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L'eredità di Le Brun e la fisiognomica nel Settecento

L'alienismo e la rappresentazione delle passioni tra fisiognomica e patognomica

3.2 L'eredità di Le Brun e la fisiognomica nel Settecento

Gli studi dell'artista francese influenzeranno il secolo successivo e la sua codificazione delle passioni diverrà un punto di riferimento fondamentale per chiunque si approcciasse a questo tema. Durante il XVIII secolo, se da una parte si sviluppò una critica radicale alla fisiognomica perché considerata una falsa scienza, dall'altra veniva riconosciuta ancora la possibilità di rintracciare le emozioni attraverso le espressioni del corpo:

Il est permis de juger à quelques égards de ce qui se passe dans l'intérieur des hommes par leurs actions, et connoitre à l'ispection des changemens du visage, la situation actuelle de l'ame; mais comme l'ame n'a point de forme qui puisse être relative à aucune forme matérielle, on ne peut pas la juger par la figure du corps, ou par la forme du visage.245

Il passo appena citato è tratto dall'articolo “Physionomie” dell'Encyclopédie in cui la fisiognomica è ritenuta un pregiudizio degli antichi senza alcun fondamento concreto; si afferma però che attraverso i movimenti del volto si possa conoscere la situazione attuale dell'anima e cioè le passioni che in un determinato momento sono provate da un individuo. Sulla scia di Le Brun, dunque, continuarono gli studi sulle modalità di raffigurazione della sfera passionale. Da questo punto di vista non ci stupisce che, sempre all'interno dell'Encyclopédie, l'articolo “Passion”, in cui viene analizzato il rapporto tra i sentimenti e la pittura, sia stato redatto da un medico. Leggendo infatti il testo si comprende come, nella ricerca di una corrispondenza esatta tra una determinata emozione e i movimenti del corpo, si vada ancora una volta ad esaminare non solo l'espressione ma anche le modalità attraverso le quali gli stati d'animo agiscono complessivamente a livello psicosomatico. Prendiamo ad 245 D. Diderot, J. le Rond d'Alambert, Encyclopédie, ou dictionnaire des sciences, des arts et des métiers, etc.,

University of Chicago: R. Morrissey, ARTFL Encyclopedie Project ( Spring 2013 Edition), articolo “Physionomie”, vol. 12, p. 338

esempio la descrizione del dolore:

La peine d'esprit rend le teint moins coloré, les yeux moins brillans et moins actifs; la maigreur succéde à l'embonpoint; la couleur jaune et livide s'empare de toute l'habitude du corps; les yeux s'éteignent; la foiblesse fait qu'on se soutient à peine; la tête reste penchée vers la terre; les bras, qui sont pendans, se rapprochent pour que les mains se joignent; la défaillance, effet de l'abandon, laisse tomber au hasard le corps, qui par accablement enfin, reste à terre, étendu sans mouvement, dans l'attitude que le poids a dû preferire à la chûte.246

Come un secolo prima il direttore dell'Accademia di pittura non si accontentava di descrivere la posizione delle varie parti del viso in relazione ad un certo sentimento, ma andava ad indagare quale fosse la natura fisiologica delle passioni e dei movimenti corrispondenti, così ora si andavano a cogliere elementi come il dimagrimento, il pallore, l'abbattimento e la debolezza fisica. L'obiettivo di fondo rimaneva sempre quello di creare dei modelli di riferimento a cui gli artisti potessero attingere nel momento in cui si accingevano a rappresentare delle emozioni. Anche osservando le illustrazioni che accompagnano l'articolo si nota come esse fossero estremamente stilizzate, stereotipate e più o meno ispirate alle teste di Le Brun, riportando esclusivamente i tratti essenziali degli stati d'animo che rappresentavano.

Nel solco della stessa tradizione bisogna collocare anche l'artista inglese William Hogarth: egli esprimeva chiaramente il suo pensiero riguardo al rapporto tra inclinazioni caratteriali e aspetto esteriore nella sua opera The Analisis of Beuty pubblicata nel 1753:

In riguardo al carattere, e all'espressione, abbiamo giornalmente molti esempi che confermano la comune adottata opinione, che il volto è l'indice dell'animo; e questa massima è tanto radicata in noi, che non possiam fare a meno (se la nostra attenzione è un po' sollevata) di formare qualche particolare concetto dell'animo della persona, di cui si osserva il volto anche prima di riceverne informazione per altri versi. […] É ragionevole il credere che l'aspetto si una vera eleggibile immagine dell'anima, che dà a ognuno a prima vista l'istessa idea; e vien poi confermata in fatti: per esempio, tutti concorrono nell'istessa opinione a prima vista di un vero idiota.247

Queste parole sembrano annoverare l'autore tra i sostenitori della fisiognomica e quindi della corrispondenza tra una determinata forma corporea e una certa caratteristica dell'anima; ma 246 Ivi, articolo “Passion”, vol. 12, p. 151

nelle considerazioni del rapporto tra il corpo e l'ambiente circostante, egli introduceva una concezione diacronica dell'espressione per cui, ad esempio, la conformazione del volto non si poteva ritenere data una volta per tutte: bisognava infatti tenere conto di quali esperienze un soggetto aveva attraversato e quali segni erano stati lasciati sul suo volto. L'idea di un corpo forgiato dalla stessa vita del soggetto fondava tutti i dubbi di Hogarth riguardo al rapporto tra fisionomia e carattere:

Vi è poco o nulla da vedere dal viso de' bambini, se non che l'essere essi d'ingegno tardo e vivace; e nemmen questo se non quando si danno del moto. I bellissimi volti in qualunque età posson nascondere un'indole pazza o viziosa, finché non si scoprano dagli atti o dalle parole: tuttavolta i frequenti stravaganti moti de' muscoli sul volto di un pazzo, per bello che sia, sogliono col tempo lasciarvi qua e là delle traccie che faranno distinguere esaminandole il difetto del capo: ma il mal uomo, se sia un ipocrita, può maneggiare in guisa i suoi muscoli assuefacendoli con arte a contraddire al suo cuore, che poco del suo interno può raccogliersi dal suo aspetto, talmentechè non può il pennello arrivare in conto alcuno a spiegarvi il carattere di un ipocrito […]. Pe' moti naturali e non isforzati de' muscoli, e cagionati dalle passioni dell'animo si vedrebbe scritto in certo modo nel volto di ognuno il suo carattere quando è arrivato all'età di 40 anni, se non fosse per certi accidenti che spesse volte, sebben non sempre, impediscono un tale effetto. […] Ma perché non si creda, che io faccia troppa forza sull'esterna apparenza, come un fisionomo, tenete per certo, che si riconosce esservi tante differenti cause, che producono l'istessa specie di moto e di sembianze nelle fattezze e tanti cambiamenti per le forze accidentali nelle fattezze e tanti cambiamenti per le forze accidentali nelle fattezze de' volti, che l'antico proverbio, fronti nulla fides, si manterrà sempre in vigore.248

La conformazione del volto dunque non solo non era stabilita una volta per tutte, ma nel richiamare l'antico proverbio “fronti nulla fides”, l'autore dimostrava chiaramente come anche quelle espressioni passeggere che dovrebbero essere il segno evidente di uno stato d'animo erano spesso menzognere; entravano allora in gioco tutta una serie di variabili per cui non si poteva stabilire con certezza una relazione diretta tra movimenti dell'anima e movimenti del corpo. Ma non per questo era impossibile individuare alcuni orientamenti generali: se infatti l'aspetto del bambino non era in grado di comunicare nulla riguardo alle sue disposizioni interiori, già nell'età adulta, a meno che il soggetto non si fosse esercitato a nascondere le proprie passioni, era possibile individuare i segni delle sue abitudini morali. Mettendo in gioco anche la dissimulazione, Hogarth, così come aveva fatto Descartes, spezzava quella 248 Ivi, pp. 173-175

continuità tra lo stato emotivo e il movimento muscolare dimostrando come la volontà potesse esprimere sul volto sentimenti diversi da quelli del cuore. D'altronde, uno dei riferimenti principali dell'Analysis of Beauty sembra essere stata la Human Physiognomy Explain'd, un'opera pubblicata nel 1747 dal dottor James Parsons e in cui veniva asserito chiaramente che l'espressione di ciascuno dipendeva strettamente dalle linee tracciate sul viso dai muscoli facciali249. Si abbandonava dunque l'idea di una fisiognomica basata su delle forme fisse e inscritte in precise forme geometriche per affermare una patognomica in cui sono i sentimenti e la loro dissimulazione a disegnare ad ogni istante e nel lungo periodo la forma corporea. Per quanto riguardava poi le tecniche di raffigurazione delle passioni, l'artista inglese ricordava esplicitamente Le Brun che veniva definito come uno dei maestri che meglio avevano rappresentato le espressioni facciali delle singole emozioni250.

Affermando l'importanza della complessità del reale nella formazione di una fisionomia, Hogarth faceva entrare nel mondo della rappresentazione elementi anomali, come il brutto e il deforme, che fino ad allora dovevano essere mascherati e sacrificati ad un'idea di perfezione. Non a caso egli scriveva: “ É stravagante che la natura ci abbia somministrato cotante linee e forme per indicare i difetti, le macchie dell'animo, mentre non ve ne sono alcune che accennino le perfezioni di esso, oltre l'apparenza del comun senso e placidità”251. A tal proposito vale la pena di ricordare, anche per la particolare pertinenza che ha con il tema dell'alienazione mentale, la serie di litografie intitolate The Rake's Progress (1735): esse narrano la storia di Tom Rakewell, un giovane con una debole morale che intraprende un percorso fatto di dissolutezza e che alla fine sarà rinchiuso a Bedlam, il famoso manicomio londinese. Nell'illustrazione di quest'ultimo episodio (fig. 5), il protagonista è colto nel momento in cui viene incatenato dagli inservienti; egli è circondato da altri internati la cui raffigurazione appare estremamente stereotipata e tradisce, attraverso dei simboli ben precisi, il tipo di follia da cui sono affetti: nella prima cella a sinistra è rappresentato un malinconico per motivi religiosi che sta pregando; si possono ben distinguere un crocifisso e tre immagini votive sulla parete con la finestra su cui sono scritti i nomi Clement, St. Athanatius e St. Lawrence. Alle spalle di Tom vi sono due individui di cui uno sta disegnando sul muro un globo terrestre verso il quale una bocca di cannone ha appena sparato un colpo (si possono inoltre notare la traiettoria del proiettile e una serie di figure geometriche); l'altro, invece, sta guardando attraverso un finto telescopio fatto con un foglio di carta arrotolata. Essi sono diventati pazzi a causa di un eccesso di zelo nello studio: era infatti un'idea abbastanza diffusa 249 Cfr. P. Getrevi, Le scritture del volto, F. Angeli, Milano 1991, p. 109

250 Ivi, p. 175 251 Ivi, p. 179

che si potesse arrivare alla follia per uno studio eccessivo. Nella cella centrale vi è un megalomane: ciò si può evincere dal fatto che egli ha una corona sulla testa e uno scettro nella mano sinistra. In ginocchio al centro della scena si può vedere un sarto (ha tra le mani un metro) i cui atteggiamenti infantili simboleggiano uno stato di imbecillità o demenza. Vicino e sulle scale a destra sono raffigurati un altro megalomane con un delirio di grandezza riguardo la religione (porta infatti una mitria di carta ed una croce), un violinista di cui non si può identificare il tipo di patologia ma la cui follia è manifestata dal libro capovolto sulla testa252 e un malinconico per motivi amorosi: ciò si può dedurre dal fatto che egli ha un aspetto triste e lo sguardo perso nel vuoto; inoltre non si accorge di un cane che gli sta abbaiando contro e sul passamano è riportata l'incisione “charming Betty Careless”, ossia una nota prostituta di allora. Il modo con cui Hogarth ha rappresentato questi internati manifesta anche il suo debito nei confronti delle categorie nosografiche allora in uso in ambito medico. Sicuramente una delle sue fonti fu Robert Burton che aveva scritto nel 1621 un'opera intitolata The

Anatomy of Melancholy e nella quale aveva costruito una classificazione generale

dell'alienazione mentale dividendo la malinconia in malinconia amorosa, religiosa e per studio eccessivo; esattamente le tre tipologie raffigurate nella litografia analizzata253.

Al di là delle caratteristiche individuali dei singoli soggetti, la scena veicola anche tutta una serie di informazioni riguardo la vita all'interno del manicomio londinese: innanzitutto, il fatto che il protagonista sia diventato pazzo dopo aver intrapreso un percorso di dissolutezza, si ricollega ancora una volta ad un'idea di follia intesa come il risultato della corruzione dello spirito; poi, la stessa immagine dell'incatenamento testimonia le pratiche in uso prima della nascita dell'alienismo; infine, tra la cella contenente il megalomane e quella con la porta chiusa, si possono notare due figure femminili che sembrano non ricoprire alcun ruolo all'interno dell'istituzione: esse probabilmente rappresentano delle dame venute ad osservare i folli dopo aver pagato l'ingresso. Si è già ricordato precedentemente come era abitudine nelle giornate domenicali recarsi nei manicomi per guardare gli internati; uno spettacolo a metà tra l'intrattenimento e la lezione morale.

Anche se svia in un certo senso dal tema centrale di questo paragrafo, vorrei aprire una parentesi e proporre un confronto tra l'opera di Hogarth e quella di Wilhelm von Kaulbach254, 252 Questo particolare è il segno del tributo che Hogarth deve alla tradizione riguardo alla rappresentazione

della follia. Uno dei dipinti più conosciuti in cui si ritrova una scena analoga è La cura della follia di Hieronymus Bosch in cui un libro poggiato sulla testa di una donna presente all'operazione chirurgica del folle era il chiaro segno che anche lei fosse affetta da follia. Inoltre bisogna considerare che frequentemente l'alienazione era associata alla musica e alla danza.

253 J. M. MacGregor, The Discovery of the Art of the Insane, Princeton University Press, Princeton 1989, pp. 15-16

perché può essere utile per comprendere come la rappresentazione dell'alienazione mentale e dei luoghi deputati a contenerla si sia potuta trasformare dopo la nascita della scienza alienista e della tecnica manicomiale ad essa collegata. Nel 1835 il pittore tedesco disegnò una scena, divenuta poi una litografia, dal titolo Das Narrenhaus (fig.6): essa è ambientata all'interno del manicomio di Düsseldorf dove sono rappresentati diversi alienati colti negli atteggiamenti peculiari della loro patologia. Nella prima fila, con il capo chino ed in mano una lettera, si è riconosciuto lo stesso autore che soffrì di una profonda depressione quando era ancora uno studente. Parlando di quest'opera, la figlia di Kaulbach disse:

Questo fu il primo quadro con cui mio padre cominciò a farsi un nome. Esso fu apprezzato non solo dai profani, ma fu anche celebrato dai medici come esemplare per lo studio della psichiatria. Esso apparve come un lavoro scientificamente accurato che usava tipi particolari associati con le differenti manifestazioni della malattia, fisionomie che l'artista ha dipinto attraverso un'osservazione personale.255

Gli alienati raffigurati, dunque, erano dei veri e propri tipi che rappresentavano diverse categorie dell'alienazione mentale. In effetti, a differenza della litografia di Hogarth dove l'oggetto simbolico era fondamentale per capire da quale forma di follia il personaggio fosse affetto, qui l'aspetto patognomico diventa preponderante e sono le pose e la gestualità in cui vari soggetti sono disegnati a suggerire le loro ossessioni. Da qui si capisce l'apprezzamento fatto dai medici i quali, come vedremo in seguito, cercarono fin da subito di fissare nei ritratti dei pazienti i sintomi riscontrati durante le osservazioni. Inoltre, a differenza del collega inglese, l'autore riuscì a trasmettere tutta la sofferenza degli internati proprio concentrandosi maggiormente sulle loro espressioni del corpo. Anche il disegno riportato sul muro, di fronte alla donna che sta pregando in ginocchio, tradisce chiaramente una situazione di disagio e i tratti semplici da cui è composto, quasi fosse stato fatto da un bambino, fa pensare che sia stato disegnato da un internato. Si nota subito la somiglianza della figura con la frusta con il sorvegliante posto di profilo proprio affianco al disegno. Un chiaro segnale di come Kaulbach avvertisse all'interno del manicomio il doppio peso della malattia individuale e di un'istituzione che faceva della repressione uno dei mezzi principali di controllo. Detto ciò, bisogna aggiungere, le due illustrazioni prese in considerazione nacquero in contesti completamente differenti; cosa di cui è necessario tener conto se si vogliono interpretare nel modo giusto le divergenze appena elencate: infatti, Hogarth aveva posto la scena dell'ospedale

Arti di Düsseldorf. Il suo stile lo ascrive al movimento romantico tedesco. 255 Citato in Ivi, p. 21, traduzione mia

di Bedlam alla fine di una serie di litografie nelle quali, attraverso la storia di Tom Rakewell, venivano illustrate un insieme di situazioni dove l'elemento dell'anomalo e del deforme era l'aspetto fondamentale; il tutto veniva inoltre riportato attraverso uno stile caricaturale che inevitabilmente distorceva l'immagine dei soggetti andando ad esagerare alcune caratteristiche rispetto ad altre. L'opera del pittore tedesco, invece, se sono vere le parole della figlia, fu prodotta dopo un'osservazione personale e soprattutto per rappresentare, in un certo senso, una propria esperienza di vita. L'aderenza alla realtà dei gesti e delle espressioni era pertanto maggiore e diveniva centrale la comunicazione della sofferenza morale legata alla condizione patologica. Inoltre, l'influenza della cultura romantica fu senza dubbio determinante per l'esaltazione dell'aspetto emotivo. Essa comunque rimane una testimonianza di come l'assorbimento della follia da parte del sapere medico e la nascita dell'istituzione asilare abbiano fatto emergere l'aspetto propriamente umano e sofferente dell'alienazione mentale sganciandola, anche a livello iconografico, da una percezione in cui la tipizzazione passava attraverso la rappresentazione di oggetti simbolici o pose grossolane e stereotipate.

Ma torniamo alla fisiognomica nel Settecento: abbiamo visto come nell'articolo “Physionomie” dell'Encyclopédie si fosse negata la possibilità di trovare una corrispondenza certa tra una determinata forma del corpo e la predisposizione dell'anima. In realtà questa posizione non era condivisa da tutti; anzi, durante il XVIII, fu portato alle sue estreme conseguenze quel processo di misurazione del corpo attraverso calcoli algebrici e costruzioni geometriche che era iniziato con Leonardo da Vinci e che era passato anche per Le Brun. Specialmente la testa era oggetto di studi e la comparazione del volto e del cranio dell'uomo con quelli di tutte le altre specie animali era funzionale a trovare delle leggi regolatrici delle forme corporee; si aveva infatti la convinzione che le membra fossero la manifestazione di un organizzazione complessa situata al di sotto del visibile. Ciò portò allo sgretolamento di molte tassonomie tradizionali. A tal proposito Foucault scrisse:

Lo spazio del sapere occidentale è ormai prossimo a precipitare: la tassonomia […] è sul punto di coordinarsi ad una verticalità oscura: questa definirà la legge delle somiglianze, prescriverà le prossimità e le discontinuità, fonderà le disposizioni percettibili e sposterà tutti i grandi sviluppi orizzontali della tassonomia verso la regione un po' accessoria delle conseguenze. In tal modo, la cultura europea si inventa una profondità ove sarà questione non più delle identità, dei caratteri distintivi, delle tavole permanenti […], ma delle grandi forze nascoste, sviluppatesi a partire dal loro nucleo primitivo e inaccessibile, dell'origine, della causalità, della storia.256

Per la ricerca di quelle forze nascoste alla base di tutte le forme naturali, il disegno ricopriva un ruolo fondamentale. Solo infatti disegnando e soprattutto misurando i vari tratti osservabili era possibile un confronto esatto. Non bisogna però pensare che tutto ciò che veniva riportato sul foglio era derivato direttamente dall'esperienza; molto spesso le somiglianze e differenze erano più il frutto di una speculazione a priori resa manifesta attraverso la rappresentazione grafica che una fedele descrizione dei dati reali. E in effetti, nel tentativo di matematizzare la superficie visibile della natura e di inscriverla in precise costruzioni geometriche, si arrivò ad una modellizzazione del mondo estremamente rigida ed astratta. Interessante da questo punto di vista sono gli studi di Peter Camper, professore di anatomia e chirurgia ma particolarmente interessato alle arti visive; egli scrisse un'opera di estetica e antropologia dal titolo