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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.47 (1920) n.2419, 12 settembre

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(1)

L'ECONOMISTI

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

D irettore: M. J . de Johannis

m i - Voi. LI

F t a r t i a 12 U l t o

( FIREN ZE: 31, Via della Pergola( ROMA: 56, Via Gregoriana

II. 2419

S O M M A R IO

P A R T E ECONOMICA.

Industria m anifatturiera italiana. I l bilancio inglese nel 1917-21.

L'operato delle nostre Banche a l l ’ Estero e nelle Colonie •- Avvo­ cato A . G . Mallarini.

Dazi protettivi e guerra doganale - At t i l i o Ca b l a t i.

I l cambio nel Belgio dopo la guerra.

Le condizioni economiche della Russia nell'anno 1919. Il lavoro a domicilio.

N O TE ECONOMICHE E FINAN ZIARIE.

La concorrenza d ell’esportazione spaglinola ai nostri prodotti agricoli. L ’industria del lotone.

Alcuni dati sulle industrie elettriche in Ita lia .

NOTIZIE V A R IE .

I l ribasso dei cotoniL a produzione della essenza d i rose in B u l­ gariaL ’ importanza commerciale della PalestinaI ri­ sparmi degli emigrantiMutui concessi dagli Istituti di Cre­ dito Fondiario dalgennaio a l 31 luglio 1920 — ConcorsiLa marina mercantile americana.

Gettito dei tribu tinel 1920-21.

Situazione degli Istituti di Emissione Italiani.

I IITUAZIONE DEGLI ISTITUTI DI CREDITO MOBILIARE.

Pati statistici sulle Banchedi Credito m obiliare.

B I B L I O T E C A D E “ L ’ E C O N O M I S T A „

Studi Economici Finanziari e S ta ta tic i

pubblicati a cura de L ’ ECONOM ISTA

1) F E L I C E VI NC I L. 2

L'elasticità dei constimi con ie sue applicazioni ai consumi attuali prebellici

2) G A E T A N O Z IN G A L I

DI ALCUNE ESPERIENZE METODOLOGICHE TRATTE DALLA PRASSI DELLA STATISTICA DEGLI ZEMSTWO RUSSI

L. 1

3) Doti. E R N E S T O S A N T O R O L. 4

Saggio critico su la teoria del valore nell’economia politica

A L D O C O N T E N T O L. 2

Per una teoria induttiva dei dazi sui grano e sulle farine

5) A N S E L M O B E R N A R D I N O L 2

11 fenomeno burocratico e il momento econoinico-finanziario

I n vendita p r sso i p r i n c ip a li lib r a i- e d ito r i e presso l ’ A m ­ m in is tra z io n e de L’Econom ista - 56 Via G re g o ria n a , R O M A 6.

PARTE ECONOMICA

Industria manifatturiera italiana

La crisi che attualmente attraversa il Paese, in con­ seguenza della presa di possesso delle fabbriche da parte dei siderurgici e metallurgici, può dar luogo ad alcune considerazioni oltre quelle che abbiamo svolte nel passato fascicolo.

La industria più discussa e più incerta delle sue basi, nello stesso tempo la più in vista per predomi­ nanza di capitali, per inframettenza dei dirigenti, per facinorosità ed intrighi d’ogni sorta, è la industria si­ derurgica. Pare in alcuni momenti che in Italia quan­ do si dice industria, altre non ve ne siano all ’infuori di quella, tanto è il dominio che essa ha saputo acqui­ stare su tutta la vita economica del paese.

In questa nostra Italia dove non si trova carbone e il ferro è in piccole quantità, la mentalità dei nostri finanzieri ed industriali ha saputo regalarci questa pe­ ricolante montatura che si chiama siderurgia, con un esercito di mezzo milione dii operai organizzati e, più ci quelli delle altre categorie di industrie, dediti al

bolscevismo.

La confessione quotidiana cui sono costret i in ogni occasione i siderurgici si è che la loro industria non è rimunerativa, neppure ora che gli alti cambi rendono servigi ben più efficienti di qualsiasi barriera doga­

nale.

Quella industria passiva che affama i! paese del tan­ to scarso carbone, che lo consuma per produrre ma­ terie che l ’Estero avrebbe potuto darci a più basso costo e potrebbe darci tra non molto a prezzi ancor più bassi, che rende il prezzo delle nostre navi di tanto superiore a quello delle navi estere, che arresta lo sviluppo delle costruzioni edilizie per la troppo alta spesa dei materiali di ferro, che spadroneggia nelle banche e talvolta anche nei governi, è pure oggi causa di un turbamento economico politico dei più dolorosi, è pericolo che forse non avremmo se quella industria non fosse mai esistita.

(2)

risparmia-474 L’ECONOMISTA 12 settembre 1920 — N. 2419 tori italiani volessero e sapessero comprendere quale

è il loro migliore collocamento e più sicuro investi­ mento, non soltanto n ell’interesse individuale, ma anche in quello collettivo, avrebbero diffidato delie offerte delia grande finanza e non si troverebbero oggi parzialmente e sia pure indirettamente complici di uno dei più gravi errori economici commessi nelle direttive industriali della nazione, dove si è negletto e trascurato tutto quello che il suolo, il mare, il clima offrivano di particolarmente favorevole àll’aiimenta- zione ed alla produzione, per inerpicarsi stoltamente nella costruzione di una industria elle non ha mai po­ tuto nè potrà mai competere colle straniere, che non potrà avere avvenire, se non attraverso artifici di I carriere e di privilegi, che andranno a danno della generalità dei consumatori qualora anche ciò venga per il futuro consentito dalla volontà delle industrie concorrenti estere.

Noi esportiamo oltre mezzo miliardo di seta greggia ah'anno. Quale immenso vantaggio nazionale ne a- ! vremmo se esportassimo una corrispondente quantità di tessuti che fossero stati tinti e manifatturati entro le nostre frontiere ! Quale vantaggio per il volume | della nostra esportazione che sarebbe così triplicata

0 più e che avrebbe tanto efficacemente contribuito al ribasso dei cambi !

E forse gli operai tintori e tessitori, appartenenti ad una industria di basi così solide, non si troverebbero j oggi sospinti ad ingaggiare una lotta che non ha an- ! cora raggiunto l ’apice delle violenze contro le istitu­

zioni vigenti.

Un solo beneficio noi possiamo scorgere nella agi­ tazione che travaglia oggi la industria del ferro e del-1 acciaio : che essa cioè sia così profondamente scossa nelle sue basi da impedirne ogni ulteriore sviluppo L e ^a costringerla ad una trasformazione più conforme

alle condizioni naturali del paese ed al vantaggio eco­ nomico dei consumatori, tra i quali sono gli stessi ; operai che lamentano l ’alto costo della vita.

Il bilancio inglese nel 1917-21

A) Il preventivo pel 1917-18 dava queste cifre vin mi­ lioni di sterline):

Le entrate.

dogane (con l ’aumento) . . 7?

d a z i ... 35 totale . . . 106 successioni, e c c . ... 29 b o l l o ... 8 imposta t e r r e n i ... 1 » c a s e ... 2 X reddito . . . 224 » sopra profitti . . 200 riporto . . . 570 p o s t e ... 24 telegrafi... 3 te le fo n i... 6 d iv e r s e ... 36 entrate . . . 637 p r e s t i t i ... 1651 total.' . . . 2290 imposte . . . 570

Il blando dunque si basa specialmente sul debito, come è normale nell’anormale tempo di guerra. Nelle entrate effettive, oltre la pur non trascurabile somma delle diverse, vi sono 33 milioni di sterline per tasse di comunicazione (peste, telegrafi e telefoni): il resto sono entrate, imposte. E fra le imposte il reddito dà quasi una metà e con i sopraprofitti quasi quattro quinti. Il totale delle dirette è così il quadruplo delle indirette (dogane e dazi). Le spese. i n t e r n i ... 17

e s t e r n i ...194

debiti . . . 211

pagamenti per tasse lordi . 10 a l t r e ... 2

r i p o r t o ...223

p e n s i o n i ... 12

ministero del lavoro . . . 9

altri servizi (educazione) . 41 dogane e dazi, ecc. . . . 5

p o s t a ... . 26

fondo consolidato . . 223 crediti totale . 1974316 totale generale . . 2290

Anche nelle spese ¡1 debito è la maggior partita, anzi lo è assai più che nelle entrate Inoltre delle spese effet­ tive due terzi'sono interessi di debito, per cui solo 105 su 2290, cioè un ventitreesimo del bilancio è ripartito fra tutti i servizi. E questi sono specialmente quelli del­ l’educazione, della posta, delle pensioni. Infine il fondo consolidato assorbe piu dei due terzi delle spese effettive. 1 rapporti f r a entrale e spese. Il fondo consolidato, che non si vota, si appoggia sulla classica imposta sul reddito e questa potremo chiamare la parte solida del bilancio. Il rifornimento degli altri servizi è più che pagato dai dazi o dalle dogane. E fra questi servizi la posta ha 24 contro 26 o, meglio, 33 contro 26. Tutte le altre imposte e specialmente i sopraprofitti concorrono ai debili. L’ossatura del bilancio è : imposta sul reddito... 224 — 223 fondo consolidato dogane e d a z i ... 206 —■ 93 servizi di rifornimento altre e n t r a t e ...309 d eb ito. ... 1651 — 1974 debito B) Preventivo 1920 21 : L e entrate. d o g a n e ...150 d a z i ...199 totale . . . 349 a u t o m o b i l i 4 totale . . . 353 s u c c e s s io n i... 45 b o l l o ... 25 terreni, ecc... 2 r e d d it o ...386 tributi di avvantaggiamento 220 benefizi di corporazioni . . 3 riporto . . . 1034 p o r t i ... 37 postelegrafi . . . 16 totale . . . 53

proprietà della Corona . . 1

d iv e r s e ... 320

totale . . . 1418

fiscali . . . 1034

Come si vede, vi è una notevole partita di entrate non discriminate, le diverse. La maggiore entrala è quella del reddito che dà molto fiù di un quarto del totale; essa supera la somma delle dogane e dei dazi. Se vi si aggiunge quella sui guadagni, si ha che le contribuzioni dirette sono poco meno della metà del totale e quasi il doppio delle indirette (dogane e dazi). E delle indirette sono in notevole prevalenza le interne sulle esterne. Infine appena 70 su 1418, cioè un vente­ simo, sono quelle che da noi si chiamerebbero imposte sugli affari o sullo scambio (successioni e bollo). L e spese. fis s i.-... 25

e s t e r n i ... .... 320

debiti . . . 345

miglioramento di vie . . . 7

alla tassazione locale . . . 11

determinazione terreni. . . 12

diverse ... 1

fondo capitali (non votato) 376 riporto . . . 376 e s e r c ito ... 125 m a r i n a ... 84 a v ia z io n e ... 21 servizi c iv ili... 497 » di entrata . . . . 10 » postali, ecc. . . . 50 d iv e r s e ... 20 totale spese . . . 1184

a bilancio per riduzione di d e b i t o ...234

totale . . . 1418

La più bella partita di queste s; ese è l’ultima, i! fondo per la riduzione del debito; tanto più bella quando la si rapporti alla prima (ecco i nessi che costituiscono la vita di un bilancio 1) che pesa per quasi un quarto sul totale e quasi un terzo sulle effettive, ma è chiaro che lo svi­ luppo ed anche la permanenza dell’ultima partita ridurrà la prima.

Questa assorbe anche quasi tutto il fondo non votato. Ed in essa è assai notevole il fatto che la quasi tota­ lità è verso l’estero.

(3)

12 settembre 1920 — N. 2419

In totale la somma maggiore è quella pei debiti (capi­ tali ed interessi) ; mentre, se si considerano solo le spese effettive, la maggiore è quella pei servizi civili e poi quella per interessi.

1 rapporti f r a entrate e spese.

Il contributo del reddito non solo mantiene il fondo non votato, ma paga anche i servizi di percezione ; questa è la parte consolidata. I tributi di avvantasgiamento quasi sovvengono completamente le spese militari. Per quelle civili provvedono i dazi e le dogane, gli affari e in parte le diverse. Queste provvedono anche al pagamento del capitale debito, mentre i servizi di comuuxazione sono autonomi.

L’ossatura del bilancio è dunque questa :

mposta reddito... 386 = 386 fondo non votato, finanza » sui vantaggi, ecc. 230 = 230 spese militari

affari e in d ir e t te ... 419 = 497 » civili diverse . . ... 330 = 255 om ri e diverse comunicazioni... 53 = 50 comunicazioni entrate . . . 1418 = 1418 spese O) Nel biennio : dogane . . 71 + 79 = 150 interni . , 17 + 457 = 1025 dazio . . . 35 + 164 = 199 esterni . . 191 + 126 = 320 totale 101 + 243 349 debiti. . . 211 + 134 __ 345 successioni. 29 + 16 *—- 45 locali . . . 10 + 1 — 11 bollo . . . 9 + 16 = 25 diverse . . 2 + 13 20 reddito . . 224 + 162 = 386 sopraprofitti 200 + 20 = 220 consolidato 223 + 153 376 comunicazioni 33 + 20 = 53 entrate . . 5 + 5 — 20 diverse . . 38 + 302 = 34Ó comunicazioni 26 + 24 — 50 —.—. .--- --- - milizia . . — + 230 — 230 effettive . 639 + 779 = 1418 . altri servizi 62 + 456

=

518

debiti. . . 1651— 1651 = —

---- .

■--- •— — effettive. . 316 + 860 1184 entrate . . 2290— 872 = 1418 debiti. . . 1974 + 1740 — 234

=g= = = = =====

---- .

----spese . . . 2290— 872 = 1418

Dunque le dogane si più che raddoppiano, ma i dazi si moltiplicano quasi per sei : perciò le indirette si più che triplicano. Le successioni aumentano di una metà, il bollo quasi del doppio e, in totale, gli affari si dupli­ cano. Il reddito aumenta del 72 %, mentre i tributi di guadagno di un decimo ; insieme, di quasi una metà, in­ fine anche le comunicazioni aumentano di due terzi. Questa è la vera dinamica finanziaria, perchè il molti­ plicarsi per nove delle diverse è fenomeno anormale, come è anormalissimo l’annullarsi del debito, sebbene indice dì sistemazione finanziaria meravigliosa.

Si raddoppiano i debiti interni e poco meno gli esterni, come le spese per la percezione delle entrate e le co­ municazioni; aumentano pure le diverse. Ma specialmente sono sorte le considerevolissime spese militari e sono aumentate moltissimo le spese per altri servizi. Infine il debito è diminuito di moltissimo.

Così le entrate diminuiscono per lo scomparire del debito, mentre le effettive aumentano, anche escludendo le diverse ed aumentano specialmente il reddito e i dazi: dunque lo sviluppo del bilancio è equilibrato e reale : esso tende a basarsi sempre più sui tributi indiretti.

Si raddoppiano le spese che vi erano già prima e sor­ gono le spese militari e aumentano di moltissimo le ci­ vili : dunque anche nella sua seconda parte il bilancio ha sviluppo normale e notevole.

Nell’insieme si mantiene, anzi si accentua, il rapporto fra il reddito e il fondo consolidato, ciò che forma la parte stabile del bilancio e la sua base solida. I sopra­ profitti o contributi di avvantaggiamento prima concor­ revano a pagare i debiti e poi provvedono alle spese militari, mentre le imposte indirette, che mantenevano i servizi civili, ora debbono chiamare anche quelle sugli affari (e non bastano).

Nella crisi di guerra il bilancio si è mostrato orga­ nismo vitale.

Giulio Curato.

475

L’operato delle nostre Banche all’Estero

e nelle Colonie

INTRODUZIONE N ECESSARIA

Attualmente, specie in Italia, in urti reciprocamente deleteri, e che per gli effetti si riversano nella vita famigliare d’ognuno, cozzano capitale e lavoro cau­ sando lucri cessanti, danni emergenti a chiunque e- vi'dsnti ; e che formano la gioia degli stranieri a noi avversi- Da questi dati di fatto molti si dànno al pes­ simismo più nero; ed atteggiansi a prefiche, e dicono che pare sia quasi nostro destino di voler passare da una servitù economica ad un’altra, nonostante la no­ stra gente d’Italia abbia vinta la .battaglia decisiva del­ la guerra. A queste voci, per il bene della mia Patria, voglio contrapporre un canto di vita, ed additare quel che ootremmo, dovremmo fare; ed è facile a farsi pur che lo si voglia.

Anzitutto quali le cause del diffondersi dia noi di teorie nuovissime?--. ìiil lettore (e scrivo per i miei connazionali di ogni partito e classe) osservi che le stesse hanno trovato il terreno più ch e preparato al­ l ’uopo. E perchè?... primo dalla noncuranza somma, finora quasi sempre avutasi, di risolvere problemi na­ zionali vitali, specie economici ; oppure dall’averli vo­ luti risolvere con mezze misure comodissime, ma non a ll’intera nazione. V ’ha poi un’altra causa, che benché influentissima, perchè acuisce la lotta per la vita, è però da pochi considerata, ed è la seguente: l ’au­ mento vieppiù crescente della nostra popolazione, che si trova rinserrata in breve territorio- Invero, mentre la Francia, con un territorio più vasto del nostro di un terzo, ha popolazione minore della nostra e vieppiù diminuente in numero; mentre la Jugoslavia, coi suo 210/220-000 Kmq. di territori per lo più agricoli, ha un 12. milioni di abitanti, l ’Italia invece su di un'area di 286-610 Kmq- (non compresivi i 12 mila del Tren­ tino ed i 9 mila della Venezia Giulia ecc.) contitene pressoché 40 milioni di abitanti- Ora di questi 286-610 Kmq- le statistiche insegnano che di non col­ tivati restano solo 10.350, Kmq- e di sterili affatto Kmq- 22.630- Da ciò a ll’evidenza emerge che anche con le terre ai contadini s ’effettuerà solamente uno spostamento della proprietà; e che, sia pur regnasse la massima pace sociale, per forza di cose risorgerà fortissima E

emigrazione-Il lettore di fronte a ciò finirà di meco concludere che se vogliamo vivere, per forza dobbiamo occuparci del­ la nostra vita all ’Estero, e del come raccordarla ali’in­ terno, nell’interesse nostro vitale. Ciò tanto più perchè in Italia non abbiamo1 cotante materie prime indispen­ sabili, e che ora prendiamo a li’Estero di seconda, terza mano, così aggravandoci di spese, mentre altri­ menti (e lo proverò) si potrebbe provvedere nel nostro utile. Del resto questa somma necessità di provvedere per l ’Estero nel nostro interesse, permarrà anche av­ venisse la trasformazione sociale da tanti bramata : infatti fra le singole collettività nazionali risorgereb bero in forme più o meno velate, le gare attuali- In­ dizio di ciò l ’abbiamo nelle speciali legislazioni a tu­ tela esclusiva dei propri lavoratori e contro l ’immi­ grazione straniera che vari stati si hanno o vanno prendendo. Del resto il mondo, fu ed sarà sempre così ; la storia invero insegna che fossero al governo au­ tocrazie od aristocrazie, imperassero borghesie o le classi proletarie, gli1 urti e i dissapori fra una collet­ tività e l ’altra o con un pretesto o ¡ ’altro, giusto o no, dopo i primi idilii sempre avvennero, perchè l ’uomo è l ’uomo e di razze umane — di mentalità, usi, ten­ denze, aspirazioni diverse e spesso opposte ■—- ve ne ha

(4)

476 L ’ ECO N O M ISTA 12 settembre 1920 - N. 2419 divenire con un rapido crescendo una delle prime po­

tenze economiche mondiali) (1) purché vogliamo anche valerci di una forza enorme, pressoché finora da noi inutilizzata: remigrazione. Non sprechiamola!.-.

Sparsi per il vasto mondo stanno s ei milioni di no­ stri concittadini, oltre ad un altri quattro di nostri c- ri-undi: nessun’altra potenza fuori dei suoi confini ha così grande forza dei suoi. Lavorano, producono i nostri emigranti ; ma i- risultati delle loro opere pro­ fittano a loro in ragione di 30/35 %, il resto, il 70 %, frutta agli Stati dove risiedono e persino spesso a stira meri là domiciliati o che vi hanno imprese- Tale la du­ ra verità, che dovrebbesi ben considerare!.-.- Della gigantesca capacità di produzione dei nostri emigranti, deì valersene associando l'utile loro con quello patrio, l ’Italia finora punto o, quasi se ne occupava, fuorché con magnifiche parole- E ssi?--, non davano noie con scioperi, anzi quelli di loro che lo potevano, mandavano in Patria rimesse per centinaia di milioni; dunque?-., basta !•• e che si aggiustassero come potevano!... Alfine si comprese che enorme danno morale, materiale, po­ litico, proveniva da questa egoistica, ben disumana noncuranza ed ora s ’incomincia a provvedere.

Ma per dare alile nostre attività, energie, forzate ad emigrare o per trovar qui dura la vita e limitato il campo d’azione, (mentre scrivo abbiamo oltre due mi­ lioni di disoccupati) ; per tutelare le iniziative e la vita dei nostri emigrati, per dare ai nostri commerci di e- sportazione-nuovi sbocchi o consolidarli dove sono, per averci direttamente le materie prime e tare in guisa che capitali italiani lavorino con mano d’opera italia­ na a servizio e reddito italiano, bastano forse_ i prov­ vedimenti, d ’ordine specialmente tutelare, che si pren­ dono?..- a ll’evidenza no!--- occorre qualche cosa di e

m inentem ente pratico, che neH’interesse collettivo i- taliano operi, basi, segua- Perciò bisogna usare ade­ guatamente a questo scopo, una forza possente silen­ ziosa. efficacissima ed usarla come i bisogni e le mete richiedono, cioè quella bancaria- Orbene rendere noto quanto ora facciamo le nostre egregie banche all’e ­ stero, ed additare il da farsi ed il modo pratico a ll’uo­ po- nell’interesse di- tutti : ecco la mia meta!--. E spero

che da quanto esporrò — e che sia una fotografia della situazione ognuno potrà accertarsene, controllandolo — questa nostra gente d'Italia (che se prova l ’ine­ sperienza sua è perchè ancor molto giovane) vorrà una buona volta volere che i suoi interessi di vita siano dovunque nel modo più adeguato tutelati praticamente, e come necessità dello Stato, perchè se questi (tran­ neché non esista) ha sacrosanti diritti da far riconosce­ re da ognuno, ha altrettanti sacri doveri da adempite-re nell’interesse di tutti. Premesso ciò mi voglia seguire attento ili lettore in quanto schizzo fedelmente dal

vero-L E AM ERICHE

Cosa fanno le nostre Banche regnicolo nelle A- m eriche?..- Come vi tutelano, appoggiano le inizia­ tive , gli interessi italiani collettivi? Qui dovrei enu­ merare le singole operazioni di ogni loro filiale; ma

(1) Nonostante le vicende economiche politiche del nostro Paese, d i ciò ne abbiamo ben persuasivi ed augurali indici. Si meditino invero le seguenti cifre e se ne traggano le conseguenze:

a) Risparmio nazionale (banche, Casse Risparm io, rurali e c c .): mentre al 30 Giugno 1915 era di 7056 milioni, salì al 30 Giugno 1919 aben 17.135 milioni. — In anni quattro aumentò di 10.379 m ilion i.—

b) Entrate effettive dello Stato dalLuglio a l 28 Febbraio: nel 1914-15 erano di 1.C08 milioni, mentre per il 1919-20 di 6 .4 7 0 mi­ lioni: quasi cinque miliardi in più a nostro favore.

c) Importazioni del primo trimestre 1919 di 4084 milioni, nel 1920 dì 3339 milioni —

Esportazioni (stesso periodo): nel 1919 di 773 milioni, nel 1920 di 1568 milioni, dunque a nostro favore un miglibramento di un miliardo e 640 milioni (Confr. L ’Economista 13 Giugno)

I soli titoli al portatore (azioni, obbligazioni, cartelle fondiarie ecc.) furono da S. E . l’On. Giolitti calcolati nel suo discorso programma alla Camera (24 Giugno 1920) in circa settanta miliardi. — Da quanto sopra si può dedurre a quanto ammonti in Italia il solo patrimonio in titoli fiduciari, senza contare l ’immobiliare ecc. —

in generate si sono alfine conformate a quella teoria del lavoro ambientale che corrisponde alla pratica e perciò da un decennio pubblicamente sostengo- Fa­ cilissimo mi sarebbe enumerar le prime, come pro­ vare di chi la - paternità di detta teoria, che poi si ad o ttò ;m a lo spaziò mi è breve e questo non è un [ quadro solo uno schizzo. Se occorrerà, mi riserbo a

questo' e a quando del caso.

S e il Canadà (vasto Kmq- 9 .6 5 9 -0 0 0 mentre l ’Eu- j ropa è di Kmq- 9 .4 9 0 -0 0 0 ;) dà cereali, cuoi, legnami, ecc- ed* 1 ha nostri emigrati, purtroppo non conta alcuna j nostra diretiazione bancaria.

Gli Stati Uniti (ampii Kmq- 9 -369.391) annove- ranno oltre due milioni di cittadini italiani, che ogni anno nonostante i nuovi intoppi, mandano in Patria rimesse per centinaia di milioni- La meta di dominare economicamente il mondo, che si hanno gli Stati Uniti, è ben nota- Quasi a ciò non bastassero Ite loro già po­ tentissime Banche, fecero recentemente Trusts spe­ ciali fra varie di esse a ll’uopo. Orbene sarebbe nostro vitale interesse esservi là bancariamente presenti i modo così forte da poter non solo provvedere alla sa­ gace tutela -dei nostri emig’rati (speeialmete nei loro rapporti con l ’Italia), ma da poter trattare da pari.a pari -con quei possenti istituti n ell’interesse naziona- j Ite, per opere di reciproco vantaggio. Ora attuare ciò noni è possibile se non con la unione delle nostre forze là espi ic,antesi ; ed a ll’uopo creare un centro nazionale comune alle stesse, e che essendo fra di loro neutrale, le garantisca sì da trovare le medesime | esser loro utile accedervi- A ciò, questo centro lo­ gicamente deve pertanto aversi, oltre chè la massima conoscenza degli ambienti e uomini, lo scopo di darsi a quegli affari speciali ..che servano ad accrescere il prestigio nostro agli Stati Uniti (ben sapendo- infor­ mare 1. opinione pubblica Nòrd-Americana sui nostri interessi nazionali) che ad intensificare i rapporti oom- merc'ali e finanziari con l ’Italia, costituendo così l ’a­ nello naturale ed' italiano di congiunzione fra la viia bancaria, ed economica dei due stati- Tenendo presenti gli usi e le leggi (recentissimamente il « F ederai

R eserv e B oard » promulgò disposizioni speciali, che giuridicamente noi valendoci o di nostri ' italiani cit­ tadini americani, o se mai di altro facile a suggerirsi,

J

sempre consentono forme pratiche relative), questo

centro del Nord-America ci darebbe possibilità posi­ tiva di crearci influenze, attrarci aderenze preziosissi­ me, tanto più che mirerebbe a sole mete di stringer ; ancor più cordiali rapporti economici e questi favorire j nel modo più dignitoso e proficuo le due

nazioni-Orbene, ora- questo centro non esiste. li lavoro che egregiamente coadiuvati da ottimi collaboratori in quei paese dai colossi finanziari fanno le nostre Banche è così suddiviso :

In B an co di N apoli vi ha tre agenzie per gli emigrati 1 e corrispondenti.

L a B an ca di S con to ha la sua autonoma' Italian Di­

scount Trust Com pany a New-York con un capitale (metà conferito da lei e metà dalla locale Guaraniy

Trust Co.) di 500-000 Dollari e 250-000 di

riserva-La C om m erciale : un’agenzia a New-York ed è collegata con ¡l’am/ericana L incoln Trust

Company-Il C redito Italiano : ha una: sede a

New-York-L a B an ca dell'Italia M eridionale ha accordi con la

Bankìtaly Corporation ed è la rappresentante in Italia dii due Banche Italiane, una di New-York, l ’altra dì San Francisco-.

(5)

riamente-12 settembre 1920 N. 2419 L ’ ECO N O M ISTA 477 Da noi ora possente si agita la questione dei càm bi,

che mandano all’aria un mondo di -operazioni utili, profìcue, e che disastrosamente pesano su ll’economia italiana. Orbene su di essi come pesano, possono pesare, malgrado la loro buona voglia, le nostre ban­ che di laggiù col lavoro frazionato, parallelo che fan­ no... Possono pertanto queste forze così operando con­ tare da pari a pari ; o viceversa nella vita viventesi non si trovano forzate a dipendere effettive sia pur nella parvenza altro appaia?.- la risposta al buon sen­ so comune. Esse fanno tutto il loro possibile ; perciò sono da elogiarsi- Ma i risultati pratici?.- eccoli!.-. Che occorrerebbe?-, il centro comune bancario su esposto, ma non limitato al solo Nord-Amenica (per­ chè avrebbe solo relative forze), ma che sia in di­ retta relazione e concordanza di decisioni ed azione co ll’ente consimile, e capo, residènte in Italia, a pa­

rallelo, elidentesi spesso, gare, ecc, : l ’unione dà la vittoria a tutti.

Passiamo al M essico, entriamo in questo mondo latino-americano il quale come può sii difende dall’e­ gemonia degli Stati Uniti, che egli (come conoscitore sa benissimo) sopporta ben a malincuore e col più forzato sorriso sul labbro. Il Messico vasto come le nostre colonie prese insieme, con territorio produt­ tore di argento, oro, rame e caffè ecc. se ha istituti italiani, manca di rappresentanze dii nostre banche, come finora mancava di linea di navigazione italiana colla nostra penisola- Così non vi sono rappresentan­ ze bancarie regnicolo nel G uatem ala, H onduras, nel­ le Antille, nè in Colum bia e V enezu ela, Eppure sono grandi produttori di materie prime, di metalli di ogni sorta, di legnami preziosi, di caucciù, di caffè, canna da zucchero, eoe- Potrei lungam ente accennare al proficuo lavoro da farvisi, anche per l ’emigrazione nostra e precisarlo ; l ’Equator, che produce cacao, caucciù, caffè, ecc. e dove gl ’italiani sarebbero do- vunnue accoliti a braccia aperte nelle loro intraprese ecc. (1) forse avrà ora una filiale di nostra banca a Gua- yaquil, dove havvi già una nostra colonia ricca e fio­ rente. La B oliv ia è da noi ignorata o quasi, - nono­ stante le sue ricchezze, specie in miniere- Quasi u- gualmente il P erù, dove pure v ’ha una nostra attiva e doviziosa colonia : solo la C om m erciale è ora coin­

teressata nel B an co Italiano di L im a. N el Cile, ricco di tenaci'e riuscite intraprese italiane e di nostra co­ lonia^ operosissima, e finalmente anche lui riunito al

l ’Italia da linea marittima italiana, finora non vi erano che due ottime Banche italiane, però locali.

Come nel Perù, nel C ile havvi solo l ’inizio di quan­ to potrebbe farvisi nell’interesse sia d ’Italia, che di quegli Stati che sono produttori di salnitro, petrolio, ecc- ed ampi e ricchi di produzioni agricole d ’ogni sorta.

4 N ell’Argentina (vasta Kmq. 2 .9 7 1 .8 8 0 ) e nel B rasile (di ben Kmq. 8-497-000), LIraguay, P arasuay, vivo­ no più di due milioni e mezzo di cittadini italiani

sen-(1) Ultimamente tornò daWEquador una Missione m ilitare - com­ merciale Italiana, latrice di concreti risu ltati. Quella Repubblica, vasta quanto l’Italia, con al più un due milioni d ’anime (il 4 8 % d ’in­ diani, il 4 4 % m eticci, negri, ecc. ed il resto bianchi), con un clima delizioso nella regione andina, e più caldo sul litorale, e verso il gran fiume delle Amazzoni, oltre il cacao (% della produzione mondiale), canna di zucchero, tabacco, frutta ecc. e legnami di ben 400 qualità, nelle foreste, ha ricchezze minerarie di rame, ferro, giacimenti petro­ liferi, oro ecc;

Il precedente Console Generale in Genova di quella Repubblica mi segnalava la convenienza p ratica di una emigrazione italiana nel suo Paese, a vantaggio bilaterale: faceva osservare ,che solo un decimo del- l’Equador è ora coltivato. La Missione nostra ottenne, con legge ora là in vigore, il monopolio del tabacco per Compagnia garantita dal nostro Governo, nonché l’assegnazione della costruzione ad italiani di tre ferrovie, moli portuali, strade e la preferenza per italiani nello sfruttamento delle foreste e delle miniere di petrolio e di carbone. — Tuttoció è lavoro preparatorio alla colonizzazione agricola italiana laggiù: ma intanto già italiani vi potrebbero andare ben accetti, e sarebbe pratico sorgessero imprese nostrane per quelle parti. Abbiamo nell’Ecuador ora in tu tto 320 cittadini italiani, con avere del valore di un 20 milioni, nel 1913.

za, contare i numerosissimi nostri oriundi; invero l ’e- migraziione a quella volta data da decine e decine d anni, e le principali famiglie di quei paesi discendo­ no da italiani. Si sarebbe potuto fare di quelli Stati delle vere secon d e Italie, a noi avvinti, oltreché dà vincoli morali, da una rete di così stretti interessi crescenti' da esserci reciprocamente d’aiuto, da avere quasi, politica comune- invece?.- a tutti è noto cosa si fece- Ora si corre ai rimedi- Ma tutto il lucro ces­ sante e il danno emergente chi ce Io rifonde?.. E- conomicamente avrebbero potuto quegli stati darci in materie prime tutto o in gran parte di quelo che ci necessitai, e noi essere i promotori, provveditori di quanto loro manca industrialmente, associarsi seooloro in lucrosissime valorizzazioni (1). Invece le statisti­ che provano l ’intenso altrui lavoro, quel che vi fac­ ciam o: nelle importazioni noi siam o a ll’ottavo posto, dopo la Spagna, la Francia, persino il Giappone!.•• E pensare che vi abbiamo laggiù così grande numero di nostri emigrati, che hanno slanci bellissimi di pra­ tico patriottismo ! Invero per il VI Prestito in Argen­ tina, sottoscrissero oltre 7 00 milioni, nel Bra­ sile 500 milioni; 100 milioni nel Cile, ecc : in tutti si calcola abbian passato il miliardo e mezzo!... Ecco pertanto forze finanziare grandissime ! Ma derivate forse queste ricchezze dall’appoggio patrio ?... nep- pur per sogno,... I nostri emigrati sono figli delle loro, opere; attuano il v olere è p otere danno la mano d opera, il lavoro intellettualè alla fortuna di quei paesi; ma le imprese redditizie, D oks, F errovie, O-

p e r e p u bbliche ecc- sono in mani di Inglesi, Nord-A­ mericani', Francesi, ecc- che accaparrano le tante ma­ terie prime, traendone lautissimi profitti- Dal dover solo contare su sè stessi, i nostri emigrati in tutte queste opere di vita si sono dovuti accontentare di trare i profitti che si ha la mano d ’opera, il lavoro inteliettualè fatto in sott ’ordine. Molti di essi sono nonostante ciò, divenuti milionari, ma per i loro fi- nanziamenti^ per i loro commerci dovevano appog­ giarsi altrui : la loro vita degli affari è ben poco col- P Italia, e le statistiche lo provano; è invece cog!i altri stati americani, co ll’Inghilterra, la Francia, ecc. Italiani di sentire, per vivere così loro era necessario, perchè la Patria li aveva scordati (2), tranneché con gniiloquenti parole. Noi, economicamente, potremmo essere i primi nellPAmerica Latina, se organismi pra­ tici adeguati avessimo saputo creare, posti a vantag­ gio reciproco : la nostra economia nazionale interna ne avrebbe avuto vigorosissimo incremento. Invece?... occorre provvedere almeno ora non coi soliti ti vedo e non ti vedo; ma adeguatamente- Se avessimo là una

B an ca N azionale per l ’estero per le colonie, quale propugno, avrebbe laggiù posto sue sedi specialissi- i me, le quali, causa ili di lei carattere neutrale fra le varie forze, sarebbero divenute il centro naturale di intesa fra quelle Banche e forze capitalistiche ita­ liane locali (sapendo alle sue combinazioni attrarre anche i capitali nazionali locali) per imprese, sindaca­ ti, opere colonizzatrici, industriali, marittime ecc. an­ che di carattere misto, e per quanto non fanno quelle banche locali italiane, ma viceversa creerebbe un au­ mento in ordine geometrico delle nostre esportazioni laggiù ecc. Così non ferendo a’cuna suscettibilità, si 1 2

(1) — Il Discorso della Corona, I Dicembre 1919, al nostro Parla­ mento diceva testualmente:

« L ’Italia considerava il suo compito sempre maggiore in difesa « della latinità, di cui fu madre, e volge il suo pensiero non solo « alle nazioni sorelle di Europa, ma a tu tti i popoli dell’America la - « tina con cui intende lavorare in più intima unione ed in più stretta « solidarietà ». —■ Come è noto un lavorio preparatorio a ciò si co - I minció ad iniziare, e recherà alle mete bramate purché sia basato su

adeguati provvedimenti pratici.

(2) — Ciò è anche confermato da recentissima corrispondenza da Buenos Ayres in data 1 giugno (ved. T r ib . Coloniale 26 Giugno) in cui si dice testualmente:

(6)

478 L ’ECO N O M ISTA 12 settembre 1920 — N. 2419 sarebbe provvisto, si provve-derebbe ne! bene di tutti.•

Ciò ootrei precisare bene; ma occorrerebbe un gros­ so

volume-Attualmente in quei paesi di vita per l'Italia, come essa vi opera bancariamente?.. Vi- è in Argentina locale B an co de Italia F Rio de la Piata con 20 miolioni di P eso s di capitale autorizzato, ed unico corrispon­ dente per quello stato del Tesoro Italiano e del1 B anco

di Napoli. E ’ accreditatissimo, come pure è tale il meno forte N uevo B an co Italiano. Il primo è potente come una delle nostre prime banche- Nell’Uraguay ecco il B an co Italiano d e l ’U raguay; nel Brasile ban­ che e banchieri locali. E le nostre Banche regnicole? La Banca Italiana di Sconto è in Argentina cointeres sata col B an co C om m erciale Italian o; ha filiali nel Brasile a San Paulo, Santos, Rio Janeiro. La C om ­

m erciale, insieme alla B an que de P aris et d es Pays

B as ed alla S ocietà G en erale per lo sviluppo del com­ mercio e delle (industrie 'francesi, fondò la B anca

F ran cese ed Italiana d e ll’A m erica d el Sud, assorbi- trice del B an co C om m erciale Italo Brasiliano, e dalle numerosissime filiali. Ma ognuno sappia le cose tosto 'nota che il capitale francese (appaia pur indipen­

dente) è però tutto unito e dipendente dal Consorzio dei grandi istituti francesi, che a sua. volta è ag’i or­

dini del Ministro degli Esteri in Francia (1). Ognuno poi nota che ognuna Banca lavora per proprio conto, mentre se avesse un centro comune di convergenza da­ rebbe all’italianità la più possente base. Ed' ecco qui bellissime energie, individuali o di gruppi, che nell’in­ teresse loro, nazionale bisognerebbe saper associare come se accennai, praticamente potrei meglio preci sare convincerne

ognuno-( Continua) A vv. A . O . Mallarini.

Dazi protettivi e guerra doganale

Colpo più grave alla possibilità di una larga e cor­ diale ripresa dei rapporti commerciali fra l ’Italia e le altre nazioni non potrebbe essere portato, ove il Parlamento facesse sua la proposta della commissione reale per la tariffa doganale, con cui, abbandonando­

si la via sin qui seguita, l ’Italia, ad imitazione dell: Francia adotterebbe la tariffa a doppia colonna, mini ma e massima, dichiarandola autonoma.

Nessun’altra deliberazione, neppure quella di ele­ vare la protezione attuale ad un regime proibitivo, ha una portata esiziale al pari di quella. Perchè gli erro­ ri e le asprezze eccessive di un dazio troppo elevato, si coreggono attraverso ai trattati di commercio e con l ’estensione della clausola della nazione più favorita. Ma ia tariffa doppia autonoma sta nella politica com­ merciale, come la mobilitazione generale sta alla di­ chiarazione di guerra. Essa è l ’ostacolo più forte frap­ posto alla conclusione dei trattati, costituisce Farm: più salda nel pugno dei nazionalisti economici per im­ pedire, ogni qualvolta sia possibile, gli accordi com­ merciali con l ’estero, sulla base delle reciproche con­ cessioni.

(1) Ved. anche quanto scrive il Prezzolini nel suo libro « La Francia ed i Francesi nel secolo X X — ed. Treves Milano-— Con questo rilievo punto intendo criticare chicchesia, solo far evidente come dai fatti emerga impossibile una vera e rigorosa tutela dell’italianità in siffatte compartecipazioni, tranneché sieno tali da permettersi d ’aver la maggioranza n ell’amministrazione. — Ora questo non avviene. In­ fatti l’Assemblea Generale ordinaria della Banca Francese — italiana dell’America del Sud, riunitasi il 10 Maggio 1920 a Parigi, dopo avere constatata la floridezza dell’Istituto, il quale fondò nuove succursali (di cui una in Colombia) procedette alla nomina degli Amministratori, che risultarono in proporzione di cinque francesi e due italiani. . La Relazione della Banca rileva che questa si prestò per l’ultimo nostro Prestito nazionale, il che è cosa buonissima; ma (visto che l’azione della Banca sì svolge in regioni dove se a milioni contansi gli italiani e loro figli la Francia invece vi conta colonie numericamente ben e- sigue) era più che logico e politico cosi facesse. Questa fiorente Banca che è pertanto in mani Francesi, non si può farla passare per tute- latrice dell’italianità: essa non fa che le sue convenienze particolari e segue la linea di condotta tracciatale dal suo Consiglio (in gran mag­ gioranza francese) il che è più che naturale del resto.

E ’ necessario che il publico italiano si renda un conto esatto di ciò che si sta fucinando ai suoi danni ed a beneficio di poche aziende indùstriali, attraverso a quella proposta tecnica della Reale commissione : presa con il parete della maggioranza: delle Camere di Commercio, contro quello delle organizzazioni ope­ raie, contro il voto di tutto il Mezzogiorno agricolo, e, aggiungiamo, contro l ’esperienza nostra e dell’este­ ro, dove alla quasi unanimità ii sistema della tariffa dop­ pia autonoma è sempre stato respinto.

Spieghiamoci con la maggior chiarezza possibile. II regime che oggi ci governa in materia di politica doganale, è quello segnato dalla tariffa del 1887, che si chiama <i convenzionale ». Esso, cioè, porta una voce di dazi, commisurata alfa differenza fra il costo maggiore di una certa merce prodotta a ll’interno e quello minore della stessa merce fabbricata a ll’estero. La protezione in tal modo concessa a moltissime no­ stre industrie, dopo un certo periodo di tempo ha pro­ dotto l ’effetto di sviluppare talune di esse in Italia, sicché queste ultime si sono man mano sviluppate, : hanno incominciato a produrre genere migliori a co- j sti più bassi, in guisa da non aver più bisogno della protezione, almeno nella misura primitivamente con-

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sentita.

Di questo fatto si valgono appunto i negoziatori del paese protetto, quando 'contrattano con un -altro per riduzioni di dazi, allo scopo di intensificare i reciproci : scambi. Ad esempio, la filatura di cotone in Italia per molti titoli di filato non ha più bisogno di tutela doganale. Allora i nostri negoziatori, trattando, ponia­ mo con la Svizzera consentono delle riduzioni sul dazio generale .a favore dei filati svizzeri, per ottene- I re un migliore trattamento da parte della Svizzera per

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le nostre sete, o per i vini. E così dicendo.

Come si vede, è questo il sistema più elastico e che j permette di contemperare la difesa — ove la si ii- tenga necessaria — - di taluni nostri generi, con la ne­ cessità, di utilità collettiva, di allargare per quanto è possibile la sfera di contratto ed intensificare al mas­ simo il commercio internazionale.

Che cosa fa invece la tariffa doppia autonoma? E s­ sa consta essenzialmente di due colonne ; quella dei dazi minimi e quella dei dazi massimi. La prima sta­ bilisce la proiezione necessaria e sufficiente per le industrie che vogliano aiutare : corrisponde, a quel­ la che è la tariffa generale del nostro sistema vigente. La tariffa massima, invece, è u n’arma di guerra con­ tro i paesi, i quali non ci accordino un trattamento ni favore.

Intanto, questa seconda tariffa in via generale è un fucile caricato a polvere. Se la tariffa minima costi­ tuisce già, difatti, una proiezione sufficiente per ur.a nostra industria, ossia non avvantaggia li prodotto stra­ niero di fronte a quello nazionale, che poi si molti- plichi questa tariffa per d'ue, o per tre, o per mille, ciò torna perfettamente indifferente al paese estero, il quale tanto non arrivava lo stesso ad introdurre la sua merce in Italia. Supponiamo, per fare un esempio, che un, certo genere costi 100 a fabbricarsi in Italia e costi 60 a ll’estero, al nostro confine. Il dazio mini­ mo- necessario per tenere in piedi ¿ ’industria apposita I in Italia, è di 40. Che noi poi mettiamo a fianco di questo dazio minimo, uno massimo di 80, o di 120, o di 1000, per il paese estero è indifferente, perchè ba­ sta quello di 40 per impedirgli l ’esportazione nel re­ gno.

Ma il grave si è che il dazio minimo :

1) Costituisce quel limite, al disotto del quale i no­ stri negoziatori non possono più fare concessioni. Quindi l ’estero viene alle trattative sapendo già tutto quello che noi possiamo concedere ed è portato per ciò stesso a chiedere subito per tutti i suoi prodotti la tariffa minima. Mentre, se esso ha la tariffa gene­ rale. noi non sappiamo fino a qual punto è disposto a discendere: e quindi l ’abilità dei negoziatori giuoca assai più a favore dell’estero, che non a favore nostro.

(7)

12 settembre 1920 — N. 2419 L ’ECO N O M ISTA 479 corazza. Supponiamo che due o tre nostre industrie

attraversino una crisi di sovraproduzione. in un caso si­ mile può convenire a noi di sacrificare anche una par­ te di un’altra nostra industria ricca, scendendo al di­ sotto della protezione strettamente necessaria, pur di ottenere un largo sbocco alle prime aziende. Ciò è possibile con la tariffa convenzionale; è impossibi­ le, invece, con quella minima.

■ 2) 11 dazio minimo è anche autonom o. .Ciò significa semplicemente che, contrattando con l ’estero, noi non fidiamo nessuna garanzia che il dazio da noi con­ cesso ai suoi prodotti, in cambio di concessioni ot­ tenute a nostro favore, rimarrà quello che è per tutta la durata del contratto. Noi siamo paure.'.; magari anche il giorno dopo la firma, di modificarlo, ad esem­ pio, raddoppiandolo o triplicandolo. Ora ognuno com­ prende qual valore può attribuire l ’estero ad un con­ tratto di questa natura, che lo obbliga ad impegni fis­ si, senza garanzia di nessun genere che lo tuteli.

Evidentemente l ’altra parte contraente sarà porta­ ta, o a rinunziare al trattato perchè non gli dà nessun affidamento ; oppure ad armarsi esso pure di una ta­ riffa autonoma, per elevare i dazi conto i nostri pro­ dotti, non appena noi innalziamo i nostri contro i pro­ duttori suoi. E ’, come si vede, la preparazione di una buona guerra commerciale.

Il più curioso si è che la Commissione reale avan­ za questa proposta, dopo aver fatto una serie di con­ statazioni tutte contrarie alla propria tesi.

Difatti quando esamina gli unici due esempi di ta­ riffa doppia autonoma oggi a sua disposizione, la Re­ lazione scrive : « La storia doganale della Francia, che l ’adottò per gli scopi precipui della sua politica protezionista, nel 1892, abbonda di continue transa­ zioni, di adattamenti. Per la necessità di rendere at­ tivabili ' i trattati con la Russia, nel 1893, e con !a Svizzera nel 1895, essa fece susseguire alla .stipu­ lazione del primo, e precedere a quella del secondo, una legge che modificava la tariffa minima, facendo apparire spontaneamente, per via autonoma, quelle facilitazioni che vennero "stipulate effettivamente in sede di negoziati. Difatti, il pincipio d ell’autonomia doganale non comporta alcun consolidamento di dazi, i quali debbano potersi modificare liberamente, anche durante la validità degli accordi internazionali, eppure nella convenzione del 1905 con la Russia, la Francia si obbligava a stabilire una tabella di dazi vincolati. Così, n ell’accordo con la Rumenia, vincolò i dàzi sui cereali, sul legname, e sul petrolio. E!, per ottenere il godimento della tariffa nord-americana, rievocò in vigore una parte di dazi della tariffa anteriore al 29 marzo 1910. A deroghe simili, fatte alla rigidezza dell’autonomia, dovette rassegnarsi anche la Spagna ».

Sta di fatto due nessuna nazione ha avuto tante guerre commerciali come la Francia dopo l ’adozione del suo sistema doganale. Guerre finite tutte alla stes­ sa maniera e cioè girando attorno alle difficoltà della tariffa minima, dopo aver costatato la perdita di qual­ che miliardo. E sta di fatto altresì che la Francia, dopo il 1910 è uno dei paesi che ha registrato il minore sviluppo dei commerci con l ’estero.

Non basta ancora. La stessa Commissione Reale si mostra talmente1 impensierita degli effetti disastrosi che il suo regime può portare alia nostra agricoltura, che votava: all ’unanimità un ordine del giorno per « un regime di trattamento preferenziale limitato, il quale valga a costituire un correttivo al troppo rigido siste­ ma della doppia tariffa autonoma e presenti così la

possibilità di sbocchi compensatori per quei nostri pro­ dotti, prevalentemente agrari, che eventualmente ve­ nissero esclusi dai mercati ove trovavano il loro abi­ tuale sfogo ».

Il che significa che la Commissione si rendeva per­ fettamente conto che il nuovo sistema da essa propo­ sto ci porta alla guerra doganale — aspirazione ùlti­ ma di alcuni gruppi industriali, specialmente dei si­ derurgici, i quali, anche in questo momento, nella lot­ ta con i loro operai incominciano ad alzare alte que­

rele avverso la futura concorrenza estera — e, im­ pensieri di una così terribile conseguenza, avanza questa curiosa proposta : che, a fianco della doppia tariffa, se ne ponga, una terza, addirittura preferenzia- ¡e, a favore di quei paesi, i quali accordino speciali concessioni ai nostri prodotti agricoli. La tariffa pre­ ferenziale è proprio l ’antitesi della doppia tariffa au­ tonoma: la quale, con questa aggiunta, non promette

di diventare d’una comprensione molto .agevole. Riassumiamo. Noi abbiamo sin qui una tariffa che, bene o male, ci ha permesso di stringere accordi com­ mendali, i quali, in momenti critici, ci furono di inesti­ mabile beneficio economico e politico. Contro questa tariffa, saggiata da una trentennale esperienza, non si sono elevate critiche o proteste, se non relative al­ l ’altezza dei dazi — in: senso opposto,- naturalmente, dai liberisti e dai protezionisti — ed al loro coordina­ mento e specificazione. Ma la trasbocchevole maggio­ ranza del paese, com presi i produttori, si è dichiara­ ta a favore del mantenimento di questo tipo di tariffa, anche per la conosqenza sperimentale della superio­ rità che essa presenta su ll’altro' tipo, per elasticità, per adattabilità, per capacità di raggiungere lo scopo, che è quello di fare buoni trattati commerciali ed evi­ tare le guerre doganali.

A^ favore deH’armamentario del nazionalismo eco­ nomico, si sono pronunciati solo pochi gruppi d ’-in­ dustriali protetti e specialmente quelli che dàl nazio- n,ausino di ogni genere hanno tutto da guadagnare co­ me guadagnarono durante la guerra.

La Commissione Reale riconosce tutto questo, enu­ mera le conseguenze dannose della doppia tariffa au­ tonoma ; dopo di che si pronunzia a favore di questa,

senza enunciare in tutta la su a relazione una sola ra­ gione positiva, a sostegno di un voto così inaspettato!

Attilio Ca bia ti.

Il cambio nel Belgio dopo la guerra

Maurice Anstaux ha pubblicato nell'Economie Journal un interes­ sante articolo, che crediamo opportuno riprodurre.

I- Prima della guerra, la questione dei cambi esteri costituiva un argomento di discussione sempre vivo neh Belgio. L'aumento del cambio su Parigi oltre la, parità impressionava il mercato e non senza ragio­ ne. Questo aumento produceva un drenaggio, costante di scudi e di altre monete d'argento dal Belgio ini Fran­ cia, e la Banca Nazionale, la quale per parecchi motivi rifuggiva dall’aumentare il saggio dello sconto, si tro­ vava costretta a ricomprare questa moneta per riporla nella cassaforte, da cui riprendeva la via della Fran­ cia. P er queste rieompere di moneta divisionale a Par rigi naturalmente la Banca doveva procurarsi del cam­ bio; e questi acquisti aumentavano i corsi su Parigi e perpetuavano una bilancia finanziaria avversa, pri­ vando le esportazioni di moneta del loro effetto rego­ latore. Teoricamente il problema era di grande inte­ resse ed aveva dato origine a controversie senza fine. Ma dal punto di vista pratico questo drenaggio di scudi non aveva recato danni seri e, in confronto allo stato attuale delle cose, la situazione di quel tempo sta come il disappunto di un fanciullo di fronte ad una sventura impressionante.

Il 4 agosto 1914 l ’esercito tedesco invadeva il Bel­ gio. Già nei giorni precedenti la situazione aveva crea­ to il panico fra i depositanti degli istituti di credito ed i detentori di carta moneta. Il 3 agosto sera, proprio quando giungeva l ’ultimatum della Germania, il Go­ verno belga dava il corso forzoso ai biglietti e la mora­ toria sui depositi bancari, limitando i ritiri a 2000 franchi il mese.

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480 L ’ ECONOM ISTA 12 settem bre 1920 — N. 2419 costringeva a coniare carta inconvertbile, sopratutto

per anticipare alle provincie belghe l ’ammontare delle pesanti contribuzioni di guerra, di cui egli le aveva ca­ ricate.

Ancora prima di questo, gli invasori avevano co­ stretto ad accettare nella circolazione i marchi al rap­ porto di 1, 25 franchi, cioè qualcosa sopra alla parità, che ammonta a fr. 1.234. A, mano che il periodo della occupazione si prolungava, il paese venne inondato di carta tedesca, che di anno in anno andava deprezzando.

Alla fine del 1918, il paese venne liberato ed il Go­ verno decideva di riscattare i marchi che circolavano nel Belgio al rapporto di fr. 1 .2 5 : il che obbligò la Banca Nazionale a fare allo Stato una anticipazione di 5800 milioni di franchi.

E ’ a questa operazione di riscatto del marco, che si deve realmente l ’attuale e inflazione monetaria.

II. — Durante il periodo d ell’occupazione tedesca, il franco belga era stato associato artificialmente col marco. Ma è noto che le misure di costrizione non fun­ zionano in materia monetaria. In via di fatto, la carta belga aveva cessato di circolare e tutti i pagamenti si facevano in marchi. A mano che la Société Générale emetteva franchi, sotto la costrizione del- governo te­ desco, essi scomparivano immediatamente dalla circo­ lazione ; e non è dato conoscere quale premio si pa­ gasse su di essi.

AH’estero, e specialmente in Olanda, le due specie di moneta nazionale erano quotate a saggi leggermen­ te diversi ; poiché il governo nazionale che risiedeva ad Haèvre, rifiutava di riconoscere i biglietti della Società Gènèrale. Invece quelli della Banca Nazionale erano assimilati alle monete delle Potenze dell’Intesa. Dopo l ’armistizio, i cambi ritornarono verso il regime della 'libera contrattazione : e ne derivò un deprezza- ' mento che è andato continuamente crescendo, pre­ cisamente come è avvenuto per il franco francese e per la lira italiana.

Le cause del deprezzamento sono. ben note e di carattere generale : ma è utile precisarle, per ciò che riguarda il Belgio.

Innanzi tutto, la bilancia delle importazioni e delle esportazioni è completamente dissestata: per varie ra­ gioni. Le importazioni dei generi alimentari sono ec­ cezionalmente ingenti e costose : nè, d ’altra parte, possono venire di molto ridotte. Lo stesso si può dire del macchinario e delle materie prime, avidamente ricercate in tutta Europa per la febbrile urgenza delle I ricostruzioni.

Contemporaneamente il Belgio va esaurendo rapi­ damente, nella proporzione di parecchi milioni di fran­ chi al giorno, il suo stock di valori esteri, che sono estremamente profittevoli ad esportare. Ed in tal gui­

sa diminuiscono quei valori, i cui interessi attivi gli permettevano, prima della guerra, di compensare l ’ec­ cedenza delle importazioni sulle esportazioni.

E ’ vero che il paese va aumentando continuamen­ te le sue esportazioni. Ma, per apprezzare la posizio­ ne reale del commercio con l ’estero, bisogna osser- ' vare i fatti qui rappresentati.

COMMERCIO E S T E R O D E L BELGIO (In m igliaia di jranchi) Mesi

1919

animali comm est.

evivande grezze e materie prodotti finiti semilav. IM P O R T A Z IO N I oro e argento totale ottobre 1 6 .129 1 30.473 2 8 0 .6 9 8 165.995 693 593.898 novembre 15.269 183.824 2 6 2 .3 1 5 169.904 285 631.597 dicembre 26.471 2 6 5 .3 5 9 391.991 2 0 2 .4 0 4 297 836.522 1920 gennaio 2 4 .4 7 2 142.121 4 2 8 .6 5 2 224.211 710 820.166 febbraio 10.831 1954772 4 6 2 .7 1 3 2 35.467 637 90 5 .4 2 0 marzo 1919 2 5 .5 6 2 178.871 5 3 9 .0 4 2 3 1 8 .6 8 4 E S P O R T A Z I O N I 194 1 .0 6 2 .2 6 3 ottobre 651 8 9 .3 1 8 1 24.362 139.042 2 .9 4 6 35 5 .8 6 9 novembre 537 7 9 .0 3 6 1 3 4 .0 0 4 159.760 1.831 3 75.168 dicembre 878 6 3 .4 2 0 195.659 233.769 67 4 93.793 1920 gennaio 450 4 2 .3 1 2 1 93.178 211,. 593 664 4 4 8 .2 0 6 febbraio 609 47.941 2 5 5 .5 1 3 2 8 6 .7 2 6 2 .2 8 9 593.071 m a r z o 6 8 8 4 3 .6 3 5 304.981 3 36.789 6 8 6 .0 9 3

Da questo quadro si vede che se è vero che fra l ’ot­ tobre 1919 ed il marzo 1920 le importazioni sono cresciute del 77% , e le esportazioni assai di più, ossia del 96% , in cifre assolute, però le prime sono passate da 593 a 1062 milioni di franchi e le seconde da 355 a 686 milioni: quindi l ’eccesso delle importazioni sulle esportazioni, che n ell’ottobre 1919 ammontava a 238 milioni, era salito nel marzo scorzo a 376 milioni.

111. — Resta, per esaurire questo argomento della bilancia dei pagamenti, la questione dei crediti conces­ si dall’estero: questione delicata e seria, che ha cau­

sato delle disillusioni penose al Belgio.

Dapprima noi delle anticipazioni considerevoli. Ma mentre avevamo bisogno di « cambio libero », i pae­ si mutuanti volevano che le anticipazioni fatteci venis-

sèro n ell’acquisto di generi e di manufatti prodotti sul loro territorio. Sotto queste condizioni, il Belgio otten­ ne un credito di 9 milioni di sterline dal governo in­ glese, un altro di 4 milioni di sterline da un sindacato di banche britanniche, e un prestito di 50 milioni di dollari da un gruppo importante di banche americane. Il Comitato dei cambi, di cui diremo oltre, venne in­ caricato di controllare l ’uso dei cambi così ottenuto.

Il Belgio aveva diviso l ’illusione, che sarebbe stata rapida impresa il rimettere il cambio alla pari. Ma, non appena i crediti furono esauriti, la situazione an­ dò di male in peggio. Gli Stati mutuanti, incalzati da domande di tutta l ’Europa continentale, incomincia­ rono a stancarsi ed anche a perder la fiducia.

Quando ci vennero meno gli aiuti dell’estero, era inevitabile che lo squilibrio della bilancia commerciale si manifestasse con un aumento nel corso dei cambi e di tutti i prezzi interni. Bisogna però riconoscere che un eccesso di crediti sarebbe stato altresì perico­ loso, perchè avrebbe spinto troppe persone ad illu­ dersi che era ritornata la primitiva prosperità. Co­ munque, la situazione attuale non ha scoraggiato i produttori belgi. Essi lavorano con vigore e con de­ terminatezza, malgrado il fatto che l ’instabilità dei prezzi rende tutte le loro operazioni eccezionalmente precarie, aumenta le difficoltà nella conclusione dei contratti e dà origine a continue controversie con le classi lavoratrici.

IV. — Consideriamo ora l ’elemento dell’inflazione cartacea. Abbiamo già detto che causa di essa è stata il riscatto di tutti i marchi tedeschi nel rapporto di fr. 1.25 per marco. Non appena liberato il paese, l ’abbondanza di carta moneta e l ’estrema carestia ci prodotti di ogni genere, in una regione così severar mente razionata dai tedeschi, resero il Belgio una zo­ na a prezzi eccezionalmente elevati. Si fu costretti a fare urgenti e larghi acquisti, specialmente a Parigi, per fronteggiare i bisogni veramente critici dell’intera popolazione. Quindi i cambi sarebbero stati molto ele­ vati, anche se la circolazione non si fosse manife­ stata eccessiva. E si può ritenere che l ’estrema pe­ nuria di merci esercitò sui cambi una azione assai più deleteria, che non l ’abbondanza dei biglietti.

Certo, se i marchi tedeschi, anziché da banconote, fossero stati sostituiti con buoni del Tesoro poliennali, non si sarebbero effettuate compre all’estero di generi più o meno voluttuari e specialmente il livello interno dei prezzi si sarebbe mantenuto considerevolmente più basso. Sarebbe quindi un errore il non contare l ’in­ flazione fra i motivi del deprezzamento del franco belga : solo non bisogna esagerarne l ’importanza.

V. — Un altro punto che richiede una speciale disamina è lo stretto vincolo tra, il franco francese e quello belga in materia di cambio. Questo vincolo esisteva in passato, ma era attribuito specialmente . 1 sistema unificato di circolazione, adottato nei due pae­ si sin dal 1865 con la Lega Latina. Ma oggi, benché la circolazione francese e quella belga abbiamo un’u­ nità che porta lo stesso nome di « franco », signifi­ cano effettivamente cose diverse. Se quindi i due cambi continuano a non divergere considerevolmente,

la ragione si deve ricercare altrove.

(9)

12 settembre 1920 - N. 2419 L ’ECO N O M ISTA ' 481 tici mali, a segnatamente di una seria, povertà di e-

sportazione. Ma esiste una seconda causa importante : ed è la molteplicità e la intimità delle relazioni eco­ nomiche franco-belghe. Queste relazioni non sono sol­ tanto commerciali, ma anche finanziarie. I due paesi hanno interessi comuni in ogni sfera, e ciò dà ori­ gine alla connessione fra i due cambi. Gli arbitraggi permettono alle banche francesi di comprare cambiali inglesi, americane, od olandesi nel Belgio, se pensano che ciò convenga, anche se l ’operazione fa salire a Parigi il cambio su Bruxelles. E questa interdipen­ denza fra i due mercati è cresciuta oggi, perchè 'a Germania non controbilancia più, come faceva in parte prima della guerra, l ’influenza francese.

VI. — Quando gli eserciti alleati liberarono il B e l­ gio, anche qui prevalse il desiderio di ritornare alla asso'uta libertà dei commerci, sopratutto come rea­ zione contro la severa regolamentazione tedesca.

Ma dopo pochi mesi la, situazione si faceva minac­ ciosa e, quando i crediti esteri cominciarono a scar­ seggiare, diventò evidente che quei pochi, che ancora si ottenevano, dovessero venire giudiziosamente distri­ buiti.

Perciò, con un decreto del 28 marzo 1919, venne vietata resportazione di valori e di fondi, e si costituì un Comitato per i cambi, composto in parte predomi­ nante di banchieri, industriali e commercianti, con duplice funzione: 1. distribuire il cambio disponibile fra i privati che lo richiedevano; 2. dare parere al Governo per gli speciali permessi di esportazione ài capitali.

Questo- Comitato durò in carica fino a tutto l ’e­ state del 1919, dopo la quale epoca venne abolito. E subito i cambi ripresero a salire insieme ai prezzi, provocando lamentele nel commercio e scioperi sopra scioperi nei servizi pubblici, mentre l ’approvvigiona­ mento del paese diventava giornalmente più oneroso per l ’erario dello Stato.

Il Governo allora decise di intervenire energica­ mente. Il 30 gennaio dell’anno corrente venne sta­ bilito uno stretto controllo-sulle operazioni di cambio. Si vietò ogni commercio di cambio, che non avesse la sua causa in transazioni commerciali effettive.

I banchieri, gli agenti di cambio e tutti coloro che operano in questa materia, sono obbligati a tenere un registro — simile a quello che esiste in Francia sino dal luglio 1917 — in cui devono venire annotate tutte le operazioni di cambio. La materia poi è regolata da una Commissione di 6 membri, di cui 4 nominati dal Governo e 2 dalla Banca Nazionale.

Nulla ci permette ancora di dare un giudizio defì- ; nitivo su queste misure. Si può però osservare che esse esercitano un’influenza soltanto su un elemento, ossia sul movimento internazionale del capitale. Ma se gli altri elementi continuassero a rimanerci sfavo­ revoli, nessuna forza impedirebbe ai cambi di peg­ giorare.

Ciò non vuol dire però, a mio avviso, che sarebbe preferibile oggi il ritorno alla libertà. Il controllo age­ vola la lotta contro la speculazione pura e contro l ’e- sportazione di capitali. I risultati possono essere par­ ziali, ma non sono da disprez-zare.

Le condizioni economiche della Russia nell’ anno 1919(1>

Non c ’è dubbio che per molto tempo la Russia non sarà più il paese di esportazione di cereali, come lo era fino al 1914, certamente con ciò non è detto che man­ cherà qualsiasi esportazione di cereali russi- I governi defila Russia idei mezzoggiorno Taurien ed anzitutto Cherson invieranno ai porti'del Mar Nero ancora sem­ pre delle quantità di cereali esportabili, ugualmente come il Kaucaso del Nord ed territori del Don e Rubati ; ma in compenso per lo meno la stessa quantità dovrà essere spedita per trasporto marittimo al Nord della 1

(1) Vedi Economista, n. 2414, deil’8 agosto 1920, pag. 394.

Russia. In un’esportazione di cereali superflui non c'è speranza per molto tempo ; verrebbe in questione sol­ tanto l ’esportazione di lino, canapa, e cotone, gira­ soli seme di lino, olii e pannelli a ll’olio per l ’alimenta­ zione degli animali.

Il grande territorio che produceva il superfluo è stato distrutto e la Russia potrà essere contenta se riuscirà a muovere i contadini a :t’approvvigionamento dei terri­ tori aggiunti, e dèi centri industriali delle

città-Tutto dipenderà dal modo come si risolverà il pro­ blema agrario e ¡ ’approvvigionamento dei contadini con le merci necessarie in cambio di prodotti del suolo- Si rileva da un comunicato, che nel territorio governa­ tivo defila Repubblica dei Kosacehi del Don è stata de­ cisa l ’espropriazione dei grandi territorii, è vero con­ tro risarcimento, ma senza considerazione del. valore a- grario di un complesso di terre amministrative- D eni­

kin vuole fare tutto il possibile di mantenere nella stes­ sa grandezza avuta finora gli altri territori russi — per ora >e°ii influisce soltanto sul mezzoggiorno defila Russia — laddove egli ha meno bisogno di essere cauto che difronte ai Kosacehi; dèi Don con le loro strane costru­ zioni sociali, beni amministrati con profonda cultura e- conomica, sempre che i contadini non se li siano ap­ propriati e divisi in particelle che già amministrano.

D enikin conferma il principio annunziato dal Feldma­ resciallo Von Eichorn come compromessQ : a Chi ha se­ minato, deve anche raccogliere » e lascia a preferen­ za ai contadini il diritto di comperare i possedimenti da essi coltivati realmente e non soltanto in apparenza, contro il pagamento in contanti.

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