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Quando trovare i giusti talenti diventa un gioco: la gamification nel recruitment

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale

in Economia e Gestione delle Aziende

Tesi di Laurea Magistrale

Quando trovare i giusti talenti

diventa un gioco: la

gamification nel recruitment

Relatore

Prof. Fabrizio Gerli

Laureando

Sabrina Farronato

Matricola 836396

Anno Accademico

2016 / 2017

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Indice

Pag. INTRODUZIONE 3 CAPITOLO 1. La Gamification 5 1.1 Definizione 5

1.2 Le origini e la diffusione del termine gamification 10

1.2.1 Previsioni per il futuro 18

1.3 Gli elementi che caratterizzano la gamification 19

1.3.1 Elementi di gioco 19

1.3.2 Tecniche di game design 26

1.3.3 Contesti estranei al gioco 27

1.4 Le differenze rispetto ad altri concetti 28

1.5 Il ruolo della gamification e la sua relazione con i concetti di motivazione, engagement e

flusso 34

1.6 Gli step per una corretta gamificazione 47

1.6.1 Possibili cause di fallimento della gamification: gli errori da evitare 53

CAPITOLO 2. Dal Recruitment all’E-recruitment 58

2.1 Definizione di Recruitment 58

2.2 Il ruolo cruciale delle risorse umane e del recruitment e le sue difficoltà 64 2.2.1 Il recruitment budget e i costi di recruitment 65

2.2.2 Il Quadro legislativo 66

2.2.3 L’immagine pubblica dell’organizzazione 68

2.3 Un processo a due vie 70

2.3.1 L’employment brand 73

2.3.2 La cultura dell’organizzazione e il person-organization fit 75 2.4 La war for talent e il cambio generazionale nella forza lavoro 79 2.5 Le decisioni da prendere e le fasi del processo 92

2.6 Le fonti e i metodi di recruitment 99

2.7 L’E-recruitment 103

2.7.1 Il Social recruitment 110

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2 CAPITOLO 3. La Gamification applicata al Recruitment 122

3.1 Introduzione 122

3.2 Metodo di analisi 124

3.3 Casi empirici

3.3.1 Knack 127

3.3.2 Employerland 140

3.3.3 Generali job talent 148

3.3.4 Inner Island 156

3.3.5 Firefly freedom (di Arctic shores) e Will you fit into Deloitte? 162 3.4 Quali opportunità offre la gamification applicata al recruitment e, soprattutto, può questo

approccio risolvere i problemi e i rischi dell’e-recruitment? 172

3.5 Conclusione 186

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3

Introduzione

Il gioco è una pratica universale, diffusa presso tutte le popolazione, che sin dall’antichità fa parte delle vita dell’uomo e che di fatto oggi sta diventando sempre più parte integrante della sua quotidianità grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie e alla diffusione di diversi mobile device che consentono di avere accesso, tra le altre cose, anche ai videogame in qualsiasi momento della giornata. Uno degli aspetti poi sicuramente più interessanti e che rappresenta di fatto uno dei poteri più importanti del gioco consiste senza dubbio nella sua capacità di coinvolgere e tenere impegnate e concentrate le persone fino a far perdere loro la cognizione del tempo. Più un gioco propone sfide divertenti e stimolanti, infatti, più le persone si lasciano andare e si sentono spinte e motivate a dare il massimo per proseguire, migliorare e aggiudicarsi così i premi che la vincita di un gioco comporta, siano essi rappresentati dall’accumulo di punti, dalla possibilità di accedere al livello successivo o dalla soddisfazione di aver superato un record o di aver scalato la classifica.

Questi di fatto sono i fattori che hanno dato vita alle intuizione su cui si basa il concetto di gamification. Tutto ciò infatti rende evidente come pensare al gioco come ad una pratica di nicchia volta all’intrattenimento e al divertimento, soprattutto per i bambini, come perdita di tempo o come mezzo di fuga dalla realtà sia di fatto riduttivo. Quello che diventa interessante invece è cercare di capire come questo potere e questa diffusione che caratterizzano il gioco possano essere utilizzate per altri scopi oltre a quelli dell’intrattenimento e del divertimento fine a se stessi ed è proprio su questo che si basa la gamification. L’idea in realtà non è affatto nuova tuttavia è solo in tempi piuttosto recenti che ha iniziato a diffondersi in modo consistente tanto da aver attirato l’attenzione di studiosi e ricercatori che hanno quindi iniziato ad indagare le sue potenzialità e le sue possibili applicazione in svariati ambiti.

In questo elaborato in particolare verrà presa in considerazione la possibilità di applicare la gamification al processo di recruitment e, attraverso l’analisi di una serie di casi empirici, si cercherà di capire nello specifico quali opportunità offre questo approccio e soprattutto se esso possa rappresentare una soluzione ai diversi problemi che solleva in particolare l’e-recruitment quale evoluzione del recruitment tradizionale. Se si considera infatti che il processo di recruitment ha l’obiettivo di attrarre i giusti candidati rispetto ad una posizione da coprire, di mantenere vivo il loro interesse e di persuadere i candidati scelti ad accettare l’offerta di lavoro che gli viene fatta diventa interessante capire se la capacità di coinvolgimento e di motivazione della gamification può essere sfruttata per migliorare questo processo nella sua versione tradizionale ma soprattutto nell’e-recruitment.

Più precisamente l’elaborato si svilupperà in tre parti.

La prima parte sarà dedicata proprio al concetto di gamification. Più precisamente, dopo aver presentato le definizioni del termine presenti in letteratura, aver raccontato le origini e la diffusione del

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4 termine e del concetto e aver evidenziato quelli che sono gli elementi che caratterizzano la gamification (elementi di gioco, tecniche di game design e contesti estranei al gioco) nonché le differenze che distinguono questo concetto da altri molto simili, si cercherà di spiegare qual è il ruolo della gamification e il suo potenziale nell’incidere nella motivazione e nell’engagement e il suo legame con il concetto di flusso. Infine verranno presentati gli step da seguire per una corretta gamificazione ed indicati i principali errori da evitare in quanto possibili cause di fallimento della gamification.

La seconda parte invece sarà dedicata al processo di recruitment e alla sua evoluzione nell’e-recruitment. In particolare, ancora una volta verranno presentate le definizioni presenti in letteratura e, dopo aver spiegato l’importanza e il ruolo cruciale di questo processo, si spigherà come il fatto di dover tenere in considerazione diversi fattori (budget e costi, legislazione e immagine dell’organizzazione) e il fatto stesso di essere un processo a due vie in cui anche il candidato valuta l’organizzazione (a tal proposito verranno approfonditi i concetti di employer brand e di cultura aziendale e fit) lo rendano un processo davvero molto complesso. Il capitolo procederà poi con la descrizione di due importanti punti che caratterizzano il quadro attuale del mercato del lavoro ossia il concetto di war for talent e il cambio generazionale nella forza lavoro che vede i Millennials diventare i nuovi protagonisti. Infine, dopo aver presentato le fasi del processo di recruitment e le fonti e metodi di recruitment tra i quali l’organizzazione può scegliere, l’attenzione si sposterà sulle possibilità che Internet e i social network offrono oggi all’organizzazione in termini di recruitment e che hanno portato a parlare di e-recruitment e social recruitment. Il capitolo nello specifico si concluderà poi con un confronto tra recruitment tradizionale ed e-recruitment per evidenziare i vantaggi ma soprattutto gli svantaggi di quest’ultimo.

Infine, la terza parte cercherà di unire quanto detto nelle prime due parti e sarà dedicata quindi proprio all’applicazione della gamification al processo di recruitment. Più precisamente, verranno presentati ed analizzati una serie di casi empirici (Knack, Employerland, Generali job talent, Inner Island, Firefly freedom (e le altre applicazioni di Arctic shores) e Will you fit into Deloitte?) per cercare di rispondere, in virtù di quanto spiegato nelle parti precedenti, alla domanda su cui si basa questo elaborato, ossia: quali opportunità offre la gamification se applicata al recruitment e, soprattutto, può questo approccio rappresentare una soluzione ai problemi dell’e-recruitment presentati alla fine della seconda parte?

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Capitolo 1 – La Gamification

1.1. Definizione

Il modo più semplice ed immediato per spiegare il termine “gamification”, traducibile in italiano come “ludicizzazione”, è definirlo come “l’uso di meccanismi di gioco e elementi di game design in contesti estranei al gioco stesso” (Danforth, 2011; Deterding et al., 2011; Graham, 2012; Werbach e Hunter, 2012; Petruzzi, 2015).

L’idea nasce dalla presa di consapevolezza di quelli che sono i poteri e le capacità del gioco, tra le quali spiccano il fatto di riuscire a coinvolgere e tenere impegnate le persone per lunghi periodi di tempo, di creare relazioni significative e di consentire alle persone di sviluppare il proprio potenziale creativo (Chou, 2015).

Sebbene tutto ciò fosse in realtà noto già da molto tempo e pur essendo il gioco una pratica di fatto universale, in quanto diffusa presso tutte le popolazioni sin dall’antichità, allo stesso tempo è altrettanto vero che il gioco è sempre stato relegato a pratica di nicchia volta all’intrattenimento, in particolare per i bambini, a mezzo di fuga dalla realtà e quindi vista come una perdita di tempo dal momento che il suo unico obiettivo sembra essere quello di divertire e compiacere il giocatore (Chou, 2015; Petruzzi, 2015). Con la gamification invece quello che si cerca di fare è integrare gioco e realtà andando a combinare diversi elementi tipici appunto del gioco in modo da rendere più piacevole e coinvolgente una qualunque esperienza (Chou, 2015; Petruzzi, 2015). Con questo termine si fa perciò riferimento proprio all’applicazione di meccanismi e dinamiche tipiche dei giochi a situazioni estranee al gioco stesso con lo scopo di motivare ed incoraggiare le persone ad adottare i comportamenti desiderati e a raggiungere determinati obiettivi (Bittner e Schipper, 2014).

In realtà però è necessario precisare che, nonostante il termine abbia ormai trovato una discreta diffusione in questi ultimi anni, oggi, come in passato, esiste ancora una certa confusione circa questo concetto, sia per quel che riguarda i suoi risvolti pratici che per quel che riguarda l’esistenza di una definizione che sia chiara ma soprattutto condivisa (Viola, 2011c). Diverse sono infatti le definizioni che finora sono state proposte da centri di ricerca ed esperti del settore.

Alcuni, parlando di gamification, l’hanno presentata come una nuova buzzword ossia una di quelle nuove parole ad effetto che in un certo periodo e in un certo contesto sono molto di tendenza (Zichermann e Cunningham, 2011; Carter, 2012; Deterding, 2012; Chou, 2015). Lo stesso Nick Pelling, poi, considerato il coniatore del termine, nel suo post del 2002 dichiarò di aver deliberatamente creato una “brutta parola” (Burke, 2014).

Tutto ciò potrebbe in qualche modo sminuire l’importanza e l’ufficialità di questo termine e del concetto che sta ad indicare, se non fosse che nel 2011 l’Oxford English Dictionary (OED) ha inserito propria la parola “gamification” nella classifica delle parole dell’anno proponendo poi una sua

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6 definizione in cui viene enfatizzato in particolare il ruolo della gamification quale strumento di marketing (Burke, 2014; Riley, 2015). Qui infatti la gamification viene definita come “l’applicazione di elementi tipici del gioco ad altre attività, e tipicamente come tecnica di marketing usata online per favorire il coinvolgimento con un prodotto o servizio” (The application of typical elements of game

playing to other areas of activity, typically as an online marketing technique to encourage engagement with a product or service) (Riley., 2015). La stessa prospettiva centrata sul marketing viene scelta poi

anche da Huotari e Hamari che propongono una definizione di gamification diversa dalla maggior parte delle altre decidendo parlarne come di un “service packaging in cui il servizio di base viene arricchito attraverso un sistema di servizio basato su delle regole che consente di interagire e dare un feedback all’utente con lo scopo di facilitare e supportare la creazione complessiva di valore” (Service

packaging where a core service is enhanced by a rules-based service system that provides feedback and interaction mechanisms to the user with an aim to facilitate and support the users’ overall value creation) (Deterding et al., 2011)

Altre definizioni poi sembrano invece aver enfatizzato altri aspetti. Dal canto suo, per esempio, Gartner Inc., società leader mondiale nella ricerca e analisi nel campo dell’Infomation Technology e nella consulenza strategica, che da diverso tempo studia il fenomeno della gamification e i suoi trend, ha proposto una sua definizione parlando di “uso di experience design e meccanismi di gioco per coinvolgere digitalmente e motivare le persone a raggiungere i propri obiettivi” (Use of game

mechanics and experience design to digitally engage and motivate people to achieve their goals)

dando quindi in questo caso enfasi alla dimensione digitale del fenomeno piuttosto che all’uso dei giochi tradizionali come mezzo (Burke, 2014; Riley, 2015). Brian Burke, ricercatore presso Gartner, ha proposto poi una spiegazione più dettagliata di questa definizione per facilitarne la comprensione, oltre a fare poi anche tutta una serie di altre precisazioni. Innanzitutto, come già accennato, Burke (2014) sottolinea come, secondo questa definizione, la gamification sia di fatto un nuovo metodo to

digitally engage, ossia un nuovo metodo per coinvolgere a livello digitale, piuttosto che personale, che

non si limita quindi ad applicare tecnologie ad un vecchio engagement model ma sfrutta invece il fatto che i giocatori oggi interagiscano con computer, smartphone e altri dispositivi digitali. Per quel che riguarda le parti che compongono la definizione, egli va poi a precisare che i meccanismi di gioco (come punti, badges e classifiche) e l’experience design (ossia il viaggio che il giocatore compie attraverso il gioco, lo spazio di gioco e la trama) costituiscono gli elementi chiave della gamification tuttavia, pur essendo questi elementi tipici dei giochi, i due concetti non vanno confusi. La relazione infatti tra game e gamification si limita solo alla presenza di questi elementi in comune e questa è una precisazione che va ricordata in quanto può risolvere ed evitare molti dei problemi di interpretazione e comprensione del termine da parte del pubblico. A tal proposito, Burke (2014) specifica che, a differenza del gioco, l’obiettivo della gamification non è il divertimento di per sé e nemmeno quello di trasformare un lavoro in un gioco; essa piuttosto ha come scopo quello di coinvolgere l’utente a livello

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7 emotivo in modo da riuscire ad incidere sulla sua motivazione e spingerlo cosi a cambiare il proprio comportamento, raggiungere i propri obiettivi, e come conseguenza di ciò permettere anche all’organizzazione di conseguire i propri.

Queste considerazioni trovano in parte conferma con Gabe Zichermann, considerato uno dei massimi esperti in fatto di gamification. Egli, pur riconoscendo che per persone diverse il termine possa assumere un significato differente e pur riconoscendo un fondo di verità in ognuno di questi, propone una sua definizione generale parlando di gamification come del “processo che utilizza il pensiero e i meccanismi di gioco per coinvolgere il pubblico e risolvere problemi” (Gamification is the

process of using game thinking and game mechanics to engage audiences and solve problems)

(Zichermann e Cunningham, 2011). In questo caso, quello che viene evidenziato dalla definizione è come la gamification non vada vista come un progetto ma come un processo e perciò come qualcosa che richiede un impegno ed un investimento continuo affinché le persone mantengano il loro coinvolgimento nel tempo (Velazquez, 2013). Zichermann poi fa a sua volta una serie di precisazioni ed in particolare dichiara che la gamification non va considerata come una mera aggiunta di elementi di gioco ad un processo ma anzi richiede una progettazione ben ragionata che tenga conto di una serie di fattori di cui si parlerà nei prossimi paragrafi, e che soprattutto va applicata con la consapevolezza che essa non può essere usata per risolvere un problema che affligge il cuore del business, quali un prodotto pessimo o una errata combinazione prodotto-mercato (Zichermann e Cunningham, 2011).

Allo stesso modo, anche Karl M. Kapp nel suo libro “The Gamification of Learning and Instruction: Game-based Methods and Strategies for Training and Education” del 2012, che si concentra più che altro sul ruolo della gamification come strumento di insegnamento ed apprendimento, conferma che questo concetto non va visto come il semplice uso di meccanismi di gioco. Quello che secondo Kapp infatti è necessario capire è il perché le persone giocano. A fare la differenza infatti non i sono punteggi di per sé ma piuttosto elementi come il senso di coinvolgimento e di realizzazione, il feedback immediato e il successo ottenuto una volta superata una sfida. La definizione proposta in questo caso cerca in qualche modo di combinare gli elementi presenti in altre definizioni tra le quali quelle già riportate di Gartner Inc. e Gabe Zichermann. Kapp infatti definisce la gamification come “l’uso dei meccanismi, dell’estetica e della logica del gioco per coinvolgere le persone, incentivare un’azione, promuovere l’apprendimento e risolvere problemi” (Gamification is using game-based

mechanics, aesthetics and game thinking to engage people, motivate action, promote learning, and solve problems). Egli poi individua in particolare due diverse tipologie di gamification che possono

coesistere all’interno dello stesso sistema; una è detta gamification di contenuto e l’altra gamification strutturale e si differenziano proprio in base al fatto che gli elementi di gioco siano applicati al contenuto o a ciò che lo circonda (Kapp, Blair, e Mesch, 2014). Nel primo caso quello che si ottiene è una trasformazione del contenuto stesso in qualcosa simile ad un gioco ed è per questo che alcuni preferiscono in realtà parlare in questi casi di serious game (Roberts, 2014).

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8 Un po’ diversa rispetto a quelle proposte finora è poi la presentazione che Yu Kai Chou fa del concetto di gamification nel suo libro “Actionable gamification: beyond points, badges, and leaderboards” del 2015 e nel suo blog yukaichou.com. Egli infatti descrive la gamification come “l’arte di prendere gli elementi di divertimento e di coinvolgimento che si trovano nei giochi e applicarli al mondo reale o in attività produttive” (Gamification is the craft of deriving all the fun and

addicting elements found in games and applying them to real-world or productive activities) ma subito

dopo afferma anche che questo processo è di fatto quello che lui chiama Human-focused design (Huang e Soman, 2013; Chou, 2015). Secondo Yu Kai Chou infatti il motivo per cui questo approccio è oggi noto con il nome di gamification sta nel fatto che l’industria del game, da sempre interessata a capire come tenere il giocatore costantemente coinvolto ed impegnato, è stata la prima ad approfondire e padroneggiare l’human-focused design, termine questo che indica un design focalizzato sull’incentivazione della motivazione umana, e che è perciò in opposizione al più comune

Function-focused design, che è indirizzato invece all’ottimizzazione dell’efficienza funzionale. Partendo infatti

dalla consapevolezza che ogni persona ha dei sentimenti, delle ambizioni, delle insicurezza e dei motivi per voler fare o meno determinate cose, l’human-focused design si focalizza proprio su l’ottimizzazione di questi sentimenti, della motivazione e del coinvolgimento come elemento di base per la progettazione di un sistema completo e delle sue funzioni.

Per quel che riguarda invece le definizioni proposte dalle più note piattaforme che offrono servizi e consulenza circa la gamification, ci sono Badgeville e Bunchball. La prima, nel suo sito parla di “applicazione di meccanismi di gioco, quali l’ottenimento di punti e badges una volta che sono state compiute certe azioni, a situazioni estranee al gioco” come ad esempio nel business (The application

of game mechanics, like awarding points and badges for certain actions, to non-game applications)

ma anche di gamification come “metodo per creare motivazione umana” che “quando viene applicata al business rende clienti e dipendenti maggiormente interessati e impegnati permettendo così di ottenere performance migliori” (One method of creating human motivation. When human motivation is

blended with everyday business applications, customers and employees become more interested and engaged. This leads to higher business performance) (Badgeville.com). La seconda, invece, parla di

gamification come di “un processo con il quale si prende qualcosa che già esiste – un sito, un’applicazione aziendale, una community online – e, in questo, si integrano dei meccanismi di gioco per stimolare la partecipazione, l’impegno e la lealtà“ (Gamification is the process of taking something

that already exists – a website, an enterprise application, an online community – and integrating game mechanics into it to motivate participation, engagement, and loyalty) sottolineando perciò come la

gamification non consista tanto nel creare qualcosa di nuovo ma nell’amplificare un’esperienza già esistente sfruttando il potere motivazionale dei giochi per incentivare certe azioni e aggiungere così valore al business (Bunchball.com).

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9 Infine, per quel che riguarda il panorama italiano, mano a mano che il concetto si diffonde entro i confini nazionali, emergono anche qui i primi esperti e si sviluppa una letteratura di base che naturalmente si rifà a quella internazionale.

Fabio Viola, per esempio, esperto di gamification e autore di “Gamification: I videogiochi nella vita quotidiana” (2011), nel suo blog Gameifications.com cerca di spiegare in modo semplice e conciso il concetto specificando cosa possa essere considerato gamification e cosa invece no. Egli in particolare definisce la gamification come “l’utilizzo di meccaniche e dinamiche gaming (quali punti,livelli, virtual good, virtual currency, badge, leaderboard e gift) per risolvere problemi e creare engagement (o loyalty per chi mastica marketing) con l’utente finale all’interno di contesti (sia fisici che digitali) esterni ai giochi”, indicando poi siti di intrattenimento, community, salute, catene alimentari, campagne marketing, servizi b2b come alcune delle aree di applicazione.

Viola poi afferma che quello che la gamification di fatto fa, per stimolare l’engagement della persona ed incidere sui suoi comportamenti ed abitudini, è colpire alcuni degli istinti umani primari (quali reward, status, achievement, auto espressione e competizione), ed è per questo motivo che indica inoltre come componente fondamentale per una buona applicazione della gamification la presenza di una community che permetta appunto alle persone di competere tra loro e condividere i propri successi e sentimenti. Infine anche Viola passa a fare una serie di precisazioni che riprendono ancora una volta alcune delle considerazione già riportate in questo paragrafo. Tra queste, il fatto che il cambiare il modo in cui si presenta una cosa incida sulla forma ma non sulla sostanza e che quindi la gamification non possa essere vista come un modo per risolvere problemi strutturali (quali un prodotto-servizio mal pensato), nonché il fatto che gamificare qualcosa richieda un approccio ben pensato. Per quel che riguarda quest’ultimo aspetto di cui si parlerà meglio nel paragrafo 1.6, infatti, è necessario considerare che l’utilizzo di elementi di gioco è certamente utile per supportare la partecipazione, ma, per poter parlare di gamification, è necessario che questi vengano applicati in modo da creare un’esperienza di gioco significativa e coerente rispetto a quelli che sono gli obiettivi da perseguire e gli interlocutori, che ora non sono più semplici clienti o dipendenti ma anche dei giocatori (Petruzzi, 2015).

Queste sono solo alcune delle definizioni di gamification che finora sono state proposte e come si può notare esse presentano molti punti comuni così come elementi di differenza dovuti spesso all’aver voluto enfatizzare un ruolo o un aspetto della gamification piuttosto di un altro. Per questo motivo la definizione con la quale è stato aperto questo paragrafo che descrive la gamification semplicemente come l’utilizzo di meccanismi di gioco ed elementi di game design in contesti estranei al gioco può essere considerata un buon punto di partenza proprio perché generica.

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1.2. Le origini e la diffusione del termine gamification

In realtà la storia di ciò che oggi è conosciuto come gamification è più lunga di quello che può sembrare. Sebbene infatti il termine gamification sia nato in anni piuttosto recenti, l’idea che sta alla base di questo concetto in realtà non è affatto nuova (Zichermann e Cunningham, 2011; Chou, 2015).

Il movimento degli scout, per esempio, fondato da Sir Robert Baden-Powell nel 1907, utilizza con successo da ormai più di cento anni il sistema dei badge, ossia medaglie e distintivi tipici dei giochi, usati come simbolo di appartenenza al gruppo e forma di riconoscimento dei successi ottenuti e, in quanto tali, mezzo per infondere nell’individuo un senso di orgoglio (Carter, 2012; Deterding, 2012; Burke, 2014). Un’ altro esempio poi è il famoso film Disney “Mary Poppins” del 1964. Nella scena infatti in cui la protagonista e i figli dei Signori Banks riordinano la camera, i personaggi cantano la nota canzone “A spoonful of sugar”, conosciuta in Italia come “Un poco di zucchero”, durante la quale Mary Poppins, nella versione originale, canta “In every job that must be done, there is an element of

fun/You find the fun and snap, the job's a game/And every task you undertake becomes a piece of cake […] A Spoonful of sugar helps the medicine go down/The medicine go down/The medicine go down/Just a spoonful of sugar helps the medicine go down/In a most delightful way…”. Se si

considera che il film è stato girato nel 1964, risulta evidente che l’idea, come detto anche nella canzone, di trasformare le cose in un gioco per renderle più divertenti e coinvolgenti ed in generale per motivare le persone è in realtà in circolazione già da molto tempo sebbene finora il potenziale di questa pratica sia stato forse un pò sottovalutato (Herger, 2015).

Nonostante i precedenti, infatti, il termine gamification nasce nel settore dei digital media ed inizia a diffondersi solo nei primi anni 2000, iniziando a catturare sempre di più l’attenzione di ricercatori e trovando applicazione pratica in diversi ambiti tra i quali il marketing e il coinvolgimento dei clienti, l’istruzione, la formazione e lo sviluppo dei dipendenti (Deterding et al., 2011; Burke, 2012).

Come già accennato, sembra che a coniare il termine sia stato Nick Pelling, un programmatore di videogiochi inglese, che nel 2002 l’ha usato per parlare della sua attività di consulenza definendolo poi come modo per rendere le transazioni elettroniche più veloci e piacevoli sfruttando delle affinità con i giochi ([…] applying game-like accelerated user interface design to make electronic transactions both

enjoyable and fast) (Viola, 2011b; Werbach e Hunter, 2012; Burke, 2014). In questo stesso anno

appare anche una di quelle che viene spesso citata come una delle prime forme di applicazione della gamification così come viene definita oggi. Si tratta di America’s Army, ossia una piattaforma di gioco pubblicata dall’U.S. Army che viene usata come strumento per attrarre nuove reclute e dare loro la possibilità di esplorare virtualmente la vita nell’esercito e capire se questa è davvero di loro interesse (Growth Engineering, 2016a).

Qualche anno più tardi poi, e precisamente nel 2005, Rajat Paharia fonda Bunchball che, insieme a Badgeville, fondata ben 5 anni dopo, nel 2010, è di fatto una delle più famose piattaforme i cui servizi

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11 utilizzano meccaniche di gioco per coinvolgere, fidelizzare e motivare clienti, dipendenti e partner (Bunchball.com; Badgeville.com).

Nonostante ciò è solo nel 2008, e precisamente il 16 giugno, che si ha la prima testimonianza concreta dell’uso di questo nuovo termine grazie a Bret Terrill che in un post-blog sulla sua partecipazione al Social Game Summit parla di “gameification” definendola come “l’applicazione di meccanismi di gioco in contesti web per aumentare l’engagement tra prodotto e utente” ([…] One of

the biggest topic […] is the gameification of the web. The basic idea is taking game mechanics and applying to other web properties to increase engagement) (Viola, 2011b; Growth Engineering, 2016a).

In realtà va precisato che, mentre fino a quel momento il concetto di gamification era pressoché rimasto legato al mondo dei videogame e dei giochi, il salto evolutivo si ha nel 2009 quando Barry Kirk e Tim Crank dell’agenzia Maritz introducono il concetto di Gamification of loyalty al Loyalty Expo 2009 e così, per la prima volta, un’azienda estranea alle logiche di gioco parla pubblicamente dei benefici che le dinamiche ludiche possono avere in altri contesti quali le tecniche di loyalty (Viola, 2011b). Partendo dalla consapevolezza che una larga parte della nostra società ruota attorno ai giochi, infatti, i due riconoscono come tutto ciò riguardi in realtà anche il marketing e la fidelizzazione; nello specifico essi dichiarano che “i giochi riguardano la competizione, lo status, il flusso, il gioco, i premi, la realizzazione e il bisogno psicologico primitivo di padronanza” e che per questo potrebbero essere impiegati per risolvere le sfide che si è chiamati ad affrontare nel campo del marketing e della loyalty, come i programmi delle commodity, il crescente problema della scarsità di attenzione del pubblico e il messaggio dei social media che tutto deve essere interattivo e coinvolgente” (Games tap into

competition, status, flow, play, reward, achievement and mastery-primal psychological needs[…]. And that’s exactly why they could be the big ticket to solving pervasive challenges in the loyalty marketing arena, such as commoditized programs, the public’s growing attention scarcity and social media’s message that everything needs to be interactive and immersive) (Sturgeon, 2009).

È sempre in questo stesso anno poi che nasce Foursquare, un altro dei casi che viene spesso citato come una delle prime forme di applicazione della gamification. Si tratta infatti di una rete sociale, basata sulla geolocalizzazione, che utilizza i badge, elemento tipico dei giochi, il cui successo ha contribuito in modo considerevole a far emergere e rendere evidente il potenziale che sta dietro al concetto di gamification (Deterding et al., 2011).

Si arriva così al 2010, anno in cui il termine gamification inizia a diffondersi davvero e a diventare di uso comune grazie al discorso intitolato “Design outside the box” tenuto da Jess Schell in occasione della Dice Conference di Las Vegas, durante il quale egli illustra un futuro in cui il gaming entra a far parte della vita quotidiana dell’uomo (Viola, 2011b). È proprio in questo anno infatti che il termine raggiunge una massa critica in termini di diffusione tale da consentirgli di apparire anche tra gli argomenti di Google trend (Burke, 2014). In realtà va precisato che nel suo discorso Schell non cita mai esplicitamente la parola gamification ma di fatto per la prima volta teorizza ed illustra questo

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12 fenomeno (Viola, 2011b; Petruzzi, 2015). Di seguito si riportano alcuni degli spezzoni più rappresentativi del suo discorso (Fonte: http://www.dicesummit.org/dice_summits/2010-dice-archive.asp):

“[…] La tecnologia sta diventando sempre meno costosa e ci sono sensori ovunque che rilevano diverse cose nella nostra vita e possono essere usati per il gioco. Ci stiamo muovendo verso una tecnologia usa e getta […]. E come sarà il mondo? Beh, penso che sarà così. Ti alzerai al mattino e mentre ti laverai i denti il tuo spazzolino rileverà che lo stai facendo. Ehi ben fatto, 10 punti per esserti lavato i denti. Ma lo spazzolino può anche misurare per quanto tempo lo fai e si suppone che tu lo faccia per 3 minuti. L’hai fatto? Bel lavoro! Avrai un bonus per questo. E, ehi, hai lavato i denti ogni giorno questa settimana, un altro bonus per te!

A chi importa? Alle aziende che producono dentifricio e spazzolini. Più ti lavi i denti, più usi dentifricio e spazzolini. Loro hanno un interesse economico in tutto questo.

Vai a fare colazione, ci sono i corn flakes. Sul retro della scatola c’è un piccolo web game a cui puoi giocare mentre mangi […] ed ecco 10 punti solo per aver mangiato i corn flakes. Poi scopri che puoi vedere la lista dei tuoi amici che mangiano gli stessi corn flakes e il punteggio che loro hanno realizzato allo stesso gioco perché sei connesso a Facebook tramite wi-fi e puoi accumulare punti se batti uno dei tuoi amici. […].

Esci e vai a prendere l’autobus. L’autobus? Perché prendo l’autobus? Perchè il governo ha iniziato a dare dei punti bonus alle persone che usano i mezzi pubblici e si possono usare questi punti per degli sgravi fiscali. E arrivi puntuale a lavoro. Ottimo! Ecco un bonus speciale […].

Vai ai a pranzo e prendi una Dr. Peppers per tutta la settimana perché così avrai 10 punti, 10 punti, 10 punti … e un bonus speciale di 500 punti se prendi 5 Dr. Peppers in una settimana […]. Poi hai un meeting in un altro edificio che dista mezzo miglio e decidi di andare a piedi perché l’assicurazione sanitaria prevede un bonus per chi cammina per più di un miglio al giorno e questo viene facilmente rilevato grazie alle tue scarpe digitali. E se la tua frequenza cardiaca supera un certo livello avrai altri punti bonus dalla tua assicurazione sanitaria […].

Vai a casa e tua figlia ti mostra la pagella e così ottieni 2000 punti dallo stato per aver ottenuti dei buoni voti e altri 5000 punti come bonus genitori che puoi usare per ottenere degli sgravi fiscali […]. Poi vai a guardare la tv e non voglio nemmeno parlare di questo. Punti, punti, punti, punti…perché c’è un sensore oculare che rileva quando stai guardando delle pubblicità […].

La giornata è finita. Vai a letto con il tuo Kindle 3.0 cha naturalmente ha un sensore in grado di dire cosa hai letto e quanto di quel libro hai letto. Ed è importante leggere tutto il libro perché se lasci una recensione su Amazon ottieni un super bonus […]. Hai letto 500 libri, è un bel traguardo e ti vergogni un pò a pensare che il tuo 500esimo libro è Star Trek perchè te lo ricorderai per sempre […]. I sensori che abbiamo su di noi e ovunque attorno a noi tracciano e osservano sempre ciò che facciamo […]. Così cominci a pensare che, wow, è possibile che, se tutto viene rilevato, misurato e giudicato, allora dovrei cambiare un po’ il mio comportamento ed essere un po’ migliore di quanto sono?!?

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Potrebbe essere che questi sistemi siano solo una commercializzazione grossolana, e ciò sarebbe terribile, ma è anche possibile che questi game system siano di ispirazione per essere persone migliori se sono progettati bene […]”

Nello stesso anno poi, durante l’evento organizzato da TED, la game designer Jane McGonigal tiene un discorso intitolato “Gaming can make a better world” in cui spiega come e perché giochi e giocatori dovrebbero essere considerati una risorsa che può essere sfruttata per cercare di risolvere i problemi del mondo reale. Di seguito vengono riportate alcune parti del discorso dalle quali risulta evidente tutto il potenziale che viene riconosciuto ai giochi e ai giocatori anche al di fuori del contesto strettamente ludico così come sostenuto dalla gamification seppur anche in questo caso il termine non

venga mai citato (Fonte:

http://www.ted.com/talks/jane_mcgonigal_gaming_can_make_a_better_world#t-1154732).

“[…] Il mio obiettivo per il prossimo decennio è quello di rendere facile salvare il mondo nella vita reale quanto lo è nel mondo dei giochi online. [...] Un problema che molti giocatori abituali hanno è che sentono che nella realtà non sono bravi quanto nei giochi [...] Quando siamo in un mondo virtuale credo infatti che molti di noi diventino la migliore versione di se stessi. […]

Un ricercatore della Carnegie Mellon University ha recentemente pubblicato uno studio secondo il quale oggi in un paese con una forte cultura di gioco un giovani entro i 21 anni ha speso in media 10.000 ore a giocare online [...]. Negli Stati Uniti, 10.080 ore è l'esatta quantità di tempo che si trascorre a scuola, dalla quinta elementare al diploma di scuola superiore [...] quindi di fatto esiste un binario parallelo di istruzione [...]. Alcuni di voi poi hanno probabilmente sentito parlare della teoria del successo di Malcolm Gladwell, la “teoria delle 10.000 ore" [...] che dice che se dedichiamo 10.000 ore di studio fruttuoso a una qualsiasi cosa, all'età di 21 anni saremo dei geni in quel campo. E così, ora quello che abbiamo è un'intera generazione di giovani che sono dei geni del gioco. Quindi, la grande domanda è: "Esattamente, in che cosa diventano bravi questi giocatori?" Perché se riusciamo a capire di cosa si tratta, avremo a disposizione una risorsa umana praticamente senza precedenti [...]. Quello che ho trovato sono 4 superpoteri. Il primo è l'ottimismo urgente (o estrema auto-motivazione) [...]. I giocatori credono sempre che una vittoria epica sia possibile e che valga la pena di provarci [...]. I giocatori poi sono bravi a tessere una rete sociale stretta. [...] giocare una partita insieme infatti costruisce legami di fiducia e cooperazione. E così come risultato si costruiscono effettivamente relazioni sociali più forti. Poi c’è la produttività gioiosa. [...] I giocatori infatti sono disposti a lavorare sodo per molto il tempo se gli viene assegnato il lavoro adatto. Infine: il significato epico. I giocatori amano essere collegati a missioni meravigliose, a storie umane su scala planetaria. [...] Questi 4 elementi insieme costituiscono una cosa sola: i giocatori abituali sono individui di grande ottimismo dotati di super-potere. Queste sono persone che credono di poter cambiare il mondo. L'unico problema è che essi credono di poter cambiare i mondi virtuali ma non il mondo reale. [...] Dobbiamo perciò iniziare a

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rendere il mondo reale più simile ad un gioco [...]. Penso che [...] oggi stiamo usando giochi come modo per sfuggire alle sofferenze del mondo reale [...].

Ora, vi starete chiedendo: "Come faremo a risolvere i problemi del mondo reale con i giochi?" [...] Presso l'Institute for the Future [...] noi non vogliamo cercare di prevedere il futuro. Quello che vogliamo fare è creare il futuro. [...] Vogliamo immaginare vittorie epiche e quindi dare alle persone i mezzi per raggiungerle. [...] I giochi che ho creato sono un tentativo di dare alle persone i mezzi per creare vittorie epiche nel proprio futuro. [...] World Without Oil […] è un gioco online in cui si deve sopravvivere ad una carenza di petrolio. [...] Vi posso dire che questa è un'esperienza trasformativa [...] la maggior parte dei nostri giocatori infatti hanno mantenuto le abitudini che hanno imparato in questo gioco. [...] Nel gioco chiamato Superstruct invece […] la premessa è che un supercomputer ha calcolato che l’umanità ha solo altri 23 anni su questo pianeta [...] ed è vostro compito inventare il futuro dell'energia, il futuro del cibo, il futuro della salute, il futuro della sicurezza e il futuro della rete di sicurezza sociale. […] Quello che i giocatori hanno prodotto sono state 500 soluzioni molto creative. [...]

Questi giochi sono dei giochi pilota di quello che potremmo fare. Nessuno di loro ha ancora salvato il mondo reale. Ma spero che ora siate d'accordo con me nel credere che i giocatori sono una risorsa umana che possiamo usare per il mondo reale e che i giochi sono una potente piattaforma per il cambiamento. [...] Quindi…diamo inizio ai giochi che cambieranno il mondo.

L’anno successivo poi sembra essere per la gamification un anno importante. È proprio nel 2011 infatti che, come già detto nel paragrafo precedente, il termine gamification compare per la prima volta all’interno dell’Oxford English Dictionary (OED) in cui viene definito come “l’applicazione di elementi tipici del gioco (ad esempio punteggi, competizione con gli altri, regole del gioco) ad altre aree di attività, e tipicamente come tecnica di marketing online per incoraggiare il coinvolgimento con prodotti e servizi” (The application of typical elements of game playing (e.g. point scoring,

competition with others, rules of play) to other areas of activity, typically as an online marketing technique to encourage engagement with a product or service) (Riley, 2015; oed.com).

È sempre nel 2011, poi, che viene organizzato da Gabe Zichermann il primo Gamification Summit (GSummit), tenutosi a San Francisco, durante il quale gli esperti del settore hanno spiegato al pubblico come gli elementi di gioco possano rendere la vita di tutti i giorni e le esperienza di consumo più avvincenti (Goad, 2011; Newton, 2011; Growth Engineering, 2016b). A tal proposito è doveroso sottolineare però che, nonostante il successo dell’evento e sebbene, come detto finora, il termine gamification fosse in circolazione già da qualche anno, a giudicare dai feedback lasciati sui social e nel web sembra che in realtà la confusione del pubblico circa il significato e la definizione di questo concetto fosse davvero ancora molta (Goad, 2011).

Nel maggio del 2011, poi, durante la CHI (conferenza sull’interazione uomo-computer) tenutosi a Vancuver, viene organizzato un workshop sulla gamification ed è in tale occasione che vengono poste le basi per la creazione del Gamification Research Network (GRU), un centro di comunicazione per

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15 esperti e ricercatori interessati alla gamification il cui scopo è quello di promuovere e raccogliere studi, ricerche e pubblicazioni su questo tema (Gamification-research.org; Growth Engineering, 2016b).

Infine è sempre nel 2011 che il termine gamification viene inserito da Gartner Inc., società leader mondiale nella consulenza strategica, ricerca ed analisi nel campo dell’Information Technolocy, nel suo annuale Hype Cycle Special Report, strumento che rappresenta l’evolversi delle tecnologie nel loro ciclo vitale (Viola, 2011b). Come si può vedere dalla Figura 1.1 di seguito riportata, la gamification, con un arco di tempo previsto di 5-10 anni per la sua diffusione, viene collocata all’interno della fascia denominata Peak of Inflated Expectations, in italiano “Picco delle aspettative esagerate”. Si tratta di un’area in cui si trovano i nuovi trend più popolari ossia quelle tecnologie che dopo una pubblicità iniziale evidenziano i primi casi di successo, spesso accompagnati da molti fallimenti (Gartner.com).

Figura 1.1 Hype Cycle 2011

Fonte: Gartner.com

In realtà, nel corso di quello stesso anno ma anche degli anni successivi, Gartner ha presentato poi ulteriori previsioni circa la diffusione della gamification. In particolare in uno dei suoi rapporti Gartner affermava che entro il 2014 il 70 percento delle organizzazioni presenti nella lista Global 2000 di Forbes avrebbe avuto almeno una gamified application, ossia avrebbe adottato la gamification in almeno un’area dei suoi business, in genere nel marketing e nella fidelizzazione dei clienti, rendendo di fatto la gamification sempre più significativa (ABA Bank Marketing, 2013; Leeson, 2013; Liyakasa, 2013; Velazquez, 2013; Bittner e Schipper, 2014; Roberts, 2014). In altri rapporti poi si affermava che entro il 2015 il 50 percento delle organizzazioni avrebbe innovato attraverso l’adozione della gamification e che il 40 percento delle organizzazioni inserite nella Global 1000 di Forbes avrebbe

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16 adottato la gamification come principale metodo per trasformare le business operations (Carter, 2012; ABA Bank Marketing, 2013; FRPT-Software Snapshot, 2014; Mohl, 2014). Tutte ciò è un chiaro segnale di come nel corso degli ultimi anni il concetto di gamification sia andato sempre più affermandosi. Allo stesso tempo però è doveroso sottolineare che in una delle previsioni di Gartner si affermava anche che entro il 2014 l’80 percento delle gamified application utilizzate avrebbe fallito nel raggiungere gli obiettivi di business, indicando poi nello specifico come causa principale di questi fallimenti una progettazione inadeguata delle applicazioni stesse (Kaushik, 2013; Leeson, 2013; Liyakasa, 2013; Bittner e Schipper, 2014; Roberts, 2014).

Si arriva così al 2013, anno in cui presso l’Università dei Waterloo ha luogo una conferenza intitolata “Gamification 2013” durante la quale si sono riuniti leader di settore e ricercatori accademici provenienti da diversi ambiti per condividere idee ed esplorare insieme il futuro della gamification (Uwaterloo.ca; Growth Engineering, 2016a).

Nonostante il susseguirsi nel corso del tempo di tutti questi segnali incoraggianti, l’anno successivo, nel 2014, si inizia a notare che, come previsto da Gartner, molte delle iniziative di gamification non hanno avuto in realtà l’effetto sperato e comincia perciò a nascere l’idea che forse la gamification come business strategy sia ormai arrivata al capolinea portando così molte aziende a rivedere i loro investimenti (Clancy, 2014; Growth Engineering, 2016a). Se si guarda l’Hype Cycle di Gartner del 2014 (Figura 1.2), infatti, si può vedere come la gamification sia entrata in quella che viene definita

Trough of Disillusionment, in italiano “Trogolo della disillusione”, ossia un’area in cui

l’implementazioni e la sperimentazioni non portano ai risultati sperati e per questo svanisce l’interesse nei confronti della nuova tecnologia, portando alla crisi e talvolta al fallimento di molte iniziative e alla sopravvivenza solo di coloro che sono stati in grado di migliorare la tecnologia per soddisfare gli early adopter (Gartner.com).

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17 Figura 1.2 Hype Cycle 2014

Fonte: Gartner.com

In realtà, come già accennato e come verrà approfondito nei prossimi paragrafi, si è poi capito che tutti questi fallimenti sono per lo più dovuti ad una programmazione inadeguata delle applicazioni ed in particolare alla mancanza di un chiaro obiettivo ben definito delle stesse (Clancy, 2014; Growth Engineering, 2016a). Questo significa che, nonostante l’euforia scatenata dalla gamification si sia effettivamente un po’ spenta, non sembra opportuno parlare di fine della gamification e nemmeno si può negare il suo potenziale, data comunque l’esistenza anche di diversi casi di successo e l’appeal che tutto ciò sembra avere nei confronti dei Millennials, noti anche come generazione Y o net generation (O’Connel, 2015). Quello che emerge è invece la presa di consapevolezza del fatto che, quando si decide di gamificare un processo, è necessario farlo bene ponendo particolare attenzione ad alcuni elementi che verranno poi approfonditi nei paragrafi successivi (Clancy, 2014).

Già l’anno dopo, nel 2015, infatti la validità della gamification sembra ritrovare conferma. Da uno studio condotta da Gallup, società americana di ricerca e consulenza, emerge, infatti, un quadro preoccupante secondo il quale solo il 31.5 percento dei dipendenti è impegnato, coinvolto ed entusiasta del proprio lavoro (il 51 percento non si impegna e il è 17.5 percento ”attivamente disimpegnato”) mentre se ci si focalizza solo sulla generazione dei Millennials la percentuale scende ancora fino a toccare il 28.9 percento (Adkins, 2015). Considerato l’importanza del ruolo che hanno le risorse umane per un’organizzazione e tenendo conto del fatto che entro il 2025 i Millennials rappresenteranno circa il 75 percento della forza lavoro mondiale è evidente che simili dati non possono essere ignorati (Burke e Hiltbrand, 2011; Mohl, 2014; Meister, 2015). Una possibile soluzione sembra quindi essere proprio l’applicazione della gamification ai processi chiavi di HRM, con lo scopo non solo di migliorare il livello di impegno e di coinvolgimento ma anche come mezzo

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18 per attrarre i best talent; ed è proprio questo quello che hanno fatto molte grandi aziende tanto che secondo una stima di Gartner l’applicazione della gamification focalizzata sui dipendenti è ora maggiore di quella centrata sui clienti (Meister, 2015).

1.2.1 Previsioni per il futuro

A questo punto, è opportuno considerare quelle che sono le previsioni e le considerazioni che di recente sono state fatte circa il futuro della gamification.

Innanzitutto va sottolineato che lo scetticismo e la confusione che ancora oggi continua ad esserci circa questo concetto e le sue potenzialità sembra ripercuotersi ed influenzare non poco le previsioni future.

Gartner, per esempio, prendendo come orizzonte temporale il 2020, prevede un notevole sviluppo e maturazione di nuove tecnologie emergenti che di fatto avranno il potere di promuovere l’applicazione della gamification in diversi ambiti (ad es.: management, istruzione, sviluppo dei dipendenti, marketing e fidelizzazione) e quindi la sua integrazione nella nostra vita quotidiana (Burke, 2012). Secondo questa previsione infatti, per effetto di queste continue evoluzioni, in futuro si assisterà ad un cambiamento del modo in cui l’uomo pensa e interagisce con la tecnologia la quale, da strumento passivo, diventerà per l’utente un partner in grado di anticipare i suoi bisogni, e saranno perciò proprio trend come questi a promuovere la gamification quale strumento in grado di motivare e coinvolgere l’utente anche in un modo così digitale (Burke, 2014).

Allo stesso modo, anche Yu Kai Chou sembra avere fiducia in un ulteriore sviluppo e diffusione della gamification tanto da arrivare ad immaginare un futuro in cui il temine scompare, non perché si smetterà di usarla, ma al contrario, perché diventerà la norma nel modo di progettare e interagire con il mondo circostante tanto da rendere superfluo il fatto di specificare che si tratta di un caso di gamification (Chou, 2015).

Infine, è doveroso citare poi una ricerca condotta da Pew Research Center sul futuro della gamification che, a differenze delle previsioni appena riportate, arriva a conclusioni leggermente meno ottimistiche. Se da un lato infatti risulta che il 53 percento degli intervistati (esperti Top Tech) ritiene che, entro il 2020, l’uso della gamification sarà largamente diffuso in svariati ambiti, dall’altro esiste anche un 42 percento di intervistati secondi i quali il fenomeno non si evolverà se non in ambiti specifici quali la comunicazione (Anderson e Rainie, 2012). Se si guarda poi ad alcune delle motivazioni date dagli intervistati alle loro risposte risulta ancora più evidente come le opinioni siano davvero molto varie tra loro: c’è chi per esempio vede nella gamification un futuro praticamente inevitabile, considerato l’evoluzione tecnologica e il cambio generazionale (Jane McGonigal (game

designer) – “By 2020 we will see that these games and virtual worlds provide alternative ways of seeing and thinking, which is the essence of innovation”; Mike Liebhold (ricercatore IFTF) - “The development of ‘serious games’ applied productively to a wide scope of human activities will

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accelerate simply because playing is more fun than working”); chi ne riconosce il potenziale ma non

la considera una novità (Paul Jones (docente alla University of North Carolina) – “Gamification is an

overblown term for old-school marketing. Yes it works. Yes we use it. No, it’s no game changer”); chi

pensa che il mondo non sia ancora arrivato ad un livello di sviluppo tecnologico sufficientemente adeguato affinché la gamification entri nella nostra vita quotidiana (John Smart (fondatore di ASF) -

“By 2020, gamification will have made more advances in entertainment and more inroads in education and mass consumption but it will remain niche even for most retail businesses, as well as for health, work, self-help, personal productivity, self quantification, and other domains. […] we simply don’t have the artificial intelligence necessary to build really good versions of this yet […]. By 2030 […] we’ll have an environment where gamification could move significantly beyond entertainment”; Jim Jansen (docente alla Penn State University) – “I’m not sure this will happen by 2020, but the idea of work, learning, and training as entertainment will certainly increase in usage”);

chi vede nella gamification solo una moda passeggera (Sandra Braman (docente presso Texas A&M

University ) – “I believe there will be efforts to gamify much of what we do, but that much of that will just come and go as fads”); e chi la prende seriamente in considerazione ma pone l’accento su alcune

questioni che se non considerate possono rendere la gamification non totalmente corretta (Larry

Lannom (vice presidente CNRI) – “Some aspects of games, e.g., competition and narrative, are powerful factors in human behavior. Whether or not the increased ability to manipulate people is an overall benefit is an open question.”; Danah boyd (Ricercatrice) – “[…] (Gamification) is a modern-day form of manipulation. And like all cognitive manipulation, it can help people and it can hurt people. And we will see both”) (Anderson e Rainie, 2012).

1.3. Gli elementi che caratterizzano la gamification

Come detto nel paragrafo 1.1, pur non essendoci una definizione universalmente accettata del termine gamification, descrivere questo concetto come “l’uso di elementi di gioco e di tecniche di game design in contesti estranei al gioco” sembra essere un buon punto di partenza. Se infatti si analizza nel dettaglio questa definizione si possono da subito individuare al suo interno tre elementi distinti che caratterizzano la gamification e che verranno di seguito approfonditi (Werbach e Hunter, 2012; Leeson, 2013):

 Elementi di gioco (game elements)

 Tecniche di game design (game design techniques)

 Contesti estranei al gioco (non-game contexts)

1.3.1 Elementi di gioco

Nonostante gli elementi di gioco possano sembrare la componente della gamification più semplice ed immediata da individuare, in realtà si è molto discusso su cosa davvero potesse essere identificato

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20 come elemento di gioco e, nonostante siano stati proposti diversi elenchi nel tentativo di fare chiarezza, la soluzione migliore sembra essere quella di considerare gli elementi di gioco come un set di building block o caratteristiche comuni ai giochi (Deterding et al., 2011). Sebbene infatti ogni gioco si presenti al giocatore come un’esperienza integrata e quindi come una cosa singola, in realtà, esso può essere scomposto in una serie elementi di base, ossia un insieme di piccole parti che appunto vengono chiamate elementi di gioco (Werbach e Hunter, 2012).

Una possibile classificazione si questi elementi prevede la loro distinzione in due categorie: self-elements e social-self-elements (Huang e Soman, 2013). Nella prima categoria vanno racchiusi quegli elementi di gioco (come punti, badges e livelli) che portano il giocatore a competere con se stesso e a riconoscere la propria autorealizzazione; mentre nella seconda rientrano invece quegli elementi (ad es.: leaderboards) che stimolano l’interazione, sia competitiva che cooperativa, tra gli utenti (Huang e Soman, 2013).

Come già detto, nel momento in cui queste elementi vengono applicate e integrate a situazioni diverse dal gioco si parla di gamification che, come verrà approfondito nei prossimi paragrafi, costituisce un concetto diverso da quello di game.

Werbach e Hunter nel loro libro “”For the win: how game thinking can revolutionize your business” del 2012 individuano, in particolare, tre categorie di elementi di gioco importanti per la gamification e le organizzano in ordine decrescente rispetto a quello che è il loro livello di astrazione. In particolare, al livello più alto di astrazione c’è la categoria detta Dynamics che rappresenta una parte particolarmente importante della gamification e in cui rientrano dinamiche di gioco come:

 Vincoli (constraints), ossia trade-off forzati e limiti;

 Emozioni (emotions), come la curiosità, la competitività, la frustrazione e la felicità;

 Narrativa (narrative), ossia una trama continua e coerente;

 Progressi (progression), ossia una crescita e sviluppo del giocatore;

 Relazioni (relationship), ossia interazioni sociali che generino un senso di cameratismo, altruismo e status.

Al livello intermedio poi c’è la categoria denominata Mechanics che raggruppa quei processi di base che guidano l’azione del giocatore, stimolano il suo impegno e consentono quindi di creare le dinamiche descritte sopra. Tra i principali meccanismi ci sono:

 Sfide (challenges), ossia puzzle o altri task che si chiede di risolvere;

 Chance, che rappresenta l’elemento di casualità;

 Competizione (competition), data dal fatto che alla fine qualcuno vince e qualcun’altro perde;

 Cooperazione (cooperation), nel momento in cui i giocatori devono lavorare insieme per raggiungere un obiettivo condiviso;

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 Acquisizione delle risorse (resource acquisition), che si presenta come l’ottenimento di elementi utili e collezionabili;

 Premi (rewards), ossia benefici ottenuti in seguito a determinate azioni o successi;

 Transazioni (transactions), ossia scambi tra i giocatori;

 Stati di vittoria (win states), ossia obiettivi che rendono un giocatore, o un gruppo, il vincitore.

Infine, alla base della piramide, c’è la categoria denominata Components che di fatto rappresento la forma più specifica che meccanismi e dinamiche possono assumere:

 Successi (achievement), ossia obiettivi definiti;

 Avatar, ossia un personaggio che rappresenta visivamente il giocatore;

 Badges, che rappresentano visivamente i successi conseguiti;

 Sfide contro il boss (boss fights), che consistono nelle sfide più dure che si affrontano in genere alla fine di un livello;

 Collezioni (collections), che si creano quando oggetti e badges vengono accumulati;

 Combattimenti (combat), ossia una battaglia ben definita ed in genere di breve durata;

 Sblocco di contenuti (content unlocking), ossia aspetti utilizzabili dal giocatore solo dopo aver raggiunto determinati obiettivi;

 Doni (gifting), ossia l’opportunità di condividere risorse con gli altri;

 Classifiche (leaderboards), che danno un’indicazione visiva dei progressi e successo del giocatore;

 Livelli (level), che rappresenta un passo ben definito nei progressi del giocatore;

 Punti (points), ossia rappresentazioni numeriche del progresso del giocatore;

 Missioni (quests), ossia sfide predefinite con obiettivi e benefici;

 Social graphs, che rappresentano il social network del giocatore all’interno del gioco;

 Team, ossia gruppi definiti di giocatori che lavorano insieme per un obiettivo comune;

 Beni virtuali (virtual goods), ossia beni all’interno del gioco a cui è associato un valore monetario reale o percepito.

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22 Figura 1.3 La gerarchia degli elementi di gioco

Fonte: Werbach e Hunter, 2012

All’interno di questo framework, poi, Werbach e Hunter (2012) evidenziano, nello specifico, il ruolo della cosiddetta triade PBL, indicandola come l’insieme degli elementi di gioco più diffusi ed utilizzati dalla gamification. Questi tre elementi, da cui deriva l’acronimo PBL, sono:

 Points (punti): sono un meccanismo di gioco che poggia sull’idea che le persone, in cambio dell’ottenimento e accumulo di punti, siano più disposte a fare ciò che viene loro richiesto e, proprio per questo, vengono utilizzati come mezzo per incoraggiare l’utente ad adottare il comportamento desiderato, facendo leva su elementi come lo spirito di competizione o il desiderio di collezionare (Werbach e Hunter, 2012). Sono considerati un elemento particolarmente importante perché consentono di valutare e tenere traccia di ciò che il giocatore fa (Zichermann e Cunningham, 2011).

Cinque sono, in particolare, i tipi di points system che secondo Zichermann possono essere usati per costruire l’esperienza gamificata e che riflettono quelle che sono le funzioni che possono assumere i punti (Zichermann e Cunningham, 2011; Zichermann e Linder, 2013):

o Punti esperienza (Experience points): indicati anche con la sigla XP, permettono di monitorare e tenere traccia dell’esperienza nel corso del tempo e di allineare il giocatore con gli obiettivi comportamentali;

o Punti riscattabili (Redeemable points): detti anche RP, sono una tipologia di punti la cui quantità può variare in quanto, a differenza degli XP che possono solo aumentare mano a mano che vengono accumulati, gli RP possono anche essere usati per ottenere in cambio qualcosa (si pensi a titolo esemplificativo al meccanismo delle miglia aeree). Spesso a questi punti vengono dati nomi, come monete o dollari, che rimandano all’idea di valuta in quanto rappresentano un elemento di base per la formazioni di economie virtuali;

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23 o Punti abilità (Skill points): sono indice delle capacità acquisite dal giocatore in una specifica aerea. Si tratta di punti bonus marginali rispetto agli XP e RP, che incoraggiano il giocatore a svolgere compiti alternativi o raggiungere obiettivi secondari in quanto connessi ad attività vicine a quelle principali;

o Punti reputazione (Reputation points): contribuiscono appunto alla costruzione della reputazione del giocatore. Sono la tipologia di punti più complessa in quanto agiscono da proxy per la fiducia. Ogni qualvolta infatti che un sistema per poter funzionare richiede che ci sia fiducia tra le parti ma non è possibili gestirla e garantirla in modo esplicito, la soluzione chiave è rappresentata dal sistema della reputazione;

o Punti karma (Karma points): in questo caso l’unico scopo è quello di creare un modello comportamentale basato sull’altruismo e la ricompensa dell’utente. Sono infatti punti che diventano utili solo nel momento in cui si decide di condividerli in quanto, se semplicemente accumulati e conservati, non danno nessun beneficio al giocatore. Sono raramente utilizzati nei giochi classici.

Allo stesso modo, anche Werbach e Hunter (2012) hanno proposto un loro elenco di quelli che sono vari i modi di usare il meccanismo dei punti, sottolineando poi come la conoscenza e comprensione di questo aspetto sia importante per poter utilizzare i punti nel modo migliore e soprattutto in modo coerente a quelli che sono gli obiettivi perseguiti. I due autori, nello specifico, indicano come possibili utilizzi e quindi funzioni del meccanismo dei punti quanto segue:

o Tenere efficacemente il punteggio: è il modo in cui vengono in genere usati i punti nella gamification perché consentono di comunicare al giocatore se sta adottando il giusto comportamento e lo guidano sin dall’inizio verso l’obiettivo da raggiungere;

o Determinare la vittoria all’interno di un processo gamificato;

o Creare una connessione tra la progressione nel gioco e le ricompense estrinseche che si possono ottenere;

o Dare un feedback: permette di comunicare all’utente i suoi progressi in modo rapido e semplice;

o Comunicare all’esterno i propri progressi: in questo senso fungono da indicatori dello status raggiunto, specie nel caso di multiplayer game o community;

o Mezzo che i game designer usano per raccogliere dati.

 Badges (ossia medaglie, distintivi o riconoscimenti): detti anche achievements, sono la rappresentazione visiva (attraverso simboli come i trofei) dei risultati e successi ottenuti all’interno del processo gamificato e spesso segnano il raggiungimento di un certo livelli di punti (Werbach e Hunter, 2012). In quanto tali, essi sono uno strumento con cui il giocatore, non solo riesce a percepire i propri traguardi e progressi, ma può anche esibirli agli altri utenti,

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24 motivi questi per cui, se ben progettati, i badges riescono a far nascere nel giocatore il desiderio di collezionarli (Zichermann e Linder, 2013). Secondo Judd Antin ed Elizabeth Churchill (Antin e Churchill, 2011; Werbach e Hunter, 2012) un sistema di badges ben progettato presenta cinque caratteristiche:

o fornisce un obiettivo verso cui tendere e per questo riesce a stimolare la motivazione; o dà istruzioni indicando ciò che è possibile fare all’interno del sistema;

o dà informazioni circa la reputazione del giocatore indicando ciò che ha fatto e ciò di cui si preoccupa;

o funge da status symbol virtuale; funge da tribal markers in quanto si crea un senso di identità di gruppo tra chi ha gli stessi badges.

Infine, come si può dedurre anche dall’ultimo dei punti appena elencati, si segnala che una delle caratteristiche principali che rende i badges particolarmente interessanti è la loro flessibilità; un sistema di badges ben progettato infatti è in grado di rendere un servizio gamificato coinvolgente per gruppi diversi di utilizzatori (Werbach e Hunter, 2012).

 Leaderboards (classifiche): meccanismo che permette ai giocatori di conoscere i loro progressi all’interno del contesto e cioè di conoscere la loro situazione rispetto agli altri utilizzatori (Werbach e Hunter, 2012). Essendo basate sulla logica del confronto, le classifiche possono essere molto motivanti, dal momento che rendono pubbliche le performance dei giocatori e stimolano la competizione, ma possono anche diventare causa di demotivazione, nel caso in cui la consapevolezza della distanza esistente tra la propria posizione e quella dei migliori giocatori spinga l’utente a smettere di provarci e nei casi in cui la presenza di una classifica trasformi il gioco in una sfida a somma zero per la supremazia (Werbach e Hunter, 2012). In realtà, una soluzione a questi problemi potrebbe essere quella di avere una molteplicità di classifiche che misurino e tengano traccia di diversi aspetti e che quindi non siano universali per tutti i partecipanti, oppure quella di legare la classifica ai social network in modo da dare un’informazione più contestualizzata (Werbach e Hunter, 2012).

Più precisamente, è possibile distinguere due tipologie di classifiche: no-disincentive leaderboards e infinite leaderboards. Nel primo caso si tratta di classifiche sociali e relative, ossia classifiche che posizionano il giocatore a metà graduatoria in mezzo ai suoi contatti e che quindi non specificano la posizione all’interno della classifica generale (Zichermann e Cunningham, 2011; Zichermann e Linder, 2013). In questo modo il giocatore percepisce la mobilità all’interno della classifica come qualcosa di possibile e riesce a capire cosa deve fare per poter migliorare la propria posizione (Zichermann e Linder, 2013). Nel secondo caso invece si tratta di classifiche controllate il cui scopo è quello di fare in modo che nessun giocatore possa rimanere bloccato o veda crollare la propria posizione; nello specifico quindi

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