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2.3 Un processo a due vie

2.3.1 L’employment brand

Uno dei modi più efficaci che un’organizzazione ha a disposizione per avere la meglio sulla concorrenza è quello di migliorare l’immagine del proprio brand, il quale non solo le consente di differenziarsi nel mercato, dispensando così il recruiter dal dover descrivere ai candidati di cosa si occupa l’azienda, ma ha in sé anche la capacità di creare un senso di identità riconoscibile (Arthur, 2006 ). Il branding, quindi, oltre che uno strumento utile a fini commerciali, può essere ritenuto anche come un messaggio costante volto ad attrarre potenziali candidati e a trattenere i buoni dipendenti, e per questo motivo si parla anche di employer brand (Nikolaou e Oostrom, 2015).

Con l’espressione employer branding (EB), nata intorno al 1990, si fa riferimento all’attività di promozione di un’organizzazione o un’istituzione quale best choice, ossia scelta migliore di impiego, o come “wonderful place to work with” per i potenziali candidati che l’azienda è interessata ad assumere o trattenere (Grünewälder, 2007; Allden e Harris, 2013; Rajkumar et al., 2015). Si tratta

74 quindi di uno strumento con il quale l’organizzazione, in qualità di datore, manifesta la propria identità agli stakeholder interni ed esterni comunicando la propria employment image ed esprimendo quella che è la cultura interna e l’ambiente di lavoro (Stariņeca, 2015). Il concetto perciò può essere definito come “la strategia focalizzata al mantenimento della consapevolezza e della percezione dei dipendenti, dei futuri dipendenti, degli associati e degli stakeholder rispetto ad una specifica organizzazione” oppure come “il pacchetto di benefici psicologici, economici e funzionali fornito e identificato con il datore” (Ambler e Barrow, 1996; Baum e Kabst, 2014; Rajkumar et al., 2015).

L’idea di base di fatto è quella di usare l’employer brand per rappresentare la vision, la mission, gli obiettivi e il sistema di valori e di comportamenti dell’organizzazione con l’obiettivo di trattenere i dipendenti attuali e attrarre e motivare i dipendenti potenziali (Rajkumar et al., 2015). L’attrazione in particolare consiste in tutta una serie di attitudini positive, neutre o negative che il candidato sviluppa e che riflettono la sua percezione del datore quindi, l’ employer brand attractiveness può essere descritta come “il desiderio di un (potenziale) candidato di lavorare per uno specifico brand” (Baum e Kabst, 2014; Rajkumar et al., 2015).

Naturalmente il valore dell’employer brand dipende dall’importanza che i dipendenti attribuiscono ai benefici che l’organizzazione è in grado di offrire e dalla sua capacità di differenziarsi; in generale infatti il branding per riuscire ad avere un reale impatto sugli stakeholder deve essere creativo e unico (Ambler e Barrow, 1996; Rajkumar et al., 2015). Al di là di questo comunque, diversi sono i benefici connessi all’EB: non solo infatti aiuta a migliorare l’immagine e la reputazione dell’organizzazione, aumentando quindi la sua attrattività e le capacità di retention (e quindi la riduzione del turnover), ma permette anche di incrementare la produttività e la profittabilità, di aumentare l’impegno dei dipendenti verso gli obiettivi dell’organizzazione, impattando così in modo positivo anche sulla customer satisfaction, e di ridurre i tempi, gli sforzi e il costo che il processo di recruitment richiede, in quanto, la maggior parte dei dipendenti ritiene che la reputazione dell’organizzazione influenzi la loro stessa immagine e che quindi lavorare per un’organizzazione con una buona reputazione permetta loro di acquisire maggior valore, sia agli occhi della società che ai propri (Barrow e Mosley, 2005; Phillips e Gully, 2015; Rajkumar et al., 2015; Stariņeca, 2015).

Come già accennato, in fase di recruitment il candidato usa le informazioni che ha a disposizione per creare una employer knowledge e valutare così il potenziale datore (potential employer), ed è proprio per questo motivo che è importante tenere in considerazione anche quelle che sono le decisioni di auto-selezione del candidato (Baum e Kabst, 2014). A tal proposito basti pensare al fatto che talvolta i job seekers sono disposti ad accettare un qualunque lavoro venga loro offerto da un’organizzazione con una reputazione positiva, mentre, nel caso di organizzazioni con un’immagine più debole o meno positiva, essi sono più focalizzati all’ottenimento dello specifico posto di lavoro che desiderano (Phillips e Gully, 2015).

75 Secondo Cable e Turban (2001) in particolare esistono tre dimensioni che determinano l’employer knowledge o employer brand equity e sono:

 La familiarità con l’organizzazione, ossia la capacità del candidato di identificare un’organizzazione come potenziale datore; naturalmente, più un’organizzazione risulta familiare più essa viene percepita in modo positivo dal candidato;

 La reputazione del datore, ossia la percezione del candidato di come un’organizzazione viene valutata dalle persone appartenenti al suo ambiente, diretto ed indiretto;

Le informazioni sul lavoro (job information), ossia le percezioni individuali circa uno specifico lavoro e le caratteristiche dell’organizzazione

Tutto ciò in qualche modo sembra essere coerente e confermare quanto sostenuto nelle già citate Subjective factor theory e nella teoria di Super. Come spiegato anche da Tom (1971), infatti, diversi sono gli studi che hanno riportato l’esistenza di una correlazione positiva tra il grado in cui una persona è attratta da un’altra (o un gruppo) e il grado in cui questa stessa persona riconosce una certa similarità tra loro, cosa questa che vale anche sul piano professionale e cioè tra un individuo e i membri di un’organizzazione. Questo di fatto si traduce nella tendenza degli individui a desiderare di entrare a far parte di un’organizzazione che presenta un orientamento di valori simili al proprio, e perciò, nel forte impatto che la similarità tra self-concept e immagine dell’organizzazione ha sulla loro decisione occupazionale.

Alla luce di quanto detto finora quindi è evidente come l’employer brand ha un ruolo rilevante nell’attrarre i candidati e nel creare un’immagine aziendale tale da indurre in essi il desiderio e la volontà di lavorare per l’organizzazione, ma soprattutto è evidente come tutto questo si traduce di fatto in un impatto determinate sulla quantità e qualità del pool di candidati e di conseguenza sui risultati e sull’efficacia delle pratiche di recruitment di un’organizzazione (Grünewälder, 2007; Phillips e Gully, 2015).