Capitolo 3 – La Gamification applicata al Recruitment
3.4 Quali opportunità offre la gamification applicata al recruitment e, soprattutto, può questo approccio risolvere i problemi e i rischi dell’e-
recruitment?
Come più volte accennato, lo scopo di questa analisi è quello di capire nello specifico quali opportunità la gamification offre in fase di recruitment e soprattutto valutare se ed eventualmente come essa può rappresentare una possibile soluzione ai rischi e problemi dell’e-recruitment di cui si è ampiamente discusso nel paragrafo 2.8. In particolare, nel corso dei paragrafi precedenti sono stati presentanti ed analizzati una serie di casi empirici in cui la gamification viene utilizzata a fini di recruitment. Si tratta di casi che, come spiegato anche nel paragrafo 3.2 presentano alcuni elementi comuni, ossia il fatto di essere online, cosa questa che consente di sfruttare molte delle opportunità tipiche dell’e-recruitment e del mobile recruitment (in primis il fatto di superare i confini geografici e di poter accedere in ogni momento), e di non essere basati su una logica di pura simulazione ma piuttosto sulla presentazioni di test, sfide e quiz di vario genere. Tuttavia essi presentano anche molti elementi che li differenziano come ad esempio il fatto di essere o meno strumenti creati su misura per una determinata organizzazione, il fatto che siano basati su tecnologie più o meno complesse (si pensi ad esempio alla complessità insita nella tecnologia sviluppata da Knack messa a confronto con iniziative come Will you fit into Deloitte?), la natura stessa delle sfide proposte e il grado di gamificazione più o meno intenso (dai casi che presentano una grafica molto simile ai videogiochi a quelli invece che presentano solo alcuni elementi di gioco).
A tal proposito la prima cosa che quindi risulta evidente è come la gamification di fatto possa essere applicata al recruitment in vari modi e come essa possa offrire davvero svariate possibilità all’organizzazione che decide di sfruttare il suo potenziale, la quale deve perciò innanzitutto riuscire ad individuare e scegliere la soluzione più adatta secondo quelle che sono le sue esigenze e i suoi bisogni.
In secondo luogo, così come già accennato in apertura di questo capitolo e come confermato ulteriormente anche dai casi presentati, è evidente che l’uso di un approccio di recruitment gamificato è sicuramente coerente con quello che è il quadro dipinto nel secondo capitolo. Se da un lato infatti l’organizzazione ha modo di distinguersi ed emergere rispetto ai concorrenti proprio perché adotta un soluzione nuova e in grado di esercitare curiosità e un forte appeal sugli individui, dall’altro i job seeker che si avvicinano così all’organizzazioni vivono un’esperienza di recruitment che ha buone probabilità non solo di essere positiva ma anche molto coinvolgente (si ricorda infatti che la gamification ha potere di incidere sul senso di coinvolgimento e la motivazione degli individui fino a condurli a vivere uno stato di flusso). Considerando perciò quanto spiegato nel secondo capitolo,
173 questo significa che la gamification applicata al recruitment di fatto è un mezzo attraverso il quale l’organizzazione può rafforzare la propria reputazione, la propria immagine e il proprio employer brand e come conseguenza quindi migliorare il grado di attrattività che essa è in grado di esercitare sui job seeker, aspetto questo chiave nel processo di recruitment stesso. Inoltre va aggiunto che alcuni studi sostengono che l’uso di mezzi di recruitment nuovi e il fatto di proporre contenuti che non si focalizzano esclusivamente sugli aspetti cognitivi ma anche su quelli emotivi sono elementi che incidono in modo positivo sul processo di recruitment, in termini per esempio di capacità di persuasione nei confronti dei job seeker (Nikolaou e Oostrom, 2015). È evidente quindi che un approccio di recruitment gamificato è coerente con questa visione e trova in questa un’ulteriore conferma.
Il fatto poi di applicare la gamification al processo di recruitment può essere anche un mezzo attraverso il quale l’organizzazione può esprimere, in modo più o meno esplicito, quella che è la sua cultura. Se da un lato infatti esistono iniziative come Will you fit into Deloitte? che hanno l’obiettivo specifico di comunicare e avvicinare l’utente ai valori dell’organizzazione o come gli Ultraknack di Knack che permettono di valutare un candidato anche rispetto alla cultura dell’organizzazione, dall’altro, l’uso stesso della gamification nel processo di recruitment può essere percepito dall’esterno come indice di un’organizzazione che crede in valori come l’innovazione, la sana competizione e la creazione di un ambiente in qualche modo più amichevole e meno rigido.
Per quel che riguarda poi il cambio generazionale della forza lavoro, come già accennato, i Millennials oltre ad essere particolarmente a loro agio con la tecnologia sono piuttosto sensibili alla presenza di elementi di umorismo e divertimento, perciò è evidente che la gamification in tal senso rappresenta uno strumento in grado di creare un punto di contatto tra questa generazione e l’organizzazione, senza per questo escludere le altre generazioni (spesso infatti gli strumenti non prevedono limiti di età, inoltre si ricorda ancora una volta che le differenze nell’uso dei videogiochi da parte di diverse categorie di persone si stanno sempre più riducendo). A tal proposito non stupisce perciò che alcuni dei casi presentati precedentemente fossero legati ad iniziative rivolte in particolare ai più giovani.
Infine, è opportuno sottolineare ancora una volta che, così come nel caso dell’e-recruitment, in cui le fasi non sono necessariamente sequenziali ma possono avvenire anche simultaneamente, questo sembra essere valido anche nel caso degli approcci di recruitment gamificati, nei quali inoltre lo stesso confine tra processo di recruitment e processo di selezione sembra farsi ancora meno netto. Come dimostrato anche dai casi empirici presentati, infatti, spesso lo strumento è utile non solo in termini di recruitment, e quindi per attrarre i job seeker, raccogliere candidature e mantenere vivo l’interesse dei candidati stessi, ma anche nel fare una pre-selezione, più o meno evidente, delle candidature stesse ed individuare così i candidati che presentano il giusto potenziale e che accederanno poi alle fasi successive di selezione vera e propria. Il fatto stesso di scoraggiare i job seeker che non sono allineati
174 con la cultura dell’organizzazione (come nel caso Will you fit into Deloitte?), così come il fatto che lo strumento preveda una classifica dei giocatori (come Employerland e Generali job talent) o il fatto che esso indichi chi tra i giocatori ha un profilo (in termini di tratti e caratteristiche) simile a quello cercato dall’organizzazione (come nel caso Knack e Firefly freedom), possono essere in qualche modo considerati delle forma attraverso la quale le organizzazioni hanno modo di fare una primissima scrematura degli utenti. Questo di fatto rappresenta uno degli aspetti interessanti di un approccio di recruitment gamificato come quello degli strumenti presentati. Essi infatti attraverso un’applicazione ludica e divertente riescono a raccogliere molte informazioni importati circa i candidati (alcune delle quali altrimenti difficili da ottenere se non dopo aver assunto il dipendente) con un certo rigore e in poco tempo, cosa questa che può tradursi poi in un processo di assunzione che in qualche modo risulta essere più efficiente ed economico rispetto ad un approccio tradizionale (si pensi ad esempio al tempo e allo sforzo necessario per valutare i curriculum e svolgere i colloqui, alla quantità limitata di informazioni, per lo più superficiali, che consento di ottenere e alle possibilità che le informazioni fornite non siano totalmente veritiere perché basate su un’autovalutazione del candidato, perché frutto di situazioni di stress e ansia per il candidato, o peggio, frutto del tentativo da parte del candidato di apparire al meglio e di impressionare l’organizzazione dicendo ciò che pensano che essa voglia sentirsi dire) (Morgan, 2013; Herger, 2013; Beagrie, 2014; Starner, 2014; Morgan, 2014; Viola, 2014a; Viola, 2014b; Shergill, 2014; Gamification.co, 2014; Rampton, 2015; Cozzi, 2015; Recruiterbox.com, 2015; video Arctic shores, 9 dicembre 2015; Vollmer, 2016; Alloway e Cissel, 2017). Questo inoltre pone di fatto le basi per una selezione basata sulla meritocrazia e fa sì che ogni utente abbia una chance per dimostrare il proprio potenziale indipendentemente dall’ambiente sociale ed economico da cui proviene o dalle persone che conosce, cosa questa che si traduce anche in una forza lavoro più diversificata (Everett, 2016; Davies, 2015).
Alla luce di tutto ciò è evidente quindi che nel complesso l’applicazione della gamification al recruitment, se ben progettata, sembra offrire diverse opportunità e benefici all’organizzazione la quale perciò ha uno strumento in più a sua disposizione per cercare di vincere la war for talent e conquistare così i talenti di cui ha bisogno.
Se per quel che riguarda quindi la prima parte della domanda su cui si basa questa ricerca, ossia le opportunità in generale offerte da questo approccio, vale quanto detto finora nel corso di questo paragrafo e quanto detto per ciascuno dei casi presentati, per quel che riguarda la seconda parte, invece, ossia il rapporto rispetto agli svantaggi e problemi dell’e-recruitment, di seguito si cercherà di dare una risposta sulla base di quanto dimostrato dai casi empirici presentati. Prima tuttavia sembra interessante considerare velocemente anche quali dei vantaggi dell’e-recruitment e del social recruitment possono essere ritenuti validi anche nel caso di un approccio gamificato. A tal proposito infatti si ricorda che trattandosi di strumenti disponibili online, di fatto, sono diversi i punti in comune con l’e-recruitment e, tra le opportunità che in questo continuano ad essere sfruttare, si sottolineano in particolare i seguenti
175 punti: il raggiungimento di un ampio bacino di utenti, non solo perchè vengono superati i limiti geografici e temporali (grazie anche all’uso dei mobile device) o perché ogni utente può diventare di fatto un potenziale job seeker (attivo o passivo), ma anche per il fatto stesso che lo strumento può diventare virale grazie alla possibilità di condividere sui social i risultati ottenuti estendendo ulteriormente quindi il pubblico raggiunto; il conseguente miglioramento della qualità dei candidati, non solo perché dimostrano comunque di saper usare la tecnologia, ma anche perché aumentano le probabilità di ottenere un job matching migliore grazie anche alla pre-selezione resa possibile da questi strumenti, i quali in tal senso quindi contribuiscono anche a ridurre i tempi sia nel processo di recruitment che in generale in quello di assunzione; il fatto di rappresentare un’ulteriore possibilità nell’alimentare il flusso informativo tra l’organizzazione e gli utenti; oltre naturalmente ai già citati benefici in termini di appeal nei confronti in particolare dei Millennials e il fatto di creare un’esperienza positiva per il candidato con tutto ciò che da questo consegue.
Passando ora a considerare invece nello specifico gli svantaggi e le problematiche sollevate dall’e- recruitment, per ognuno dei punti presentati nel paragrafo 2.8 si cercherà di seguito di capire se, ed eventualmente come, la gamification possa rappresentare una possibile soluzione sulla base di quanto dimostrato dai casi empirici presentati.
Il primo grande problema affrontato nel paragrafo 2.8 riguarda la dimensione legale dell’e- recruitment e del social recruitment ed in particolare i potenziali rischi in termini di discriminazione, violazione della privacy, problemi di riservatezza e sicurezza nonché le difficoltà nel dover gestire le differenze di legislazione tra paesi diversi (si ricorda infatti che trattandosi di strumenti disponibili online i confini geografici vengono superati). Sulla base di quanto spiegato nella presentazione dei casi empirici è evidente che la gamification può rappresentare una soluzione, ma solo parzialmente, e che in realtà molto sembra dipendere da come lo strumento viene progettato e da quali obiettivi vengono perseguiti dall’organizzazione con questa iniziativa.
o Per quel che la presenza di possibili forma di discriminazione dai casi presentati sembra che in realtà il rischio sia contenuto o comunque minore rispetto all’e-recruitment e al social recruitment. Se da un lato infatti alcuni degli strumenti descritti sono rivolti a particolari categorie di persone per quel che riguarda la fascia d’età (Inner Island ad esempio è indirizzato nello specifico a persone di età compresa tra i 18 e i 25 anni, mentre entrambe le iniziative di Deloitte riguardano programmi rivolti a studenti o neolaureati e quindi anche in questo caso un pubblico tendenzialmente giovane), dall’altro è anche vero che si tratta di una scelta fatta dall’organizzazione che ha deciso di rivolgere l’iniziava a queste persone e che quindi non dipende di per sé dallo strumento, il quale non pone di fatto limiti di età nell’utilizzo (si ricorda infatti che nel caso di Employerland per esempio tra le persone che più si erano distinte in una delle competizioni c’era sia un 18enne che
176 un 42enne). Per quel che riguarda poi i candidati con disabilità o difficoltà di apprendimento (ad es.: dislessia, deficit di attenzione, iperattività…), nonostante Arctic shores preveda degli adattamenti, si tratta di in realtà di un aspetto che necessita di ulteriori indagini. Al di là comunque di questi due punti non sembrano esserci altre forme evidenti di discriminazione in quanto tutti gli strumenti sembrano essere di fatto basati su dati accurati, raccolti durante le sfide, che dimostrano oggettivamente le capacità e il potenziale dei candidati e, soprattutto, non sembrano mettere in posizione di svantaggio particolari categorie di utenti (in base per esempio all’età, al genere, alla religione o all’etnia). Inoltre si ricorda che sia Knack che le varie applicazioni di Arctic shores si pongono in modo esplicito l’obiettivo di mettere gli utenti nelle condizioni di far emergere il loro potenziale indipendentemente dall’ambiente da cui provengono e quindi in entrambi i casi viene riconosciuta una certa funzione sociale a questi strumenti proprio perchè creano delle opportunità anche per coloro che vivono situazioni sociali ed economiche svantaggiate.
o Per quel che riguarda la sensazione vissuta da alcuni candidati di essere violati nella loro privacy in realtà non è chiaro se l’uso di un approccio di recruitment gamificato possa davvero mitigare questo problema in quanto la situazione sembra rimanere invariata, almeno per quel che riguarda i casi presentati. Nonostante infatti in genere vengano comunicate in modo chiaro e trasparente le politiche di trattamento dei dati, cosa questa che in qualche modo aumenta la consapevolezza dell’utente sui dati raccolti e sul loro utilizzo, resta il fatto che in molti casi viene data la possibilità (obbligatoria in realtà nel caso di Inner Island) di accedere alle sfide attraverso un profilo social, in genere Facebook, cosa questa che di fatto consente all’organizzazione di avere automaticamente accesso alle informazioni in esso contenute. In tal senso quindi se il social recruitment può causare un senso di violazione della privacy perché l’organizzazione ha accesso ad informazioni sul candidato che esulano dall’ambito professionale, è evidente che questa situazione non cambia nel caso di un approccio gamificato del recruitment, almeno fintato che esso prevede l’uso dei social per accedere alle sfide. Inoltre, spesso viene data in alternativa la possibilità di effettuare una registrazione tradizionale, tuttavia in alcuni casi vengono chieste anche informazioni (come il codice fiscale nel caso di Generali job talent o il numero della carta d’identità o del passaporto nel caso di Inner Island) che l’utente, non ancora entrato in confidenza con lo strumento o l’organizzazione, potrebbe essere restio a dare al primo contatto proprio perché percepite come informazioni troppo delicate o personali per essere comunicate online.. Infine per quel che riguarda i casi come Knack e Arctic shores in cui in qualche modo viene indagata anche la sfera più psicologica e inconscia di un utente, se da un lato questo potrebbe essere percepito dagli utenti più
177 restii come una forma di violazione, dall’altro è anche vero che si tratta di un aspetto che viene chiaramente comunicato e di cui quindi l’utente stesso è consapevole nel momento in cui decide se partecipare o meno.
o Per quel che riguarda il problema di sicurezza e di riservatezza ancora una volta si tratta di aspetti difficili da garantire in quanto si tratta comunque di situazioni in cui vengono raccolti dati sui candidati online e in cui spesso lo strumento stesso è integrato nei sistemi aziendali già esistenti (come nel caso di Generali job talent ma anche di Arctic shores) quindi di fatto rimane il rischio che si possano verificare per esempio furti di dati e violazioni da parte di hacker. L’unico caso in cui in realtà sembra non esserci questo problema è infatti il caso di Will you fit into Deloitte? in quanto, come spiegato precedentemente, si tratta di uno strumento in cui non viene chiesto all’utente di registrarsi o fornire dati particolari ma che serve solo ad avvicinare i job seeker all’organizzazione e alla sua cultura e ad auto-escludersi in caso di basso fit. In tal senso quindi non sembra che l’applicazione della gamification rappresenti di per sé una soluzione a questo problema ma piuttosto che sia il modo in cui è concepito uno strumento a fare la differenza.
o Infine per quel che riguarda le differenze di legislatura tra i diversi paesi, trattandosi come più volte ricordato di strumenti online che raggiungono un bacino di utenti indipendentemente dalla loro posizione geografica, è evidente che la situazione rimane invariata e che quindi l’uso di un approccio gamificato non risolve il problema.
Il secondo problema presentato nel paragrafo 2.8 riguarda l’aspetto etico, in buona parte connesso a quello legale. A tal proposito sembra in realtà difficile stabilire con certezza se la gamification possa rappresentare o meno una soluzione definitiva tuttavia il problema sembra essere per certi versi ridimensionato.
Per quel che riguarda innanzitutto la possibilità che ci siano annunci fittizi o che terze parti copino i dati dei candidati sembrano essere in realtà una possibilità poco probabile in quanto si tratta di strumenti creati su misura per l’organizzazione e da questa gestiti (come nel caso di Generali job talent e Inner Island) o comunque di casi in cui esiste un certo grado di connessione tra chi ha sviluppato lo strumento e chi invece lo utilizza (come ad esempio le Business challenge di Employerland, il job code in Knack e il player key in Firefly freedom). A questo si aggiunge poi il fatto che, nonostante in alcuni casi (in primis Knack e Arctic shores ma anche nella prima parte di Inner Island in cui i dati raccolti servono anche per migliorare l’offerta di MSC) l’utente non sia pienamente consapevole di quali aspetti del suo comportante vengono registrati durante la sessione di gioco, cosa questa che potrebbe essere vista come una forma di violazione, allo stesso tempo è anche vero che in tutti i casi presentati l’utente è consapevole che si tratta di strumenti di recruitment e che quindi si trova in una
178 situazione in cui l’organizzazione, seppur tramite un’esperienza virtuale, sta esaminando il suo comportamento e il suo potenziale. In tal senso quindi un approccio di recruitment gamificato può creare meno problemi del social recruitment in quanto nel caso dei social network, sebbene stia diventando sempre più evidente che essi possono avere anche un risvolto professionale, si tratta comunque di strumenti che gli utenti usano nella maggior parte dei casi all’interno di quella che è la dimensione più personale della loro vita (tranne nel caso di Linkedin che costituisce di fatto un strumento professionale). Questo significa che a differenza dei casi presentati precedentemente in cui l’utente è consapevole di essere sotto esame, per il social network non si può dire altrettanto e quindi la sensazione di una possibile violazione (anche se si tratta di informazioni pubblicate dall’utente di sua spontanea volontà) potrebbe essere maggiore. Allo stesso tempo tuttavia è doveroso ricordare che nel momento in cui l’utente per utilizzare lo strumento accede tramite profilo Facebook di fatto vengono registrate alcune delle informazioni in esso contenute quindi, così come questo può rappresentare una violazione della privacy dal punto di vista legale, la questione di fatto rimane aperta anche dal punto di vista etico e morale.
Infine un altro aspetto che merita di essere sottolineato è come il fatto di non fare discriminazioni rappresenti in concreto un modo per dare possibilità anche alle minoranze di emergere. Nel caso di Knack e Arctic shores, in particolare, questo diventa ancora più evidente in quanto si tratta di strumenti che in modo esplicito si pongono anche l’obiettivo di