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Parere sullo schema di disegno di legge recante:

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Academic year: 2022

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Parere sullo schema di disegno di legge recante:

“Determinazione della competenza per i dibattimenti per reati di criminalità organizzata”.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 23 gennaio 1996, ha deliberato di approvare il parere allegato.

I) Con nota in data 1° settembre 1994 il Ministro di Grazia e Giustizia ha trasmesso al Consiglio lo schema di un disegno di legge avente ad oggetto

"Determinazione della competenza per i dibattimenti per reati di criminalità orga- nizzata. Il Ministro ha comunicato la sua intenzione di ripresentare tale disegno, già predisposto per la precedente legislatura, avvertendo che su una nuova disposizione (art. 2) si era favorevolmente espresso il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica in data 28 luglio 1994.

Si tratta di un testo conforme a quello (costituito da tre articoli) già inviato dal Ministero a questo Consiglio per il parere in data 17 settembre 1993, salva la previsione di una norma di carattere ordinamentale che ha dato vita ad un nuovo articolo, aggiunto come secondo nel testo ora all’esame del Consiglio.

Il testo attuale risulta quindi così concepito:

Con il primo articolo si attribuiscono le funzioni di giudice del dibattimento al Tribunale e alla Corte di Assise aventi sede nel capoluogo del distretto della Corte di Appello nel cui ambito territoriale si trova il luogo ove il reato è stato consumato ovvero uno degli altri luoghi indicati negli artt. 8, 9, 10 c.p.p., nel caso in cui si tratta di procedimenti per i reati indicati nell’art. 51/3 bis c.p.p. (delitti consumati o tentati di cui agli artt. 416-bis e 630 c.p., delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, delitto di cui all’art. 74 T.U. 9 ottobre 1990 n. 309).

Con il secondo articolo si aggiunge un comma all’art. 46 dell’Ordinamento giudiziario, stabilendo che nei Tribunali costituiti in sezioni sono ogni biennio designate, secondo criteri di rotazione, le sezioni alle quali sono devoluti i procedimenti per i reati sopra indicati. Il testo dell’articolato trasmesso

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dal Ministero richiama in proposito l’art. 54/3 bis c.p.p., ma sembra trattarsi di errore materiale, dovendosi ritenere che il rinvio sia all’art. 51/3 bis c.p.p., esattamente menzionato all’art. 1.

Con il terzo articolo si prevede una disposizione transitoria che stabilisce che la modifica di competenza definita dall’art. 1 si applica anche ai procedimenti in corso, iniziati successivamente alla data di entrata in vigore del D.L. 20 novembre 1991, n. 367, convertito con modificazioni in L. 20 gennaio 1992 n. 8 (istitutivo tra l’altro delle Direzioni Distrettuali Antimafia e della Procura Nazionale Antimafia), per i quali non sia stato pronunciato il decreto che dispone il giudizio ovvero non sia stato instaurato il giudizio direttissimo ai sensi dell’art.

450 c.p.p.. La stessa norma stabilisce altresì che la Corte di Appello o la Corte di Assise di Appello o la Corte di Cassazione rinviano gli atti al Tribunale o alla Corte di Assise competente ai sensi dell’art. 1 ovvero, quando ne sia il caso, all’Ufficio del Pubblico Ministero presso il predetto Tribunale o la predetta Corte di Assise, ogni volta che in seguito all’annullamento della sentenza impugnata il giudizio debba nuovamente svolgersi dinanzi al giudice di primo grado.

Con il quarto articolo si prevede l’entrata in vigore della legge il giorno successivo a quella della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

* * *

II) La relazione illustrativa che accompagnava il disegno di legge trasmesso in data 17.9.1993, dopo aver menzionato gli interventi normativi che condussero ad istituire la direzione nazionale e le direzioni distrettuali antimafia, richiama il dibattito in corso circa l’opportunità o meno di un ulteriore intervento inteso a soddisfare, in relazione alla fase del dibattimento, le stesse esigenze di economicità, di razionalizzazione e di sicurezza che ispirarono quelle riforme. Si segnalano i consensi verso la proposta di istituire i cosiddetti tribunali distrettuali antimafia, con competenza presso ciascun capoluogo di distretto per i procedimenti relativi ai delitti di criminalità organizzata, allo scopo di perseguire - con riferimento anche alla fase dibattimentale - concrete esigenze di concentrazione di mezzi e di risorse, di valorizzazione di specifiche esperienze professionali, di tutela della sicurezza dei magistrati, dei detenuti e dei collaboratori di giustizia e di decongestione degli uffici giudicanti non distrettuali.

Si prende atto dei rischi e delle controindicazioni già manifestate dal dibattito in corso sull’argomento ma si ritiene trattarsi di preoccupazioni che possono essere

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fugate in parte sullo stesso piano teorico e che per il resto possono trovare efficace risposta sul piano amministrativo, in sede di applicazione dell’auspicata novella.

Infatti - prosegue la relazione - non è in discussione la creazione di un giudice

"speciale" e centralizzato per determinate categorie di soggetti e di reato, in contrasto con la Costituzione oltre che con il principio di unità della giurisdizione, nè la misura proposta si inquadra in una mera logica emergenziale. Già l’attività delle direzioni distrettuali antimafia si esplica invero nell’ambito di una non secondaria interruzione del tradizionale nesso funzionale di correlazione tra pubblico ministero e giudice, che per la fase delle indagini preliminari si è inteso invece continuare ad assicurare con una specifica previsione inerente il G.I.P.;

sicché l’estensione al territorio distrettuale della giurisdizione dell’ufficio giudicante sito nel capoluogo del distretto verrebbe ad inquadrarsi non in una logica derogatoria ai principi generali bensì in un disegno diretto a ristabilire un quadro ordinario e simmetrico dei rapporti tra uffici giudiziari che, per i reati di criminalità organizzata, sembra contenere oggi una vistosa anomalia. D’altro canto, si aggiunge nella relazione, non è possibile far precedere la proposta riforma da un previo intervento sulla dibattuta questione della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, perché l’urgenza, da cui la riforma medesima è caratterizzata, non è compatibile con i tempi di quell’intervento.

In ordine a tale testo, la Commissione speciale referente per la riforma giudiziaria e la amministrazione della giustizia presentò una prima volta al plenum una proposta di risoluzione sostanzialmente adesiva approvata a maggioranza. Al termine di un ampio dibattito (seduta del 7 luglio 1993) la proposta fu respinta con 12 voti favorevoli. 13 contrari ed una astensione.

Una seconda proposta di risoluzione, sostanzialmente orientata in modo analogo, è stata discussa al plenum del 27 ottobre 1993, ed è stata respinta con 13 voti favorevoli e 14 contrari.

Infine, nella seduta del 25 novembre 1993, il plenum del Consiglio ha approvato (in due parti separate: 13 favorevoli, 8 contrari e 4 astenuti per la prima;

11 favorevoli, 9 contrari e 5 astenuti per la seconda) un parere sostanzialmente critico nei confronti della c.d. istituzione dei Tribunali Distrettuali Antimafia suggerendo, come antidoto ai riconosciuti gravi inconvenienti legati ai numerosi e pericolosi spostamenti dei magistrati addetti alle D.D.A., l’utilizzazione aggiuntiva

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di <<uno o più sostituti di ogni procura del distretto, che per i processi di mafia dovrebbero eseguire le direttive del Procuratore distrettuale e lavorare in pool con gli altri sostituti delle D.D.A. limitatamente alle indagini relative ai processi di competenza del loro territorio>>.

* * *

III) Tornando al nuovo testo del disegno di legge, la relazione che l’accompagna insiste nel sottolineare il riconoscimento manifestato nei confronti della proposta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali similari (relazione approvata il 9 marzo 1993) e nel definire l’innovazione in questione un obbiettivo immediatamente realizzabile; auspica <<una serena riflessione sugli effetti anche pratici dell’innovazione proposta, scevra da posizioni preconcette come pure da affrettati approcci>>; esprime apprezzamento per i risultati conseguiti con la costituzione delle Procure distrettuali e ribadisce la impossibilità di far precedere la riforma da interventi volti alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie; conferma, per il resto, il tenore della relazione predisposta per il testo originario.

Va inoltre ricordato che la Commissione ha acquisito una nota inviata in data 3 agosto 1994 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo (il cui contributo, unitamente a quelli di altri appartenenti a quell’Ufficio, era già stato utilizzato in occasione delle precedenti delibere del Consiglio Superiore della Magistratura), contenente argomentazioni in favore della urgente istituzione dei c.d. Tribunali distrettuali in materia di criminalità organizzata.

Il dibattito che da ultimo si è sviluppato al riguardo nella Commissione ha sostanzialmente riprodotto la dialettica che ha visto contrapporsi gli argomenti già valorizzati in occasione dei precedenti dibattiti consiliari.

Il fatto che, pur dopo la rinnovazione del Consiglio, la Commissione non sia pervenuta a motivazioni e a valutazioni risolutive - tali da far prevalere nettamente una soluzione sull’altra - e che per la terza volta si sia riprodotta la

"contrapposizione" tra le medesime argomentazioni, già in altre occasioni messe a confronto, deve essere qui particolarmente sottolineato, perché costituisce di per sè un elemento molto significativo, capace di far comprendere, meglio di ogni altra argomentazione, che la scelta che Parlamento e Governo sono chiamati a fare è una scelta non soltanto delicata e difficile, ma anche peculiarmente caratterizzata da un sostanziale equilibrio tra valutazioni e profili contrapposti.

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* * *

IV) Ai fini di tale scelta, il contributo che la Commissione intende proporre vuole, in primo luogo accogliere l’invito della relazione allo schema di disegno legge ad una riflessione "scevra da posizione preconcette".

Tale riflessione intende confrontarsi non solo con le previsioni contenute nello schema, ma anche con le integrazioni che ad esse potrebbero essere apportate - e che la discussione svoltasi in Commissione ha, a diversi riguardi, prospettato - al fine di rendere maggiormente convincente la proposta governativa.

Poiché spesso le posizioni preconcette derivano da riferimenti sistematici o di principio suggestivamente invocati ovvero non appropriatamente richiamati, è da tale tipo di riferimenti che appare in primo luogo opportuno sgomberare il campo.

Che ci si trovi di fronte all’"emergenza" costituita dal livello di pericolosità e di determinazione acquisito dalle cosche mafiose e dalla grande criminalità organizzata, è un dato di fatto. E, d’altra parte, (come è stato osservato)

"l’emergenza indica non soltanto l’atteggiamento di provvisorietà di fronte alla novità del fenomeno, ma anche ciò che emerge, perdura e sovverte le categorie concettuali". Non sono quindi i profili di emergenza (di novità, di impellenza, di revisione di categorie concettuali) che inevitabilmente accompagnano la risposta dell’ordinamento giuridico a dover destare preoccupazione; ma piuttosto il fatto che l’emergenza della risposta comporti ottiche caratterizzate dalla settorialità, misure e risultati connotati dalla illusorietà, modifiche destinate a esiti concreti irrilevanti e nondimeno inutilmente coinvolgenti riflessi non adeguatamente previsti e valutati a livello di strategia generale e di sistema istituzionale.

Analogamente, non va considerata decisiva la preoccupazione in ordine alla violazione del canone del giudice naturale, che l’istituzione dei Tribunali distrettuali comporterebbe. Essa comporta, per vero, alcune considerevoli conseguenze (di cui si dirà più oltre) in ordine al complessivo assetto della magistratura ed al consueto rapporto tra giudice e territorio, tra funzione inquirente e funzione giudicante, tra considerazione del momento delle indagini e valorizzazione della fase dibattimentale; ma la generalità e la predeterminazione che accompagnano la previsione sembrano sottrarla agevolmente all’accusa di vulnerare l’art. 25 comma 1 della Costituzione.

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Sono (questo e il precedente) temi che meriterebbero ben altro approfondimento: accennarvi qui soltanto in termini assertivi è giustificato dal fatto che in tal senso la Commissione si è orientata, a questo proposito, in modo univoco.

Sull’altro versante - quello delle argomentazioni "di principio" che sosterrebbero il progetto ministeriale - deve altresì riconoscersi che analogamente non appare certo determinante l’intento, ad esso attribuito, di rimuovere l’anomalia determinatasi con la istituzione delle direzioni distrettuali antimafia, la quale ha interrotto il fisiologico nesso funzionale di corrispondenza tra pubblico ministero, giudice delle indagini preliminare e giudice del dibattimento.

In un periodo in cui il ruolo assunto dal PM e le aspre critiche rivolte alla consistenza e alle modalità di svolgimento delle indagini vengono utilizzate per ricorrenti progetti di separazione della magistratura inquirente dal complessivo ordine giudiziario, il recupero di una simmetria organizzatoria tra l’assetto degli organi inquirenti e quello degli organi giurisdizionali potrebbe essere accolto come un auspicio da non lasciare cadere nel vuoto.

Ma, a parte il rilievo che l’auspicato recupero di simmetria avverrebbe nel segno della anomalia, che la costituzione delle DDA avrebbe a sua volta introdotto nella complessiva organizzazione degli uffici giudiziari, va soprattutto considerato come le caratteristiche e le modalità operative proprie dell’attività degli uffici inquirenti, che hanno giustificato la costituzione delle Procure distrettuali e che presiedono tuttora alla loro meritoria ed efficace attività, sono completamente assenti sul versante degli uffici giudicanti. Qui, infatti, non è possibile spazio alcuno per direttive unitarie in ordine a strategie coordinate di indagini, per nessi più funzionali nei rapporti con la polizia giudiziaria, per costituzione di pool che introducano connessioni e confronti diversi da quelli propri della camera di consiglio.

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V) Vanno invece attentamente considerati - come auspicato nella relazione allo schema in esame - gli "effetti anche pratici dell’innovazione proposta".

A questo riguardo, le ragioni a sostegno della innovazione possono essere così richiamate.

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A. La prima riguarda la sicurezza dei magistrati delle procure distrettuali, destinati a svolgere le funzioni di pubblico ministero nei dibattimenti davanti ai tribunali e alle corti d’assise periferici.

Si tratta di una esigenza reale e di cruciale importanza.

La necessità di viaggi quotidiani tra la sede della procura distrettuale e la sede del dibattimento determina una condizione di rischio gravissima per i magistrati e le loro scorte, in ragione non soltanto della frequenza di tali viaggi, ma anche e soprattutto della prevedibilità degli orari e della minore variabilità dei percorsi.

B. La seconda ragione della proposta si riferisce al risparmio di tempo e al recupero di efficienza operativa che sarebbero consentiti dalla celebrazione dei dibattimenti in sede esclusivamente distrettuale. I magistrati della procura distrettuale, infatti, potrebbero dedicare all’attività relativa alle altre indagini preliminari loro affidate sia i tempi notevoli, che attualmente essi impiegano per i percorsi dal loro ufficio alla sede periferica e viceversa, sia i tempi di sospensione e di attesa, che sono frequenti nel corso della procedura dibattimentale.

C. Sotto un terzo profilo, l’accentramento dei dibattimenti nelle sedi capoluogo consentirebbe una migliore specializzazione dei giudici.

L’argomentazione trae spunto dalla previsione, da ultimo introdotta nello schema del disegno di legge, secondo cui, nei Tribunali distrettuali costituiti in sezioni, sono ogni biennio designate, secondo criteri di rotazione, le sezioni alle quali sono devoluti i procedimenti relativi ai reati di cui è questione.

Ma tale previsione è stata ritenuta insoddisfacente anche da coloro che in Commissione si sono dichiarati favorevoli alla costituzione dei Tribunali Distrettuali, preoccupati del fatto che, per tale via, si sarebbero venute a costituire delle vere e proprie sezioni specializzate, inopportune sotto il profilo del numero e delle caratteristiche delle procedure interessate. Si è così preferita una soluzione che vede attribuite tali procedure a tutte le Sezioni del Tribunale distrettuale e tale alternativa, nella misura in cui evita l’effetto temuto, fa per altro venir meno il profilo relativo alla specializzazione dei giudici, che non può più essere accreditato alla proposta governativa ove venisse in tal senso modificata .

D. Infine, secondo alcuni componenti della Commissione, la proposta si inserirebbe "nella tendenza in atto verso la previsione di giudici estremamente diffusi sul territorio per i fatti di minore e meno specialistica natura (giudici di

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pace) e progressivamente di giudici meno numerosi e più accentrati per competenze di maggior serietà o richiedenti più spiccata specializzazione".

Tale prospettazione travalica con drasticità forse eccessiva l’obbiezione (di cui si dirà più avanti) relativa al fatto che l’istituzione dei Tribunali distrettuali darebbe vita ad una sorta di doppia magistratura: la prima investita dei processi di maggiore importanza e rilievo sociale, la seconda destinata alla trattazione degli affari correnti, intervenendo pesantemente sulla professionalità e sull’immagine di magistrati che svolgono pari funzioni, ma in diversi uffici.

Il riferimento ai giudici di pace rende ancor più esplicita e consistente tale prospettiva, dato che se una accentuata differenziazione qualitativa è concepibile nel rapporto tra magistratura ordinaria e magistratura onoraria, la configurazione dei tribunali periferici come qualcosa che sta a metà strada tra giudice di pace e

"vero" giudice distrettuale si porrebbe davvero in antitesi con i caratteri specifici del nostro sistema di giustizia, basato sul principio costituzionale secondo il quale

"i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni" (art. 107 comma 3° Cost.).

Anche il riferimento - in questa sede - alla tendenza, che mira alla progettata istituzione del giudice unico (e tendenzialmente monocratico) di primo grado desta perplessità, dato che ciò che sostiene tale progetto si muove caso mai in direzione opposta e tende piuttosto a superare quella distinzione tra pretore e tribunale all’origine ispirata proprio a criteri di ripartizione qualitativa, del tipo di quelli che verrebbero ora riesumati.

* * *

VI) Per altro verso, in chiave critica rispetto al progetto ministeriale, sono emerse le seguenti considerazioni.

A-1. L’accentramento distrettuale delle competenze - che per quanto riguarda le Procure distrettuali appariva giustificato dalle caratteristiche e dalle necessità proprie dell’attività di indagine e che in effetti ha avuto risultati positivi - non trova analoga giustificazione rispetto all’attività giudicante, considerando anche quanto sopra si è richiamato in ordine alla specializzazione del giudice. Allo stesso modo, non appaiono ipotizzabili a livello di Tribunali distrettuali, effetti positivi analoghi a quelli che hanno accompagnato l’istituzione delle D.D.A.. Al contrario, si ricreerebbero qui alcuni degli inconvenienti dai quali la proposta istituzione voleva sollevare i magistrati del P.M., dato che le misure di sicurezza e

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i rischi lamentati nei loro riguardi si trasferirebbero su tutti i giudici del Tribunale distrettuale coinvolti nei processi in questione.

Qui non si tratta di scegliere tra l’alternativa di concentrare su pochi ovvero diffondere su molti magistrati la esposizione a rischio. Si tratta di prendere atto del fatto che, pur rimanendo nell’ambito della seconda strategia (che attualmente risulta la più apprezzata), le problematiche che si intendono limitare sul versante dei pubblici ministeri risulterebbero semplicemente spostate sul versante dei giudici.

B-1. L’efficienza operativa, che la proposta intende recuperare a livello di Procure distrettuali, verrebbe pagata da rilevanti difficoltà facilmente prevedibili nel funzionamento degli istituendi Tribunali distrettuali. Poiché la loro nascita presuppone inevitabilmente un rilevante aumento delle dotazioni di uomini e di mezzi, si accentuerebbe l’elefantiasi dei grandi uffici, già oggi scarsamente governabili a causa delle loro dimensioni, in contrasto con i più recenti orientamenti in tema di revisione delle circoscrizioni giudiziarie.

E’ facile inoltre prevedere che, nei Tribunali distrettuali maggiormente interessati dalla grande criminalità organizzata e mafiosa, questa assorbirebbe pressoché tutta la potenzialità di lavoro dei giudici in organico, lasciando senza risposta tutte le altre forme di delinquenza, il cui controllo è indispensabile per garantire la convivenza civile ed il rispetto dei diritti di tutti i cittadini. D’altra parte i tribunali periferici, che solo di questo tipo di delinquenza verrebbero ad occuparsi, risulterebbero spesso sovra-dimensionati, dato che le esigenze legate alla formazione dei collegi non consentirebbero di ridurre oltre certi limiti il loro organico.

La prospettiva che ne deriverebbe sarebbe quindi non solo quella (già ricordata) della creazione di due diversi tipi di giudice, ma anche quella della creazione di due giustizie diverse, per di più fronteggiate in modo radicalmente diverso nelle sedi degli uffici distrettuali e in quelle degli uffici periferici.

C-1. Il proposto accentramento della competenza territoriale risponde non già ad esigenze presenti sull’intero territorio nazionale, bensì a situazioni particolari di taluni distretti (Palermo, Reggio Calabria, Napoli), con conseguente inopportunità di tradurre in norma generale una sollecitazione nascente da peculiarità locali.

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D-1. La normativa istitutiva della proposta innovazione - la quale introduce una differenziazione degli interventi giudiziari in relazione alla diversità dei soggetti e dei reati - ha molteplici potenzialità espansive, che occorre avere presenti e valutare a fondo, prima di accedere - sotto la pressione dell’urgenza - a settoriali modifiche ordinamentali, solo in apparenza razionalizzatrici.

* * *

VII) Le difficoltà di assumere risolute determinazioni rispetto ad una questione contrassegnata dalla richiamata contrapposizione di argomenti favorevoli e contrari, risulta aggravata da un rilievo che attiene alla stessa impostazione metodologica della proposta: ancora una volta, una importante riforma ordinamentale e processuale verrebbe introdotta senza essere preceduta da un adeguato studio relativo alla sua fattibilità.

Dati i risultati, cui questa prassi ha dato luogo nel recente passato, sarebbe ora necessaria la preliminare acquisizione degli elementi di fatto necessari per comprendere: quali saranno gli effetti che la nuova legge determinerebbe sul complessivo assetto giudiziario; se tali effetti risultino tollerabili; quali misure sia necessario e possibile apprestare preventivamente, per evitare quelli più gravemente pregiudizievoli.

Anche chi, nel corso del dibattito svoltosi in Commissione, si è dichiarato favorevole alla istituzione dei Tribunali distrettuali, ha ritenuto che tale iniziativa debba essere valutata all’interno di una prospettiva più ampia. E proprio in tale ottica si è prospettato come essa prefiguri la revisione delle circoscrizioni giudiziarie ed anticipi una organizzazione degli uffici giudiziari caratterizzata dalla diffusione di piccoli uffici nel territorio e dalla concentrazione di grossi uffici in sedi limitate.

Per altro, proprio la relazione al disegno di legge, nella parte già richiamata, disillude preventivamente rispetto alla prima aspettativa; mentre le reazioni che immancabilmente accompagnano la ventilata abolizione di Tribunali sotto-occupati o quelle che hanno accompagnato l’introduzione del giudice di pace sconsigliano dall’immaginare agevole la seconda.

Convinzione comune è anche quella che la istituzione dei nuovi uffici debba essere necessariamente accompagnata da una considerevole dotazione di uomini e mezzi. Ma anche a questo elementare livello previsionale le garanzie non sono in alcun modo esplicitate, mentre alcune sia pur sommarie valutazioni

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inducono a considerare che il problema presenti consistenza e riflessi di drammatica evidenza.

Da informazioni assunte risulta che già ora il Tribunale di Palermo - ad esempio - presenta gravi carenze di organico rispetto alle dotazioni della Procura (triplicate negli ultimi anni) e alla mole e al numero dei procedimenti, che giungono al dibattimento per effetto di tale potenziamento dell’ufficio inquirente e degli elevati livelli di efficacia che la sua azione ha raggiunto. Da parte dei magistrati giudicanti di Palermo si segnala, invero, che la gestione di un carico di lavoro in costante e forte aumento, così come si è andato prospettando in conseguenza delle molteplici indagini condotte e concluse dall’ufficio inquirente, ha prodotto e produce già ora effetti assai allarmanti ed il rischio concreto di una vera e propria paralisi del momento del dibattimento. In queste condizioni, la mera approvazione della modifica di competenza produrrebbe il risultato di scaricare sulle già esigue sezioni del tribunale un carico aggiuntivo di lavoro assolutamente sproporzionato e incompatibile con gli organici e le strutture in atto, con il rischio che il prezioso ed importante lavoro della fase investigativa risulti sostanzialmente vanificato dalla impossibilità di celebrare processi.

A questo riguardo va riferito - a titolo esemplificativo - che la terza sezione della Corte d’assise di Palermo si occupa già attualmente, in contemporanea, di più processi di elevatissima complessità, tra i quali quello a carico dei componenti della commissione di Cosa Nostra quali presunti responsabili dell’omicidio dell’on.le Lima (con centinaia di testimoni) e quello a carico di circa 60 imputati accusati di decine di omicidi, tra cui quello di Libero Grassi. Ciò provocherà un inevitabile rallentamento dei procedimenti, che non saranno definibili se non fra molti mesi, o addirittura fra alcuni anni, con il rischio, tra l’altro, di esaurimento dei pur lunghissimi termini massimi di durata della custodia cautelare. Ma tutte le sezioni del Tribunale di Palermo sono già oggi gravate da complessi processi di criminalità organizzata (oltre che da quelli, altrettanto importanti, relativi a fatti di corruzione politico-amministrativa) che procedono a rilento per molteplici ragioni.

Questa essendo la situazione, vi è il rischio concreto che l’introduzione dei Tribunali distrettuali possa provocare il collasso completo della fase dibattimentale.

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Questo rischio non appare poter essere evitato ipotizzando un congruo aumento delle sezioni penali e delle sezioni di Corte d’assise per assorbire in sede distrettuale la rilevante mole di lavoro che oggi impegna - con risultati apprezzabili - i giudici delle sedi periferiche del distretto.

Né appare verosimile che si possa con sufficiente tempestività provvedere a dotare le sedi distrettuali delle aule supplementari (anche "blindate") che il dirottamento di questi processi rende necessarie, compresi gli uffici ove collocare le relative cancellerie. E’ appena il caso di notare, a questo riguardo, che la costruzione di nuove strutture in sedi urbanisticamente già eccessivamente congestionate può risultare anche fisicamente impossibile o comunque meno razionale che l’edificazione di esse nelle sedi periferiche che attualmente ne siano sprovviste.

Senza dire degli effetti che ne conseguirebbero sull’assetto stesso delle città in cui si concentrasse la trattazione di tali processi, sotto il profilo delle strutture, delle misure di sicurezza, etc..

* * *

VIII) Dalle considerazioni sino ad ora condotte emerge un altro rilievo di carattere generale, che ha a che fare con gli "affrettati approcci", che la stessa relazione allo schema di legge invita ad evitare.

Si tratta di un’ottica in qualche modo "settoriale", che muove dalla preoccupazione (del resto, ben giustificata) determinata dalle condizioni in cui i magistrati delle D.D.A. svolgono la loro attività e che non riesce a coprire - nei fatti - l’altrettanto giustificata preoccupazione, con cui si deve guardare alla fase dibattimentale.

Per tale via, la proposta sembra risentire di quell’ottica (essa sì

"emergenziale" in senso deteriore) che appare puntare tutto sul momento delle indagini, quasi rassegnandosi a non affrontare il modo e i tempi della celebrazione dei processi.

La settorialità dell’approccio è a sua volta causa della inadeguatezza dei rimedi prospettati, tanto è vero che - proprio per la mancanza di una strategia complessiva - ciò che essi recuperano sul primo versante emerge specularmente sull’altro, nel quale restano scoperte o sorgono analoghe e nuove difficoltà.

Sulla base di tutte le esposte considerazioni la Commissione - pur apprezzando le finalità dell’iniziativa riproposta dal Ministero di Grazia e

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Giustizia, il quale si è fatto carico delle drammatiche condizioni in cui si trovano ad operare i magistrati delle più esposte Procure distrettuali - ritiene di non poter esprimere un parere che si pronuncia a favore o contro la proposta istituzione dei Tribunali distrettuali.

E’ auspicabile che la lotta alla criminalità organizzata e di mafia inserisca le innovazioni ordinamentali e processuali in una più ampia strategia politica così che la risposta dello Stato non si esprima soltanto a livello della giurisdizione - o di una parte di essa - ma coinvolgendo e mobilitando l’intero ordinamento statuale. Così come è necessario che, all’eventuale prevalere delle ragioni contrarie alla istituzione di nuovi uffici, si affianchi comunque un ulteriore impegno volto a indirizzare su settori maggiormente esposti della magistratura la necessaria opera di razionalizzazione e gli investimenti che sarebbero stati comunque richiesti dalla creazione dei Tribunali distrettuali.

* * *

IX) Per altro, nell’intendimento di fornire ogni possibile contributo alla soluzione di problematiche rispetto alle quali il Consiglio Superiore della Magistratura esprime estremo interesse e preoccupazione, vengono qui di seguito prospettate alcune ipotesi ulteriori, sulle quali il Consiglio Superiore della Magistratura non può per altro impegnarsi oltre i limiti delineati dalla natura politica delle scelte in questione.

Allo scopo di ridurre gli inconvenienti cui espone la proposta di legge, per i procedimenti di criminalità organizzata, potrebbe ipotizzarsi - prefigurando il relativo modello operativo e studiandone previamente caratteristiche, esigenze ed effetti - una competenza territoriale più contenuta rispetto a quella distrettuale, come quella prevista per altri Uffici giudiziari, quali la Corte d’assise ed i Tribunali per il riesame.

Il numero dei tribunali che si occupano di tale materia verrebbe a costituire più del doppio di quelli previsti dal disegno di legge governativo e da tale assetto potrebbero derivare interessanti conseguenze che vanno dalle attrezzature logistiche alla professionalità dei giudici; dalla dislocazione e dalle caratteristiche delle necessarie attrezzature all’entità degli spostamenti di magistrati, imputati e testi; dal sovraccarico e dalla "militarizzazione" insostenibili per pochi uffici al recupero (almeno parziale) del rapporto che collega il giudice al territorio.

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Altra ipotesi riguarda la prospettiva già affacciata da questo Consiglio nella citata delibera del 25 novembre 1993. L’inclusione nell’ambito delle Procure distrettuali di uno o più sostituti di ogni Procura del distretto (limitatamente alle indagini relative a processi di competenza del loro territorio) eliminerebbe o ridurrebbe il problema relativo agli spostamenti dei sostituti delle D.D.A., lasciando concentrato in esse il momento strategico e decisionale delle indagini;

incrementerebbe di fatto il potenziale umano delle D.D.A., ma secondo criteri elastici, adeguabili alle esigenze e alle caratteristiche del caso; eviterebbe una complessa e costosa revisione degli organici dei Tribunali che si trovano nei capoluoghi del distretto.

* * *

In via conclusiva, pur condividendo l’obiettivo che lo schema di disegno di legge in esame si propone di raggiungere mirando ad una razionalizzazione e ad una miglior tutela dell’attività incombente sui magistrati delle Procure distrettuali più esposte nella lotta alla grande criminalità organizzata, la Commissione ritiene di non poter individuare nello strumento proposto una soluzione che possa essere nettamente condivisa o rifiutata, attese le ulteriori problematiche che ognuna delle alternative in questione suscita o lascia sussistere. Si confida che la prospettazione di tale problematiche, e dei possibili accorgimenti per fronteggiarle, possa essere tenuta in considerazione dagli organi deputati alla complessiva strategia di lotta alla criminalità organizzata.”

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