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Academic year: 2022

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Collana Medico‐Giuridica n.10 

VULNERA MENTIS 

‐ Associazione M. Gioia ‐ 

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IL RISARCIMENTO DEL DANNO PSICOLOGICO (BIOLOGICO) AI CONGIUNTI IN CASO DI UCCISIONE

Prof. Maria Vita De Giorgi*

1. Premessa

Le conseguenze negative collegate all’uccisione si riflettono normalmente su di una cerchia di persone vicine alla vittima dell’illecito, per rapporti di famiglia o comunque di affetti. Come è noto nessuna norma del nostro ordinamento, almeno fino a che non entrerà in vigore la preannunziata riforma, si occupa dei danni risarcibili in caso di uccisione. Il problema è stato consegnato alla sensibilità dei giudici, che nel perseguire l’obiettivo di rispondere alle sempre più frequenti richieste di tutela dei congiunti del defunto hanno seguito varie linee ricostruttive, a volte, per la verità, più volonterose che convincenti.

Anche la soluzione delle gravi difficoltà che si propongono al momento di selezionare i familiari legittimati ad agire è affidata alla giurisprudenza, in assenza (e in attesa) di previsioni normative.

Per riferirsi alle lesioni subite da un soggetto diverso dalla vittima iniziale si parla tradizionalmente di danni riflessi, oppure di vittime secondarie o di rimbalzo, con una formula che ricalca quella dei danni

par ricochet

dell’ambiente giuridico francese. La locuzione “danni riflessi” ha talora fornito alla giurisprudenza lo spunto per negare la risarcibilità a terzi di pregiudizi collegati all'uccisione o alla lesione della vittima principale, adducendo l'assenza del nesso di causalità. Si tratta, in effetti, di un’espressione ambigua, perché i danni cui ci riferiamo colpiscono il soggetto non in via mediata, ma direttamente nella propria sfera giuridica, pregiudicata dalla morte del familiare. La formula conserva però una propria utilità, perché richiama la natura relazionale dell’interesse leso e perché si tratta comunque di danni collegati, nel giudizio risarcitorio, al fatto illecito che ha leso la vittima iniziale.

Al di là della terminologia il fenomeno temuto, in ogni ordinamento, è quello del moltiplicarsi delle richieste risarcitorie: da qui la necessità di individuare criteri soddisfacenti per selezionare i soggetti legittimati e l'area dei danni risarcibili.

Il disegno di legge "Nuova disciplina in tema di danno alla persona", che accoglie con alcune rielaborazioni la proposta della Commissione nominata dall'ISVAP approvata dal Consiglio dei ministri in data 15 giugno 1999, ed ora all'esame del Senato, contiene, invece, una normativa dettagliata. Le disposizioni, destinate ad aggiungersi a quelle contenute nel titolo IX del libro IV c.c., concernono il risarcimento del danno biologico e del danno morale ai congiunti della vittima. Non si è invece intervenuti, come si legge nella relazione all'articolato, con riguardo al danno patrimoniale, in quanto, si è affermato, i pregiudizi economici sono già adeguatamente disciplinati dalle norme vigenti.

* Professore di Diritto civile - Università di Ferrara

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2. Il danno morale

Con riguardo al danno morale va tenuta distinta (benché le due pretese normalmente si cumulino) la richiesta avanzata dai congiunti

iure proprio

da quella proposta

iure hereditario

per il danno morale patito dalla vittima durante il periodo di sopravvivenza. Gli eredi, in altre parole, possono esercitare come tali il diritto di credito già maturato in capo al defunto per il risarcimento del danno morale dal predetto sofferto in vita, possono inoltre richiedere

iure proprio

, non più come eredi, ma come prossimi congiunti, il ristoro del danno morale da ciascuno di essi sofferto a causa del turbamento provocato dalla morte del familiare. Nel risarcimento del danno morale ai familiari, la situazione soggettiva protetta è l'esistenza di un rapporto affettivo con il defunto, rapporto che non riceve tutela al di là di un certo grado di

"vicinanza", desunto anche, ma non solo, dal vincolo di coniugio e dal grado di parentela. Di questa categoria di danni si occuperà, più specificamente, il Prof. Monateri.

3. Il danno biologico da morte

Che ai congiunti spetti il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, dovuti alla morte del familiare, non è mai stato messo in dubbio dalla giurisprudenza. Il danno morale però è rimasto relegato alla nozione tradizionale di mera sofferenza e dolore e perciò, sotto il profilo liquidatorio, ristretto alla

pecunia doloris

e risarcito, normalmente, senza ragione, con cifre irrisorie. L’idea dell’immoralità di “compensare il dolore con il denaro” è dura a morire. “Non si comprende – diceva Gabba – come il piacere di contemplare l’oro possa lenire l’afflizione di un’ingiusta offesa”!

Sul punto è intervenuta opportunamente di recente la S.C. (Cass., 11 giugno 1998, n.

5795), rilevando che la somma liquidata a titolo di danni morali deve essere il più possibile adeguata all'effettivo

pretium doloris

, onde evitare che rappresenti un "simulacro di risarcimento". Va però segnalato che da qualche tempo i giudici tendono ad riconoscere decorosi ristori a questo titolo (v., ad esempio, Trib. Vigevano, 5 agosto 1999, ined., che ha attribuito, anche in relazione alla particolare gravità dell’illecito, 300 milioni ciascuno ai genitori ed alla sorella di un bambino investito da un’auto "pirata").

L’equo e soddisfacente risarcimento dei danni morali, non più ridotto a mero

pretium doloris,

avrebbe probabilmente evitato l’affermarsi di categorie dubbie e problematiche. Per fornire ai congiunti tutela ulteriore rispetto alle mere sofferenze, dottrina e giurisprudenza si sono infatti, come è noto, prodigate per individuare nuove poste di danno, denominate in maniera diversa a seconda della richiesta risarcitoria avanzata (danno biologico da morte, alla serenità familiare, esistenziale). Per la verità, l’unica categoria che si è veramente affermata da qualche anno è stata il danno biologico da morte, intendendosi con questa espressione il danno alla salute patito per l’uccisione del congiunto.

Va subito sottolineato che il riconoscimento del danno biologico da morte spesso è un’operazione "di facciata", che non muta l’ammontare globale del risarcimento, per cui di regola i giudici attribuiscono a questo titolo una somma spesso modesta, diminuiscono l’ammontare dei danni morali e non risarciscono ai superstiti alcun danno patrimoniale da lucro cessante (neppure le spese funerarie).

Il problema del danno biologico da morte è emerso, all’origine, con riferimento alla vittima primaria, cui andava riconosciuto - si è argomentato - il diritto al risarcimento

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dell’estremo danno subito al bene salute a causa dell’uccisione, diritto trasmissibile agli eredi

iure successionis

.

Gran parte della dottrina e della giurisprudenza, compresa la S.C., si è schierata, sin dal primo momento, contro la configurazione di questo tipo di pregiudizio, ritenendo correttamente che l’unico danno biologico risarcibile

iure hereditatis

sia quello verificatosi nel periodo eventualmente intercorrente tra il momento della lesione a quello della morte.

Questo è l' orientamento che si è poi affermato, anche a séguito della sentenza n. 372/1994 Corte Cost.

4. Il danno biologico da morte iure proprio

Via via che l'idea della risarcibilità del danno biologico della vittima, e della conseguente trasmissibilità agli eredi del relativo credito perdeva terreno, alcuni giudici hanno creduto di trovare una soddisfacente alternativa attribuendo ai congiunti il risarcimento di un proprio danno alla salute. Non si tratta di un pregiudizio consistente nelle sofferenze patite a seguito del decesso del familiare, ma di un vero e proprio danno biologico cagionato da quell’evento.

È chiaro che, nella nuova versione, con l'espressione danno biologico da morte, non ci si riferisce più al nocumento sofferto dalla vittima, ma si intende individuare una terza, ambigua categoria di danni subiti dai congiunti, al di là di quelli morali e patrimoniali.

Nel 1993, come è noto, la Corte costituzionale è stata interpellata dal Tribunale di Firenze, con un’ordinanza con cui si è sollevata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., dell'art. 2043 c.c. e, in subordine, dell'art. 2059 c.c., in quanto non consentono il risarcimento agli eredi del danno all'integrità fisica, che abbia avuto esito mortale, subito dal congiunto e neppure, sotto altro profilo, il risarcimento del danno alla salute subito dai familiari a seguito di quella morte (Trib. Firenze, 10 novembre 1993).

La sentenza della Corte cost., 27 ottobre1994, n. 372, ha negato la pronuncia di illegittimità, in quanto sia l'art. 2043, sia l'art 2059 sono già stati più volte dichiarati compatibili dalla stessa Corte con la tutela del diritto alla salute.

La Consulta ha esplicitamente escluso la configurabilità in capo alla vittima, e perciò la trasmissibilità

iure hereditario

di un danno biologico in caso di lesioni mortali, avallando quella giurisprudenza che ammette pretese risarcitorie

iure hereditario

limitatamente ai danni verificatisi tra il momento della lesione a quello della morte.

Il profilo che qui ci interessa è quello del risarcimento dei danni “riflessi” subiti dai congiunti a seguito dell’uccisione. Anche per quanto concerne la versione

iure proprio

del danno biologico da morte, la Corte nega il fondamento della questione di legittimità, in relazione sia all'art. 2043 che all'2059 c.c. La Corte sottolinea che all'estinzione dei rapporti di coniugio o parentela non inerisce necessariamente una lesione della salute del coniuge o dei parenti superstiti. Ove però si dimostri che l'infortunio mortale ha causato ad un familiare un’effettiva lesione fisio-psichica, l'ipotesi di risarcibilità del danno nei termini dell'art. 2043 deve essere valutata in una prospettiva diversa, che assuma la lesione del terzo quale evento dannoso integrante un'autonoma fattispecie di danno ingiusto.

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Nel caso in cui sia provato in giudizio, al di fuori di qualsiasi presunzione di danno, che proprio in seguito all'infortunio mortale un congiunto abbia riportato un'alterazione dell'equilibrio psico-fisico, la connessione causale tra questo evento e la condotta risulterà accertata

in re ipsa

. Il rapporto di causalità non è sufficiente, rileva però la Corte; occorre anche che la condotta causalmente rilevante sia qualificabile come colposa o dolosa con riferimento all'evento che si vuole imputare al soggetto agente. Se si ammettesse il risarcimento della lesione alla salute causata dalla morte di un congiunto, il criterio soggettivo di imputazione del danno indicato nell'art. 2043 si ridurrebbe a mera finzione - afferma sempre la Corte - non essendo possibile, per difetto di concreta prevedibilità dell'evento, una valutazione autonoma della colpa.

L'argomentare della Consulta, che in questo modo perverrebbe a negare il risarcimento ai familiari, non si arresta qui: il trauma consistente nel trauma fisico o psichico cagionato dal decesso dello stretto congiunto (ove, beninteso, provato), dev'essere ugualmente ristorato, ma fondandosi sull'art. 2059 c.c., sarebbe irrazionale, si afferma, una decisione che nelle conseguenze dello schock psichico patito dal familiare discerna il danno morale soggettivo da ciò che incide sulla salute, per ammettere il risarcimento soltanto del primo.

Ricondurre la fattispecie alla previsione dell'art. 2059 consente di riconoscere ai congiunti il danno non patrimoniale, come già il danno morale, sul solo presupposto che la lesione dell'interesse giuridicamente riferibile al bene protetto dalla norma incriminatrice sia

"conseguenza" del fatto illecito qualificato come reato. La risarcibilità del danno non patrimoniale discende dalla valutazione del rilievo giuridico attribuibile all'interesse di questi soggetti alla vita della vittima, relazione di interesse che la giurisprudenza - nell'attribuzione dei danni morali - argomenta di regola in via presuntiva dall'esistenza di uno stretto vincolo familiare.

L’impostazione non ha convinto molti. La prima delle obiezioni ricorrenti rileva che la negazione dell'imputabilità, all'autore dell'illecito, dei danni alla salute psichica eventualmente subiti dai congiunti della vittima, se affermata categoricamente, dovrebbe estendersi anche ai danni patrimoniali (la cui risarcibilità non viene invece posta in dubbio). Il problema, perciò, andrebbe affrontato non con riguardo al requisito di colpevolezza, ma al nesso di causalità. In secondo luogo si lamenta una frantumazione dell'unitaria categoria del danno alla salute che, a seguito della sentenza della Corte, sarebbe riconducibile, a seconda dei casi, o all'ambito di applicazione (analogica) dell'art. 2043, ovvero, nel caso di danno psichico sofferto da una vittima "secondaria", a quello dell'art. 2059.

5. Il successivo intervento della Corte

La circostanza più paradossale è il riemergere del consueto problema di costituzionalità, perché ricondurre il risarcimento del trauma psichico alla disposizione dell'art. 2059, anche se solo nell'ipotesi in cui questo trauma sia conseguenza del dolore cagionato dalla perdita del congiunto, presta il fianco ad una nuova accusa di illegittimità nei confronti della norma, che ne limita il risarcimento ai casi determinati dalla legge.

Un'ordinanza del Trib. Bologna, 13 giugno 1995 ha, difatti, per la quinta volta in vent'anni, invocato l'intervento della Corte affinché dichiarasse l'incostituzionalità dell'art.

2059, in relazione agli artt. 32 e 24 Cost., nella parte in cui, fatta eccezione per alcune ipotesi normative, esclude la risarcibilità del danno morale, che "come sottospecie del danno

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biologico" non può subire limitazioni in base a scelte discrezionali del legislatore ordinario. Il Tribunale, perciò, non coglie nel segno il vero problema di costituzionalità dell'art. 2059 a séguito della pronuncia della Corte (il danno psichico conseguente al dolore per la morte del congiunto è risarcito limitatamente ai casi previsti dalla legge), ma appunta la sua attenzione sul danno morale e, non distinguendo tra malattia accertata e soggettiva emozione, lo definisce arbitrariamente come "una particolare sottospecie del danno biologico".

La Consulta, con una breve ordinanza (22 luglio 1996, n. 293), ha dichiarato inammissibile la questione di incostituzionalità. L’occasione è buona per puntualizzare, ancora una volta, la differenza tra danno alla salute e danno morale. Il danno alla salute, viene ribadito, si ha in presenza di una patologia medicalmente accertata; il danno morale consiste, secondo la definizione oramai "classica", in un transeunte patema d'animo. Alla diversa natura corrisponde un diverso regime risarcitorio: il risarcimento del danno morale, non essendo assistito dalla garanzia dell'art. 32 Cost., può essere discrezionalmente limitato dal legislatore a determinate ipotesi. La sentenza n. 372/1994, afferma la Corte, non si è allontanata da questa tradizionale distinzione, ma vi ha apportato un'aggiunta, con riguardo all'ipotesi particolare in cui il danno alla salute sia conseguenza del danno morale soggettivo derivante dalla morte del congiunto.

Ma oramai il gomitolo delle norme è così serrato che è difficile giungere ad un esito appagante e l'ordinanza della Corte non scioglie i nodi più problematici.

La qualificazione del danno alla salute subito dai congiunti come danno non patrimoniale ripropone inalterato il problema del contrasto tra limitazioni risarcitorie dell'art. 2059 e il principio costituzionale di illimitata tutela della salute. È vero che "il diritto vivente" ha consentito un accreditamento definitivo del danno alla salute, ma il diritto vivente non può sostituirsi al diritto vigente ed è arduo conciliare entro l'ambito di applicazione dell'art. 2059 c.c. una regola (non scritta) di piena risarcibilità del danno alla salute con la regola (scritta) di limitata risarcibilità del danno morale.

6. L'orientamento attuale con riferimento al danno biologico iure proprio

L'auspicio, a questo punto, può essere solo quello che l'entrata in vigore della riforma preannunciata aiuti a sciogliere la questioni più spinose.

Il disegno di legge, più volte cit., prevede l'introduzione nel titolo IX del libro IV c.c., di un art 2056-

ter

di questo tenore: "Danno biologico dei prossimi congiunti del danneggiato. In caso di morte del danneggiato è risarcibile il danno biologico subìto dai prossimi congiunti."

I familiari legittimati vengono individuati, come già per il danno morale, nel coniuge e nei parenti di secondo grado; al coniuge è equiparato il convivente di fatto (1° e 2° co. disp.

cit.).

È prevista anche l'introduzione di un art. 2056-

bis

, in cui si definisce il danno biologico come lesione dell'integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale. Per quanto concerne la liquidazione, l'articolato rinvia, come per il danno morale, ad uno o più decreti legislativi, al fine di predisporre una tabella indicativa nazionale, che preveda valori monetari uniformi.

La precisazione che il danno biologico è solo la lesione medicalmente accertabile e provata è quanto mai opportuna, perché il rischio connesso all'affermazione della risarcibilità

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del danno consistente nel trauma fisico e psichico riportato dai familiari a seguito del lutto subìto è che tale pregiudizio venga risarcito sempre, come presunto, anche in assenza di prove.

È vero che anche l'accertamento medico non è risolutorio di ogni dubbio: quando si tratta di eventi così crudeli, sarebbe irragionevole pretendere che il dolore trascorra senza lasciare tracce sulla persona, quasi che il perdurare delle sofferenze sia necessariamente un disturbo mentale.

È, al contrario, osservazione comune che la vera e propria infermità psichica dovuta al dolore è rara, e che il confine tra sofferenza "normale" e fenomeni patologici è, quanto meno, problematico; anche se, in teoria, la scienza medico-legale è in grado di tracciare una tendenziale linea distintiva. Sussiste però il rischio che la diagnosi di malattia psichica venga concessa quasi di

routine,

sovrapponendo i risarcimenti nel duplice aspetto del danno morale soggettivo e del pregiudizio alla salute mentale.

L'esame della giurisprudenza più recente, per la verità, sembra dissolvere questo dubbio.

Spesso i giudici respingono la richiesta di risarcimento del danno, adducendo che non è stata allegata nessuna prova della sua esistenza, e quando il danno biologico

iure proprio

viene riconosciuto, lo si fa in base alla valutazione del CTU, che attesta una menomazione dell'integrità psicofisica dei congiunti.

Sul punto è intervenuta opportunamente anche la S.C. (Cass., 26 ottobre 1998, n.

10629), affermando che il danno alla salute presuppone necessariamente una lesione dell'integrità psicofisica; ne discende che, in difetto della prova di tale lesione, che consegua alle sofferenze indotte dalla perdita di un congiunto (le quali, pure, incidono già di per se stesse sulla qualità della vita e sono risarcibili quale danno morale ai sensi dell'art. 2059 c.c.), non è configurabile un danno biologico risarcibile per i familiari della persona deceduta.

È superfluo ricordare che la funzione del risarcimento del danno non patrimoniale alle vittime secondarie non è quella compensativa, ma solidaristico-satisfattiva, eventualmente affiancata da una funzione punitiva.

7. Il danno biologico iure hereditario

Le decisioni di gran lunga più numerose riguardano però il risarcimento del danno biologico da morte

iure ereditario

. Questo profilo qui non ci interessa; ricorderò solo che, a séguito di Corte Cost. n. 372/1994, si è consolidato l'orientamento per cui, qualora il danneggiato muoia a brevissima distanza di tempo dalla lesione subìta, la lesione al bene salute non è apprezzabile e non è perciò configurabile un danno biologico che si trasmetta agli eredi.

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