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Nel 1825 Georget pubblicò una brochure in cui venivano analizzati da un punto di vista medico cinque processi nei quali gli imputati erano stati accusati di aver commesso dei crimini atroci ed erano stati per questo condannati. L'autore li scagionava tutti dimostrando che in realtà essi erano affetti da monomania omicida e quindi non responsabili dei propri atti. La monomania entrava così nei tribunali e diventò l'argomento di un infuocato dibattito riguardante il rapporto tra il libero arbitrio e la follia parziale. Si poteva infatti riconoscere colpevole un individuo che sragionava solamente riguardo ad una idea dominate ma per tutto il resto era perfettamente sano? Era possibile addirittura scagionare un imputato perché si riteneva affetto da monomania omicida, ossia una patologia che lasciava interamente integre le facoltà intellettive e che, agli occhi di una persona qualunque, sarebbe apparso nel pieno possesso della sua capacità di giudizio? Erano queste le domande principali sulle quali grosso modo medici da una parte e giudici e avvocati dall'altra si giocavano il primato per dire la verità sulla follia di un imputato.

Esquirol aveva diviso la monomania in tre grandi categorie: la monomanie intellectuelle, la

monomanie affective e la monomanie istinctive. La prima riguardava un'alterazione limitata

alla sola capacità di ragionamento. Delle altre due, quella affettiva era caratterizzata da un disordine delle passioni che intaccava la volontà del soggetto e lo spingeva a compiere delle stravaganze nonostante la sua mente le riconoscesse come tali; quella istintiva invece era

contrassegnata da un impulso irresistibile a compiere azioni riprovevoli contro cui né l'intelletto né le passioni potevano opporre resistenza:

Tantôt les monomaniaques ne déraisonnent pas, mais leurs affections, leur caractère sont pervertis; par des motifs plausibles, par des explications très bien raisonnées, ils justifient l'état actuel de leurs sentimens et excusent la bizarrie, l'incovenance de leur conduite: c'est ce que les auteurs ont appelé manie raisonnante, mais que je vaudrais nommer monomanie affective. Tantôt la volonté est lésée: la malade, hors des voies ordinaires, est entraîné à des actes que la raison ou le sentiment ne déterminent pas, que la conscience réprouve, que la volonté n'a plus la force de réprimer; les actions sont involontaires, instinctives, irrésistibles, c'est la la monomanie sans délire ou la monomanie instinctive.147

Queste tre forme corrispondevano a tre diversi ordini di facoltà dell'individuo (l'intelletto, la sfera affettiva, l'istinto) che godono di una certa autonomia e sono suscettibili di essere alterate singolarmente. In una situazione in cui si sarebbe dovuto imputare ad un soggetto la responsabilità di una propria azione, la monomania sarebbe tanto più difficile da riconoscere e da provare quanto più la ragione fosse stata esclusa dal delirio. Ma andiamo con ordine. In Francia l'articolo 489 del codice civile e l'articolo 64 di quello penale sollevavano da ogni responsabilità coloro i quali erano riconosciuti affetti da follia totale o che presentavano degli intervalli di lucidità (ossia un'alienazione parziale). Nella realtà la giurisprudenza si discostava spesso da un'interpretazione letterale della legge poiché ancora si dibatteva sulla possibilità che la monomania, anche quando evidente per tutti, potesse non essere un elemento determinante per eliminare la colpabilità di un individuo. Georget nella sua Discussion

médico-légale sur la folie ou l'alienation mentale (1826) riportava le posizioni dominanti

sulla questione; il sostituto procuratore de Peyronnet, in occasione del processo a Papavoine, aveva citato le parole di Sir Mattew Hale, giudice e membro del parlamento inglese vissuto nel Seicento, per esprimere tutta la sua contrarietà a considerare la monomania come un'attenuante:

Esiste una demenza parziale e una demenza totale; la prima è relativa a tali e talaltri oggetti. Alcune persone che godono della loro ragione relativamente a certe cose, sono soggetti a degli eccessi di una particolare demenza riguardo a determinati discorsi o determinati temi; oppure essa è parziale dal punto di vista dei suoi stadi di sviluppo: tale è la condizione di una moltitudine di insensati, e soprattutto delle persone malinconiche, la cui follia consiste per lo più nel manifestare dei timori, delle afflizioni eccessive, e che tuttavia non sono interamente 147 J.E.D. Esquirol, Des maladies mentales...,cit., t. 2, p. 2

private dell'uso della ragione. Questa demenza parziale sembra non scusare i crimini commessi da coloro che ne sono colpiti, anche in ciò che ne costituisce l'oggetto principale, poiché ogni persona che si arma contro se stessa o contro gli altri, si trova fino a un certo punto in uno stato di demenza parziale allorché si rende colpevole.148

Per de Peyronnet, dunque, una follia parziale lasciava in ogni caso un margine di scelta nel compiere dei crimini per lo stesso fatto che si era folli fino ad un certo punto. La parte sana dell'individuo, se il soggetto avesse voluto, sarebbe stata comunque in grado di resistere alle idee ed inclinazioni deliranti. Georget riportava anche la posizione del giureconsulto tedesco Hoffbauer il quale, sebbene si trovasse su una linea più indulgente rispetto a quella del sostituto procuratore, non di meno arrivava alle sue stesse conclusioni. Il problema si poneva su questo piano:

Nella pratica è difficile stabilire se un affare intrapreso da una persona affetta da un'idea fissa sia valido o meno, a causa di un errore provocato da questa idea fissa. Poiché fintanto che questa persona usufruisce dei suoi diritti, non è compito di nessun' altro stabilire se il suo atto sia valido o meno. E d'altronde questa persona non potrebbe e neppure vorrebbe confessare il suo errore.149

La necessità di riconoscere i monomani responsabili dei propri atti nasceva principalmente dall'impossibilità di stabilire con certezza se una determinata azione fosse legata all'idea dominante o semplicemente ad una cattiva coscienza dell'imputato. Da questo punto di vista, però, era possibile riconoscere delle attenuanti:

Da quanto precede si può concludere quanto sia importante determinare quale sia, nei casi di demenza fissa, l'idea dominante, e sapere se questa ingenera un disturbo più o meno grande delle facoltà intellettuali, o se non impedisce il perfetto uso dell'intelletto in relazione ad alcuni oggetti solamente […] Allorché il malato affetto da demenza con idea fissa si costruisce una falsa immagine di se stesso e dei suoi rapporti con gli altri, questa circostanza deve essere presa in considerazione, poiché, nella giustizia penale, le azioni debbono essere considerate come se costui si fosse trovato nella situazione e nelle relazioni in cui credeva di essere. Così, i delitti commessi dai folli che si immaginano di essere re, principi, non debbono essere puniti secondo la loro natura e la loro gravità, ma la colpabilità deve venir attenuata o

148 M. Galzigna (a cura di), E.J. Georget, Il crimine e la colpa. Discussione medico legale sulla follia, Marsilio, Venezia 1984, p. 6

eliminata.150

Se quindi l'idea dominante era talmente forte da sconvolgere completamente la coscienza di se stessi e il rapporto con il mondo esterno, la monomania poteva allora essere considerata una scusante in quanto, nella realtà dei fatti, essa si presentava più come una follia totale che parziale. Essa, infatti, partiva da una sola idea ma non era limitata solo a quella poiché alla fine condizionava ogni azione e pensiero del soggetto. Un passaggio questo da tenere a mente visto l'importanza che assumerà quando verrà smontato l'edificio teorico della monomania e di cui parlerò in seguito. A tutte queste critiche sul rapporto diretto e incondizionato tra la non colpabilità e la follia parziale, Georget citava l'articolo “Folie” pubblicato sul Dictionnaire de

médicine: “Egli [l'alienato] misconosce il suo stato delirante, si crede in buona salute, o,

quand'anche non lo misconosca, la sua volontà è comunque impotente a padroneggiarlo”151. Il punto focale si trovava dunque sulla volontà del soggetto. Al di là dello stato delle percezioni e della coscienza, ciò che faceva di un individuo veramente un pazzo non era tanto il fatto di avere un'idea fissa o una particolare inclinazione ma l'impossibilità stessa di poter resistere al delirio da loro generato:

Il y a, d'ailleurs, une distinction à faire […] c'est qu'on peut être malade par les idées quand elles dominent l'esprit, mais qu'on n'est réellement fou que quand la volonté est devenu impuissante à dompter les impulsion.152

Queste parole di Brierre de Boismont riportate negli Annales médico-psychologiques del 1853, e cioè nel pieno del dibattito sulla validità scientifica o meno della categoria esquiroliana, poneva in essere una distinzione fondamentale: un individuo dominato da certe idee o passioni poteva essere considerato malato ma, finché quelle stesse idee o passioni non si fossero manifestate attraverso azioni e parole stravaganti, il soggetto in questione non doveva essere ritenuto folle. Una tale affermazione cercava di dare una soluzione ad un annoso problema della teoria alienista presente fin dai primi anni della sua nascita, ossia: se l'alienazione si trova senza soluzione di continuità con la natura delle passioni, ma essa non è altro che la conseguenza di una perturbazione esagerata fino al patologico della sfera emotiva, come è possibile distinguere un eccesso di passione dalla follia? La questione non era di poco conto, specialmente in sede legale, perché ciò avrebbe potuto significare l'assoluzione o meno

150 Ivi, pp. 9-10 151 Ivi, p. 13

di un criminale. Boismont rispondeva ad una tale domanda mettendo in primo piano la volontà del soggetto e affermando che il vero stato di demenza comincia nel momento in cui egli non è più in grado di controllare le proprie azioni. Questo fu anche uno dei punti su cui gli avversari della monomania più si appigliarono per dimostrare i pericoli derivanti dal ritenere la follia parziale una scusante per i crimini commessi. Nel 1828 l'avvocato della corte reale francese Elias Regnault scriveva: “M. Esquirol […] confond le délire des passions avec le délire de la folie. D'après ces système, toutes les faiblesses, les travers, les vices deviendraient des monomanies.”153 D'altronde non c'è uomo che non abbia delle proprie inclinazioni particolari o delle idee dominanti:

La conséquence forcée de ces nouvelles créations scientifiques, c'est que, par cela seul qu'un homme est dominé par quelque penchant, quelque goût prononcé, quelque manie enfin, il doit être absous de tout crime qu'il pourrait commettre. A ce compte, il serait impossible de trouver un seul criminel. Chacun a sa marotte ( every one has his hobby-horse); voilà toute l'histoire de la monomanie. Il n'est pas d'homme, si droit que soit son esprit, qui n'ait quelque idée favorite où il aime à se bercer, qu'il se plaît à développer, à poursuivre pour en tirer souvent souvent les conséquences les plus bizarres. Mais parce qu'il voit avec exaltation ce qui nous laisse froids et indifférens, il ne faut pas pour cela appeler son exaltation une folie partielle.154

La follia parziale diveniva dunque una categoria scientificamente troppo debole per poter giustificare dei crimini. Queste affermazioni sono tratte dal saggio intitolato Du degré de

compétence des médecins dans les questions judiciaires relatives aux aliénations mentales in

cui Regnault cercava di confutare la categoria della monomania mettendo in evidenza le debolezze della teoria alienista. Egli innanzitutto metteva in dubbio sia la validità dei metodi attraverso cui si pretendeva di riconoscere e classificare la follia sia la necessità di avere conoscenze specificatamente mediche per poter giudicare se una persona fosse effettivamente pazza. La sua critica partiva da un'analisi dei sintomi dell'alienazione così come descritti dagli alienisti: mentre quelli riguardanti la sfera intellettiva ed emotiva erano praticamente riconoscibili da tutti, quelli fisici erano solitamente così generici che potevano essere ricondotti a più di una patologia non necessariamente psichica. Perché allora gli psichiatri potessero avere voce in capitolo nei tribunali avrebbero dovuto saper indicare la natura e la sede della follia in modo da avere dei parametri certi con cui giudicare esattamente la salute

153 E. Regnault, Du degré de compétence des médecins dans les questions judiciaires relatives aux aliénations, B. Warré, Paris 1828, p. 21

mentale di un imputato, fino ad allora per decidere sarebbe bastato il buon senso.155 Così come poi sarebbe effettivamente successo, a partire da Morel e Falret, l'autore auspicava che lo studio dell'alienazione passasse da un approccio sintomatologico ad uno eziologico, allineando in questo modo l'alienismo al resto della medicina sperimentale e fornendogli, almeno secondo la sua visione, un maggiore rigore scientifico.

Affianco a tali critiche di tipo prettamente metodologico egli attaccava direttamente il concetto di manie sans delire. Secondo lui non era possibile pensare ad uno stato di demenza in cui non era presente il delirio in quanto questo era l'unico segno che indicasse chiaramente la follia156. La categoria in questione era stata già individuata e descritta da Pinel nel suo Traité:

Pur ammirando le opere di Locke, si può tuttavia riconoscere che la sua concezione della mania è molto incompleta; dal momento che la ritiene inseparabile dal delirio. Ero anch'io del suo stesso parere, finché non ripresi, a Bicêtre, le mie ricerche su questa malattia: rimasi non poco sorpreso nel constatare che parecchi alienati non presentavano in nessun periodo, alcuna lesione dell'intelletto; erano in preda ad una sorta di istinto furioso, come se solo le loro facoltà affettive fossero lese.157

Per avallare la sua osservazione riportava un caso in cui un internato di Bicêtre veniva colto ad intervalli irregolari da un furore incontrollabile accompagnato da un irresistibile impulso sanguinario. Nonostante ciò, egli era perfettamente in grado di ragionare anche durante gli accessi ed anzi era conscio della sua situazione e pieno di rimorsi come se avesse qualcosa da rimproverarsi158. Si veniva a delineare quindi una forma di follia dove la sfera passionale e quella intellettiva risultavano indipendenti una rispetto all'altra. Esquirol rifiutò questo tipo di impostazione così come si evince dal suo articolo “Manie” pubblicato nel 1818:

On a classé parmi les maniaques des individus qui paraissent jouir de toute leur raison; mais dont toutes les fonctions affectives seules semblent être lésées: ces maniaques sentent, comparent, jugent bien les choses; mais ils sont entrainés pour la moindre cause, et même sans sujet, à des actes d'emportement, de violence et de fureur; ils sont irrésistiblement portés, dit-on, à se déchirer, à se détruire, à tuer leurs semblables. […] Mais existe-t-il réellement une manie dan lequelle ceux qui en sont atteints conservent l'intégrité de leur raison, pendant qu'ils s'abandonnent aux actions les plus condamnables? Est-il un état maladif dans lequel 155 Ivi, p. 18

156 Ivi, p. 20

157 F. Fonte Basso, S. Moravia (a cura di), Ph. Pinel, La mania..., cit., p. 104 158 Ivi, p. 105

l'homme est entraîné irrésistiblement à un acte qui répugne à sa conscience? Je ne le pens pas. […] Je dis que cette opposition des idées, du raisonnement et des affections avec les actions de cette espèce de vésanie, s'explique par la mobilité, la versalité des idées et des affections qui entraînent la versatilité des impulsions maniaques; la volonté des malades est entraînée actuellement à un acte déraisonnable, et qui révolte la nature, parce qu'il est actuellement en délire; l'homme n'a plus la faculté de diriger ses actions, parce qu'il a perdu l'unité du moi; c'est l'homo duplex de saint Paul et de Buffon poussé au mal par un motif, retenu par un autre. [...] mais toujours est-il vrai que ce qu'on appelé folie raisonnante, manie sans délire, fureur maniaque, appartient plutôt à la monomanie ou à la mélancolie, et que les actes auxquels se livrent ces aliénés sont toujours le résultat du délire, quelque passager qu'on le suppose.159

Non ci poteva essere dunque una mania senza delirio ma essa doveva essere considerata piuttosto come una monomania in cui l'accesso di furore era sempre accompagnato da un'alterazione delle funzioni intellettive causata da un'idea o affezione dominante. Per chiarire questo passaggio, l'autore ricorreva all'esempio di una situazione non patologica: se si prende in considerazione un uomo che ama ardentemente, si può notare come egli a volte venga trascinato dal pensiero del suo amore in uno stato di inquietudine o agitazione eccessiva molto simile al delirio; ora se si riconosce uno stato quasi delirante ad una condizione normale, non è concepibile pensare addirittura ad un accesso di furore in cui la mente sia completamente esclusa. D'altronde Esquirol derivava queste conclusioni dalla sua stessa concezione dell'alienazione mentale; al centro vi era ancora la volontà intesa come una facoltà controllata dell'intelletto: ammettendo pure che ci fosse soltanto un'alterazione della sfera affettiva e istintiva essa comportava comunque una lesione della facoltà volitiva ossia la capacità dell'intelletto di controllare gli impulsi provenienti dalle passioni e dagli istinti. Ancora nel 1838 scriveva:

Dans la manie sans délire, l'intelligence est plus ou moins lésée. S'il n'en était pas ainsi, les aliénés se laisseraient conduire par le raissonement et reconnaîtraient que leurs principes son faux, que leurs actions sont insolites, bizarres. Leur intelligence est plus ou moins en défaut, elle a perdu son influence sur la volonté, elle n'est plus en harmonie avec les autres facultés.160

Nonostante questa convinzione di fondo, Esquirol sembrò ritrattare tali argomentazioni quando, a partire dalla metà degli anni Venti dell'Ottocento, il suo allievo Georget aveva iniziato la battaglia per il riconoscimento del ruolo dell'alienista nei tribunali e per

159 Dictionnaire des sciences médicales, articolo “Manie”, Panckoucke, Paris 1818, t. 30, pp. 452-453 160 J.E.D. Esquirol, Des maladies mentales...,cit., t. 2, pp. 5-6

l'affermazione della perizia medico-legale. Nel 1827, in calce alla traduzione di un testo sulla psichiatria forense di Hoffbauer, egli redasse una Note sur la monomanie homicide in cui riconosceva la possibilità di compiere azioni atroci senza che né l'intelletto né la sfera passionale fossero intaccate; solo l'istinto ne era la causa che si presentava come impulso irresistibile e travolgente. Ma anche in questa negazione delle sue convinzioni vi erano alcune spie che esse non erano state del tutto abbandonate: “Dans d'autres cas, le monomaniaque homicide ne présente aucune altération appréciable de l'intelligence ou des affections. Il est entraîné par un instinct aveugle, par une idée; par quelque chose d'indéfinissable qui le pousse à tuer”161. L'istinto cieco di cui parla si presenta comunque sotto forma di un'idea, segno evidente che l'intelletto viene in qualche modo coinvolto dalla dimensione istintiva; non a caso più avanti aggiunge:

Et vous croyez raisonnable cette mère qui adore son enfant, et qui cependant lui plonge le poignard dans le sein! […] Attendez que la raison soit rétablie, et cette malheureuse mère jugera aussi bien que vous de toute l'horreur du meurtre qu'elle a failli commettre ou qu'elle a commis. […] Mais, object-t-on, si le meurtre dépend de la force d'impulsion, il n'y a plus de libre arbitre. Vraiment oui; puisqu'il y a délire, il n'est plus responsable.162

Usando qui la parola delirio, Esquirol sembra riferirsi ad uno stato psichico in cui lo stesso intelletto è alterato nelle sue funzioni. D'altra parte lo conferma quando scrive che la madre presa ad esempio, una volta ristabilita la ragione, sarebbe stata travolta dall'orrore e dal rimorso. Smentisce dunque Pinel il quale, così come detto precedentemente, aveva riscontrato un inalterato funzionamento delle facoltà intellettive anche quando questa specie di alienati erano nel pieno del loro accesso di furore. Rimane comunque una contraddizione nel testo di Esquirol nel momento in cui all'inizio nega un disturbo dell'intelletto nella monomania omicida per poi invece affermarlo alcune pagine dopo. Inoltre, egli riconosceva chiaramente che ci potesse essere una lesione esclusiva della volontà: