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Parere sullo schema di disegno di legge recante:

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Academic year: 2022

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Parere sullo schema di disegno di legge recante:

“Disposizioni per i procedimenti riguardanti i magistrati”.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 17 ottobre 1996, ha deliberato di approvare l'allegato parere.

“1. Premesse. Con nota del 10 luglio 1996 il Ministro di Grazia e Giustizia ha trasmesso, per il parere richiesto dall'art.10 della legge 24 marzo 1958 n.195, un disegno di legge, approvato dal Consiglio dei Ministri il 5 luglio 1996, concernente: Disposizioni in materia di competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati.

Nella relazione che accompagna lo schema di disegno di legge si spiega come si sia posta sempre più pressante l'esigenza di una modifica agli artt.11 c.p.p. e 1 disp. att. c.p.p., nella parte in cui, correttamente individuando con il criterio predeterminato della distanza chilometrica la competenza dell'ufficio del distretto viciniore per i procedimenti nei quali un magistrato sia imputato o persona offesa, ha finito nella pratica con il realizzare insidiose forme di competenza reciproca, per le quali è sorto il dubbio della effettiva serenità di giudizio e della reale (apparenza di) indipendenza del giudice chiamato a (indagare e) decidere.

Tale disegno di legge, peraltro, riproduce integralmente il testo del disegno di legge già approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 agosto 1995 e per il quale questo Consiglio aveva espresso il proprio parere con deliberazione del 20 dicembre 1995 (trasmessa con nota n.426-95 prot.-P-95-18985).

Nel corso del precedente iter legislativo, peraltro recependo le indicazioni espresse da questo Consiglio Superiore con la risoluzione del 24 marzo 1993, il Governo aveva proposto come emendamento il ricorso ad una tabella predeterminata con l'espressa indicazione della corte di appello al cui corrispondente ufficio (del capoluogo) si sarebbero dovuti rimettere i procedimenti riguardanti i magistrati.

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Nel rinnovare quindi il parere il Consiglio trova doveroso ribadire le osservazioni in precedenza formulate, reiterando le considerazioni in ordine agli accorgimenti ulteriori ritenuti opportuni, nei termini che seguono.

2.1. La soluzione proposta: a) la predeterminazione delle sedi. Riproducendo gli argomenti evidenziati nella relazione illustrativa del precedente disegno di legge, il nuovo testo elaborato dal Governo dà atto come il sistema della

"circolarità" nel meccanismo di spostamento della sede appaia il più accettabile (rimettendo al successivo dibattito parlamentare la valutazione della opportunità di altri sistemi, come quello della rotazione o del sorteggio di tabelle precostituite).

In realtà, la soluzione di una tabella predeterminata, che preveda la rimessione ad uffici vicini ma opportunamente individuati in relazione alla sede naturale da derogare, consente di ovviare completamente al dubbio di offuscamento, sotto qualsiasi aspetto, della imparzialità e della serenità del giudizio; a nulla rilevando, ovviamente, che tale rischio sia solo potenziale piuttosto che reale, più esattamente importando, nella gerarchia dei valori da proteggere, l'apparenza del necessario distacco del giudice chiamato a giudicare (e del pubblico ministero chiamato ad indagare), nella prospettiva non soltanto dell'interessato coinvolto nel procedimento ma anche delle altre parti che in esso convergono, oltre che - s'intende - in vista di interessi generali in ordine al corretto funzionamento della giustizia.

A tale scopo l'art.1 dello schema di disegno di legge prevede la modifica dell'art.11 c.p.p. nel senso che la competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati (che sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario del distretto in cui il magistrato esercita o esercitava al momento del fatto le sue funzioni) sia spostata a favore dell'ufficio, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo di altro distretto di corte di appello individuato dalla legge (con l'ulteriore spostamento, ovviamente, nel caso in cui nelle more il magistrato interessato sia venuto ad esercitare le funzioni nel distretto designato; e fermo restando, altresì, il criterio attuale della connessione di cui al comma 2 dell'art.11 medesimo)

Coerentemente, l'art.2 dello schema di disegno di legge prevede la modifica dell'art.1 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale

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(d.lgs.28 luglio 1989 n.271) nel senso che l'individuazione del distretto di cui all'art.11 c.p.p. avvenga in base alla tabella allegata al decreto legislativo.

Tale tabella, destinata ad essere allegata alle disposizioni di attuazione, è poi prevista nell' art. 3 dello schema di disegno di legge (da Roma a Perugia; da Perugia a Firenze; da Firenze a Genova; da Genova a Torino; da Torino a Milano; da Milano a Brescia; da Brescia a Venezia; da Venezia a Trento; da Trento a Trieste; da Trieste a Bologna; da Bologna ad Ancona; da Ancona a L' Aquila; da L'Aquila a Campobasso; da Campobasso a Bari; da Bari a Lecce; da Lecce a Potenza; da Potenza a Catanzaro; da Cagliari a Palermo; da Palermo a Caltanissetta; da Caltanissetta a Catania; da Catania a Messina; da Messina a Reggio Calabria; da Reggio Calabria a Catanzaro; da Catanzaro a Salerno; da Salerno a Napoli; da Napoli a Roma).

Infine, l'art.4 dello schema di disegno di legge stabilisce in via transitoria che la nuova normativa debba applicarsi nei procedimenti relativi ai reati commessi successivamente all'entrata in vigore della legge.

La soluzione della tabella predeterminata merita di essere certamente condivisa. Essa, infatti, come si è detto, garantendo pienamente il rispetto del principio del giudice naturale, elimina l'insorgere delle situazioni di sospetto derivanti dalla competenza reciproca; sospetto che l'esercizio dell'azione penale possa essere influenzato da una parte da valutazioni extraprocessuali, di rapporti interpersonali e quindi di vicendevoli coperture, d'altra parte da atteggiamenti ritorsivi fra gli uffici interessati, con inevitabile caduta di prestigio e di credibilità in ogni caso.

2.2. segue: b) l'ipotesi di magistrato sottoposto ad indagini. Nella relazione che accompagna lo schema di disegno di legge si reitera la soluzione della non introduzione, nel corpo dell'art.11 c.p.p., della espressa ipotesi in cui il magistrato sia soltanto indagato; pur condividendosi implicitamente il principio secondo cui lo spostamento della competenza debba necessariamente riguardare anche tale caso, ugualmente implicante la tutela dell'imparzialità dell'organo chiamato alla trattazione del procedimento. Le ragioni della meditata esclusione risiedono nella considerazione (aggiunta alla diffusa prassi giudiziaria secondo cui la disposizione dell'art.11 c.p.p. si applichi anche ai magistrati ancora soltanto indagati) che l'inserimento della precisazione di indagato sarebbe superfluo ed anzi in contrasto

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con l'art.61, del codice, che estendendo (comma 1) anche all'indagato i diritti e le garanzie dell'imputato vi include comunque e riassuntivamente (comma 2) ogni altra disposizione relativa all'imputato, salva diversa disciplina; sicché l'innovazione sull'art.11 rischierebbe di alimentare incertezze sulla portata di tale norma e implicherebbe comunque, al fine di evitare ciò, una verifica dell'intero corpo del codice per accertare se e in che misura le disposizioni concernenti l'imputato si applichino anche all'indagato.

Il Consiglio non condivide tuttora tali preoccupazioni, nella consapevolezza peraltro che un sistema normativo quanto più è reso immune da perplessità o da margini di opinabilità delle soluzioni ermeneutiche, tanto più realizza certezza del diritto e soprattutto celerità e speditezza dei processi; a nulla rilevando, dunque, che una soluzione possa apparire ovvia o scontata. Anzi, nel caso di orientamento interpretativo costante, la mancata puntualizzazione in occasione di un riassetto legislativo dello stesso istituto potrebbe perfino indebolirne la portata, al limite creando spunti per ulteriori incertezze.

Le pure plausibili ragioni addotte nella relazione illustrativa, sul punto della ipotizzata difficoltà di coordinamento con le disposizioni di cui all'art.61 c.p.p., non appaiono per vero di portata decisiva. A tacer d'altro, in quanto il comma 2 dell'art. 61, nell'estendere anche all'indagato le disposizioni del codice comunque riferibili all'imputato, fa salve le deroghe espresse (salvo che sia diversamente stabilito); sicché una precisazione anche se pleonastica, ma di certo non dissonante, nell'art.11 (per esempio: i procedimenti penali in cui un magistrato possa assumere la qualità di persona sottoposta alle indagini, di imputato, di persona offesa o danneggiata...) non renderebbe in alcun modo dubbio il sistema complessivo.

2.3. segue: c) la tabella degli spostamenti di sede. La riforma dell'art.11, così come proposta, grazie allo spostamento a sedi predeterminate, consente la sicura eliminazione delle competenze reciproche con le implicazioni che ne scaturiscono.

E su questo risultato non può che esprimersi incondizionata condivisione, tanto negativi si sono rivelati - come si è premesso - i profili applicativi del vigente criterio di rimessione automatica.

La tabella proposta in allegato, peraltro coerente alle linee propositive del Consiglio, realizza in concreto un meccanismo di circolarità nella

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determinazione delle competenze, che è in se stesso un criterio di sicura affidabilità.

Residua tuttavia preoccupazione nel fatto che la nuova tabella lascia immutato lo spostamento a favore di uno soltanto degli uffici distrettuali di fatto già interessati al fenomeno della reciprocità. Con il rischio, assai rilevante sotto il profilo della immagine di serenità dell'amministrazione della giustizia, di vedere ulteriormente perpetuati attriti, sospetti, conflitti e disagi attuali.

Inoltre, ad avviso di alcuni, la realtà applicativa del sistema di rimessione dei procedimenti riguardanti i magistrati ha finito con il mettere in luce distorsioni e controindicazioni prima non previste e che assumono un rilievo tutt'altro che trascurabile; delle quali è dunque doveroso farsi carico nella opportunità della revisione legislativa per altro aspetto indifferibile.

Infatti, come è desumibile anche dal tenore di alcune proposizioni ripetute nella relazione illustrativa, una concorrente finalità da conseguire è che si eviti il pericolo che i capoluoghi dei distretti viciniori rispetto ad una molteplicità di altri distretti assumano, di fatto, il ruolo di uffici supercompetenti in materia.

A ciò si aggiunga che in alcuni casi lo spostamento di competenza, per indagini e processi che possono anche assumere dimensioni notevoli (basti pensare alle stragi rimesse al distretto di Caltanissetta da quello di Palermo), si verifica a favore di uffici giudiziari di modesta consistenza di organico. Sicché questi ultimi, che già - come è noto - soffrono di fisiologiche carenze strutturali, si trovano a dover fronteggiare con risorse umane e materiali modeste un carico di lavoro sproporzionato; in un settore in cui, inutile sottolinearlo, si impone viceversa una massima efficienza finalizzata alla definizione più sollecita possibile di procedimenti che, per il fatto di coinvolgere magistrati in servizio, con il connesso rischio di compromissione della immagine della magistratura, meriterebbero una certamente giustificata corsia preferenziale (occorre ricordare le sollecitazioni in proposito più volte rivolte dal Consiglio).

Inoltre, se - come si è detto - la vicinanza geografica degli uffici ai quali rimettere la competenza resta funzionale rispetto a varie esigenze (fra le quali emerge con priorità quella di più adeguata difesa degli interessati e degli altri soggetti coinvolti per effetto della connessione), non va trascurato l'opposto e non meno rilevante dato della effettività del raggiungimento della auspicata neutralità e serenità del giudizio. Laddove, viceversa, è fenomeno abbastanza diffuso che

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presso le sedi viciniori trovino sia pure transitorio sbocco di carriera i magistrati delle sedi più importanti e che, comunque, si creino o si mantengano sul luogo rapporti personali frequentemente intensi o che tali possano comunque apparire all'esterno.

Tutte queste considerazioni, dunque, inducono alcuni consiglieri a ritenere preferibile uno spostamento moderatamente più consistente anche se ugualmente contenuto sul piano geografico; tale da non lasciare spazio insomma ad alcun sospetto di condizionamento personale, anche come apparenza, ed in ogni caso a favore di uffici giudiziari che non soffrano di fisiologiche carenze di funzionamento (potendosi in altri termini escludere quegli uffici i cui organici siano al di sotto di un certo numero, come Caltanissetta, Campobasso, Perugia, Potenza e Trento, tutti con un organico complessivo inferiore a 150).

A tutto ciò altri consiglieri oppongono che è del tutto inopportuno che alcuni distretti, seppure di contenute dimensioni, siano esclusi dalle competenze per i processi riguardanti magistrati.

Occorre, infatti, evitare:

a) che l'esclusione possa essere intesa come ridotta valutazione di tali distretti, nella comparazione (anche sul piano professionale-qualitativo) con gli altri, e lesiva del principio di pari dignità di tutti i giudici;

b) che dal parere del C.S.M. possa evincersi una sostanziale indicazione di inadeguatezza dei distretti da escludere: indicazione infondata in fatto, considerato l'incremento di risorse assicurato e, comunque, in futuro assicurabile, e altamente inopportuna nel momento in cui diversi di essi sono impegnati in processi di particolare impegno e delicatezza;

c) che alcuni distretti di maggiori dimensioni vengono inopportunamente a cumulare competenze su magistrati operanti non solo in uno, bensì in più altri distretti.

3. Lo spostamento della competenza in materia civile. Con l'occasione della riforma in esame, merita, a giudizio del Consiglio, di essere riproposta la questione dell'analogo spostamento di competenza in materia civile. La trattazione di cause nelle quali sia parte in causa un magistrato determina infatti, secondo valutazioni ricavabili dalla comune esperienza (di cui sono testimonianza le non poche questioni di legittimità costituzionale sollecitate dalle parti), un certo

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imbarazzo sia per il magistrato interessato sia per il giudice chiamato a decidere la controversia, a fronte del sospetto, magari non esplicitato ma talvolta sotteso al tenore delle proposizioni difensive, che la qualità di una delle parti possa in qualche misura condizionare la serenità del giudizio. E questo non soltanto nelle controversie di un certo rilievo, nelle quali per esempio vengano in discussione temi risarcitori connessi alla lesione dell'immagine del magistrato (o dallo stesso cagionata a terzi), ma anche in quelle di modesta natura, o formalmente tali; non potendosi dubitare che una apparente compromissione della obiettività della giurisdizione può porsi anche nella prospettiva di chi debba convenire in giudizio (o sia stato convenuto da) un magistrato per una causa di lavoro o di sfratto.

Peraltro, la novella proposta in materia penale lascerebbe da parte la disciplina di cui all'art.4 della legge 13 aprile 1988 n.117 (sulla responsabilità civile dei magistrati), che continuerebbe a far riferimento all'art. 5 della legge 22 dicembre 1980 n.879 (e cioè al criterio della vicinanza in relazione alla distanza chilometrica); disciplina, che in ogni caso meriterebbe di essere nuovamente unificata.

Ad uno spostamento della competenza per tutto il settore civile, secondo gli stessi criteri in vigore per quello penale, non ostano difficoltà di alcun genere, se non quelle stesse che, comunque, nel confronto fra le opposte esigenze, segnano una sicura prevalenza dell'interesse generale alla (apparenza di) serenità del giudizio. Anzi, la trattazione quasi esclusivamente affidata al ministero del difensore rende ancor meno incisivo il disagio delle parti, rispetto all'omologo caso del processo penale.

D'altra parte, non appare neppure appropriato il rifugio eventuale nel meccanismo della ricusazione (cui qualche volta la giurisprudenza ha fatto riferimento per ritenere la manifesta infondatezza della corrispondente questione di legittimità costituzionale: v., per esempio, Cass. 16 settembre 1983 n.5604), dal momento che esso si atteggia come rimedio per la concreta ed effettiva compromissione della imparzialità del giudice adito; mentre la riforma legislativa avrebbe piuttosto lo scopo di evitare l'insorgere del sospetto stesso.

Merita, sul punto, di essere ricordato l'orientamento costante della Corte Costituzionale (v., per tutte, Corte Cost. n.164 del 13 maggio 1987), secondo cui un intervento in materia sarebbe additivo in un settore riservato alla discrezionalità del legislatore, e della giurisprudenza (v. pure Cass. 20 novembre

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1991 n.12424), che per analoghe ragioni giudica la questione manifestamente infondata; sicché si impone un definitivo ripensamento della problematica nella stessa occasione della novella all'art.11 c.p.p. (e all'art.1 disp.att.c.p.p.).

Ad avviso di alcuni consiglieri, pertanto, sarebbe opportuna una innovazione legislativa aggiungendo, nel codice di procedura civile:

"art.30bis (cause nelle quali è parte un magistrato)

Per le cause in cui è parte un magistrato è comunque esclusa, in deroga agli artt.18 e seguenti, la competenza del giudice del luogo compreso nel distretto nell'ambito del quale il magistrato esercita funzioni giudiziarie. Qualora non siano previsti o pattuiti fori concorrenti o sussidiari, il giudice competente è individuato a norma degli artt.11 del codice di procedura penale e 1 delle disposizioni di attuazione dello stesso codice.

Il comma precedente non si applica nei casi in cui il magistrato intervenga nel processo volontariamente o per ordine del giudice ai sensi dell'art.107.

Nei casi previsti dal primo comma si applica l'art.38, secondo comma."

* * *

Si suggerisce altresì, per le spiegate ragioni di coerenza sistematica, di modificare l'art.4, comma primo, della legge 13 aprile 1988 n.117, nel senso che la competenza per quelle controversie sia stabilita con rinvio alle su ricordate norme previste dal codice di procedura penale.”

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