L ’ ECONOMISTA
GAZZETTA SETTIMANALE
S C IE N Z A E C O N O M IC A , FIN A N Z A , C O M M E R C IO , B A N C H I, F E R R O V IE , IN T E R E S S I PRIVATI D irettore: M. J . de Johannis
Unno XLVII - Voi. LI
M o i n a . 19 Settennio 1920
FIREN ZE: 31, Via della Pergola ROMA : 56, Via G regoriana N i n i ]». LU\1 S O M M A R I OP A R T E ECONOMICA.
Ancora intorno a l conflitto economico. Questioni monetarie - Matteo Pantaleoni. Istituto Nazionale Cambi.
L ’operato delle nostre Banche a ll’Estero e nelle Colonie (Continna- zìone) - A vv. A . G . Mallarini.
Produzione mondiale del grano. Lavoro a domicilio.
NOTE ECONOMICHE E FINAN ZIARIE. P er l’unificazione degli scartamenti ferroviari. L ’attuale posizione delle marine mercantili. P er ripopolare la Francia.
RIVISTA BIBLIOGRAFICA.
Jacopo Tivaroni — I monopoli governativi del commercio e della finanza di Stato.
FINANZE DI STATO.
Amministrazione finanziaria nel bilancio 1917-1919. Situazione del Tesoro.
Entrate dello Stato - Imposte sul consumo. L a mancanza degli spezzati a M ilano. NOTIZIE V A R IE.
I numeri indici d ell’ « E con om isti. L ’ultimò Prestito N azionale e l ’est'ro. Movimento delle rimesse degli emigranti. Socieià Italiana Strade Ferrate M eridionali.
' - J Situazione degli Istituti di Emissione Italiani.
FIITUAZIONE DEGLI ISTITUTI DI CREDITO MOBILIARE.
BIBLIOTECA DE “ L’ ECONOMISTA „ Studi Economici Finanziari e Statistici
pubblicati a cura de L ’ ECONOMISTA 1) f e l i c e v ì n c i l. 2
L’elasticità dei consumi con le sue applicazioni
ai consumi attuali prebellici
2) G A E T A N O Z IN G A L I
DI ALCUNE ESPERIENZE METODOLOGICHE TRATTE DALLA PRASSI DELLA STATISTICA DEGLI ZEMSTWO ROSSI
1. 1
3) Dott. E R N E S T O S A N T O R O L. 4
Saggio critico su la teoria del valore
nell'economia politica
4 ) A L D O C O N T E N T O L. 2
Pet una teoria induttiva dei dazi sul stan o e suite fatino
5) A N S E L M O B E R N A R D I N O L. 2li fenomeno burocratico e il momento
economico-finanziario
I n v e n d i ta p r e s so i p r i n c i p a l i lib r a i- e d ito r i e p r e s s o V A m m i n is tr a z io n e d e L’Econom ista - 5 6 V ia G re g o r ia n a , R O M A 6.
P A R T E E C O N O M IC A
Ancora intorno al conflitto economico
Le critiche che sono state mosse ai nostri articoli nei quali volevamo additare più che altro i doveri della borghesia nella attuale fase di assestamento di rap porti tra i due massimi fattori della produzione, ci costringono a ritornare sull ’argomento per meglio chiarire il nostro pensiero.
Ci si addebita di accusare il capitalismo di inetti tudine e di egoismo per non aver saputo comprendere fino da tempo che il suo migliore tornaconto e il suo più rapido elevamento stava tutto nello innalzare quanto più possibile le classi lavoratrici e nell’esaltar- ne quasi moralmente e materialmente la funzione del lavoro. Non abbiamo difficoltà a riconoscere coi di fensori della borghesia che ad essa spettino nel pas sato alcuni meriti, principale dei quali forse quello di aver saputo formare e mantenere la saldezza politica e finanziaria dello Stato su basi formali indubbiamen te valide e tali da aver condotto prima della guerra ad una certa prosperità collettiva e ad un ben ricono sciuto credito. Ma dobbiamo parimenti confermare che nei rapporti quotidiani fra capitale e lavoro essa ha negletto e ignorato talvolta il proletariato, accen tuando, sia colla indifferenza, sia col proprio egoismo, sia con grette manie conservatrici di privilegi me dioevali, la divisione dei due ceti sociali. La azione delia borghesia non ebbe mai un contenuto veramente democratico, sebbene la lustra esteriore possa trarre in inganno e ciò doveva necessariamente favorire la avversione delle classi inferiori contro le superiori.
Quando il borghese cittadino italiano si volga at torno e voglia constatare le condizioni di ignoranza, di incuria, di povertà nelle quali ha lasciato per anni ed anni i propri lavoratori, si deve altamente stupire delle sue evidenti colpe e di non aver saputo sacrifica re di sè quel poco che occorreva per innalzare a mi glior livello sodale l ’elemento uomo, che gli forniva l ’uno dei due fattori principali della produzione. Nè oggi la coscienza della borghesia verso la più larga categoria dei suoi collaboratori sembra essersi evo
luta, quando si pensi esistere chi si pasce della illu sione che l ’operaio possa appagarsi della visione di bellezza del proprio lavoro o possa trovare soluzione soddisfacente nelle forme cooperative di consumo.
Chi oggi non comprende che le ingiustizie del pas sato hanno ammaestrato ed insieme inasprito il pro letariato nella convinzione che occorra distinguere fra funzione economica del capitale e funzione so ciale del capitalista, tradisce la propria causa e mo stra di non volere approfondire tutta la portata del conflitto economico che, se trova tregua momentanea nel fallimento di determinati tentativi, non per questo cessa o cesserà di escogitare mezzi di lotta sempre più coercitivi in modo da. ridurre quanto più possibile esigua la distanza nella compartecipazione degli strati della collettività ai benefìci della produzione e della formazione del risparmio Q ricchezza nazionale dappri ma, internazionale di poi.
L’ECONOMISTA 19 settembre 1920 — N. 2420 494
capitalismo la esaltazione dei pochi meriti che si vo gliono attribuire alla borghesia nella sua azione pas sata; sono tempi ormai di troppo sorpassati e le isti tuzioni che ne derivarono mostrano di non sapere va lidamente resistere alle nuove conformazioni che un j assetto sociale, più consentaneo ai principi democra- | tici di giustizia distributiva, sembrano esigere. La !| stessa forza dello Stato a tutela di quelle istituzioni sembra essere impotente ad intervenire nei conflitti, non già perchè manchino i mezzi violenti per con durre alla obbedienza dei vecchi statuti, quanto per- J chè esso è cosciente e con ciò non si risolverebbe la lotta, ma anzi ancor più si renderebbero acute le fasi future.
E l ’attuale Governo sembra avere perfettamente compreso, che il suo intervento non poteva essere utile che nel senso di abbattere uno dei tanti stolti pregiu dizi del capitalismo, cioè quello della insindacabilità dèi suoi atti e dei suoi metodi di produzione.
'Un termine di cooperazione vantaggiosa tra gli e- I lementi in conflitto si potrà trovare, secondo il nostro j avviso, soltanto se e quando, come abbiamo a sazietà ripetuto, non diversamente da ciò che fanno i nostri ! confratelli di altre nazioni, il mondo capitalistico avrà compreso di dover fare rinuncie sempre più tangibili : e sempre più larghe dei propri privilegi non solo e c o
nomici ma anche istituzionali.
Questioni monetarie
Colla consueta lucidità e vigoria il p ro f. Pantaleoni ha dettato l ’articolo che qui sotto riportiamo quasi integralmente. Esso commenta fatti e teorie e conclude in modo conforme a quanto il nostro perio dico ha sempre e costantemente sostenuto. Il danno della sconnessa e abulica azione governativa sulla economia della Nazione è incommen-! durabile e tale da ledere alle sue basi tutta la forza produttiva di | cui sarebbe certamente capace la privata iniziativa, sol che potesse go dere di libertà. L e leggi economiche sono quelle che sono e non vi è | forza di legislatore e di governante che possa cambiarle, come non si può cambiare alcuna legge fìsica, se non producendo direttamente o in-\ direttamente un danno a lla collettività, superiore al beneficio che si vo-|. leva raggiungere e che, nella quasi totalità dei casi, non si é raggiunto. | E ’ giusto il lamento del prof. Pantaleoni, che non esista un par-| tito politico, il quale faccia suo il programma di contrastare vigoro-! sámente l ’intervento dello Stato nel voler follemenie modificare le leggi I naturali.
i Richiamiamo tutta l ’attenzione dei nostri lettori sullo scritto del chiaro economista che è indubbiamente il maestro più sincero e più pro fondamente convinto delle affermazioni che egli espone con indiscutibile competenza e sincerità.
Pongo in prima linea i paralogismi concernenti la nostra carta moneta, in ragione del maggiore danno dei provvedimenti cui danno luogo. Si crede che i danni e dolori del « caro-viveri » siano tutt’uno con l ’ecces- | so di circolazione cartacea. Si crede che abbiamo un » cambio » sfavorevole, in ragione dell’eccesso di carta moneta. Si crede che l ’eccesso di carta moneta rincarisca gli acquisti fatti aH’estero dai privati e de prezzino maggiormente la. nostra carta moneta. Si proi biscono importazioni dall’estero, segnatamente di og getti stimati dal govèrno, o dalle sue commissioni, ! o dalle voci che si fanno vive nei giornali, oggetti po co necessari, o niente affatto necessarii, e perciò di chiarati di <( lusso ». Si probisce *la esportazione di moneta cartacea nostra, perquisendo viaggiatori, e pu nendo chi rilascia a forastiero, o a italiano a ll’estero, uno chèque sul suo conto corrente in banca italiana, senza preventiva autorizzazione di una autorità go vernativa detta a Istituto dei Cambi ». Si confonde « cambio » con « aggio », e si crede che commercio fatto da privati cittadini, a loro talento, possa influire sull’» aggio ». Non si vede alcuna differenza tra ac quisti fatti a ll’Estero dal Governo e acquisti che ivi si facessero da privati, discorrendo di una « Italia che compra e vende », di « un Paese che sia debitore o sia creditore. » Si stima urgente^necessario, ridurre l ’ammontare della carta moneta, quale un tocca e sana di molti mali. Ma si stima anche il « tasso dell’inte resse » dipenda daH’ammontare della carta, cioè, cre sca se la carta diminuisce, e ribassi se più carta viene messa in circolazione.
Questo e altro si ritengono essere verità ovvie, ad
dirittura assiomatiche. D ’altra parte i più non sapreb bero precisare cosa intendono dire affermando essere la nostra carta moneta « deprezzata » e, in partico lare. non si avvedono che sono tutt’altra cosa, effetti prodotti dalle variazioni nella sua quantità e effetti prodotti dalla stabilità della sua massa, qualunque que sta massa sia.
E intanto si legifera, direttamente, e indirettamen te, cioè, mascheratamente, con atti amministrativi, e con aggressioni a mezzo della stampa, con denunzie in parlamento, di banche, di industriali, di commer cianti, anche per parte di ministri, con inchieste e perquisizioni, cose tutte che producono i medesimi ef fetti pratici che con leggi si otterrebbero.
E ’ deprezzata la nostra carta moneta? Che signi ficato ha la proposizione che essa sia, deprezzata ? Non occorre, forse, aggiungere « a che merce », o « a che altra moneta », si fa riferimento, a ciò che la frase abbia un senso? Chi dicesse che La statura di un uomo sia più bassa, o che una casa sia meno alta, direbbe un bel nulla, se non aggiungesse : « di ch i? » o « di ch e ? ». Coloro che dicono la nostramo- neta « deprezzata » fanno un paragone tra il prezzo cne una sua unità aveva in termini di una merce, o di un conguaglio di merci, prima e ora, o un parago ne tra il prezzo .che una sua unità aveva in termini di un'altra moneta, aurea, o cartacea anche essa, prim a e
ora. Ma. essi sottaciono il loro termine di paragone, e con ciò aprono la porta a parecchi generi di anfibologie.
Quindi per prima cosa questa occorre eliminare. Probabilmente chi dice « la nostra carta moneta de prezzata » vuole aver detto « che la medesima som ma di moneta di prima, p. e. un biglietto da lire cento, non basta ora per comperare la medesima quantità di merci, o di servizii personali, che prima ottenevansi. E probabilmente saprà dirci, e vorrà dirci, <c che ora si compera soltanto un terzo di quella merce, o di quel servizio, che prima con cento lire si comperavano ». La medesima cosa egli avrebbe detto affermando che « in termini di carta moneta ora i prezzi delle merci e dei servizi, sono triplicati per il conpratore di merci, o di servizi, mediante carta moneta ». Ancora la me desima cosa egli avrebbe espressa dicendo che « se egli vende una merce, o un servizio, o se egli Luna o l ’altro loca, riscuote un prezzo triplo di prima in carta moneta ».
Il deprezzamento della moneta, in tutte queste for mulazioni (tautologiche), è misurata dalla attuale po
tenza d ’acqu isto di una unità monetaria in termini di qualsivoglia merce o servizio, paragonata alla sua po-
■ lenza d ’acquisto an teriore, in tempo e luogo da spe cificare, o implicitamente specificato; od anche è mi surata dal rialzo g en erale di tutti i prezzi in termini di questa moneta, paragonato al loro livello, nel me desimo genere di moneta, in epoca anteriore specifi cata, esplicitamente, o implicitamente.
La potenza d’acquisto delia moneta, in un certo luogo e tempo, è la sua pari (l).--In epoca successiva, questa pari se la potenza d’acquisto è mutata, è so stituita da una nuova pari. Il deprezzamento è lo allon tanamento da una pari che è presa per origine, o tipo. E ’ una nuova pari ; è un nuovo livello g en erale dei
prezzi, maggiore di uno primo, che è termine di rife rimento.
Ora che abbiamo una definizione chiara di ciò che si intende per carta moneta deprezzata, segue sen z ’altro « che è perfettamente indifferente sotto ogni 1
(1) When two currencies have been inflated, thè new normal rate of exchange will be equal to thè old rate multiplied by thè quotient between thè degrces óf inflat on of bothcountrles. There will, of course, always be fluctuations from this new normal rate, and in a period of transìtion these fluctuations are apt to be rather wide. B u t thè rate calculated in thè way indicated must be regarded as thè new parity between thè currencies. This parity may be called thè purcha-sing pow ir p a r it y ...
19 settembre 1920 — N. 2420 L’ECONOMISTA 495 aspetto, e in ogni riguardo, che la carta moneta sia
deprezzata, purché il suo nuovo corso, cioè, la sua nuova potenza d ’acquisto resti stabile ». Il che è diametralmente opposto alla opinione degli uomini po litici. e a quella del pubblico, che nella carta moneta deprezzata vede un danno, anzi, una serie di danni e perciò parte alla ricerca di rimedi ad un male inesi stente. Il danno sta solo nella variazione della pari e
durante il processo di variazioni (1). Ci crediamo in obbligo di insistere. Poiché colui che afferma « essere la carta moneta deprezzata », poniamo di un terzo, afferma null’altro che questo: « che tutte le merci, che tutti i servizii, tutti gli strumenti_ di produzione, fissi e mobili, hanno ora un prezzo triplo di prima in carta moneta », egli deve riconoscere, come implicito nella sua proposizione, che ogni cosa, ogni merce, ogni servizio, ogni strumento di produzione fisso ) mobile che sia. ha il m edesim o prezzo di prim a in ter
mini di ogni altra cosa ch e non sia carta m oneta, e che. perciò, ogni industriale, ogni commerciante,_ ogni professionista, ogni impiegato, ogni operaio, ogni con tadino, ogni proprietario o possessore di fattori di pro duzione. fissi o mobili, si trovano a stare, sia bene. sia male, tali e quali si trovavano a stare prima... che la moneta italiana venisse deprezzata (2).
Nè vengasi a distinguere il consumatore dal produt tore. ,o il compratore dal venditore: chè chi è compra tore è stato prima venditore, o lo sarà poi, e chi è consumatore è stato produttore, o lo sarà poi, la man na dal cielo essendo caduta una sola volta e poi mai più, neanche per i figli di Isreale.
Tutte le « ragioni di scambio », come dicono gli economisti, tutti « valori ». come pure_ dicesi, sono inalterati, ovvero, sono quello che sono, indipendente mente dalla quantità di carta moneta in circolazione, e se variano ciò accade per cause estranee alla carta che è in circolazione e accadrebbe anche se essa fos se stata una quantità minore. Esiste un nuovo livello nominale dei prezzi, che è a sua volta stabile se la carta moneta non si altera in più o in meno.
Un danno economico vi è stato, allorché la carta moneta si aumentò. Onesto danno vi è stato ad ogni nuovo aumento. Questo danno tornerà a esservi, al trettanto grande, anzi maggiore, a ogni riduzione del la carta moneta, a ogni alterazione deM ivel’o gene rale dei prezzi,, sia in un senso, sia n el!’altro 13). Ma il danno sofferto non è più il danno attuale. E ’ acqua passata, che non macina più.
Un conto è il livello generale dei prezzi in c a rta moneta, qualunoue esso sia. e un conto diverso è una
variazione nel livello -generale dei prezzi dovuta a^ au mento o a riduzione della quantità di carta che è in circolazione. Le variazioni nella quantità di carta mo neta. sia che essa si aumenti, sia che essa diminuisca, sono cagione di alterazioni transitorie nelle ragioni di scambio, ossia nei valori, e nei redditi, e .cagione di grave perturbamento nella produzione,- ne! commer cio interno e quello estero. Ma, cessando il governo a variare la quantità di moneta cartacea in circolazione cessando di aumentarla, enon mentendosi a diminuirla i prezzi in moneta cartacea assùmono un livello stabi
le, che è indifferente quale esso sia, purché sta bile (4).
Si ha allora un paese in cui tutti i prezzi in carta moneta, poniamo italiana, sono rialzati
uniformemen-(1) Tra le incognite, 1917. Laterza Bari, p . 69-73; 1,17-120. (2) Avec la vraie monnaie il n ’y a q u’ une position d’équilibre sta- ble: avec la fausse monnaie, ii y en a une infinité. Mais ces positions ne différent que nominalement parce qu’on change le nom de 1 unité monétaire; au fond elles sont toutes identiques entre elles et, en outre, égales à la position d ’ équilibre avec la vraie monnaie. V . Pareto. Cours d ’économie politique. Lausanne, 1896. V ol. h paragrafo 289, p . 177.
(3) Pareto, I. c . paragrafo 324, p. 198.
(4) Il y-a pour cela (pour révenir à l’équilibre) deux moyens : l . Ne pas changer la monnaie fiduciaire contre de l ’or au pair, mais, au con traire, ne la changer que pour sa valeur réelle. A'ors les prix demeu rent en réalité les mêmes. Seul les noms changent. L ’équilibre n est donc pas troublé. 2 . Pareto, 1. c . paragrafo 325, p . 199.
te in una certa misura, poniamo, triplicati. E si hanno altri paesi, in cui c ’è altro genere di carta moneta, poniamo francese, in cui i prezzi espressi in carta mpneta sono anch’essi tutti uniformemente rialzati, in una certa misura, ma diversa, poniamo, d el doppio. Là dove, in Italia, occorrevano 100 lire di carta mo neta per una merce, o' un servizio, prodotti in Italia, occorrono ora 300 lire di carta moneta; là dove, in Francia, occorrevano 100 franchi per una merce, o un servizio, prodotti in Francia, occorrono ora 2 00 fran chi di carta moneta. Questa ¡ ’ipotesi dei fatti.
In un altro paese ancora, poniamo l ’Inghilterra, oc correvano 100 scellini per una merce, o un servizio, Ora occorrono 150 scellini di carta moneta. Questa l ’ipotesi. In Italia siano triplicati i prezzi in carta mo neta italiana; in Francia siano duplicati in carta mo neta francese, in Inghilterra siano cresciuti di m età di quanto erano.
Queste monete cartacee hanno tra di loro una nuo
va parità stabile. La unità di moneta italiana, la lira, sta alla unità di moneta francese, il franco, come 3 a 2. La unità di moneta francese, il franco, sta alla uni tà di moneta inglese, lo scellino come 2 a 1 e mezza Una lira varrà due terzi di franco, ossia 66 centesimi francesi, ovvero un mezzo scellino. O anche uno scel lino basterà per comperare un franco e 33 centesimi francesi, oppure due lire italiane.
Le nuove parità sono date dai rapporti tra i livelli generali dei prezzi, ovvero tra i nuovi rapporti tra le potenze d’acquisto delle rispettive monete. Quanto sto dicendo sono proposizioni elementari, di cui fi di sconoscimento per parte dei governi arreca gravissi mi danni.
Innanzi tutto è ovvio che il commercio internazio nale tra pae.’h in cui vigono regimi di carta moneta ¡a cui ca ra rhbia potenza d’acquisto diversa, ossia, è in misura di ersa deprezzata, non è per nulla turbato
da ifiiesto fatto
Eppure ciò pensano gli uomini politici e in confor mità dell’errata loro .convinzione agiscono E ’ ooinio-
ne comune che siano favorite le'esportazioni, che sia no ostacolate le importazioni, nel paese che ha la mo1- neta più deprezzata, ossia che ha il regime dei prezzi più alti in termini della sua moneta paesana. Eppure, è ovvio, che i « costi comparati » — se vogliamo usa re terminologia ricardiana — • sono ovunque, in C"ca e a ll’estero, quelli che erano ed indipendenti dal li vello generale dei prezzi. I prezzi relativi delle mer ci e dei servizi sono in nulla alterati. Ciò che conve niva di produrre direttamente in paese, continuerà ad essere conveniente di produrre in paese ; ciò che con v e n i v a di produrre per la vendita a ll’estero, e per l ’ac quisto ivi di:altra merce, che sarebbe stata importata, c o n v e r r à ancora di esportare e di importare, e ciò si farà alle medesime ragioni di scambio di prima o se sono altre, senza alcuna influenza su di e s s e d ei regi
mi mnnetarii.
L ’Estero non riceve la moneta cartacea di un altro paese, p. e., la nostra, che per servirsene per l ’uni co uso di cui essa sia capace, quello, cioè, di compe rare presso di noi merce nostra, o servizii, a quei prez zi che sono la misura e l ’espressione stessa della sua potenza d’acquisto. La nostra moneta cartacea vale aH’estero quello che essa vale da noi, nè più, nè me no, e il suo valore domestico è fornito dal livello ge nerale dei prezzi. Non può valere all’estero di più che in casa, non servendovi ivi a nulla. Non può valere di meno poiché essa compera presso <*i noi precisa mente in ragione del livello generale dei prezzi e non c ’è che da trasformarla in acquisti di merci e servi zii e in ragione della sua potenza d acquisto sarà an che da noi domandata a ll’estero. Come la nostra mo neta cartacea ha a ll’estero un corso conforme alla sua potenza d’acquisto presso di noi, così moneta car tacea estera (e anche oro, come vedremo) ha presso di noi un corso conforme alla sua potenza d ’acquisto a ll’estero. Sono queste le parità, come già spiegato.
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di una merce estera che sia stata comperata (1), dà luogo a una uguale importazione di moneta nostra per l ’acquisto di una merce nostra .Ogni esportazione di moneta nostra per parte di un italiano, che egii la se gua o non la segua al di là della frontiera, dà luogo a una importazione di eguale quantità di moneta nostra per acquisto di merci, in ragione esatta del livello ge nerale dei prezzi ; a meno che non venga tesoreggiata, nel qual caso è tolta dalla circolazione, e non funziona più da moneta, e prò tanto ribassa i prezzi da noi come se si fosse ridotta la circolazione cartacea. Manco a dirlo è un minus h aben s chi tesoreggia carta m oneta. ma, che mentalità ha colui ch e ne proibisce l ’espor
tazione ? Eppure non fa ciò il governo ?
Molta confusione ha forse la sua origine nel fatto che il deprezzamento delle monete cartacee viene misurato mediante la loro potenza di acquisto di oro. Eppure, se ciò si vuole fare, nulla è modificato a quan to siamo venuti dicendo. Soltanto è da stabilire, o da accertare, la potenza d ’acquisto dell’oro che ha su bito una notevole diminuizione per essere stato demo netizzato ovunque si sono introdotti regimi monetarii cartacei. L ’oro aveva due generi di curve di domanda : Una curva di domanda quale m erce; una serie di cur ve di domanda, quale moneta. Queste curve di doman da, la mercantile e la monetaria si sommavano in una curva generale di domanda. Di fronte a questa stava 1 offerta, ovvero, il flusso di offerta. Donde il prezzo. Senonchè sono quasi sparite le curve di domanda mo netaria e stima il prof. Cassel essere il prezzo dell’oro ridotto di circa due quinti. Comunque ciò sia, e forse il deprezzamento deli ’oro sarebbe assai maggiore di quello che è, se non si prevedesse poter alcuni gover ni ripristinare una sua domanda monetaria, le parità relative delle circolazioni cartacee restano le medesime sia che si calcolino in potenza d ’acquisto in oro, o in potenza d’acquisto di merci e di servizii in genere, essendo i ragguagli quistione di pura aritmetica.
Ma, che siavi un vantaggio a un ritorno ad una cir colazione monetaria in oro è un errore, pure ben di mostrato dal Cassel (2). Solo una nuova tremenda rivoluzione nei prezzi potrebbe ricondurci a una cir colazione aurea e ciò senza alcun vantaggio, nem meno quello di una maggiore stabilità della moneta. Non è dato da vedere un solo argomento in favore di una proposta di tal genere, o di una attenuazione di quella proposta quale è quella di avvicinare la poten za d ’acquisto della moneta cartacea e quella che avreb be una circolazione aurea, o di carta fiduciaria a vista in oro.
Si teme che non siavi governo che lasci stabile una circolazione cartacea e, anziché ricorrere all’imposta, o a debito contrattato sul mercato, non preferisca ac crescere la circolazione cartacea.
Ma, questo timore, che è fondato, implica un pro blema assai più g enerale, il problema cioè di poter avere, o non avere, un governo che non si sovrapponga ai cittadini, che non sia sovrano, ma ¡strumento della sovranità. Imperocché, se ciò non è, e finché ciò non- sarà non solo non havvi una garanzia che le emissioni di carta moneta non continuino, ma non havvi nem meno quella che una circolazione aurea, instaurata che
sia, duri.
Alla carta fiduciaria convertibile ed emessa soltanto a richiesta del commercio e contro valuta, si sost'tnisco- no garanzie consistenti in riserve auree, le quali nul la garantiscono. poiché sono intangibili, e i governi si fanno cedere biglietti che non rispondono a operazioni commerciali e perciò mai tornano agli Istituti emittenti. Alla carta fiduciaria convertibile viene attribuito corso legale, ciò che ne altera radicalmente la natura econo mica e giuridica e, alla prima occorrenza, malgrado un regime aureo, si torna in pieno corso forzoso.
0 ) In Austria, ad es., accettavano moneta italiana e chèque in lire. Ma l’esportazion# di moneta cartacea era contrabbando e il rilascio di chèque procurava guai serii co# l'Istitu to dei Cambi.
(2) Cassel, 1. c ., p , 34 e seg.
19 settembre 1920 — N. 2420 In fatto di regime monetario cartaceo un solo prov vedimento è conditio sin e qua non del risorgimento economico del paese, questo cioè : che provvedimenti costituzionali, amministrativi e intensa pubblicità osta colino la via ad un accrescim en to d ella carta moneta
e venga sm essa ogni idea di ridurla e da questa, non prendano vita e origine ingeren ze nel com m ercio e nel-
l ’industria.
Il commercio internazionale dei privati non può in alcun modo influire su ll’aggio, cioè, sul deprezzamento della carta (1).
A quella che è la pari delle monete cartacee, quale è stata spiegata, il commercio dei privati può procurare piccolissime variazioni, anche minori di quelle del cam
bio in regimi monetarii aurei. Quali sono gli italiani che riuscirebbero ad ottenere merci estere, se non sono solvibili ? Amerei conoscerli, per chiedere immediato accoglimento nella loro confraternità ! Quale è lo stra niero che fa credito senza studio preventivo della posi zione del debitore e non reclama per le vie giudiziali il suo credito in scadenza? Come può un paese in debitarsi ner opera dei suoi cittadini? Qualche singolo sa'à insolvente ! Ma, la insolvenza non può assumere le dimensioni di un fenomeno nazionale, perchè i cre diti non si acconsentono da privato a privato e da mas sa di privati a masse di privati spensieratamente. E se ciò anche accadesse, sarebbe fenomeno di brevissima durata !
Se un americano vende del grano ad un italiano, questi o ha stipulato il prezzo in dollari con il vendi tore, e allora ha fatto i propri conti in lire, cioè, si è
assicurato il cam bio presso una banca, o si è assunto
eg li m edesim o il rischio del corso dei dollari in lire pel giorno della presentazione della tratta, o della pre sentazione del suo pagherò, — che, per lo più porta anche_ firme di avallanti, o garern ia bancaria ; — oppure ba stipulato il prezzo in lire, e allora è l ’americano che ha calcolato il prezzo delle lire in dollari e che se ne è fatto garentire il cam bio, e probabilmente le ha
già vendute prima di riscuoterle. Se l ’uno e l ’altro non avessero fatto questi conti, non saprebbero se guada gnano o perdono! non saprebbero neanche a che prez zo hanno venduto e comprato! E ’ stata la loro opera zione un giuoco sragionato, che non può che portarli alla rovina e alla eliminazione del mercato. Per lo più i pagamenti si fanno su presentazione dei « docu menti », cioè della polizza di carico e ci sono di mez zo il capitano, Io spedizioniere e la banca !
_ Figurarsi il commercio diversamente, cioè imma ginarsi che ci sia chi venda, mentre non sa come sarà pagato, e che ci sia chi comperi, e non sa come paghe rà, figurasi che questo possa farsi da migliaia di per sone per miliardi di lire e in modo permanente, è roba da gazzettieri, che chiacchierano al caffè con degli impiegati.
Per contro: l ’opera dei governi può fare fallire lo Stato, esp rim a che fallisca Io Stato, ridurre alla mi
seria i cittadini. Il cattivo o poco credito d ei governi, può privare i cittadini di credito, perchè la loro insol venza può essere repentinamente determinata da im poste gravate su di loro — imposte sul patrimonio, imposte globali sul reddito, — da insolvenza verso di loro del governo per crediti che hanno verso il gover no, da monopolii di Stato che distruggono industrie fiorenti, da divieti di commerciare, da soppressione o sospensione di servizi pubblici, che sono condizio ni generali della prosoerità privata. da incertezza e rimaneggiamento continuo di leggi, da corruzzione po litica dei tribunali, da deterioramento della sicurezza pubblica. da privilegi accordati a grunpi di cittadini formati dalla legge in corporazioni, da calmieri sui prezzi, da vendite di merci fatte dal governo sotto costo,da assorbimento di capitali, oltre che mediante l ’imposta, con cartelle di debito pubblico e buoni del * II (1) The theory of the foreign exchanges. G . J . Goschen. Ed iz. II1, 1883, p . 6 3 -6 8 . Nella edizione francese, ediz. 3, 1892, traduz. Say, p . 130-134.
tesoro di cui l ’acquisto viene imposto, da emissioni di carta moneta, da ufficiale e ufficiosa^ denigrazione di industriali e commercianti, e da leggi che ne infran gono la libera attività.
In questi modi, e tanti altri, alla cui discussione hanno consacrato da orami sei anni molto tempo, Pa reto, Einaudi, Ricci, Prato, Jannaccone, il governo può rovinare il com m ercio domestico ed estero dei cit tadini, e il loro credito e la produzione privata, di struggendo con ciò anche la materia imponibile. !1 governo può indebitare il paese a ll’estero in misura superiore alla solvibilità sua propria e a quella del paese. Soltanto può ciò fare. Non già il privato citta dino,- da solo, o associato che sia con altri.
Il'governo non è tormentato, come lo è ogni privato, da un rigoroso calcolo di profitti e perdite. Le sue azio ni non sono nemmeno determinate da un calcolo ai profitto economico, ma da un intricato cumulo di con siderazioni colitiche, le quali, consistono prevalente mente di interessi parlamentari.
E perciò che la sua attività va limitata a quella sfera che non è dominata da leggi economiche, sotto pena di
rovina economica del paese.
Maffeo Pantaleoni. 19 settembre 1920 — N. 2420
Istituto Nazionale Cambi
Il Comm. Stringher, ha com pilato la relazione sul funzionam ento d e ll’Istituto N azionale d ei Cam bi.
Ne riproduciam o qui un riassunto.
Divise in tre parti distinte i documenti raccolti, in riferimento alle disposizioni contenute nei decreti 25 novembre 1917-11 dicembre dello stesso anno e 15 maggio 1919, l ’autore passa a ll’esame ed alla illu- | strazione dei precitati decreti.
Il primo — che precedette di poco tempo la instau- razione del monopolio — aprì la serie delle disposi zioni limitatrici della libertà del commercio dei cam bi, pur conservando ancora il principio di libera con- ■ correnza fra le Banche e i banchieri interessati in siffatto commercio. Il decreto medesimo indicò speci ficamente le operazioni per le quali erano ammesse esportazioni di valori a ll’estero e cessioni di crediti ] su ll’estero, vietando tutte le vendite di cambi, che 1 non avessero servito a uno di questi scopi.
a) pagamenti di merci delle quali fosse consentita e prossima l ’importazione nel Regno:
b) estinzioni di debiti scaduti.
c) rim essa, di fondi per provvedere ai bisogni ali mentari di persone aventi i loro beni nei Regno e re sidenti a ll’estero.
Lo stesso decreto vietò di alienare merci all’estero contro lire italiane, e impose a<tii esportatori l ’obbligo ' di stipulare le vendite nella medesima valuta del paese acquirente, o di destinazione delle merci ecc. attri buendo al regio Tesoro la facoltà di acquistare e di fare acquistare da un ente da esso indicato i cambi deri- ! vanti dalle esportazioni delle merci.
Il decreto luogotenenziale del dì 12 dicembre 1917, n. 1956, che entrò in vigore tre mesi dono; instimi il monopolio del commercio dei cambi e provvide alla costituzione dell’Istituto nazionale per l ’esercizio com pleto del monopolio medesimo.
L e precedenti disposizioni riguardanti la legittimità delle vendite di divisa furono lasciate pressoché inva- | riate, il nuovo decreto stabilendo che esso dovesse
farsi soltanto :
a) per pagamenti all’estero dipendenti da importa zioni di merci estere ammesse dalle dogane :
b) per soddisfare impegni indeclinabili assunti verso j l ’estero prima della costituzione dell’Istituto dei cambi, j e) per provvedere a giustificati bisogni di persone
che, avendo beni nel Regno, risiedono a ll’estero. Lo stesso decreto luogotenenziale dichiarava un’al tra restrizione di notabile importanza, e ciò quella per la quale nessun impegno di pagamenti poteva
es-497 sere assunto verso l ’estero, senza il consenso, da darsi preventivamente, dell’Istituto nazionale per i cambi.
Il regime di monopolio così determinato non potè peraltro avere applicazione con la eliminazione asso luta di altri fattori e spartendo con un taglio netto l ’e sercizio dell’industria bancaria da quello del commer ciò dei cambi l ’attuazione di un monopolio assoluta- mente esclusivo e per sè stante avrebbe richiesto, fra l ’altro, una centralizzazione dei servizi inerenti gli ac quisti e alle vendite delle divise estere offerte e do mandate in tutta Italia : una centralizzazione che non potevasi improvvisare e per la quale sarebbero man cati i mezzi i esecuzione, mentre si sarebbe dimo_
sfrata inconciliabile con la vastità del movimento dei fondi e con le esigenze commerciali in ordine ai pa gamenti e alie riscossioni fuori d’Italia.
Dopo avere accennato a l ’ordinamento consortile, stabilito dal decreto creatore dell’Istituto, il comm. Stringher continua :
La cessazione del monopolio, decretata nel maggio j 1919, s ’impose come un provvedimento divenuto ine- vitabile.
Ma con il cessare deH’economia bellica e con il conseguente disparire del monopolio attribuito a questo Istituto, non perciò dovevano ritenersi necessa
riamente esauriti gli altri importanti uffici ai quali l'I stituto medesimo era chiamato. Nella prima fase di passaggio daH’economia di guerra all’economia di pa ce, due funzioni l ’Istituto poteva ancora conservare con qualche utilità, oltre a quella, non indifferente, di coo perare efficacemente col regio Tesoro per provvedere
alle ingenti quantità di divise necessarie per fronteg giare i pagamenti dello Stato fuori d Italia : una^fun- zione di riscontro e di controllo sulle operazioni del commercio dei cambi con 1 estero, capace di temperare le oscillazioni dei corsi e di frenare i movimenti tropoo aspri della speculazione.
Così che, nel decretare la cessazione del monopolio già riservato a ll’Istituto, furono confermate le prece denti limitazioni riguardanti la legittimità delle ven dite di divisa estera, stabilendo che esse potessero farsi soltanto :
a) per pagamento a ll’estero di merci ammesse alla importazione nel Regno;
b) per soddisfare impegni indeclinabili assunti verso l ’estero prima dell’ 11 marzo 1918. o autorizzati poste riormente dall ’Istituto per i cambi ;
c) per rimborsare crediti in lire di Banche estere verso Banche italiane ;
dO per provvedere a giustificati bisogni di persone che. avendo beni nel Regno risiedono all’estero, o vi si recano per affari o per ragioni professionali.
’ I! comm. Stringher, ricorda, quindi, [’inasprimen to dei prezzi dei cambi, così :
Tutto ciò premesso, non sembra superfluo di avver- tire che, nel periodo di tempo che seguì immediata mente la ricostituzione di un mercato delle divise e- j sfere, semi-libero, quando, cioè, potevansi ragionevol- ■ mente temere le maggiori ripercussioni del mutamen- to di regime, non fu eccessivo l ’inasprimento dei prez zi dei nostri cambi con l ’estero. In fatti :
la sterlina, dal._cambio medio mensile di 3 4 ,6 3 m aprile e di 3 7 ,2 5 in maggio, passò a 37,55 in luglio; e a 3 9 ,4 4 in agosto. E il dollaro, dalla media mensile ; di 7 ,3 9 in aprile e di 7,94 in maggio, passò a 8.0 5 in | giugno, a 8,42 in luglio e a 9 ,2 4 in agosto'. _ !
Diminuì, sensibilmente, il cambio su la Francia; e in parte anche quello su la Svizzera. Il franco francese, dalla media mensile di 124,51 in aprile, e di 126,92 in maggio, scese a 125,41 in giugno, a 121,66 in luglio, a 118,44 in agosto e si-no a 115,96 in settem bre. Il franco svizzero, dalla media di 1 5 1 ,3 3 in a- prile e 156,01 in m aggio,'scese a 151,30 in giugno, rimase ,a 151,34 in luglio e risalì a 163.98 e in agosto. !
L’ECONOMISTA 19 settembre 1920 — N. 2420 498
E quindi conclude così :
B ’ ben lecito di ritenere che gli sforzi rigorosi che sta facendo il Governo per riassestare la nostra situa zione finanziaria, e la fervida aspirazione del pae se i— trasformata in una volontà decisa — di quiete e di lavoro, avranno per risultato, prima di limitare, e poscia di ridurre per gradi la quantità della carta moneta per rappresentare impegni e debiti dello Stata. La circolazione puramente bancaria, accresciuta in questi mesi nei bisogni molteplici e urgenti delle in dustrie e dei commerci, ha minori influssi sui campi, sui prezzi e sulle mercedi. Se vi è esuberanza, que sta trova poi in sè stessa il correttivo, e l ’equilibrio non tarda molto a ristabilirsi.
Sarà da regolare a tempo il debito di guerra esterno, che di già tocca 20 miliardi e mezzo di lire oro, in combendo sulla nostra finanza, e di più ancora sulle condizioni avvenire del paese nei suoi rapporti con la situazione dei pagamenti internazionali. E qui dav vero non si tratta di una questione semplicemente <( mercantile » , come taluno direbbe, sì bene di un problema di capitale importanza, non solo per il rias setto della economia monetaria gravissimamente tur bato, ma per il tutto insieme delia mostra vita eco nomica.
A questo riguardo, le risultanze delle riunioni di Spa | e le deliberazioni che si attendono dalla Conferenza di Bruxelles permettono di confidare in benefici non trascurabili; mentre dovrebbero giovare efficaci trat tative liberatrici coi governi nostri creditori, non o- biando il riassetto delle nostre riserve metalliche, a ogni modo, nessuno può far miracoli da taumaturgo. E sarebbe assurdo il pensare a un istantaneo rivolgi mento di una situazione creata da avvenimenti come ; quelli che hanno intensamente contrassegnato gli ulti mi anni della nostra storia politica, economica e fi nanziaria.
Procediamo, dunque, sul nostro cammino con o- pera gagliarda e perseverante, conclude il comm. Strin- gher, e con fede sicura dei nostri destini.
L ’operato delle nostre Banche all’Estero
e nelle Colonie (1)
EU RO PA E L E V A N T E
Premesso che il lavoro dei nostri emigrati prova di che sarebbe la nostra razza capacissima sotto ogni la to, eccoci a ll’Europa, nell ’Inghilterra. Ivi la B an ca di
Sconto, vi è alleata con la ben possente B arcklays
B an k Ltd; la C om m erciale e il Credito Italiano han no le lor sedi dii Londra. — In Francia la B anca di
S con to ha filiale a Parigi come la C om m erciale ha ia sua autonoma B an ca C om m erciale con sedi a Marsi glia e Nizza, mentre il B an co Rom a le ha a Parigi e
Lione-In Spagna, nella nazione a noi più affine per san gue ed interessi mediterranei, vi s ’afferma il B anco
R om a colle sedi di Barcellona, Tarragona, Montblank e presto di Madrid.
Agiscono attivamente te nostre banche regnicole nel Belgio nella Svizzera, come nei nuovi stati della Me dia Europa (C redito Italiano V ien n ese; B an ca Italo
M agiara con trecen to milioni di Corone di capitale e sede a Buda-Pest). Ottimamente!-.. Il mio tema però riflettendo più precipuamente i paesi di oltremare, del mondo così detto coloniale [l’Europa orientale, il Le vante, vediamo cosa facciano le nostre Banche in quest’ultimi.
Negli! Stati Baltici, in Polonia non emerge ancora nulla di concreto, nè nella, Russia, i cui mercati sono guatati e come, dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra, pri mi fra tutti. Anche ridotta nei limiti attuali Ila Russia ha tesori di terre e cereali, oltre negli Urali e Sibe ria ricchissime miniere, fra le quali qutlla di platino.
(1) Vedi Economista dei 12 settembre 1920, n. 2419, pag. 4 7 5 .
Onde riprendere la vita, economica annientata dalla rivoluzione, i B o lscev ici ora offrono al' capitale estero non solo concessioni e garanzie, ma di pagare in oro forniture industriali, specialmente dii macchine, va goni. ecc- onde attutire la crisi dei trasporti, che loro impossibilita lo smercio dei prodotti e fa andare in roviina quelli di questi, che sono agricoli, Se invece di inni e plausi aii Soviets, da noi si lavorasse sul se rio si potrebbero produrre tante di queste forniture a ll’uopo e con guadagno collettivo italiano: così cre do ammetteranno anche i nostri più ardenti. Se, tan to più con una banca risultante di ordine nazionale, sapessimo creare banche italo russe (poiché anche i bolscevici valgonsiii di banche) sarebbero ai nostri com merci ecc- là aperti orizzonti di vasto operare. Ciò è logico. Ma invece?-., da noi scioperi, canti evviiya alla Russia, al bolscevismo, mentre i terzi silenzio samente operano, guadagnano!-. Di chi facemmo gli interessi?-., non certo i nostri.
La C om m erciale nei Balcani, ha la sua B an ca C om
m erciale Italo-Rum ena e la B an ca C om m erciale Italo-
B ulsara, come sua derivazione è la forte C om m erciale
d'O riente. Il C redito Italiano è cointeressato nella
B an que G en erale d es Pays Roum aìns. A Costantino- noli, oltre quella della C om m erciale, eccovi una sede del B an co R om a■ La B an ca di Sconto costituì la forte
B an ca Italo-C aucasica. Sono queste tutte dèlie energie bellissime, indice di un pensare e di operare nuovo, moderno; sono perciò da elogiarsi. Ma riunite insie me tutto questo lavoro che ognuna fa per proprio con to. ed eccotle subito una imponente forza bancaria, di tale potenza da poter adeguatamente (come richie dono i giganteschi bisogni, economici italiani) provve dere a quanto occorre esercirvi in imprese minerarie, agricole, opere pubbliche e private, ecc- dal bacino di Eraclea a quella zona d ’Asia M m ore(l) che è as segnata alla nostra influenza ma per la quale per sfruttarla occorrono somme colossali.
Rilegate poi questa forza bancaria italiana al suo centro congenere di Roma, che abbia altre sue deri vazioni nelle altre parti del mondo, ed ecco questa for za decuplata, eccoli facili tutti i denari necessari ; e
denari italiani, i di cui frutti andrebbero ad italiani, come ad italiani frutterebbe davvero !a. valorizzazio ne di quelle regioni. Altrim enti?., la finanza strani&- ra, sotto nomi e veste italiana, anche là apparirà; e gli utili non ad italiani, ma a stranieri
andranno-Ora a Smirne, che Venizelos ottenne alla Grecia, come a Scalanova Sokia, Rodi;, ecco ili B an co Roma, che è pure ad Aleppo, Beyrouth, Damasco Caiffa, 1
(1) I l Bacino iti Eraclea (60 K m . X 4 -8 K m . di larghezza) ha 5 zone carbonifere finora sfruttate; quella di Zonguldac è in mano alla « Socieiè d ’Heracléé » che, con mano d ’opera italiana, costrusse anche il porto di Zonguldac che è sua proprietà. Nel luglio del 1919 la produzione di Zonguldac fu di 2 6 .1 9 0 tonn. di.carbone, e quella del- i ’intero bacino 4 5 .5 1 0 T . —• 11 porto di Eregfi (Eraclea) è naturale; ma manca di banchine, gru, e c c ., sicché, tranne costrurlo, bisogna ora rivolgersi a! Porto di Zunguldac, in mano francese. La Società Commerciale (l’Oriente possiede i due terzi della zona carbonifera di Bender Eragli (producente nel Luglio 1919 Tonn. 1308, e, pare, ora un 6 .0 0 0 tonn. mensili).
19 settembre 1920 — N. 2420 L’ECONOMISTA 499 Tripoli, Gerusalemme, Giaffa ed in Egitto ha moltis-
sime filiali e vi controlla le miniere di fosfato. Bellis simo tutto questo operare, come quello ivi ed al trove svolto, dal lato esportazioni ecc- dal Sindacato
C oloniale Italiano, da tanti altri congeneri Enti- Chi mi legge, se meco plaudirà a tutto questo vigore d ’o pre, però concluderà : che magnificenza di risultati a- deguati alle nostre necessità nazionali si avrebbe se questo operare che ognun fa per suo conto avesse centro, base comune di partenza di decisioni, di a- zione nel vantaggio nazionale e perciò di queste for ze!-. E perchè così non si fà ? .-.
L ’AFRICA E L E N O ST R E COLONIE
Passiamo ai nostri possedimenti, i quai sui due mi lioni di loro area in Kmq. hanno una superficie produt tiva o valorizzabile pari ad tre volte l ’Italia. E noto che, per i patti, in caso d ’accrescimento di territori coloniali, l ’Italia, la Francia l'Inghilterra dovevano aversi compensi eguali di valore ed estensione. Orbene. ; la Francia, che avanti guerra del suo impero colo niale di Kmq- 1 0 .1 7 8 .8 1 0 ne aveva già nella sola A- frica Kmq. 9-253-154 ora questi portò in Africa, ad Kmq. 1 1 .1 3 2 .8 6 0 , a noi non concedendo che, nel deserto del Sahara, rettifiche di oasi libiche ! (1) Mera viglierà ciò ognuno, tranneché sia ben a conoscenza di quanto scrivano, dicano i circoli francesi, anche più a noi amici, p-eroccè diversamente (sia egli il più ar dente francofilo) concluderà che, in Francia, la vitto ria (per la quale noi italiani cotanto facemmo) ha ri tornata — nelle classi dirigenti la politica, la finanza una mentalità solo concepibile ai tempi di Luigi XIV- Così è purtroppo ; e con danno grande perchè se fra Italia e Francia corressero rapporti da pari a pari, se condo il giusto e l ’onesto, le due massime nazioni latine potrebbero fare intese di comune vantaggio, di benefìzio alla latinità.
LTnghiiterra (3 1 4 .3 3 3 Kmq. di area), che, del suo impero coloniale di 33-593-412 Kmq- prima della guer ra, ne aveva già 9 -2 2 3 .1 1 9 in A.frica, ora in questa ne ha Kmq. 1 0 .7 3 1 -6 0 0 ; ma, più avveduta e più pre vidente della Francia, ci riconobbe dalle foci d.el Giu ba, lungo la costa a Sud, i porti di Kisimajo e Port Dundford sino a Ras Giambone, e poi l ’entroterra si no a Dolo, vasto un 80-000 Kmq-, e che ci assicura ambo le sponde del Giuba, dove prima d ’ora nei pun ti importanti di fronte ad un nostro posto vi era un po sto inglese. La Somalia Meridionale Italiana (non per chè io propria in essa, vi abbia rivendicati, come ogni buon tecnico sa, quei 48-500 Kmq- che sono per lo più su ll’Uebi e vennero occupati) (2) è fra le nostre tre colonie, quella che si presenta subito al più proficuo sfruttamento. Ora pare voglia S. A- R- iti Duca degli
A bruzzi allo stesso dedicarsi, debitamente finanziato, ma la sua è iniziativa bellissima, però privata. Certo si è che le terre dello Uebii Scebeli e del Giuba (delle quali buona parte irrigabili e con profondità di persino
(1) — Anche di queste concessioni i suoi giornali si lamentano. — Del resto, oltre noi, i francesi irritano anche a ltri. La T rib . Co loniale del 12 Giugno 1920 riporta quanto circa la politica coloniale francese dice il « The african World » di Londra, e che scrive testu al mente che i. francesi: « si sono » « formati attraverso una lunga sequela « d ’anni della loro storia, una politica coloniale di avventure, che è « la negazione di qualsiasi moderna politica tanto nel rispetto del senso a comune che del successo » ___ e « che consiste » non tanto a frut-« tare le risorse dei territori che tiene, quanto ad estendere ii dominio « del tricolore. »
Di siffatta maniera colia loro brama di far sventolare su mezzo mondo la loro bandiera, i francesi che nei loro possessi non possono mandar che impiegati e non coloni (cosi era già prima guerra, adesso poi nella Francia ste ssa la mano d ’opera, causa ¡m o rti in guerra, e la natalità decrescente, è ridotta a meno della m età di quella del 1914) cosa finiranno di volersi ad ogni conto procurare?___ è prevedibile. Pen sare che se rei fatti invece riconoscessero i sacrosanti diritti nazionali ed economici nostri potremmo secoloro cotanto intenderci e precedere insieme da amici veri ! . . . .
(2) P er i miei studi circa la Banca, dall’esame dei vari paesi, mi constatai che la Somalia Meridionale è veramente tale da rispondere, dal lato di sfruttam ento, alle migliori aspettative: perciò e sino dal 1910, pubb icai note monografie ed articoii relativi.
Avendomi, dietro confronto di quanto del caso constatato circa ì confini coll’Etiopia che noi finivamo nei fa tti di perdersi una
vastis-'U n - di Kumus) si presterebbero mabnmcamentc a darci pressoché il necessario per i nostri cotonifìci, darci caucciù, ecc. ecc. Ora anche qui è questione di denaro, denaro, non di parole o parvenze- Così nelle altre due colonie occorre credito larghissimo, erogato acutamente secondo gli speciali bisogni di ognuna. Nella L ibia per valorizzarla, per prepararla a che i nostri emigranti vi possano affluire con loro, e patrio utile, occorrono tanti provvedimenti dai tecnici consi gliati; ma che dal lato materiale si risovono in denari, denari sapientemente spesi. Allora la L ibia in prodotti agricoli ecc. potrà tornare quella che era sotto i Ro mani.
Così spese e credito occorrono nell ’E ritrea dove pur già si spiegano ottime iniziative private. Voler i redditi senza spese, senza dar modo alle iniziative di aver il necessario da poter lavorare utilmente è vera follia !--. Noi, poi, tranneché non conosciamo i nostri più elementari interessi, dovremmo mirare economi camente a spiegare la più efficace penetrazione sul l ’altipiano Etiopico, (specie il meridionale), produttore di svariate materie prime, e dove il caffè nasce sel vaggio; dovremmo mirare a che il più rapidamente possibile si costruisse quella ferrovia Somalia-Etio- pia-Eritrea, che ci assicurerebbe i nostri interessi, fronteggiando quella francese di Gibuti. Ma come ciò fare se non vi ha Ente di credito adeguato ai bisogni ? .. del resto questo non lo si può praticamente aversi, che come sostegno. Ed allora noi (che nella B anca
d ’A bissinia — che come è noto è lungamano Anglo- mancese — su 1 0 0 .0 0 0 azioni ne abbiamo 19-500 soltanto) potremmo in Etiopia attuare quel che oc corre, attraendo la compartecipazione etiopica in quan to può, a nostro vantaggio- A costrurre ferrovie, a far gli sbarramenti e riserve d ’acqua sul Giuba, su lì’Uebi, occorrono finanziamenti adeguati, come per il resto necessario. Nè il Governo deve esser lui a provve dere, date le condizioni finanziarie italiane; ma deve invece provvedere a che nell’interesse della nazione e d’ogni sua classe, laggiù vi si esplichino forze italiane sviluppanti un piano d’azione metodico, lucido, mi rante a ll’interesse collettivo- Orbene queste forze da sole non possono aver la potenzialità necessaria ; e !a pratica lo provò col dimostrare laggiù ora operanti for ze mirabili, ma che fanno quello che possono, mentre
im m ense sono le necessità. Occorre anche qui unio ne, e quanto adeguato a che nelle nostre colonie ogni sarà iniziativa italiana (sia di grossi che di piccoli) abbia finanziario sostegno, onde valorizzare nell’in teresse dell’economia collettiva nazionale.
Attualmente che fanno le nostre banche-regnatole laggiù?.- La B an ca d ’Italia funziona con filiali, o con rappresentanze di tesoreria, a M assaua, K e ren ed A-
sm ara, come pure a M ogadiscio (.Somalia), ma quivi adottammo per moneta la Rupia, che causò Ila crisi che ora là vi regna.
La B an ca di S conto ha una filiale a Massaua-Nella L ibia ecco a Tripoli e B en gasi sia la B anca
d ’Italia che il B an co Rom a ecc : ivi funzionano altre minori banche (come a Tunisi v ’ha una filiale della Banca di Sconto).
Ma risponde il complessivo lavoro di tutte queste commendevoli forze al necessario per la valorizza zione libica?--- la risposta al lettore, specie se cono sce quella nostra colonia. Certe spese che se danno reddito solo a lunga scadenza, sono però indispen sima area di territorio (specie nella Vallata dell’Uebi) ciò segnalai colla monografia « I nostri veri confini coll’Abissima in Somalia », la quale diede per risultato che le osservazioni fatte in essa portarono ad un accrescimento del nostro possesso di 48.500 K m . (R iv . Geogr. lt. Ottobre 1910,) e che i territori in quistlone furono poi occupati dal nostro Governo (Ved. anche Rivista Coloniale 1914 pag 255 quanto diceva di me in m erito alle occupazioni fatte allora). R iviste, Gior nali ecc. Di ciò parlarono distesamente riconoscendomene il merito.
S. A. R . il Duca degli Abruzzi recentemente in Somalia, nella re gione dell’Uebi, ha attuata opera lodevolissima e pranica, per la quale merita da ognuno, di qualsiasi partito, il più ampio plauso.
500 L’ ECONOMISTA 19 settembre 1920 — N. 2420 sabili per preparare l ’occorrente ad una seria, cre
scente valorizzazione in grande, alla emigrazione, chi le può fare tranneché un Istituto Bancario Nazionale, e che, appunto perchè nazionale, si sappia di poterle affrontare per il compenso, che i suoi privilegi spe ciali danno?... panni evidente (1). Potrei in esteso par lare delle altre regioni africane, che ai loro domina tori recano ricchezze su ricchezze, e nelle quali e- conomicamente potremmo operare, perchè quasi do vunque vi sono colonie nostre libere pressoché igno rate in.Italia, ma che specialmente talune sono atti vissime. Dal Marocco ai paesi del Niger, da questi al Congo, a ll’Angola (2), alla Colonia del Capo, alle re gioni dell'Africa Orientale sino alla Somalia potremmo spiegar opera proficua, emancipatrice nostra dal do ver ricorrere agli stranieri per le materie prime vege tali, minerarie, prendendole sui posti d ’origine. Ma sono tutte queste regioni trascurate da noi ; i servizi marittimi colle stesse (e che dovrebbero essere ita liani) quasi tutti in mani estere; nè parliamo di rap presentanze ivi di nostre Banche regnicolo, non es- sendovene. Nè di ciò si possono incolpar le nostre banche non potendo esse farsi che quel che possono, e gli interessi dei loro istituti privati permettono. A comparire, intervenire, operare prima modestamente, poi con sviluppo pensato e metodico, non lo può fare chie l ’Ente Bancario nazionale speciale accennato, perchè solo esso, per la sua natura e m issione stessa potrebbe correre l ’alea di istituire sedi o filiali nei primi anni passive. Ma gli azionisti di questo Ente, sapendo, oltre al suo esposto, che opera dovunque pel mondo, saprebbero anche di non aver d’a ciò dan no, perchè le altre sedi o filiali coprirebbero facil mente coi loro lucri i discapiti di queste nuove sedi, che però darebbero praticissimo crescente impulso alle nostre esportazioni a ll’averci dirette le materie prime ecc. E poscia logicamente anche queste nuove sedi diverrebbero fruttuose- Chiunque conosca le cose se renamente, converrà che dico il vero, che segnale un da farsi di proficuo reddito in un avvenire
prossimo-ASIA
N e ll’India, (dirne le ricchezze sarebbe inutile, es sendo ben note) le nostre Banche non sono apparse. Se le produzioni, i commerci di quell’immenso paese di oltre 300 milioni di anime, producono veri tesori a ll’Inghilterra, dànno lucri fortissimi agli enti bancari che se ne occupano, fra i quali il francese Com ptoir
d ’E scom pte. Bombay è in rapporti continui colla no stra Somalia- D all’India potremmo largamente, lucro samente importare, esportare; ma dall’India siamo assenti, a ll’Indocina siamo assenti, come assenti nel
Siam per quanto indipendente, vasto più di 5 0 0 .0 0 0 Kmq. e ricco di prodotti come e finitime colonie in glesi e francesi- Assenti dalle Iso le della Sonda, così note per le loro produzioni tropicali ; assenti dalle Indie
O landesi dove l ’Olanda conquistò le sue ricchezze ; assenti altrove, Già noi in fatto di assenze, non inter venti, rinuncie ci facciamo quasi un vanto di avere il primato, facendo ridere chi ci è avverso!..
Finalmente dopo insistenze infinite ci siamo accorti che esiste la Cina, un mondo ricchissimo che si tra sforma aH’europea, che perciò presenta tali e tante combinazioni di affari, così grandiose ed infinite risorse economiche da costituire anche per noi italiani (tecni ci, produttori ecc.) quel che usualmente si dice « l ’A merica ». Nonostante le sue lòtte fra Nord e Sud, mal- 1 2
(1 ) In giugno si radunò al Ministero delle Colonie una « Commis sione per le materie prime r. che, composta di industriali, decise 1 invio sul Giuba di una Missione onde accertare praticamente le pos sibilità e convenienza d ’uno sbarramento dello stesso. Gli industriali delia carta s’impegnano a studiare l’applicazione del l ’a lfa libico nelle loro cartiere; quelli dei lino, cotone, zucchero, lana manderanno Mis sioni di studio all’uopo nelle nostre Colonie. Dunque comincia un mo vimento pratico per valorizzar i nostri possessi; ed è augurabile pie namente riesca,
(2) La Compagnia Marconi ha ottenuta nell’Angola dal Governo Portoghese una grande Concessione, che intende sfruttare e riunire con piroscafi a Genova.
grado l ’eccezionale aumento del cambio, la Cina vide nel 1919, il suo commercio, le sue industrie in con tinuo aumento. Questo mondo più vasto di tutta l ’Eu ropa è abitato da oltre 400 milioni di individui, la boriosi, sobri, che possono e stanno .per divenire for midabili concorrenti dei lavoratori bianchi nella vita economica mondiale (1). Questo mondo potrebbe dare pure a'.noi, con scambi ecc. infinità di tesori. Ma « pur- tropoo l'Italia (dice il Bollettino della Camera Italiana di commercio di Shangai n. 3 de 1920) « non ha potuto trarre grande profitto dalle condizioni favorevoli del mercato cinese, perchè non sufficientemente prepa rata ». Molto là vi sarebbe da operare dal lato marit timo conquistando così la maggior parte del traffico fra il Mediterraneo e TEst-remo Oriente, moltissimo altro si potrebbe farvi utilmente, lucrosamente; ma occorrono adeguati provvedimenti. Nella sua Relazione a ll’Assemblea Generale della, nostra Camera di Com mercio di Shangai, il Presidente diceva :
« Avremmo preferita la costituzione di una Banca prettamente nazionale rappresentante i maggiori inte ressi bancari italiani, seguendo così l ’esempio di altre nazioni, che ci hanno preceduto con successo nella penetrazione del mercato cinese- Alla partecipazione della B an ca C om m erciale Italiana nella B an qu e Indu-
strielle de Chine è seguita l ’iniziativa del C redito I-
taliano, che col concorso di capitali cinesi formò 'a
B an ca Italo C inese (Cinorltalian Bank) col capitale misto sottoscritto di Lit. oro 4 milioni dollari cinesi 1.200.000 con sede a Tientsin e succursali, ora a Shangai, e poi a porsi a H ankau, H arbin, ecc; e che per i primi 4 anni è presieduta dall’ex ministro cinese ShuShi Ving. Ma per aprire ai commerci, im prese italiane quel ricchissimo paese (dove, dagli a- mericani del Nord ai piccoli Belga, tutte le altre na zioni lavorano, adunando ricchezze su ricchezze, e dove porti, ferrovie tram, opifici stanno costruen- ri‘>si) occorre, come ben diceva la Relazione su citata una Banca Nazionale, come proposta.
Nel G iappone, n e ll’Australia (dove ci farebbero con dizioni favorevoli e che è grande produttrice di lane, carne, cereali), nella Nuoiva Z elanda, grande quasi quanto l ’Italia, e dove in quella terra promessa fu rono italiani ad introdurvi la coltivazione della vite, del gelso, della canapa, noi specialmente dal lato ban cario ?... Taciamone per carità patria. Dovunque, po chi o tanti, vi sono italiani; ma l ’Italia economica, bancaria vi è assente o
quasi-LA CONCLUSIONE PRATICA
Ecco a rapidissimi, però fedeli, tratti, schizzato il magnifico quadro!...
Il lettore (tanto più se di quelli ben a conoscenza della nostra vita a ll’Estero, perchè altrimenti resterà attonito di quanto gli sarà rivelazione vera) di fronte a quanto serenamente riferii circa i nostri emigrati, a ll’e norme mole del lavoro, che anche lui constata da cont r i ) Si mediti quanto segue. Negli anni prim i della guerra le paghe degli operai cinesi erano queste: un operaio comune guadagnava al giorno cento sapeche pari a trenta centesimi dei nostri, un operaio scelto in 140 sapeche pari ad un 50 centesimi. — Fossero queste paghe ora pur raddoppiate, ognuno confrontandole con quelle attuali d ’un.operaio nostro tosto ne dedurà che formidabilissima concorrenza ne verrà tosto i cinesi producano stoffe, m anufatti ecc; uso nostro. Nè si creda che fisicamente il cinese valga meno del bianco: quasi sampre lo uguaglia, e tu tti sanno come i cinesi sieno lavoratori sobri ed a t tenti. — A mandar in Cina nostra emigrazione non havvi neppure da pensarvi; l’unica nostra emigrazione possibile, e chi vi andasse ad Impiantarvi opifici uso europeo, dei tecnici di ogni gradazione perchè la Cina ne abbisogna per la sua trasformazione all’Europea.