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La cultura dell’organizzazione e il person-organization fit

2.3 Un processo a due vie

2.3.2 La cultura dell’organizzazione e il person-organization fit

Un altro elemento che merita di essere approfondito e che di fatto è connesso in parte a quanto appena detto con riferimento all’employer brand è costituito dalla cultura dell’organizzazione. Come già accennato infatti le organizzazioni che sono in grado di attrarre e trattenere il personale sono quelle che riescono a creare un forte brand, attraverso il quale comunicano poi la propria vision, i propri valori e la propria cultura (Sampath, 2007; Kumar e Kumar, 2016).

Il termine cultura può essere definito come “un set di cognizioni condivise dai membri di un’unità sociale” (O’ Really et al., 1991), dove, nel termine “set”, secondo quanto suggerito da Rousseau (1990), vengono compresi elementi quali supposizioni, valori (più o meno dichiarati), aspettative, norme e modelli di comportamento.

76 Applicando questo concetto al contesto aziendale, quindi, si può parlare di cultura dell’organizzazione come degli “aspetti intangibili di un’organizzazione che influenzano il comportamento degli individui” o, secondo la proposta di Schein, come “l’insieme di credenze, valori e assunzioni di base condivise dai membri di un’organizzazione” (Nikolaou e Oostrom, 2015). In altre parole, il concetto di cultura dell’organizzazione può essere descritto quindi come “l’insieme di supposizioni, valori più o meno dichiarati, norme, costumi e rituali, storie e miti, metafore e simboli, clima e segni tangibili dei membri di un’organizzazione e dei loro comportamenti” e, in quanto tale, essa si riflette nel linguaggio, nei simboli, nei miti, nelle routine, nelle procedure, nei riti e nelle norme di perfomance che rendono unica un’organizzazione (Gardner et al., 2012).

Una cosa che comunque sembra emergere dalla letteratura e dalle ricerche sulla cultura è che il punto di partenza è rappresentato dai valori (definiti come “gli elementi di un sistema simbolico condiviso che viene usato come criterio o standard per scegliere tra alternative di orientamento disponibili in una situazione” da Parsons, e come “la convinzione duratura che una data modalità di condotta o stato di esistenza è socialmente o personalmente preferibili rispetto ad una modalità opposta o contraria” da Rokeach) in quanto è proprio attorno e sulla base di questi che vengono poi costruiti le norme, i simboli, i rituali e le altre attività culturali (O’ Really et al., 1991). Questo in qualche modo spiega perché la congruenza tra i valori di un individuo e quelli di un’organizzazioni rappresenta un punto cruciale nella valutazione del grado di person-organization fit (P-O fit) esistente (O’ Really et al., 1991).

Più volte è stato ribadita l’importanza che ha per un’organizzazione riuscire a sviluppare ed implementare una strategia di successo che le permetta di attrarre e trattenere nuovi talenti. A tal proposito quindi è utile ricordare che, uno dei modi che l’organizzazione ha a sua disposizione per migliorare le proprie pratiche di recruitment, ma anche di selezione e di retention, è proprio quello di raggiungere alti livelli di fit tra i nuovi dipendenti e l’organizzazione attraverso un’efficace strategia di comunicazione, ed è proprio in questo che la percezione circa la cultura dell’organizzazione ha un ruolo determinante (Gardner et al., 2012).

Il person-organization fit o P-O fit può essere descritto come l’incontro, inteso come compatibilità, tra la personalità, i valori e gli obiettivi di un individuo con quelli dell’organizzazione ed, in quanto tale, ha un ruolo importante nel determinare il grado l’attrattività della cultura e quindi dell’organizzazione stessa (Nikolaou e Oostrom, 2015). Più precisamente, la percezione del fit da parte del candidato rispetto ad un’organizzazione, influenzando l’attrattività di quest’ultima ai suoi occhi, di fatto impatta sulle sue decisioni in tutte le fasi: se nelle prime fasi, infatti, non avendo molte informazioni a sua disposizione, il candidato tende a valutare il fit con l’organizzazione basandosi su associazioni semplici e generiche relative per esempio al grado di similarità che percepisce tra sé e l’organizzazione in questione, in modo coerente anche a quanto spiegato nel paragrafo precedente; nelle fasi successive, il candidato dispone di un numero maggiore di informazioni relative al lavoro ma

77 anche all’organizzazione, in termini per esempio di ambiente di lavoro, valori e cultura, ed è proprio sull’analisi di queste informazioni che egli valuta il fit (Uggerslev et al., 2012).

Questo significa che, avendo il processo di recruitment l’obiettivo di attrarre un giusto numero di potenziali dipendenti di qualità, è importante che l’organizzazione tenga a mente che il modo in cui presenta la propria cultura ha delle implicazione su questo processo e che allo stesso tempo la sua strategia di recruitment deve favorire il fit tra persone ed organizzazione (Gardner et al., 2012; Nikolaou e Oostrom, 2015). Comunicare ed esprimere la cultura aziendale infatti mette i dipendenti, attuali e potenziali, nelle condizioni di comprendere quali sono i valori dell’organizzazione e soprattutto valutare se questi sono allineati con i propri e di conseguenza valutare il grado del fit esistente tra la propria personalità (intesa come struttura mentale stabile che indica una direzione generale per i comportamenti, le scelte e decisioni di una persona) e l’organizzazione (Gardner et al., 2012). Questa comunicazione della cultura poi risulta essere ancora più importante se si considera che, di fatto l’organizzazione non ha disposizioni dei veri e propri strumenti per valutare il fit di un candidato, se non il proprio istinto, quindi spesso si preferisce dare al candidato l’opportunità di esplorare e comprendere la vera natura dell’organizzazione in modo che sia poi lui stesso a valutare il fit (Billsberry, 2007). Del resto, la valutazione quantitativa della cultura è in generale ancora una questione aperta in quanto essa è in gran parte una costruzione sociale unica della realtà, spesso inconsapevole, da parte dei membri della cultura stessa; nonostante questo sono state individuate, in particolare, otto dimensioni che segnano la formazione di preferenze circa la cultura di un’organizzazione (O ’ Really et al., 1991): Innovazione (innovation); Attenzione ai dettagli (attention to detail); Orientamento al risultato (out come orientation); Aggressività (aggressiveness); Sostegno (supportiveness); Enfasi sulle ricompense (emphasis on rewards); Orientamento al team (team orientation); Risolutezza (decisiveness).

Al di là comunque delle difficoltà di misurazione, è importante evidenziare che, dal punto di vista dell’organizzazione, riuscire a migliorare il person-organization fit non è affatto una questione di poco conto in quanto non solo comporta una riduzione del turnover ed in generale dell’intenzione dei dipendenti di lasciare l’organizzazione ma si traduce anche in un miglioramento dell’attrattività dell’organizzazione (come già accennato infatti i candidati sono più attratti dalle organizzazioni i cui valori sono coerenti con i propri), della performance dei dipendenti, della job satisfaction, dell’organizational commitment e dell’organizational citinzenship behavior (Gardner et al., 2012; Nikolaou e Oostrom, 2015). Tutto questo sembra essere possibile perché si suppone che i risultati, le attitudini e i comportamenti delle persone siano il risultato della relazione tra la persona e l’ambiente di lavoro; più precisamente, infatti, è proprio da questo contatto che l’individuo comprende, e in caso di fit si identifica, con la cultura e le aspettative dell’organizzazione le quali poi si ripercuotono nelle sue scelte comportamentali (Bates, 2009).

78 Come spiegato da Gardner et al. (2012), esistono diversi cose che un’organizzazione può fare per cercare di incidere sul P-O fit. Tra questi per esempio ci sono diversi approcci con i quali misurare elementi come i valori, la personalità e le preferenze sul lavoro per poi determinare non solo il grado di P-O fit ma anche di person-job fit e trovare così chi presenta il best match rispetto ai job requirement e alla cultura aziendale; oppure un’altra possibilità è quella di comunicare informazioni riguardanti l’organizzazione, sia su aspetti positivi che su aspetti meno desiderabili, consapevoli del fatto che questo approccio, detto di Realistic job preview (RJP), invece di “vendere” l’organizzazione, mette i candidati nella condizione di fare una scelta più consapevole ed incoraggia coloro che presentano uno scarso fit ad autoescludersi dall’impiego, oltre a far apparire poi l’organizzazione stessa come più onesta e affidabile. Con riferimento a quest’ultimo approccio, tuttavia, gli autori precisano anche che l’esposizione a informazioni sia positive che negative può avere degli svantaggi in quanto si viene a creare un’impressione meno favorevole dell’organizzazione che potrebbe scoraggiare quindi anche quei candidati di alta qualità che percepiscono un livello inferiore di P-O fit rispetto alle organizzazioni che comunicano solo informazioni positive.

Questo conferma ancora una volta l’esistenza di una relazione positiva tra l’attrattività dell’organizzazione e il P-O fit nonché l’idea di Schneider secondo il quale il fit tra la personalità di un individuo e quella dei membri dell’organizzazione (che secondo il suo modello sono relativamente omogenee in quanto si ritiene che il fondatore abbia un’influenza cruciale nel stabilire la cultura della sua organizzazione che quindi riflette la sua personalità e di fatto impatta sulla scelta del personale) ha un ruolo cruciale nel determinare la relazione tra quella persona e l’organizzazione (Schneider, 1987; Gardner et al., 2012). Più precisamente, infatti, Schneider (1987), nel suo modello Attraction- Selection-Attrition (ASA) sostiene che gli individui sono attratti dalle persone e dalle organizzazioni che percepiscono avere valori simili ai propri così come, allo stesso modo, le organizzazioni tentano di individuare tra i candidati coloro che condividono i loro stessi valori, consapevoli del fatto che i nuovi assunti che presentano un basso fit hanno più difficoltà a comprendere gli obiettivi aziendali e sono più propensi ad abbandonare l’organizzazione (Schneider, 1987; O’ Really et al., 1991; Billsberry, 2007; Joyce e Barry, 2016). Diverse sono del resto le ricerche che dimostrano come gli individui tendono ad auto classificarsi in categorie sociali (in base per esempio al genere, alla razza, all’etnia o all’organizzazione a cui sono affiliati) in base alle quali poi descrivere se stessi; in particolare è evidente una certa capacità che le persone sembrano avere nel distingue tra in-group e out-group e una conseguente propensione ad essere attratte da coloro che percepiscono come simili, cosa questa che si traduce nella tendenza degli individui a gestire le proprie vite in modo da scegliere ruoli, occupazioni ed organizzazioni congruenti (O’ Really et al., 1991).

Alla luce di tutto ciò quindi è evidente perché la cultura dell’organizzazione (e quindi l’employer brand quale strumento a disposizione dell’organizzazione per esprimere i suoi valori e la sua cultura) e

79 la ricerca del fit tra persone ed organizzazione abbiano un ruolo così rilevante per quel che riguarda il successo del processo di recruitment.