini ecclesiastici che da molto tempo prima della nascita della psichiatria si occupavano della cura dei folli: innanzitutto, il trattamento morale prevedeva il riconoscimento dell'umanità dell'alienato in contrasto con la visione precedente che lo voleva ridotto al pari delle bestie, privo di qualsiasi sensibilità. Di qui la necessità di un approccio compassionevole, pieno di quella douceur persuasiva indispensabile affinché l'alienato potesse ritrovare se stesso. Ora, se si confrontano questi principi con quelli adottati ad esempio dai Fratelli di San Giovanni di Dio, così come si evince dai regolamenti stilati per la gestione degli ospizi dediti alla cura della follia durante il XVIII secolo, si possono riscontrare delle forti somiglianze in particolar modo con quella che sarà la gestione dell'asilo a partire dal secolo successivo; infatti, i monaci che prestavano servizio negli ospedali suddetti, dovevano mantenere sempre un comportamento cortese e gentile verso i pazienti, dovevano consolarli e preoccuparsi di portare loro del cibo qualora fossero particolarmente restii a nutrirsi. Il priore, inoltre, doveva visitare una volta a settimana e singolarmente tutti i ricoverati in modo da poter somministrare un trattamento individuale. Questo approccio era condiviso da tutta quella parte del Cattolicesimo francese che potremmo definire “illuminato” e che vedeva la follia non più come possessione diabolica ma come vera e propria patologia. L'arte o la scienza di consolare era stata in realtà praticata assiduamente dai cattolici fin dalle origini in nome della carità cristiana e si erano sviluppate nel corso del tempo tutta una serie di formule retoriche volte a dare un aiuto psicologico a chi si trovasse in una situazione di 37 Cfr. F. Fonte Basso, S. Moravia (a cura di), Ph. Pinel, La mania..., cit., p. 9

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difficoltà o di malattia. Sebbene tali consolazioni non avessero nessuno scopo terapeutico, ma erano destinate solamente a rafforzare la speranza in una vita migliore nell'aldilà, questa tradizione influenzò fortemente quei mezzi morali che secondo gli Idéologues dovevano essere utilizzati dal medico per facilitare la guarigione del paziente. Così, quando Pinel pone la consolazione come prima tra le cure compassionevoli, si può a buon diritto pensare che lo facesse in virtù di tale influenza38.

Un altro parallelo tra le tecniche alieniste e le pratiche ecclesiastiche può essere individuato nella confessione e in tutte quelle attività di direzione spirituale così comuni in ambito religioso. Come il parroco si preoccupava “dell'ortopedia dell'anima” dei propri fedeli facendo loro confessare i propri peccati e consigliando comportamenti da seguire per evitarne altri, così l'alienista interrogava i propri pazienti per far loro confessare i propri deliri e impostare una terapia basata sul controllo delle abitudini. D'altronde, se l'atto della confessione aveva un potere purificatore per l'anima del cristiano, ammettere di essere folle davanti ad un medico significava allo stesso modo aver fatto già un grande passo avanti sulla via della guarigione in quanto si riconosceva di essere malati.39

L'intrecciarsi di questi due piani derivava anche da uno stretto collegamento tra la morale religiosa e la morale condivisa dalla società. Se infatti si analizzano le varie cause morali poste alla base della follia, si scopre che esse corrispondono nella maggior parte dei casi a dei comportamenti considerati dal senso comune come dei vizi o come innovazioni pericolose rispetto ai costumi tradizionali e quindi anche religiosi. Ascoltiamo a tal proposito Esquirol:

Nous avons changé nos antiques usages, nos vieilles opinions [...] La religion n'intervient que comme un usage dans les actes les plus solennes de la vie; elle n'apporte ses consolations et ses espérances aux malheureux; la morale religeuse ne guide plus la raison dans le sentier étroit et difficile de la vie; le froid égoïsme a desséché toutes les sources du sentiment; il n' y a plus d'affections domestiques, ni de respect, ni d'amour, ni d'autorité, ni de dépendances réciproques; chacun vit pour soi40.

Si può allora comprendere come certe sovrapposizioni non solo non sfuggirono ai contemporanei ma aprirono una controversia tra alienisti e religiosi sulla scientificità del trattamento morale e sulla sua corretta applicazione.

Uno dei primi esempi di questo confronto si ebbe a Charenton: l'ospedale era stato riaperto nel 1797 e una circolare del ministero dell'interno dell'Anno VI aveva stabilito che le cure 38 Cfr. J. Goldstein, Console and classify, cit., pp. 200-204

39 Cfr. M. Foucault, Il potere psichiatrico, Feltrinelli, Milano 2006, pp. 238-39 40 J.E.D. Esquirol, Des maladies mentales..., cit., pp. 49-50

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somministrate agli internati dovevano essere predisposte da un medico e che esse dovevano seguire il trattamento morale così come elaborato da Pinel. Nella realtà, l'applicazione di queste norme si presentò alquanto difficile; in quello stesso anno, infatti, venne nominato come direttore l'ex prete François-Simmonet de Coulmiers. Questi non solo si riteneva pari al medico Gestaldy nel decidere i mezzi morali con cui curare gli alienati, ma cercò anche di introdurre elementi specificatamente religiosi nel trattamento41. Per avallare le pretese del direttore, il medico aggiunto Giraudy pubblicò addirittura un opuscolo dal titolo “La morale

religieuse ne doit-elle pas être employée dans certains cas comme moyen curatif de l'aliénation mentale?” (1804); con esso l'autore voleva sostenere che, siccome le passioni

hanno un ruolo centrale tra le cause dell'alienazione, nulla come la religione avrebbe potuto aiutare a dirigerle verso un esito positivo:

La Nature […] spécialment chargée de l'ordre physique, punit irrévocablement celui qui ose enfeindre ses lois; mais elle veille que sur les fautes: elle est d'ailleurs trop intimement liée à l'essence des passions, pour exercer sur elles un empire suffisant, sans se trouver en quelque sorte en contradiction avec elle-même. La Morale dirige l'homme vers le bien, l'éloigne du mal, fonde son bonheur sur l'amour des ses semblables, lui inspire le sentiment des vertus; mais quelque supérieure qu'elle soit à la Nature, elle doit son institution à l'homme, et participe conséquentement des foiblesses humaines [...] Mais la Religion, plus libérale que la Nature, et plus puissante que la Morale, ne devoit-elle pas être appelée au secours de l'une et de l'autre? […] Et quelle force, en effet, peut on opposer aux passions [...] qui soit supérieure à celle d'une religion qui satisfait au besoin moral, par lequel l'homme se rapproche de la Divinité42.

Per sostenere la propria tesi riportava anche quattro casi in cui tre malinconici ed un maniaco furono guariti grazie al loro avvicinamento al Cattolicesimo. Una posizione, dunque, completamente opposta a quella di Pinel: questi raccomandava infatti un uso della religione molto accorto poiché, più che essere una cura, essa era spesso una causa dell'alienazione:

Dire che i tentativi fatti in Inghilterra e in Francia per guarire la mania religiosa o causata dalla devozione sono stati vani, non significa affatto dichiararla incurabile. Il mio progetto sarebbe stato, se la disposizione interna di Bicêtre lo avesse permesso, di isolare questa specie di alienati, […] di togliere dalla loro vista ogni oggetto relativo al culto religioso, ogni dipinto 41 Cfr. M. Gauchet, G. Swain, La pratique del l'esprit humain. L'institution asilaire et la révolution

démocratique, Gallimard, Paris 1980, p .65

42 C. F. S. Giraudy, La morale religieuse ne doit-elle pas être employée dans certains cas comme moyen curatif de l'aliénation mentale?, Laurens jeune, Paris, 1804, pp. 2-3

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o ogni libro che ne potesse rievocare l'immagine; di spingerli, in alcune ore del giorno, a delle letture filosofiche; di accostare abilmente alcuni episodi della vita di antichi saggi, oppure alcuni atti di umanità e di patriottismo, con la più pia nullità ed i bizzarri deliri dei santi e degli anacoreti.43

Inoltre, rispetto alla funzione della natura nel processo patologico della follia, il fondatore dell'alienismo era un grande sostenitore del metodo di aspettazione; esso si basava sul presupposto che l'alienazione, in molti casi, tendesse naturalmente verso la guarigione e che quindi bisognava soltanto prendere le precauzioni morali e fisiche necessarie in modo da aiutare il decorso naturale della malattia: “ Il procedimento che io seguo estende ancora più lontano il dominio della scienza, e mostra entro quali limiti deve essere contenuta la prescrizione dei medicamenti, poiché spesso un metodo aspettante, favorito dal regime morale e fisico, può essere sufficiente, e in altri casi la malattia è superiore a tutte le risorse.”44 La natura e la morale rimanevano in sintesi, e a differenza di Giraudy, gli strumenti cardine della terapia pineliana. Di fronte a queste divergenze insormontabili, la situazione di Charenton riuscì a trovare un equilibrio solo quando, nel 1805, fu nominato come medico ordinario Antoine-Athanase Royer-Collard che aveva una coscienza della sua funzione e dell'esclusività delle sue mansioni molto differente rispetto a quella del suo predecessore.

Ma la sfida più grande alla medicalizzazione della follia fu forse lanciata da Xavier Tissot che prese il nome di “Frére Hilarion”. Egli stesso rinchiuso in una casa di pazzi tra il 1810 e il 1814, decise di dedicarsi interamente alla cura degli alienati dopo aver letto un trattato del frenologo Spurzheim e una biografia di San Giovanni di Dio. Tra gli anni Trenta e Quaranta dell'Ottocento, fondò sei istituti in cui veniva praticato quello che si potrebbe definire “trattamento religioso-morale”. Esso si distingueva da quello filosofico- morale (ossia il trattamento medico) dall'utilizzo di pratiche religiose come mezzi curativi; egli era infatti convinto che solamente attraverso le preghiere e una consolazione cristiana si sarebbero sprigionate delle forze divine capaci di guarire la follia. D'altronde se questa patologia stava prendendo piede nella società era perché gli uomini si stavano allontanando dai precetti della vera religione. Proprio per questo coloro che erano impiegati nella cura dei pazienti, sia direttori sia infermieri, non dovevano avere altra qualità se non una moralità indefettibile. Il medico sarebbe dovuto intervenire solo nel momento in cui bisognava somministrare dei rimedi fisici come purgativi, lassativi, salassi etc..

Egli intervenne anche nelle discussioni per l'approvazione della legge del 1838 a favore del 43 Cfr. F. Fonte Basso, S. Moravia (a cura di), Ph. Pinel, La mania..., cit., pp. 63-64

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mantenimento degli ospizi religiosi. Nel tentativo di costruire un sistema nazionale di asili pubblici e completamente medicalizzati, infatti, si era venuto a porre il problema degli istituti privati tra cui anche quelli gestiti da congregazioni religiose. Per comprendere a pieno la natura del dibattito e il suo retroscena politico non si può non tenere in considerazione la Società di morale cristiana: fondata nel 1821, essa si occupava di coordinare le varie confessioni cristiane al fine di promuovere la filantropia e quindi un programma completo di azione sociale volto all'assistenza e al controllo pubblico delle classi povere e disagiate. Tra i suoi membri erano presenti molti politici appartenenti alle file dei liberali che, dopo i moti del 1830, si ritrovarono di nuovo al potere. Tutte quelle idee maturate all'interno dell'associazione, tra cui vi era anche un forte anticlericalismo, poterono dunque avere uno sbocco politico. Gli alienisti approfittarono di questa situazione per promuovere la loro causa ed essere integrati nell'apparato statale con la funzione di gestire il sistema asilare destinato alla cura degli alienati. I dibattiti sugli istituti religiosi erano strettamente legati al tema più ampio dell'assistenza privata. Dopo la Restaurazione, ci si era trovati di fronte ad un proliferare di piccoli ospizi tenuti da impresari o congregazioni che non sempre erano destinati esclusivamente ai folli ma spesso accoglievano pazienti affetti da diverse patologie; se ciò da una parte aveva dato la possibilità alle famiglie di affrontare un problema delicato come quello dell'alienazione mentale garantendo loro una certa discrezione, dall'altra si poneva il problema del controllo da parte della società sulle modalità e motivazioni dei ricoveri al fine di evitare abusi ed internamenti arbitrari. Lì dove la gestione era affidata a degli ecclesiastici si risvegliava inoltre il contrasto riguardante la scientificità o meno del trattamento morale e si rimetteva in discussione la necessità di una totale medicalizzazione degli asili. Bisognava allora decidere se permettere ancora a questi istituti di svolgere le proprie funzioni e, in tal caso, introdurre tutte le limitazioni necessarie ad avere certe garanzie sia dal punto di vista terapeutico sia da quello dei diritti individuali. Di quanto la posta in gioco fosse importante si può notare dalla grande varietà di posizioni che a diversi gradi si esponevano a favore dell'una o dell'altra tesi. Oltre alle questioni teoriche, comunque, si deve anche considerare il lato materiale e finanziario; infatti, per quanto i liberali avessero inizialmente intenzione di costruire ex novo una rete assistenziale pubblica che coprisse tutto il territorio nazionale, ciò esponeva le casse dello Stato e dei dipartimenti ad una spesa in alcuni casi quasi impossibile da sostenere. L'unica soluzione sembrava dunque quella di appoggiarsi a delle strutture già esistenti. Il testo legislativo, approvato nel 1838, si dimostrò quindi un compromesso tra le necessità dello Stato e delle sue finanze e la libertà di impresa da parte di privati e religiosi: si stabiliva infatti che ogni dipartimento avrebbe dovuto

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destinare una struttura appositamente predisposta alla cura dei folli; nel momento in cui non fossero state presenti le risorse necessarie ci si poteva servire momentaneamente di istituti pubblici o privati del proprio territorio o di un dipartimento vicino. Se si fosse ricorso ai privati questi avrebbero dovuto sia ricevere l'autorizzazione da parte del ministero dell'interno sia assumere un medico a tempo pieno. Si affermava così a livello legale la supremazia della medicina, ma a livello pratico si moltiplicarono i contrasti tra l'autorità del medico e quella dei religiosi così come era già successo a Charenton. La situazione si dimostrò ancora più complessa se si tiene conto dell'impossibilità da parte di molte amministrazioni dipartimentali di poter adempiere ai compiti dettati dalla legge (tra il 1838 e il 1852 solo tre nuovi manicomi furono costruiti in tutta la Francia): questo ebbe come risultato il proliferare degli istituti religiosi45.

Per comprendere infine quanto questo incontro/scontro tra religione e medicina ebbe la sua importanza, non bisogna dimenticare che esso si ripropose anche sul piano simbolico. Infatti, proprio negli anni in cui il mito della liberazione dei folli da parte di Pinel acquistava la sua forma canonica, miti paralleli vennero costruiti dai Fratelli di San Giovanni di Dio e dalle Sorelle del Buon Salvatore di Caen in cui appartenenti alle due congregazioni riproducevano sostanzialmente lo stesso gesto pineliano proprio nel tentativo di porre loro stessi come inventori del trattamento morale46.

1.4 Il trattamento morale: una nuova antropologia tra scienza e politica

La definizione dell'alienazione come patologia curabile ebbe molte implicazioni sul piano della sensibilità sociale. A partire soprattutto dal XVII secolo la follia era stata considerata un problema di ordine pubblico al pari di una variegata popolazione composta nella maggior parte dei casi da mendicanti, libertini e omosessuali. Come tale doveva essere rinchiusa nelle prigioni, nelle case di correzione o nei depositi di mendicità per essere punita ed isolata dalla società. La follia si configurava, dunque, principalmente come colpa e non come malattia. Dietro questa concezione c'era una precisa idea di come si arrivasse ad essere folli: infatti, anche quando un individuo sembrava aver perso la ragione, la sua anima, essendo un'entità metafisica, rimaneva totalmente integra; essa però non era più in grado di esprimersi in quanto il corpo non poteva rispondere alle sue sollecitazioni. Questo stato dipendeva da una perversione della volontà che, continuamente esposta ai vizi e ai peccati, aveva alla fine 45 Cfr. J. Goldstein, Console and classify, cit., pp. 297-321; cfr. R. Castel, L'ordine psichiatrico. L'epoca d'oro

dell'alienismo, cit., pp. 154-158

Riferimenti

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