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Parere sul disegno di legge recante:

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Parere sul disegno di legge recante:

“Delega al Governo per l'istituzione del giudice unico di primo grado".

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 22 gennaio 1997, ha deliberato di esprimere il richiesto parere come da allegato.

1) Il servizio giustizia e la sua efficienza.

Nel contesto di un ampio ed ormai risalente dibattito volto non solo ad analizzare le cause di inefficienza, unanimemente avvertita e denunciata, del "servizio giustizia"

ma in specie ad individuare modifiche normative ed organizzative idonee a consentire un concreto bilanciamento fra diritto alle garanzie ed efficienza della risposta giudiziaria rispetto le crescenti istanze dei cittadini si è progressivamente affiancata alla consolidata aspirazione ad una revisione delle circoscrizioni giudiziarie la connessa sollecitazione affinchè sia costituito un unico ufficio giudiziario di primo grado.

Le ragioni di tale propugnato modello risiedono sia nel superamento di distinzioni e gerarchie di competenze fra organi che la Costituzione ha costruito come eguali (art.

107, 3° comma Cost.: "I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni" ) sia nella indilazionabile necessità di razionalizzare l'impiego delle strutture e dei servizi così da meglio utilizzare la professionalità dei magistrati e favorire la speditezza delle procedure e la qualità delle decisioni.

Prescindendo dalla tematica, estremamente complessa ed articolata, della monocraticità del giudice, in ordine alla quale la discussione è fiorente fin dalla emanazione della L. 19 dicembre 1912 n. 1311 e che comunque non va in alcun modo confusa con la proposta di istituzione del giudice unico di primo grado, va segnalato che in tale ultima direzione ha costituito elemento di accelerazione non tanto il cronico arretrato della giustizia civile quanto il reiterato intervento della Corte Costituzionale che, pronunciandosi nel tempo su numerose ipotesi di segnalata incompatibilità del giudice ex art. 34 c.p.p., nell'assumere la decisione del 24 aprile 1996 n. 131 non ha esitato a rilevare di essere pienamente "consapevole delle difficoltà di ordine pratico che, come conseguenza della propria giurisprudenza, possono derivare alla formazione concreta degli organi giudicanti"; ed ha affermato che "ciò, tuttavia, non la esime dalla propria essenziale funzione di garanzia, quando se ne richieda l'intervento in presenza di norme costituzionalmente illegittime". La sentenza così conclude: "Alle anzidette difficoltà, con appropriati interventi e riforme di ordine normativo ed organizzativo, devono porre rimedio altre istanze costituzionali alle quali appartengono i relativi doveri e le relative responsabilità. Per questo, nel pervenire alla presente, ulteriore pronuncia di incostituzionalità in difesa del principio del giusto processo e della

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imparzialità e terzietà del giudice, questa Corte deve rivolgere, anzi rinnovare....un pressante invito agli organi competenti affinchè pongano mano con urgenza a quegli interventi e a quelle riforme che gli indisponibili principi della Costituzione richiedono in ordine al buon funzionamento della giurisdizione penale".

In tale direzione ed ovviamente nell'ambito delle competenze che la legge istitutiva gli attribuisce si è inserito il Consiglio Superiore della Magistratura che, sviluppando una riflessione caratterizzata dalla massima concretezza, ha ampliato il suo contributo propositivo con la "Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia" per l'anno 1996. Questa, approvata nella seduta plenaria del 15 luglio 1996 con la presidenza del Capo dello Stato, è stata appunto dedicata a "Giudice unico di primo grado e revisione della geografia giudiziaria" .

La connessione fra due diverse opzioni (giudice unico di primo grado e riscrittura del reticolo giudiziario) non è stata certamente ripetitiva congiunzione di moduli organizzativi, astrattamente separabili perché rispondenti ad esigenze diverse, ma meditata e convinta adesione alla tesi secondo la quale solo la realizzazione di entrambi gli obiettivi segnalati potrà contribuire in maniera vigorosa a razionalizzare le risorse per poter adeguare alla

"saggezza" della decisione la giusta rapidità della stessa.

Ferma restando tale valutazione, che del resto rinviene plurime adesioni (cfr. sul punto "Relazione" cit. pag. 15 ss.) ed è stata espressa anche in recenti proposte parlamentari (cfr. disegno di legge n. 1649/XIII legislatura a firma dei senatori Follieri ed altri), risulta meritevole di apprezzamento il disegno di legge, approvato dal Consiglio dei Ministri il 2 agosto 1996 e comunicato alla Presidenza del Senato della Repubblica in data 11 settembre 1996, concernente "Delega al Governo per l'istituzione del giudice unico di primo grado" e per il quale il Ministro di Grazia e Giustizia ha richiesto espressione di parere al C.S.M. ex art. 10 L.

20 maggio 1958 n. 195.

Dello stesso appare necessaria una attenta analisi al fine non solo di enuclearne gli obiettivi ed i contenuti ma anche di individuarne i punti meritevoli di più accurato approfondimento nell'ottica di un confronto con la posizione assunta in proposito dal C.S.M., da ultimo con la "Relazione" citata.

2) Obiettivi e contenuti del D.D.L. governativo.

Il disegno di legge delega si inserisce nel quadro degli interventi diretti a restituire funzionalità al sistema giudiziario italiano, agendo non tanto sugli aspetti patologici della crisi, che va addebitata anche ad una eccessiva proliferazione normativa sovente priva di opportune coordinazioni e di calibrate meditazioni, ma sulle cause che concorrono a

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determinare il continuo ed immediato riformarsi del pesante arretrato della giustizia civile ed il difficile funzionamento di quella penale.

L'introduzione del giudice unico di primo grado tende a superare l'incongruità dell'attuale assetto ordinamentale che prevede, in via generale, la distinzione di competenza fra pretura e tribunale e, quanto al settore civile, ben tre figure di giudice di primo grado (pretore;

giudice istruttore di tribunale in funzione di giudice unico per le cause civili introdotte dopo il 30 aprile 1995; giudice di pace), oltre alla competenza residuale del giudice conciliatore per le cause pendenti innanzi lo stesso alla data di entrata in vigore della legge sul giudice di pace. Ed invero l'unificazione dell'ufficio del pretore con quello di tribunale è stata segnalata da tempo dalla cultura giuridica ed istituzionale come un fattore di razionalizzazione e di semplificazione del sistema giudiziario italiano.

La riforma prevede che la struttura unificata residuale, tanto nel settore penale che in quello civile, sia quella del tribunale e che si proceda, quindi, all'unificazione degli uffici di pretura e di tribunale nonché degli uffici di procura presso di essi costituiti. Tale unificazione non incide sull'insediamento territoriale e strutturale degli uffici, e, pur con l'inevitabile soppressione di talune strutture periferiche - afferma la Relazione al d.d.l.-, essa non costituirà un apprezzabile fattore di mutamento della geografia giudiziaria.

L'introduzione del giudice unico, inoltre, dovrebbe comportare aggiustamenti solo secondari dell'attuale sistema processuale, rimanendo sostanzialmente immutati i criteri di fissazione della competenza e di svolgimento del rito, di modo che le materie sia civili che penali già di competenza del pretore rimarrebbero a trattazione monocratica, analogamente a quanto già attualmente previsto per il tribunale. Ciò - assicura la Relazione al d.d.l. - dovrebbe fugare le preoccupazioni di quanti paventano una caduta di garanzie per i casi di composizione monocratica dell'organo giudicante.

Il d.d.l. è composto da un solo articolo diviso in quattro commi: i primi due prevedono la delega al Governo (da esercitare entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge) per l'attuazione della riforma, il terzo la procedura di emanazione dei decreti legislativi delegati, il quarto la possibilità per il Governo di emanare disposizioni correttive entro due anni dall'entrata in vigore dei decreti stessi.

Questi i principi e criteri costituenti direttiva per il legislatore delegato.

Il primo comma prevede la ristrutturazione degli uffici giudiziari secondo il modello del giudice unico (lett. a.) e la soppressione del pretore e della procura della Repubblica circondariale, trasferendone le funzioni rispettivamente al tribunale ed alla procura presso il tribunale (lett. b. e d.).

Per il settore penale (lett. c.) è previsto che il tribunale, ferme restando le competenze e le attribuzioni della corte di assise, giudichi in composizione collegiale, con il numero invariabile di tre componenti e secondo le disposizioni processuali già vigenti, per tutti i

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reati già di sua competenza, e in composizione monocratica, secondo le disposizioni processuali vigenti per il rito pretorile, per tutti i reati di competenza del pretore. In sede di esercizio della delega il Governo potrà, tuttavia, individuare altre fattispecie di non rilevante allarme sociale e di più semplice accertamento probatorio da rimettere alla cognizione del tribunale a composizione monocratica, mentre dovrà comunque lasciare la composizione collegiale per i delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. collegati al fenomeno mafioso (e che, rileva la Relazione al d.d.l., determinano sovraesposizione dell'organo giudicante). E', infine, previsto che in sede di esercizio della delega sia modificato l'art. 7 ter ord. giud., prevedendo che di regola la persona del giudice delle indagini preliminari sia diversa da quella del giudice dell'udienza preliminare.

Per il settore civile (lett. e.) è prevista la composizione collegiale (nel numero invariabile di tre componenti) solo per le controversie previste nei numeri 2-3-4-5-6-7 (in quest'ultimo caso limitatamente ai giudizi di responsabilità) dell'art. 48 ord. giud., salva l'individuazione di altri casi di giudizio collegiale in ragione della complessità giuridica della materia e della rilevanza economico-sociale delle controversie. In tutti gli altri casi il tribunale giudica a composizione monocratica.

Sono previste, inoltre, le deleghe: per il mantenimento al tribunale in composizione monocratica delle funzioni amministrative affidate attualmente al pretore perché collegate con l'esercizio della giurisdizione e di converso per il trasferimento alle amministrazioni interessate delle altre (lett. f.); per la previsione che l'appello nelle materie civili di competenza del tribunale (quale giudice unico) è devoluto alla corte di appello o a sezioni specializzate della corte allorché in primo grado siano previste sezioni di tale tipo (lett. g.); per la fissazione di un termine di entrata in vigore delle disposizioni di centoventi giorni dalla data di pubblicazione dei decreti sulla Gazzetta Ufficiale (lett. h.).

Il secondo comma contiene la delega ad emanare entro lo stesso termine di sei mesi dall'entrata in vigore della legge norme di coordinamento della riforma con le altre statuizioni dello Stato e la disciplina transitoria "rivolta ad assicurare la rapida trattazione dei procedimenti pendenti, civili e penali, fissando le fasi oltre le quali i procedimenti non passano ad altro ufficio secondo le nuove regole di competenza e stabilendo le relative condizioni" .

Il terzo comma prevede che gli schemi dei decreti legislativi siano trasmessi ai due rami del Parlamento ed al C.S.M. perché tali organi esprimano un motivato parere entro quaranta giorni dalla trasmissione, decorso il quale i provvedimenti sono comunque emanati.

Il quarto comma prevede che nei due anni successivi all'entrata in vigore dei decreti legislativi il Governo possa emanare, nel rispetto dei criteri di cui al primo comma e con il procedimento previsto dal terzo comma, disposizioni correttive.

Così segnalati i punti salienti del progetto riformatore, risulterebbe ripetitivo soffermarsi su un inquadramento generale della problematica del giudice unico di primo grado

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atteso che a tal fine è sufficiente far riferimento al cospicuo contributo fornito dal C.S.M. con la

"Relazione" citata, nella quale è possibile peraltro rinvenire una puntuale ricognizione del tessuto normativo esistente e della evoluzione dottrinaria, politica ed amministrativa in materia.

Più utile è focalizzare l'interesse su numerose questioni, che nel disegno di legge governativo o non sono state affrontate o risultano prive di adeguato approfondimento e presentano aspetti di profonda perplessità.

3) Il reticolo giudiziario.

3.a) Le sezioni distaccate. Il d.d.l. in esame prevede quali criteri ispiratori cui i decreti legislativi sono chiamati ad uniformarsi: 1. la soppressione dell'ufficio del pretore, trasferendo le relative competenze al tribunale (art. 1, lett. b.); 2. la soppressione dell'ufficio della Procura della Repubblica circondariale trasferendone le competenze alla Procura presso il tribunale (art. 1, lett. d.).

Questa impostazione prescinde totalmente da un problema di non secondaria importanza, quale quello della sorte delle sezioni distaccate delle preture. Il d.d.l., infatti, nel prevedere tra i criteri informatori della delega l'accorpamento delle preture nei tribunali nulla dice in ordine alla conservazione o meno delle attuali sezioni distaccate delle preture (eventualmente come sede locale dell'ufficio del giudice unico), non potendosi certo ritenere il problema superato dal recente provvedimento di soppressione di un limitato numero di esse.

Dando per scontato che rimanga inalterato il numero e l'estensione degli attuali circondari, verrebbe, dunque, rimesso al legislatore delegato la soluzione di tale delicato problema, anche se sulla base dell'affermazione della Relazione al d.d.l. ("la riforma che si propone opera l'unificazione funzionale degli uffici (procura circondariale e procura della Repubblica, pretura e tribunale) ma non tocca l'insediamento territoriale e strutturale degli uffici; sotto questo profilo, essa non rappresenta un fattore di apprezzabile mutamento nell'attuale geografia giudiziaria" ) non sembra che il legislatore abbia intenzione di muoversi nel senso di un incisivo intervento sulla materia.

Sul punto, invece, il modello ipotizzato dal C.S.M. con la Relazione al Parlamento è particolarmente articolato in quanto propone che la circoscrizione dell'ufficio del giudice unico di primo grado si identifichi con il circondario del tribunale e non esclude un sistema di articolazione su sezioni distaccate (paragonabile a quello delle attuali preture circondariali) per le controversie meno importanti nel settore civile e per i reati meno gravi nel settore penale, a trattazione preferibilmente monocratica (cfr. "Relazione" cit. pag. 81 ss. con particolare riferimento ai numerosi vantaggi di carattere organizzativo che deriverebbero dal decentramento delle sezioni).

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3.b) Revisione delle circoscrizioni giudiziarie. A prescindere da tali notazioni circa la sorte degli attuali presìdi distaccati delle preture (per i quali è necessario comunque fornire precise indicazioni), deve sottolinearsi come il disegno di legge non preveda il conferimento di alcuna delega per l'intervento sulle circoscrizioni giudiziarie, quantomeno per adattarne le dimensioni alla nuova realtà organizzatoria prevista per i nuovi uffici del giudice unico. Detta carenza è, del resto, in linea con l'affermazione riferita secondo cui la riforma non è destinata a toccare l'insediamento territoriale e strutturale degli uffici, salvo "l'inevitabile soppressione di talune strutture periferiche" (quali ?).

Una simile scelta sembra mossa da un'ottica parzialmente confliggente con l'obiettivo di una riforma di base quale quella che si propone, in quanto è evidente che il mantenimento della attuale distribuzione dei tribunali (ormai diventati uffici del giudice unico di primo grado) è destinato a creare una serie di diseconomie organizzative, che potrebbero attenuare l'indubbio beneficio in termini di recupero di risorse personali e materiali a cui la riforma mira.

Vi è consapevolezza sul dato che un incisivo intervento sulle circoscrizioni giudiziarie in molte realtà locali rischierebbe di attivare fenomeni di opposizione che potrebbero rallentare o compromettere la riforma, ma tanto non risulta sufficiente per evitare di affrontare il problema. Ed anzi un auspicato, ma successivo intervento su tale versante avrebbe l'effetto di creare maggiori resistenze proprio perché sarebbe per molti facile sostenere che l'introduzione del giudice unico di primo grado è soluzione già sufficiente per fluidificare il tessuto organizzativo degli uffici giudiziari.

Delle prevedibili obiezioni alla revisione del reticolo giudiziario ha tenuto conto il C.S.M. che, nel rilevare l'esistenza del problema, ha auspicato strategie di intervento, che consentissero un approccio graduale al problema di modifica delle circoscrizioni. Non a caso il Consiglio, nell'accogliere il già richiamato modello di individuazione delle circoscrizioni degli uffici del giudice unico di primo grado, che non esclude l'articolazione dell'ufficio principale in più sezioni distaccate, ne sottolinea la duttilità, quale strumento idoneo a consentire soluzioni intermedie nell'ottica di una graduale riforma delle circoscrizioni giudiziarie (cfr. "Relazione" cit.

pag. 74 ss).

Impostato il problema in questi termini, è da ritenere che il disegno di legge non intenda anticipare i tempi e prediliga una gradualità di interventi nell'ottica delle riforme delle strutture giudiziarie, di cui l'attuazione del giudice unico rappresenta solamente la prima tappa.

Giova, peraltro, ricordare che l'impostazione accolta dal C.S.M. in altra occasione (delibera 25.5.94 sulla revisione delle circoscrizioni) è opposta, nel senso di ritenere che proprio l'istituzione del giudice unico richiederà aggiustamenti di tale entità che potrebbero far cessare ogni resistenza alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie. Nella ricordata deliberazione si affermava infatti che "i cambiamenti nella struttura e negli ambiti di

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competenza, anche territoriale, degli uffici, che l'istituzione del giudice unico comporterà, potrebbe rappresentare attraverso la generale riconsiderazione di tutta la geografia giudiziaria che ne deriverà, la via più concreta ed efficace per superare le difficoltà e le resistenze che da tanto tempo si oppongono alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie".

Anche se non è compito del C.S.M. sindacare le scelte di politica legislativa, ma solo segnalarne - in un'ottica di fattiva collaborazione istituzionale - la concreta rispondenza agli obiettivi prefissati, non di meno va ancora rimarcato che revisione delle circoscrizioni giudiziarie e giudice unico di primo grado appaiono modelli strettamente intrecciati affinchè non solo si intenda incidere in modo significativo al fine di ripristinare l'efficienza del sistema giudiziario in specie attraverso il recupero di energie lavorative, sovente scarsamente utilizzate, ma anche al fine di consentire al Parlamento di affrontare tali delicate tematiche in un contesto complessivo che, sganciandosi dalle pure affermazioni di principio, trans iti su un terreno di chiaro confronto su fatti specifici.

3.c) Gli uffici di grandi dimensioni.

Se, comunque, il legislatore intende perseguire l'obiettivo della gradualità dell'intervento sulle circoscrizioni - il che presuppone una strategia normativa che allo stato non è possibile valutare nella sua interezza - il d.d.l. può essere condiviso nelle sue linee generali. Non può essere, tuttavia, sottaciuta una implicazione immediata della riforma, strettamente conseguente al trasferimento delle competenze degli uffici di pretura ai tribunali. Nelle città sedi di capoluogo dei maggiori distretti, infatti, tale operazione comporterà la creazione di uffici di dimensioni particolarmente rilevanti, sia per personale (di magistratura ed amministrativo), sia per strutture logistiche, sia per oggettive concentrazioni di competenze e funzioni. Paradossalmente, quindi, la riforma potrebbe comportare per questi uffici un pregiudizio per il loro funzionamento.

Il C.S.M. già con la delibera 25.5.94 in materia di revisione delle circoscrizioni ha affrontato tale problematica, inquadrandola nella revisione dell'ottimizzazione delle dimensioni dei circondari dei tribunali, segnalando come la dimensione provinciale, ritenuta congrua nella maggior parte dei casi, sia improponibile per alcuni tribunali metropolitani (Roma, Napoli, Milano e Torino), per i quali si proponeva una competenza limitata al territorio del Comune e, in una prospettiva di ulteriore sviluppo organizzativo, la suddivisione degli uffici stessi in base ad un criterio di divisione territoriale del Comune stesso.

Rilevava in proposito tale delibera "Vi sono centri urbani con un elevatissimo numero di abitanti per i quali è indispensabile ... attribuire al tribunale del capoluogo una competenza limitata al territorio del comune, ricorrendo ad altri tribunali per la copertura del residuo territorio provinciale. Ciò vale in particolare per Roma, Napoli, Milano e Torino". Proseguiva, inoltre, che in in secondo momento "pur con l'indicato accorgimento la dimensione del tribunale rimarrebbe, nei primi quattro casi,

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eccessiva al punto di pregiudicarne l'efficace frazionamento. Ciò induce a ritenere inevitabile un frazionamento".

Appare evidente che la creazione del giudice unico è destinata a procurare, quantomeno nei tribunali di quelle quattro città sopra indicate, un concentramento tale di problemi da renderli praticamente ingestibili. La Relazione al Parlamento del C.S.M. ha ripreso tale problematica ed ha visto anch'essa nel decentramento la via per favorire l'efficienza degli uffici di grandi dimensioni (cfr. "Relazione" cit. pag. 39-42 e 79-82). Sul punto è il caso di richiamare espressamente il seguente passo della Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per l'anno 1996: "In proposito, è appena il caso di osservare che vengono proposte ipotesi di suddivisione dei mega-uffici in base ad un criterio territoriale (la metropoli divisa in due o tre parti a seconda della grandezza) ovvero ad uno sdoppiamento funzionale con l'istituzione, a livello di grande città, di due distinti tribunali, l'uno civile e l'altro penale".

Pertanto il legislatore, nell'affrontare in maniera organica il tema dell'introduzione del giudice unico, non può non interessarsi anche dei problemi della organizzazione dei grandi uffici. Al riguardo dovrebbe essere quindi inserita nel disegno di legge una apposita direttiva, non sembrando che il Governo in sede di esercizio della delega possa procedere ad una regolamentazione degli uffici giudiziari, che come tale non è riconducibile a nessuno dei criteri attualmente fissati.

A tale fine un utile spunto di riflessione si rinviene anche nel disegno di legge a firma dei senatori Follieri ed altri (citato sub paragrafo 1), il quale all'art. 3, 1° comma lettera b.

prevede appunto che gli uffici di Tribunale e della Procura della Repubblica di alcune città italiane, caratterizzate da numero elevato di abitanti, "abbiano circoscrizioni limitate al territorio comunale e che siano istituiti più uffici del medesimo tipo all'interno delle città stesse".

Se peraltro si seguisse tale strada - il che appare difficilmente evitabile - si dovrebbe necessariamente por mano ad una revisione degli organici dei singoli uffici costituiti e costituendi con l'ovvio corollario di rideterminare gli ambiti territoriali di alcune circoscrizioni giudiziarie. E' questa ulteriore conferma della necessità di affrontare congiuntamente il tema del giudice unico di primo grado e quello del reticolo giudiziario.

4) Modifiche della normativa processuale.

Il disegno di legge, in materia di innovazioni processuali, ricalca sostanzialmente la impostazione seguita dal C.S.M. nella Relazione al Parlamento.

In linea generale la riforma non prevede particolari aggiustamenti di carattere processuale in quanto si intende preservare l'attuale assetto normativo. Un intervento è previsto nell'ambito della competenza interna del giudice unico nel senso che, fermo restando il principio generale secondo il quale la competenza a giudicare è del giudice monocratico per le materie

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attualmente di competenza pretorile o del tribunale in composizione monocratica e del giudice collegiale per le materie attualmente rimesse al tribunale in sede collegiale con l'osservanza delle disposizioni processuali già vigenti, sono tuttavia previsti alcuni spostamenti dall'una all'altra categoria, ricollegabili all'importanza di alcune fattispecie di reato (in sede penale) e di alcune tipologie di controversie (in sede civile).

4.a) Modifiche in campo penale (art. 1, lett. c) - Il d.d.l. prevede che in sede di esercizio della delega il Governo possa "individuare altre fattispecie da rimettere alla cognizione del tribunale in composizione monocratica relativamente a reati per i quali siano minori l'allarme sociale e le difficoltà di accertamento probatorio; mantenere, comunque, la composizione collegiale per i delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), del cod.

proc. pen." .

Tali direttive trovano una eco abbastanza sfumata nella Relazione al Parlamento del C.S.M. ove, pur non ritenendosi di affrontare il tema dell'opportunità o meno di ampliare i casi di monocraticità, si sollecitava un ripensamento da parte del legislatore "anche alla luce del fatto che ad un giudice monocratico (il giudice dell'udienza preliminare), già secondo l'attuale disciplina processuale sono attribuiti procedimenti, da celebrare con il rito abbreviato, per reati puniti con pena detentiva temporanea senza eccezione alcuna riferita a limiti di pena e a tipologie di reato" (cfr. "Relazione" cit. pag. 84).

In questa sede si deve rile vare come il d.d.l. faccia una scelta di impostazione diversa da quella tratteggiata dal Consiglio in quanto, mentre l'indicazione da quest'ultimo offerta sembrava preludere ad un sostanzioso potenziamento del momento monocratico (è questo il senso del richiamo all'attuale disciplina del rito abbreviato), il testo dell'art. 1, lett. c), in esame opera una scelta di carattere minimale nel senso di ampliare la competenza monocratica solo per fattispecie c.d. minori.

In ogni caso l'indicazione contenuta nella legge delega ("reati per i quali siano minori l'allarme sociale e le difficoltà di accertamento probatorio") appare troppo generica tanto da generare dubbi quanto alla sua rispondenza all'art. 76 Cost.. Appare quindi necessaria una meno generica individuazione delle categorie di reati o comunque delle materie a cui le fattispecie criminose fanno riferimento e per le quali sia possibile pervenire alla scelta di affidarne la cognizione al giudice monocratico.

Pienamente condivisibile appare, invece, la scelta di lasciare ferma la composizione collegiale del giudice per i delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. Si tratta, infatti, di reati gravissimi, di forte allarme sociale, sovente collegati a quelli di criminalità organizzata e mafiosa per i quali si pongono oggettivi problemi non solo di complessità di accertamento, ma anche di esposizione, per cui il mantenimento della collegialità costituisce,

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oltre che una ragione di maggiore meditazione, anche un momento di rafforzamento esterno dell'organo giudicante.

L'ultima parte dell'art. 1, lett. c), del d.d.l. fissa quale criterio ispiratore del decreto delegato quello di "prevedere che, di regola, il giudice per le indagini preliminari sia diverso dal giudice dell'udienza preliminare, apportando le necessarie modifiche alle disposizioni dell'articolo 7 ter dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30.1.41 n. 12, e successive modificazioni" .

Tale disposizione trova con tutta evidenza la sua ragione nel dibattito in corso in materia di incompatibilità del giudice, originato dalle note sentenze della Corte costituzionale, che hanno dichiarato illegittima la norma dell'art. 34 c.p.p. sotto molteplici aspetti (1), anche se - va precisato - allo stato non risultano emesse sentenze dal Giudice delle Leggi nè risultano pendenti dinanzi allo stesso questioni circa la compatibilità tout court delle funzioni di g.i.p. e di g.u.p.

La Relazione al d.d.l. afferma, comunque, con chiarezza che la introduzione del giudice unico di primo grado costituisce l'occasione per riformare il processo penale eliminando le cause di incompatibilità denunziate dalla Corte. In questa ottica, quindi, il d.d.l. fissa il criterio di distinguere le funzioni di giudice per le indagini preliminari da quelle di giudice per l'udienza preliminare nell'ambito del medesimo procedimento, accogliendo al riguardo l'indicazione fornita dalla Commissione Conso sulla riforma del processo penale.

Ferma restando l'opportunità di procedere ad interventi che facciano la massima chiarezza in punto di compatibilità delle funzioni giudicanti nell'ambito del medesimo processo penale, deve rilevarsi che la enunziazione della norma nel disegno di legge solleva non pochi dubbi.

Nonostante la premessa di voler affrontare le cause di incompatibilità, la norma non interviene - come risulterebbe naturale - sull'art. 34 c.p.p., ma sull'art. 7 ter ord. giud.,

1 Alle sentenze riportate nella Relazione al

Parlamento, cit., pag. 29, adde la recentissima sentenza 2.11.96 n. 371, che ha dichiarato illegittimo l'art. 34, comma 2, c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un

imputato il giudice che abbia pro nunziato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di

altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata valutata.

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inerente i criteri per l'assegnazione degli affari penali. Non viene, pertanto, enunziato il principio dell'incompatibilità in termini generali, ma se ne auspica solo una applicazione tendenziale ("di regola"), in sede di organizzazione del lavoro giudiziario.

Un criterio fondamentale in materia di costituzione del giudice, destinato ad evitare l'esistenza di cause di incompatibilità per atti compiuti nell'ambito del procedimento penale, dovrebbe essere affermato in senso assoluto proprio per il rilievo che assume a tutela delle garanzie delle parti del processo e non invece affidato ad una (pur residuale) discrezionalità in sede di formulazione dei criteri di assegnazione degli affari penali. Giova sul punto riportare un passo della recentissima sentenza della Corte costituzionale 2.11.96 n. 371, che nel dichiarare l'illegittimità dell'art. 34 c.p.p. rileva che "E' acquisito alla giurisprudenza di questa Corte che l'istituto della incompatibilità del giudice per atti compiuti nel procedimento penale è preordinato alla garanzia di un giudizio imparziale, che non sia né possa apparire condizionato da precedenti valutazioni sulla responsabilità penale dell'imputato manifestate dallo stesso giudice in altre fasi del medesimo processo ... e tali da poter pregiudicare la neutralità del suo giudizio".

Dalla impostazione del D.D.L. nasce, quindi, un dubbio di costituzionalità perché la disciplina proposta potrebbe dar luogo a differenza di trattamento tra due categorie di soggetti, a seconda che i processi da cui sono interessati rientrino o meno nella categoria (discrezionalmente fissata in sede tabellare) per cui esiste l'incompatibilità.

Si potrebbe obiettare che la norma del d.d.l. intende affermare un criterio elastico per assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari minori per i quali, pur nella nuova dimensione consentita dall'accorpamento di preture e tribunali, potrebbe essere fonte di difficoltà organizzativa l'affermazione pura e semplice dell'incompatibilità delle due funzioni. La necessità di tale affermazione, di per sè non immotivata nell'ottica da cui muove il d.d.l., è tuttavia conseguenza diretta della scelta di non intervenire contemp oraneamente sulle circoscrizioni giudiziarie, allo scopo di procedere quantomeno alla revisione degli uffici di minori dimensioni. Anche per questi motivi si ribadiscono profonde perplessità in ordine alla volontà di intervenire non con modifica della norma processuale penale ma con una previsione di organizzazione tabellare.

4.b) Modifiche in campo civile (art. 1, lett. e) - Anche nel campo civile il disegno di legge ribadisce una linea di compromesso nel riparto di specifiche competenze tra giudice monocratico e giudice collegiale, con riferimento alla disciplina del processo civile in 1° grado, devolvendo al legislatore delegato l'ulteriore perimetrazione dell'area di riserva di collegialità attraverso l'ampia formula "della oggettiva complessità giuridica delle materie e della rilevanza economico-sociale delle controversie". Più precisamente il d.d.l. rimanda, con alcune eccezioni, all'art.48 dell'ordinamento giudiziario, come novellato dall'art.88 della

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L.353/1990 (in vigore dal 1995), per la composizione dell'organo giudicante, ai fini di individuazione dei casi tassativi di riserva di collegialità.

Nel d.d.l. la mappa delle controversie civili rimesse al collegio è ridisegnata, a grandi linee, sulla falsariga delle vigenti attribuzioni, con riferimento alla norma dell'art. 48 ord.

giud. con il richiamo dei numeri 2 (giudizi in cui è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero), 3 (giudizi devoluti alle sezioni specializzate, ad es. quelle agrarie), 4 (procedimenti camerali, ad es. in materia societaria, fallimentare), 5 (procedure concorsuali, quali giudizi di opposizione, impugnazione, revocazione, nonché consequenti a dichiarazioni tardive di crediti di cui alla legge fallimentare del 1942, alla l. n. 95/1979 ed alle altre leggi speciali disciplinanti la liquidazione coatta amministrativa), 6 (giudizi di omologazione del concordato fallimentare e preventivo), 7 (giudizi di responsabilità promossi contro organi amministrativi e di controllo, direttori generali e liquidatori in materia societaria, intesa in senso lato, ricomprendendovi associazioni in partecipazione e consorzi).

Sul piano comparato, dal raffronto tra la previsione attuale dell'art. 48 ord. giud.

e l'articolato del d.d.l., deve rilevarsi che pur perdendo, quale necessaria conseguenza dell'istituzione del giudice unico, la sua competenza quale giudice di appello quanto alle sentenze del pretore, il tribunale la conserva quanto alle sentenze del giudice di pace secondo i criteri di competenza, anche territoriale, indicati dall'art. 341, comma 2, c.p.c. Nonostante la proposta abrogazione dell'art. 48, n. 1, ord. giud. (che prevede che il tribunale decide nella composizione di tre votanti sugli appelli), deve ritenersi che in tale residua competenza di giudice di secondo grado il tribunale conserverebbe sempre la composizione collegiale ex art. 350, comma 1, c.p.c.

Anche se l'istituzione del giudice unico di primo grado - così come segnalato in precedenza - tende solo e non attua invece in pieno una giurisdizione unica di prime cure proprio perché residua la competenza del giudice di pace (già attiva per il settore civile ed invece proposta per il settore penale), motivi di simmetria processuale dovrebbero indurre a stabilire che anche per le sentenze del giudice di pace debba pronunciarsi in sede di gravame la Corte di Appello.

Il d.d.l. scorpora al numero 7, nella progettata nuova versione dell'art. 48 ord.giud., l'ipotesi dei giudizi di responsabilità in campo societario - per cui si è riaffermata la riserva di collegialità - da quella residuale, attinente ad "ogni altra controversia avente per oggetto rapporti sociali" (ad es. rapporti tra soci, nonché tra soci e società, impugnazione delle delibere assembleari, controversie sulla validità e sul rispetto dei patti parasociali ecc.), per cui si è ritenuta proponibile la competenza del giudice monocratico.

Nel progetto governativo scompare ogni traccia di collegialità anche nei giudizi previsti dagli articoli 784 e segg. c.p.c. (v. art. 48 ord. giud., n. 8): trattasi dei giudizi divisori per lo scioglimento della comunione ereditaria o di qualunque altra comunione. Tale opzione

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monocratica appare pienamente condivisibile, tenuto conto del fatto che tali giudizi si svolgono per larga parte mediante operazioni affidate al giudice istruttore o ad un notaio delegato.

Infine, nel d.d.l. viene eliminata la riserva di collegialità attualmente prevista per i giudizi di cui alla l. 13.4.88 n. 117 in materia di responsabilità civile per danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali. Sul punto, pur in presenza di un esiguo numero di giudizi, non appare giustificata l'eliminazione della riserva di collegialità sia per le controversie che attengono alle azioni promosse dal cittadino contro lo Stato che per quelle relative all'azione di rivalsa dello Stato verso il magistrato responsabile dei danni. In tali giudizi appare necessaria una opportuna ponderazione in camera di consiglio, con il contributo del collegio per una maggiore garanzia delle parti interessate. Si ritiene, pertanto, necessario nel contesto del d.d.l. il ripristino della riserva di collegialità per i giudizi di cui alla legge 13.4.1988, n.117.

Anche sul versante civile può ripetersi quanto già segnalato in punto di rispondenza al dettato costituzione in sede di proposte modifiche in tema processuale penale. La dizione "oggettiva complessità giuridica delle materie e della rilevanza economico-sociale delle controversie" appare troppo generica e quindi necessita di più puntuale enunciazione.

4.c) Altre modifiche - Pienamente condivisibili appaiono le innovazioni contenute nelle lett. f) e g) dell'art. 1.

La prima (lett. f.) riguarda le attribuzioni amministrative attualmente facenti capo al pretore, che vengono trasferite alle amministrazioni interessate ove non abbiano collegamento con l'esercizio della giurisdizione e vengono lasciate al tribunale ove detto collegamento esista.

Si tratta di un intervento particolarmente opportuno in quanto destinato a sfrondare l'attività degli uffici giudiziari di una serie di attribuzioni (si pensi alla competenza in materia elettorale o di stato civile) che costituiscono un oggettivo aggravio della funzione giurisdizionale. Sarebbe peraltro opportuna una migliore precisione terminologica, nel senso di prevedere che al tribunale sono attribuite non tanto "le funzioni amministrative collegate con l'esercizio della giurisdizione", quanto "l'attività di volontaria giurisdizione" esercitata dal pretore, atteso che, come affermato dalla Relazione al d.d.l., questo è lo scopo che si ripromette la disposizione.

La seconda innovazione (lett. g.), riguardante la devoluzione degli appelli in materia civile avverso le sentenze del tribunale-giudice unico alla corte di appello, fa di questo ufficio l'unico giudice di appello tanto in materia civile che penale, con l'unica eccezione degli appelli contro le sentenze del giudice di pace, (sul punto si richiama quanto già in precedenza espresso). Ulteriore conseguenza è la formazione di sezioni specializzate presso la corte di appello per i casi in cui in primo grado è previsto un giudice specializzato (controversie di lavoro e previdenziali, sezione agraria).

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4.d) Disposizioni di coordinamento e transitorie - Il secondo comma dell'art. 1 prevede la delega al Governo ad emanare, oltre che le necessarie norme di coordinamento, anche la disciplina transitoria "rivolta ad assicurare la rapida trattazione dei procedimenti pendenti, civili e penali, fissando le fasi oltre le quali i procedimenti non passano ad altro ufficio secondo le nuove regole di competenza e stabilendo le relative condizioni".

La formulazione di tale criterio di disciplina transitoria risulta invero abbastanza oscura. La Relazione al d.d.l. afferma unicamente che il legislatore con tale disposizione intende fissare tempi e modi di passaggio dei procedimenti all'ufficio unico. Se tale intento è sicuramente condivisibile, non è dato comprendere quale sia esattamente il criterio base formulato dal legislatore, atteso che il prevedere una fase oltre la quale il processo (tanto in materia penale che in materia civile) non passa ad altro ufficio per essere trattato in base alle nuove norme di competenza farebbe pensare che i vecchi uffici di pretura rimangano operanti per un certo periodo di tempo con funzioni di stralcio. Per evitare ogni dubbio al riguardo sembra, pertanto, opportuna una migliore formulazione della norma.

5) La destinazione dei magistrati in servizio presso gli uffici di pretura e procura soppressi -

L'auspicata introduzione dell'ufficio giudiziario unico di primo grado, comportando l'accorpamento della pretura circondariale e della procura circondariale, rispettivamente con il tribunale e la procura presso il tribunale, determinerà la soppressione dei corrispondenti posti di organico degli uffici assorbiti e il contestuale aumento negli uffici riceventi.

Allo stato attuale dell'ordinamento i magistrati che occupano i posti in questione dovrebbero essere definiti "perdenti posto" e, come tali, assegnati a nuovi posti ex art. 2, comma 3, del r.d.lgs. 31.5.46 n. 511, in forza del quale "in caso di soppressione di un ufficio giudiziario, i magistrati che ne fanno parte, se non possono essere assegnati ad altro ufficio giudiziario della stessa sede, sono destinati a posti vacanti del loro grado [rectius della loro funzione] ad altra sede". Ove il trasferimento di funzioni comporti per il tribunale (o la procura) un aumento di organico pari a quello dell'organico dell'ufficio di pretura (o di procura) soppresso, appare evidente che per il personale di magistratura la riforma dovrebbe tradur si in un mero passaggio dall'ufficio all'altro, anche se sembrerebbe naturale che una tale operazione consenta di rideterminare l'organico degli uffici unici di primo grado che, per la evidente maggiore flessibilità interna, favoriscono un indubbio risparmio di energie lavorative.

Delicata appare, tuttavia, la posizione dei dirigenti degli uffici soppressi (consigliere pretore dirigente, procuratore circondariale) e di coloro che occupano la posizione c.d. di semidirettivi (consigliere pretore, procuratore circondariale aggiunto). Per costoro l'applicazione pura e semplice dell'art. 2 della legge delle guarentigie comporterebbe (per i dirigenti) la perdita dell'incarico direttivo, non essendo concepibile l'assunzione automatica di

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identiche funzioni direttive nell'ufficio unico o, quantomeno, (per tutti) la pressochè totale certezza di essere destinati altrove per mancanza di posti corrispondenti alle funzioni già esercitate nella stessa sede (salvo eventuali vacanze nell'ufficio ricevente nel momento del passaggio) (2).

Sul punto già con la Relazione al Parlamento il C.S.M. ha segnalato la necessità di rimeditare le funzioni semidirettive, nell'ambito del nuovo assetto degli uffici giudiziari, nel senso "di porre allo studio l'istituzione di nuovi uffici direttivi intermedi, anche per fare fronte all'esercizio di alcune funzioni giurisdizionali in atto riservate ai capi degli uffici..."

(cfr. "Relazione" , cit. pag. 92).

Per quanto riguarda più specificamente la posizione dei direttivi, la Relazione al Parlamento ipotizza la destinazione dei titolari di funzioni dirigenziali, in caso di soppressione, in soprannumero a posti semidirettivi appositamente istituiti presso l'ufficio giudiziario di primo grado, in attesa di destinazione a funzioni corrispondenti a quelle soppresse, se e quando i posti saranno vacanti, salva la destinazione a funzioni semidirettive presso il nuovo ufficio.

I nuovi posti semidirettivi troverebbero, peraltro, in linea di massima e salvo particolari casi concreti, piena giustificazione nella dimensione ampliata degli organici del nuovo ufficio di primo grado, destinato a raccogliere ed a concentrare tutti i magistrati togati del circondario, giudicanti (giudici e pretori) e requirenti (sostituti presso l'attuale Tribunale e sostituti presso la Pretura), oltrechè i magistrati onorari (Vicepretori e Viceprocuratori), rendendo opportuna la distribuzione delle funzioni semidirettive ai capi degli uffici soppressi.

Investendo tale problematica lo status dei magistrati interessati, sembra assolutamente opportuna l'enunciazione di precisi criteri ispiratori in materia, in quanto è di tutta

2 Da un monitoraggio eseguito con la collaborazione

dell'Ufficio Automazione del CSM, si evince che sono in organico 165 posti di consigliere pretore dirigente, 100 posti di procu ratore circondariale, 48 posti di

consigliere pretore e 15 posti di procuratore aggiunto presso la pretura circondariale. Complessivamente i posti in organico, eventualmente da sopprimere all'esito

dell'introduzione del giudice e del pubblico ministero unico in primo grado, ammonterebbero, perciò, a 328, dei quali 265 relativi ad incarichi diretti vi e 63 ad

incarichi semidirettivi. L'attuazione della ri forma di che trattasi pone, dunque, il concreto problema di destinare oltre 300 magistrati a nuove funzioni.

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evidenza che la disciplina transitoria degli uffici direttivi e semidirettivi soppressi- e su cui il d.d.l.

nulla dice - costituisce un passaggio cruciale ed ineludibile per il legislatore delegato.

6) Procedura di emanazione dei decreti legislativi e delle eventuali disposizioni correttive.

In proposito è opportuno segnalare che il termine fissato per l'espressione del parere del C.S.M. (quaranta giorni) risulta eccessivamente limitato e tale da rendere difficile la tempestiva espressione dell'orientamento consiliare, soprattutto ove si pensi che l'attuazione della riforma richiederà l'emanazione di più decreti delegati, in ordine ai quali sarà necessaria una puntuale riflessione in considerazione della loro diretta ricaduta sulla complessiva attuale organizzazione giudiziaria e in previsione di annunciati ulteriori interventi riformatori in tema di revisione delle circoscrizioni giudiziarie.

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