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Academic year: 2022

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Collana Medico‐Giuridica n.10 

VULNERA MENTIS 

‐ Associazione M. Gioia ‐ 

Danno psicologico e danno esistenziale: inquadramento giurisprudenziale

Dr.ssa Patrizia Ziviz*

1. Una verifica circa l’attualità del danno psicologico nel mondo del diritto implica, per l’interprete, interrogarsi circa la rilevanza che assume – sul piano giuridico - la modificazione peggiorativa della psiche; in particolare, si tratta di chiedersi in quali circostanze tale alterazione negativa possa essere trattata come una lesione della salute e l’eventuale rilievo che essa riveste sul piano risarcitorio ove ciò non accada.

Molti sono i nodi da sciogliere e molte appaiono le distinzioni da fare a tale riguardo; e fra queste fondamentale appare – come segnala lo stesso sottotitolo di questo Convegno – la differenza che intercorre tra la compromissione della psiche derivante da una lesione di carattere organico del cervello e quella in cui, invece, tale alterazione non sia imputabile ad una violazione di tipo fisico. I due sottosettori pongono, in effetti, profili problematici talmente distanti da non presentare alcuna area di intersezione.

Basta rilevare che il danno organico al cervello si presta ad essere affrontato – sul piano giuridico - alla stregua di qualsiasi altra lesione di carattere fisico. Si tratta, in ogni caso, di una violazione alla salute che dà origine ad una certa percentuale di invalidità; sicché le eventuali peculiarità di tale lesione si manifesteranno sul piano della medicina legale, mentre – per quanto riguarda il diritto – ci troveremo come sempre davanti ad una valutazione percentuale dell’invalidità, sulla base della quale il giudice dovrà quantificare il danno biologico.

Ovviamente, accanto a tale voce, la vittima potrà ottenere il ristoro del danno patrimoniale, nonché (ove ricorrano gli estremi previsti dall’art. 2059 c.c.) del danno morale, vale a dire il pregiudizio costituito dalla sofferenza d’animo che il soggetto prova per il fatto di dover vivere in una condizione menomata. Ed è su questo versante, e non già su quello del danno biologico, che l’interprete sarà chiamato ad affrontare una questione particolare: vale a dire quella relativa alla possibilità di attribuire alla vittima il ristoro del danno morale nell’ipotesi in cui essa abbia perso – parzialmente o totalmente – le proprie capacità di percezione.

I nodi da sciogliere appaiono ben diversi quando, invece, la modificazione psichica negativa non discenda da una lesione organica del cervello: quando, cioè, ci si trovi di fronte a quella che spesso risulta definita nei termini di “lesione psichica pura”. In questo caso, il percorso che dalla lesione porta al danno non appare, infatti, così lineare. Si tratta – perciò - di definire con chiarezza quale ruolo siano destinate a giocare, nella vicenda, le varie categorie di danno: in particolare, danno psichico o biologico, danno morale e la recente figura del danno esistenziale. Quale, fra le figure indicate, appaia il riferimento privilegiato sul quale far perno al fine di garantire la tutela della vittima di un’alterazione negativa della psiche è un problema di non facile soluzione, viste le possibilità di sovrapposizione e l’incertezza che regna sui confini che definiscono l’ambito di ciascuna di esse.

2. Volendo affrontare il settore della lesione psichica non organica, possiamo prendere le mosse dall’analisi degli orientamenti giurisprudenziali in materia. Va segnalato, in particolare, come – in tempi recenti – piuttosto diffusa sia apparsa presso le corti la tendenza a riconoscere

* Professore di Diritto Privato, Università di Trieste

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l’esistenza di una lesione della psiche – e procedere, quindi, al risarcimento del danno biologico – nelle ipotesi in cui il torto (lesivo di un interesse diverso da quello della salute) fosse tale da aver alterato negativamente l’equilibrio emotivo del soggetto leso.

Uno schema del genere è stato spesso applicato, ad esempio, nel settore degli illeciti lesivi dei rapporti di carattere familiare. Vediamo, in particolare - con riguardo al danno subito dai familiari di una bambina deceduta in un incidente stradale – come il Tribunale di Milanoi abbia sottolineato che i congiunti della vittima "possono subire, a causa della morte del familiare, una lesione del bene salute suscettibile di apprezzamento

ex

art. 2043 c.c.

Ovviamente in tal caso il bene salute deve intendersi come diritto all'integrità psichica ed a tutte le sue estrinsecazioni, ivi compresa la perdita di interesse e di iniziative per le attività quotidiane o, comunque, le incidenze che un fatto tanto grave può produrre sull'emotività e sull'equilibrio personale". In particolare, per quanto riguarda i genitori, la corte ha messo in evidenza come "la perdita della figlia dodicenne comporti un'alterazione dell'equilibrio mentale, sia pure come difficoltà di partecipazione alle attività giornaliere o come demotivazione a perseguire progetti nuovi. Inoltre, una così grave perdita presumibilmente comporterà maggiore disinteresse per le attività produttive. Insomma, verosimilmente i genitori modificheranno il loro carattere ed il loro atteggiamento nei riguardi della vita futura". Con riguardo, poi, alla sorellina della vittima, la corte osserva che "non vi è dubbio che il trauma subito a causa della improvvisa mancanza della consanguinea ne segnerà tutta l'intera esistenza, probabilmente, nella sua psiche tornerà il ricordo del brusco distacco dalla sorellina. Conseguentemente ne risulterà uno squilibrio psichico anche se sommerso, che non potrà non condizionare tutte le sue attività future". Di qui il riconscimento circa la sussistenza di un danno biologico

iure proprio

dei congiunti.

Ad uno schema sostanzialmente similare appare improntata una successiva sentenza della medesima corteii, riguardante anch'essa i danni derivanti dal decesso del congiunto, ove viene affermato che "la perdita di un familiare convivente, oltre alle conseguenze di natura strettamente economica, ha rilievo anche sotto il profilo della menomazione alla pienezza della vita sotto il profilo familiare, sociale, ed incide sulla esplicazione della personalità morale, intellettuale, culturale, oltre ad avere ripercussioni nella sfera psichica dei familiari privati del congiunto. Tale danno non abbisogna di prova specifica, potendosi ritenere compresa nel notorio la diminuzione della capacità fisio-psichica dei soggetti che si trovano nella citata condizione, pur dovendosi sempre valutare le peculiarità della specifica fattispecie": argomentazione tale da consentire, anche questa volta, il risarcimento del danno biologico ai familiari della vittima deceduta.

Al medesimo schema appare ispirata una sentenza della corte d’appello bologneseiii, chiamata a pronunciarsi con riguardo ai danni derivanti ad una donna, divenuta madre suo malgrado in seguito al fallimento di un intervento abortivo: anche in questo caso il collegio ha ritenuto sussistere senz'altro una lesione del "diritto alla salute della donna, compromessa dagli effetti sulla psiche provocati dalla insorgenza e dall'aggravamento, per la nascita dell'ulteriore figlio, di quelle difficoltà economiche, già dal legislatore apprezzate come incidenti sulla salute fisica o psichica".

La sussistenza di una lesione dell'integrità psichica della donna viene, anche questa volta, argomentata quale sicuro effetto del turbamento emotivo dalla stessa patito; i giudici osservano, infatti, che "la preoccupazione e l'ansia per l'impossibilità, o quantomeno per le aumentate difficoltà, di garantire, per le limitate risorse economiche familiari, una vita dignitosa, una educazione adeguata, una opportuna istruzione alla prole, costituiscono

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invero fonte permanente di tensione e di disagio psicologico, che alterano l'equilibrio psico- fisico della persona, costituente il bene costituzionalmente protetto della salute"iv.

Passando, poi, ad un'ipotesi di mancata informazione dei genitori circa le gravi malformazioni congenite del feto, la responsabilità del sanitario è stata messa in gioco in relazione al "trauma psichico dei genitori, sicuramente incidente sulla integrità psicofisica dei medesimi": lo shock derivante dal fatto di "trovarsi inopinatamente con la responsabilità di un figlio menomato, in modo parzialmente irreversibile, avendolo sotto gli occhi senza adeguata preparazione" viene dai giudici ritenuta fonte di "un diverso orientamento nei confronti della vita futura, pur destinato a riassorbirsi gradualmente nel corso dell'esistenza, (...) gravemente incidente sulla salute dei genitori" e come tale causa di danno biologicov.

La mobilitazione del danno alla salute, nella veste di pregiudizio di carattere psichico, ha avuto luogo anche in campi diversi dalla lesione dei rapporti familiari. Vediamo, ad esempio, che ad una tecnica di questo tipo si è fatto ricorso ai fini di risarcire i danni derivanti dall'ingiusta perdita del posto di lavoro a seguito di dimissioni provocate dall'aggressione sessuale del datore di lavoro. Determinante ai fini del risarcimento del danno biologico (che viene ad affiancarsi al ristoro dei pregiudizi di carattere patrimoniale e morale), è – per il pretorevi - il fatto che la condotta del datore di lavoro è venuta "a sconvolgere le relazioni, i punti di riferimento, i luoghi e le pratiche della propria realizzazione professionale e la stessa fonte di autosostentamento, su cui si fondavano le precedenti e consolidate abitudini di vita". Sono tali modificazioni esistenziali ad essere ritenute - dal pretore - presupposto di uno shock nervoso, e consentire di conseguenza il ristoro del danno biologico.

Considerazioni del tutto similari ispireranno la decisione della Pretura di Trentovii, chiamata a pronunciarsi in un’ipotesi di dimissioni della lavoratrice provocate dalle insistenti

avances

del principale: anche in questo caso viene rilevato che "non può sussistere dubbio che l'insistente corteggiamento, a cui il datore di lavoro ha sottoposto la ricorrente, anche mediante pedanti ingerenze nella sua vita personale, provocò nella giovane un sicuro turbamento della sfera emotiva (alla quale la scienza attribuisce un ruolo di grande rilevanza nello sviluppo e nel benessere psichico della persona)".

Lo schema argomentativo fin qui illustrato trova applicazione, poi, in una sentenza vertente sui danni provocati dalla fuga di diossina avvenuta a Seveso: con riguardo al pregiudizio patito da una donna, che all'epoca dei fatti si trovava a vivere nella zona coinvolta dal disastro ambientale, il tribunale di Monzaviii afferma che essa "ha subito un danno, costituito dall'alterazione delle normali attitudini di vita, ridondante in ansia, fobie, sofferenze legate al rivivere attuale del trauma, mediante il riemergere di ricordi, con disturbi evolutivi conseguenti della personalità". Tali alterazioni di carattere psichico vengono configurate quale "limitazione al libero sviluppo della personalità (in cui deve assumersi un danno biologico)", in relazione alle quali il risarcimento viene quantificato nella somma di 30 milioni.

A documentazione della trasversalità di tale orientamento rispetto ai vari campi dell’illecito, va infine rammentato l’utilizzo dello stesso in un caso di diffamazione, derivante dalla pubblicazione di notizie riguardanti la condizione di sieropositività di una giovane donna. Nel liquidare i pregiudizi provocati da tale illecito, il tribunale penale di Bolzanoix osserva che "la persona offesa a seguito della divulgazione del proprio stato di sieropositività e tossicodipendenza, che ella aveva sempre celato sia ai propri familiari, che apprendevano così la notizia di tali dati riservati dall'edizione del giornale di cui è causa, che ai vicini di casa nonché a persone anche del proprio ambiente sociale, per naturali ragioni di riservatezza e per ovvii timori, e che successivamente alla propalazione delle notizie in

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questione ella non era più riuscita ad avvicinare con serenità (...), ha interrotto il difficile cammino interpersonale in precedenza intrapreso grazie agli aiuti di specialisti, si è sempre più chiusa in se stessa e non è più riuscita a superare e a sopportare con distacco, forza e serenità di essere stata pubblicamente diffamata mediante la pubblicazione di dati afferenti alla sua persona e alla sua salute, che era riuscita a tenere segreti fino a quel momento ai propri familiari e agli estranei percorrendo un difficile cammino di inserimento nella società civile”. Sulla base di tali considerazioni viene riconosciuto alla vittima il risarcimento sia di un danno non patrimoniale che di un danno biologico, risultando quest’ultimo fondato sulla generica condizione di prostrazione riscontrata in capo alla giovane.

La disamina delle varie sentenze fin qui illustrare mostra come la scansione delle argomentazioni utilizzate dai giudici si snodi sempre attraverso alcuni punti focali: la lesione della situazione soggettiva direttamente colpita dall'illecito è, in prima battuta, diversa dalla salute; essa viene considerata quale fonte di un turbamento emotivo - il quale risulta perlopiù mediato attraverso una compromissione di carattere relazionale - a carico della vittima. Le alterazioni psicologiche da quest'ultima patite, a loro volta, vengono fatte assurgere al ruolo di una vera e propria lesione dell'integrità psichica della vittima; ed è l’accertamento delle stesse, il quale si fonda su un ragionamento di carattere presuntivo, che giustifica il risarcimento del danno biologico.

É evidente, perciò, che il concetto di salute cui ci si riferisce appare concepito in termini piuttosto ampi, tali da corrispondere allo stato di benessere ed equilibrio emotivo del soggetto. Tale conclusione risulta suffragata dal mancato intervento, nelle vicende in questione, della medicina legale: l’accertamento dell’avvenuta lesione psichica non appare mai fondato, nelle suesposte vicende, su una consulenza tecnica.

3. L’orientamento giurisprudenziale fin qui illustrato appare disponibile ad ipotizzare, come si è visto, la sussistenza di una lesione della salute psichica a fronte di qualunque generico turbamento emotivo patito dalla vittima. Sorge, perciò, il problema di conciliare una simile visione con l’ottica tradizionale, secondo cui la sofferenza e il patema d’animo indotti dall’illecito appaiono destinati ad essere convogliati nella categoria del danno morale.

Una prospettiva che punta a percepire qualunque alterazione della psiche nei termini di lesione della salute sembra, in effetti, destinata a determinare l’inevitabile assorbimento dell’intero universo del danno morale nell’ambito dei pregiudizi di carattere biologico. A conferma di ciò, basterà richiamare le conclusioni di quei giudici, i quali non hanno tardato a rilevare che “uno stato di turbamento morale conseguente alla privazione di un bene (si tratti del rapporto affettivo con un congiunto, dello svolgimento di attività ricreative, dell'espletamento di attività sessuali, della stima di sé e della propria immagine nei rapporti interni ed esterni, e simili) costituisce una alterazione - e quindi una malattia - in relazione al normale modo di essere psichico dell'individuo; e, come la malattia più propriamente fisica, potrà risolversi senza lasciare rilevante traccia, oppure con postumi permanenti di entità più o meno estesa. É allora evidente che nell'ambito del danno biologico - come sopra delineato - deve essere ricompreso anche il danno morale, inteso come acuta sensazione di sofferenza più psichica che fisica, incidente in un arco di tempo più o meno lungo, ma comunque delimitato: si tratta, in definitiva, di una particolare sottospecie di danno biologico, o meglio di uno dei modi nei quali si può atteggiare il danno biologico da invalidità

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temporanea"x. É evidente, perciò, che – seguendo una simile falsariga - qualsiasi turbamento dell’equilibrio personale potrà essere posto alla base del risarcimento del danno biologico.

Conclusioni del genere non possono, però, essere condivise. Per procedere al ristoro di un pregiudizio di carattere biologico non basta, in effetti, rilevare l’esistenza di una semplice alterazione negativa della psiche; il presupposto indispensabile, perché possa parlarsi di lesione della salute, è dato dall’accertamento di una vera e propria malattia. In tal senso si è pronunciata la stessa Corte Costituzionalexi , la quale ha rilevato che il danno morale non può essere considerato alla stregua di una lesione psichica; ed un’ulteriore conferma proviene dai recenti interventi legislativi in materia di danno biologico, ove quest’ultimo viene correlato all’accertamento medico-legalexii.

La distinzione tra semplice turbamento emotivo (destinato a rilevare come danno morale) e patologia non è sempre un’impresa facile: si tratta, in effetti, per molti casi, di rilevare differenze che finiscono per collocarsi su un piano quantitativo e non già qualitativoxiii. Sono rilievi, peraltro, che non coinvolgono il giurista; ad esso spetta, più semplicemente, il compito di riconoscere la risarcibilità di un pregiudizio qualificato come danno biologico esclusivamente laddove la modificazione della psiche sia tale da poter essere classificata - a rigore della scienza medica – come patologica.

Laddove l’alterazione della psiche assuma carattere non patologico, bisogna ritenere che non rimane alcuno spazio per il ristoro di un pregiudizio qualificato come danno psichico. Non sembra, infatti, condivisibile la posizione di chi ha ritenuto che “anche se la lesione non ammontasse ad una lesione patologicamente rilevante, ma vi fosse un turbamento giuridicamente rilevante, il danno psichico sarebbe di per sé risarcibile”, risultando a tale stregua qualificato il pregiudizio corrispondente alle “conseguenze deprimenti normalmente derivanti dalla lesione di diritti fondamentalixiv”. In effetti, un simile pregiudizio coincide in tutto e per tutto con il danno morale: perché effetti, o il turbamento emotivo subito dalla vittima in seguito all’illecito ha determinato un’alterazione della psiche qualificabile come malattia, oppure – ove non si riconosca l’esistenza di uno stato patologico – ci troviamo di fronte a conseguenze dannose di carattere fisiologico, sostanziantesi al c.d. patema d’animo.

4. Un’alterazione psichica non patologica risulta, secondo questa prospettiva, assoggettata ai vincoli risarcitori previsti dalla disciplina dell’art. 2059 c.c.; sicché si potrebbe ipotizzare che lo scopo ultimo dell’elaborazione del “danno psichico non patologico” sia quella della fuga da quei limiti. In realtà, non appare questo il vero obiettivo dell’indirizzo giurisprudenziale che mira a individuare l’esistenza di un danno psichico anche in mancanza di accertate patologie: non si tratta tanto di far assumere al turbamento emotivo tale nuova veste, in luogo di quella di danno morale.

La verità è che il riferimento all’alterazione psichica negativa viene utilizzato esclusivamente allo scopo di poter esportare anche su altri terreni del torto il danno biologico: e garantire, tramite questa voce, il risarcimento delle modificazioni negative patite dalla vittima nella sua sfera di esplicazione personale. Ma se la finalità a cui si mira è quella di tratteggiare – analogamente a quel che accade nel caso di lesione dell’integrità psico-fisica – una protezione risarcitoria per quel che concerne l’esplicazione esistenziale della vittima dell’illecito, la strada da imboccare non è quella diretta a convogliare tale pregiudizio entro l’egida del danno psichico. Si tratta, piuttosto, di trarre da quel settore un paradigma generale di lettura,

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applicabile in tutti i campi del torto che mostrino di toccare interessi incidenti sulla sfera personale del danneggiato.

A tale scopo è stata elaborata, da qualche anno a questa parte, la nozione di danno esistenzialexv. Su tale nuova figura, in particolare, fa perno un modello risarcitorio mirante ad estendere su scala generale quello schema di ragionamento che ha guidato gli interpreti nel momento in cui essi sono pervenuti all’elaborazione del concetto di danno biologico.

Nelle più recenti prospettive, com’è noto, il danno biologico è venuto a rappresentare il punto di riferimento per tutti quei riflessi negativi che incidono sulla sfera non reddituale della vittima; sotto quest’etichetta vengono, cioè, risarcite, le compromissioni delle attività realizzatrici della persona, derivanti dalla lesione dell’integrità psico-fisica. Ebbene, l’obiettivo perseguito con la creazione del danno esistenziale è quello volto ad estendere il medesimo ragionamento nel caso in cui ad essere incisi dall’illecito siano altri tipi di interessi: diritti della personalità, rapporti familiari, e via dicendo. Anche qui, una volta riscontrato che la lesione ha compromesso la qualità della vita del soggetto leso, potrà essere risarcita un’autonoma voce di danno – per l’appunto il danno esistenziale – da affiancare al danno patrimoniale e al danno morale.

La categoria del danno esistenziale ha trovato, in tempi recenti, i primi riscontri a livello giurisprudenziale: in particolare, nel campo della lesione del rapporto familiarexvi, nonché nell’ipotesi di immissioni eccedenti la normale tollerabilitàxvii. In quest’ultimo caso, in particolare, il giudice ha osservato che il pregiudizio patito dalle vittime del fenomeno immissivo “non va qualificato come danno biologico in quanto non comporta un’alterazione dello stato di salute o l’insorgere di una malattia, ma causa un’alterazione del benessere psicofisico, dei normali ritmi di vita, che si riflettono sulla tranquillità personale del soggetto danneggiato, alterando le normali attività quotidiane e provocando uno stato di malessere psichico diffuso che, pur non sfociando in una vera e propria malattia, provoca tuttavia ansia, irritazione, difficoltà a far fronte alle normali occupazioni, depressione, ecc. Trattasi, invero, di “danno esistenziale”, consistente nell’alterazione delle normali attività dell’individuo, quali il riposo, il relax, l’attività lavorativa domiciliare e non, che si traducono nella lesione della “serenità personale”, cui ciascun soggetto ha diritto sia nell’ambito lavorativo, sia, a maggior ragione, nell’ambito familiare”.

Va rilevata, in queste prime pronunce, una certa difficoltà di discernimento – da parte dei giudici – tra la compromissione della qualità della vita e le eventuali alterazioni psichiche che possono dalla stessa derivare. La presenza di queste ultime non appare – in realtà – determinante ai fini del risarcimento del danno esistenziale; le alterazioni peggiorative intervenute nella vita del soggetto vengono, cioè, risarcite in quanto tali, a prescindere dall’alterazione psichica (più o meno incisiva) che le stesse abbiano indotto in capo al soggetto colpito.

Naturalmente il discorso cambia se le alterazioni psichiche sono tali da assumere il carattere di una vera e propria malattia: è evidente, in casi come questi, che all’illecito originario si affianca un ulteriore torto: quello lesivo dell’integrità psichica della vittima. Di qui la necessità di accertare il relativo grado di invalidità, e procedere al risarcimento di tutti i danni conseguentixviii.

5. Volendo, a questo punto, trarre qualche considerazione di sintesi circa il ruolo che l’alterazione della psiche della vittima è destinata a giocare sul piano risarcitorio, possiamo

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concludere – sulla base delle considerazioni esposte – che tale modificazione negativa assume rilievo sotto distinte vesti:

- come danno-conseguenza che, ove discenda dalla lesione di un qualunque interesse giuridicamente rilevante, sarà risarcibile entro i limiti previsti dall’art. 2059 c.c., alla stregua di danno morale;

- come causa, laddove si accerti una vera e propri malattia, di una lesione alla salute psichica del soggetto, fonte come tale del ristoro di tutte le conseguenze negative dalla stessa provocate (danno biologico, patrimoniale, morale).

Naturalmente un discorso come questo risulta volutamente semplificatorio, dal momento che ricostruisce in termini lineari il processo causale che invece, come ben noto, nel contesto del disagio psichico appare contraddistinto da un processo circolare. Una simile scomposizione del discorso, tuttavia, risulta essenziale al fine di distinguere i differenti ruoli che viene a giocare la modificazione della psiche nell’ambito del processo risarcitorio.

In un simile contesto, il ruolo del medico-legale e dello psichiatra forense sarà - essenzialmente - quello di stabilire quale sia il tipo di alterazione psichica subita dal soggetto:

se essa sia, cioè, di carattere fisiologico ovvero se assuma i connotati di vero e proprio stato patologico. Ricorrendo questa seconda ipotesi, si potrà parlare di lesione della salute psichica:

e spetterà sempre al medico stabilire in termini percentuali il grado di invalidità della vittima.

Per fare un esempio concreto, l’ansia e i disturbi dell’umore provati dalla perdita di un familiare saranno destinati a rilevare come danno morale ove si mantengano entro limiti fisiologici, mentre se essi innescano una vera e propria malattia, si tratterà di dar corso al ristoro di tutte le conseguenze indotte dalla stessa (effetto che scaturirà in quanto – con riguardo a quella specifica lesione – siano accertati tutti i presupposti della responsabilità: con particolare riguardo ai profili riguardanti la colpa e la sussistenza del nesso causale).

Quanto alla circostanza che l’alterazione psichica incide sulla vita del soggetto, di tale fatto si terrà conto, sul piano risarcitorio, tramite la categoria del danno esistenziale. Si tratta, ovviamente, di distinguere – anche qui – tra modificazione patologica o meno. Nel primo caso, il danno esistenziale assume la veste conosciuta del danno biologico; nel secondo caso, come abbiamo avuto modo di rilevare, la modificazione peggiorativa della qualità della vita va risarcita purché sia accertata la lesione di un interesse giuridicamente rilevante (diverso dalla salute); e non assume importanza determinante – come si è visto - il fatto che tale compromissione delle attività realizzatrici della persona sia mediata o meno da un turbamento di carattere emotivo.

Un’ultima precisazione appare necessaria con riguardo al fatto che l’alterazione psichica è destinata a confluire, come danno-conseguenza, nella categoria del danno morale, sicché risulta assoggettata ai limiti dell’art. 2059 c.c.: tanto vale finché essa non assuma rilievo sul piano patologico. Nell’ipotesi in cui, invece, si assiste ad una somatizzazione del turbamento emotivo, il risarcimento viene sottratto a tale disciplina limitativa: infatti, in tal caso, la modificazione psichica rileva come autonomo evento dannoso, fonte – in quanto tale – di un ventaglio di poste risarcitoriexix.

6. Le considerazioni fin qui formulate ci permettono di concludere che l’attualità di un concetto come quello di danno psichico deriva dall’ambiguità stessa di tale nozione e dal fatto che essa

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si presta ad essere presa in considerazione sotto due diverse prospettive: quella del danno- conseguenza e quella del danno-evento.

Dal punto di vista medico-legale, è certamente la seconda ottica ad apparire rilevante:

spettando al medico legale e allo psichiatra forense determinare l’esistenza o meno di un’invalidità di carattere psichico: con riguardo alla quale sarà più corretto, sul piano giuridico, parlare in termini di lesione della salute psichica, piuttosto che di danno.

Quanto ai profili del danno-conseguenza, si è visto che le recenti fortune della nozione di danno psichico in realtà si rivelano il frutto di ragionamenti non sempre corretti da parte delle corti, dal momento che sotto questa etichetta viene in realtà veicolata l’esigenza di apprestare la tutela risarcitoria per quanto riguarda la modificazione peggiorativa della vita della vittima.

Per quest’ultimo tipo di pregiudizio appare opportuno, allora, il ricorso ad una categoria – quella del danno esistenziale – che assicura un riconoscimento aquiliano alla compromissione delle attività realizzatrici della persona senza la necessità di procedere ad un aggancio della stessa al concetto di salute: tant’è vero che tale danno potrà essere risarcito anche se la psiche non sia rimasta in alcun modo compromessa dall’illecito.

Nella prospettiva da noi accolta si dovrebbe pervenire, perciò, ad un ridimensionamento del ruolo riservato al danno psichico; parte dei compiti ad esso di recente affidati dai giudici dovranno, infatti, essere assolti dal danno esistenziale.

i V. Trib. Milano 5 maggio 1991, Dir. Econ. ass, 1992, 669, con nota di P. Foà Ancora sul problema del c.d. danno biologico da morte. Su corde sostanzialmente analoghe una decisione successiva della stessa corte: v. Trib. Milano 2 settembre 1993, in Resp. civ. prev., 1993, p. 1009, con nota di G. Giannini Lesioni mortali, danno biologico e danno psichico. Le conclusioni di Trib. Milano 5 maggio 1991, cit. verranno riformate da App. Milano 11 ottobre 1994, Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 490, con nota di Chindemi e in Resp. civ. prev., con nota di Foà

ii Trib. Milano 1 febbraio 1993, in Resp. civ. e prev., 1993, p. 1016

iii App. Bologna 19 dicembre 1991, in Arch. civ., 1992, 295.

iv In termini di "enorme stress ed affaticamento" viene concepito il danno biologico anche nell'ambito di una pronuncia della Cassazione (Cass. 1 dicembre 1998, n. 12195, in Foro it., 1999, I, 77, con nota di A. Palmieri; in Giust. civ., 1999, I, 672; in Danno e resp., 1999, 522, con nota di E. Filograna, "se avessi potuto scegliere...": la diagnosi prenatale e il diritto all'autodeterminazione), riguardante la responsabilità medica per mancata informazione dei genitori circa l'esistenza di gravi malformazioni del feto. Nell'ambito di tale pronuncia viene, in effetti, ipotizzata la risarcibilità del danno biologico del marito correlata all'ipotesi in cui la consorte riporti - a seguito del mancato legittimo esercizio del diritto di interruzione della gravidanza - un grave danno alla salute.

v V. Trib. Perugia, 7 settembre 1998, Foro it., 1999, I, 1804; v anche App. Cagliari 12 novembre 1998, in Danno e resp., 1999, 1031, relativa alla responsabilità del sanitario per mancata interruzione di gravidanza: qui - tuttavia - il danno biologico risulta maggiormente ancorato ad una patologia - in quanto viene ravvisato nell'andamento patologico della gravidanza, nel corso della quale era subentrata una gestosi, nonché nella sussistenza, nei si mesi successivi al parto, di una depressione postpartum

vi V. Pret. Milano 14 agosto 1991, in Riv. critica di dir. del lavoro, 1992, 679, con nota di A. Manna Le molestie sessuali come giusta causa delle dimissioni del lavoratore: il danno biologico viene quantificato nella somma di lire 15 milioni.

vii V. Pret. Trento 22 febbraio 1993, Riv. it. dir. lav., 1994, II, 172: il danno biologico viene quantificato nella somma di lire 10 milioni.

viii V. Trib. Monza 30 gennaio 1997, in Resp. civ. prev., 1997, 1060, con nota di Feola, Il risarcimento del danno morale nei reati di pericolo: il caso "Seveso" in Cassazione.

ix V. Trib. pen. Bolzano 18-3-98, DInf, 1998, 616.

x V. Trib. Bologna 13 giugno 1995, in Giur. it., 1995, I, 2, 892; in Corr. Giur. 1995, 1093; in Resp. civ. prev. 1995, 783.

xi Corte cost. 17 febbraio 1994, n. 37, in Foro it. 1994, I, 1326, con nota di D. Poletti, L'azione di regresso previdenziale, il danno morale e il nuovo "diritto vivente", e ivi, 1995, I, 84, nota di Castronovo, Danno alla salute

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e infortuni. La Corte costituzionale e i diritti secondi; in Resp. ci.v prev., 1994, 216, con nota di G. Scalfi, Azione surrogatoria o di regresso e principio di destinazione del risarcimento al ristoro del danneggiato; in Dir. econom. ass., 1995, 307, con noa di F. Pontonio, danno biologico, danno morale e assicurazione facoltativa della responabilità civile del datore di lavoro per i danni dei dipendenti

xii V. art. 3 D.legge 28 marzo 2000, n. 70, nonché art. 13 Dlgs. 23 febbraio 2000, n. 38.

xiii Sono gli stessi medici legali ad osservare che “ è clinicamente e scientificamente improponibile una percentuale di danno inferiore al 10% dell’integrità psichica della persona” rientrando in questa quota le oscillazioni naturali del modo di essere e degli stati d’animo del soggetto a fronte delle varie esperienze di vita (Brondolo-Marigliano, Danno psichico, Milano, 1996, 230).

xiv Così Monateri, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1998, 301. Busnelli A dieci anni dalla sentenza 184/1986 della Corte costituzionale sul danno alla salute. Conferme, correzioni di rotta, prospettive, in Resp. civ. prev., 1997, 931, parla di “somatizzazioni del danno morale”, destinate come tali a restar disciplinate dall’art. 2059 c.c.

xv Per i primi riferimenti v. Ziviz, Alla scoperta del danno esistenziale, in Contr. impr., 1994, 845 ss; Cendon, Non di sola salute vive l’uomo, in Riv. crit. dir. priv., 1998; Ziviz, La tutela risarcitoria della persona. Danno morale e danno esistenziale, Giuffrè, Milano, 1999; Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, a cura di Cendon-Ziviz, Giuffrè, Milano, 2000.

xvi V. Trib. Torino 8 agosto 1995, in Resp. civ. prev., 1996, 282, con nota di P. Ziviz, Quale futuro per il danno dei congiunti?; v. anche Giudice di pace di Casamassima 10 giugno 1999, in Arch. Giur. circ sin. Strad., 1999, 724 e in Resp. civ. prev., 1999, 1336, con nota di P. Ziviz, Il danno esistenziale preso sul serio.; in Danno e resp., 2000, 89, con nota di M. Bona, Perdita del nascituro: un nuovo precedente per il danno esistenziale

xvii Trib. Milano 21 ottobre 1999, in Resp. Civ. prev., 1999, 1335, con nota di P. Ziviz, Il danno esistenziale preso sul serio;.

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V. Trib. Milano 7 febbraio 2000, inedita, ove è stato risarcito il danno psichico del figlio di un uomo che aveva riportato gravi lesioni in un incidente stradale(consistenti in un handicap di carattere psichico). A tale riguardo è stato riscontrato in capo al bambino, in età scolare all’epoca del sinistro, un trauma psichico, poiché “la perdita dell’immagine paterna – associata alle sue specifiche funzioni educative ed affettive – in un momento di particolare importanza sotto il profilo dello sviluppo affettivo e del processo di identificazione con la figura maschile – ha compromesso il normale sviluppo affettivo del bambino con ripercussioni anche sul suo sviluppo intellettivo”; a fronte del disagio psichico del minore, consistente in disturbi del comportamento, dell’attenzione e delle prestazioni intellettive, vengono perciò liquidati sia il danno biologico che quello patrimoniale.

xix Non si condivide, perciò, l’orientamento della Corte costituzionale (Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372, In Foro it., 1994, I, 3297, con nota di G. Ponzanelli, La Corte costituzionale e il danno da morte; In Giust. civ., 1994, I, 3029, con nota di F.D. Busnelli, Tre punti esclamativi, tre punti interrogativi, un punto e a capo e ivi, 1995, I, 887, nota di G.S. Coco, La risarcibilità del danno biologico nella giursprudenza della Corte costituzionale; in Resp. civ. prev., 1994, 976, con note di G. Scalfi, L'uomo, la morte e la famiglia, di G. Giannini, La vittoria di Pirrone e di E.

Navarretta, Dall'esperienza del danno biologico da morte all'impianto dogmatico sul danno alla persona: il giudizio della Corte costituzionale in Nuove leggi civ. comm., 1995, 415, con nota di M.V. De Giorgi, Il danno biologico a causa di morte secondo la Corte costituzionale; in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 406, con nota di P. Ziviz, Danno biologico e morte della vittima: equivoci vecchi e nuovi; in Giur. cost., 1994, 3129 e ivi, 4127, nota di C. Amato, Il nuovo cammino del danno biologico da morte: il trauma affettivo e un danno non patrimoniale) che parla di

“somatizzazione del danno morale” risarcibile ex art. 2059.

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