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Parere sul disegno di legge recante:

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Academic year: 2022

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Parere sul disegno di legge recante:

“Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, misure cautelari e diritto di difesa”

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 16 marzo 1995, ha deliberato di approvare l'allegato parere

I) E' diffusamente avvertita oggi l'esigenza di recuperare maggiori spazi di intervento alla difesa nel processo penale, in una prospettiva di maggiore equilibrio tra le parti del processo.

A tale esigenza si ispira la proposta di legge recante modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, misure cautelari e diritto di difesa.

E' opportuno, quindi, che il parere richiesto al CSM sull'originario disegno di legge governativo del 22.7.94 si riferisca ormai al testo normativo già licenziato dalla Camera ed attualmente all'esame del Senato.

Prima di affrontare l'esame analitico dei ventiquattro articoli di cui si compone il testo, si deve evidenziare che sarebbe auspicabile un intervento legislativo complessivo su tutto l'impianto del codice di procedura penale, che tenga conto dell'esperienza ormai maturatasi sul piano applicativo della disciplina vigente, del dibattito amplissimo che si è da tempo sviluppato, delle indicazioni della dottrina e delle doglianze degli operatori, principalmente al fine di pervenire ad un più compiuto riconoscimento dei diritti dell'imputato, con la previsione di maggiori opportunità di incidenza della difesa nel processo.

Si e` ben consapevoli che l'auspicato riequilibrio della parte pubblica e di quella privata non è conseguibile mediante modifiche disorganiche ed estemporanee, ma presuppone quel complessivo ripensamento del codice cui si accennava, e, in particolare, delle norme sulla fase delle indagini preliminari. Così come non sfugge quanto tale ripensamento dell'impianto codicistico appaia problematico, considerata la persistenza di concezioni ed ideologie non sempre conciliabili sia all'interno dell'attuale assetto codicistico, ormai privo di identità ben definita, sia all'interno della dottrina, della magistratura e dell' avvocatura.

In attesa dei tempi lunghi di una riforma organica, appare comunque opportuno introdurre modifiche dirette ad eliminare alcuni degli inconvenienti più vistosi della attuale disciplina quali sono emersi nel diritto vivente e nella prassi giudiziaria. Fra questi inconvenienti, come è noto, spiccano quelli derivanti dal limitato ruolo della difesa nelle indagini preliminari e da una applicazione non sempre esente da riserve delle norme sulla custodia cautelare.

La filosofia di fondo che ispira le progettate modifiche risponde infatti ad una duplice esigenza: da un lato, restringere l'area della custodia cautelare, specie di quella in carcere, rendendone più rigorosi e restrittivi i pr esupposti di applicabilità;

dall' altro, ampliare gli spazi di intervento della difesa.

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E' ben vero che la correzione di eventuali distorsioni sul terreno delle misure cautelari potrebbe gia` essere prodotta dalla modifica di alcune prassi applicative non sufficientemente controllate, ma atteggiamenti di puro rigore interventistico di qualche magistrato, peraltro sorretto dalla comprensibile ansia di arginare fenomeni di grave e diffusa criminalità, possono non risultare facilmente superabili solo attraverso una autocorrezione di orientamento applicativo.

E' per superare queste possibili resistenze, in un' ottica di più equilibrato bilanciamento fra interessi confliggenti, che si rivela utile un messaggio legislativo orientato a maggiore cautela e ponderazione nell' uso degli strumenti cautelari di tipo detentivo.

In tale prospettiva va, comunque, osservato come un pieno dispiegamento dei diritti della difesa non passi necessariamente attraverso il ridimensionamento dei poteri investigativi del PM e come, viceversa, esso si attui anche mediante una adeguata ricollocazione nel proprio ruolo di tutti i soggetti processuali, che assicuri e valorizzi i momenti di effettivo contraddittorio, nei quali tendenzialmente le parti possano "liberamente" rivolgersi al giudice "terzo".

Su altro versante, deve con forza sottolinearsi come il contenimento della lamentata "libertà di movimento" del PM, che pure il disegno di legge persegue, imponga una necessaria "compensazione" sul piano dell'approntamento degli strumenti materiali ed operativi indispensabili all'organo inquirente, al fine di evitare un serio "vulnus" alla efficacia della sua azione (si vedano, ad esempio, le osservazioni in tema di registrazione degli interrogatori o le accresciute esigenze di controllo sui detenuti agli arresti domiciliari, che scaturiranno dalla novella).

Tali considerazioni, che valgono a riaffermare l'opportunità di organici interventi in materia processuale, non escludono tuttavia, come si è detto, che la immediata revisione della sola normativa in tema di custodia cautelare possa palesarsi necessaria, alla luce del dibattito che nell'opinione pubblica e tra gli operatori si è di recente riacceso, anche in conseguenza del rilievo assunto negli ultimi anni dalla giurisdizione penale.

Per tutte le ragioni di fondo fin qui sintetizzate la preoccupazione parlamentare di intervenire sui temi accennati appare del tutto condivisibile.

Se riserve critiche possono essere avanzate, esse riguardano il diverso piano delle soluzioni tecniche proposte per realizzare gli obbiettivi di fondo perseguiti. E' questo, come è evidente, il terreno sul quale è scontato che possano manifestarsi divergenze di opinione, specie se si tiene conto del fatto che il testo predisposto dal Parlamento non ha avuto alle spalle il sostegno di un approfondito dibattito tecnico e culturale, aperto ai contributi della dottrina e delle altre istanze del mondo del diritto.

In quest'ottica appare doveroso svolgere osservazioni, non solo sul complesso delle scelte di politica legi slativa, ma anche sulle singole disposizioni normative in discussione; con la finalità ulteriore di evidenziare possibili discrasie ed incoerenze di disciplina, dalle quali possano derivare difficoltà per l'interprete ed ancor più ostacoli per la certezza e stabilita` del diritto.

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Osservazioni che, fuori da ogni critica preconcetta, consentano di distinguere, con rigore e ponderazione, le modifiche meritevoli di consenso da quelle suscettibili di miglioramenti o addirittura inaccettabili.

Riservando alla analitica disamina dell'articolato normativo, che poi seguirà, specifiche valutazioni, anche critiche, sui concreti modi di traduzione normativa delle esigenze ispiratrici della novella, va comunque condivisa la scelta di introdurre modifiche in tema di:

- termine del differimento del colloquio con il difensore (art. 1);

- la ridefinizione dei criteri di scelta delle misure (art. 5 );

- la eliminazione del vincolo del G.I.P. a pronunciarsi soltanto sulla misura richiesta dal P.M.(art.8);

- l'arricchimento del contenuto della ordinanza che dispone la misura cautelare (art. 9),

- la durata della custodia cautelare (art.14);

- la informazione di garanzia (art. 19);

- la custodia degli arrestati e dei fermati (art. 20).

II) L'esame delle singole disposizioni, che qui segue, viene effettuato nell'ottica indicata e mira anche a far rilevare possibili inconvenienti della normativa proposta, in taluni casi suggerendo possibili correttivi, esclusivamente volti a rendere più armonica la nuova disciplina.

Il generale dibattito svolto in commissione Riforma ha evidenziato che la esigenza principale che dovrebbe ispirare il legislatore in tale materia è quella di potenziare il contraddittorio nei momenti in cui non sia indispensabile assumere misure cautelari "inaudita altera parte".

E` diffusa convinzione che andrebbe, pertanto, recuperato, attraverso la novella, un complessivo sviluppo della vicenda custodiale che tenga fermi alcuni fondamentali passaggi:

1) obbligo, peraltro gia` sancito dalla S.C., per il PM di portare a conoscenza del GIP ogni elemento concernente l'indagato per il quale viene chiesta la misura cautelare, al fine di un recupero di terzieta` e responsabilizzazione dell'organo che emette la misura;

2) la piu` ampia conoscenza possibile da parte della difesa degli atti riguardanti l'indagato, mediante deposito di quelli utilizzati, non appena eseguita la misura;

3) una fase di contraddittorio, che consenta la verifica degli elementi di accusa e di acquisizione di quelli a discarico, anche ai fini di una conseguente consapevole modulazione delle misure custodiali; struttura, che richiede, ovviamente, la partecipazione obbligatoria delle parti e la possibilita` del GIP di esaminare le prove difensive;

4) ulteriori momenti di contraddittorio (la cui necessita` dovrebbe comunque essere delibata dal giudice), nei casi di inerzia del PM dinanzi alle richieste "istruttorie" difensive, ed in caso di istanze "de libertate" fondate sull'emergere di elementi nuovi;

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5) ripensamento complessivo degli strumenti di impugnazione in materia cautelare.

Art. 1

E' prevista la modifica dell'art. 104, 3 comma c.p.p. nel senso che il colloquio del difensore con il suo assistito in stato di custodia cautelare può essere differito per non più di cinque giorni anzichè sette, come stabilisce la norma in vigore.

La previsione, che non compariva nel d.d.l. governativo e riprende quella dell'art. 1 della proposta 1005/C (Saraceni ed altri), restringe la portata della norma, che consente una limitazione del diritto di difesa quando sussistano specifiche ed eccezionali ragioni di cautela.

La modifica, che nel testo approvato dal Comitato ristretto della Camera prevedeva la possibilità di differimento del colloquio tra indagato/imputato ed il difensore per non più di tre giorni, ha inteso da un lato "ridurre" il limite attualmente imposto al diritto di difesa, pur nella previsione di ben individuate ed eccezionali cautele processuali, e dall'altro evitare una evidente scoordinazione normativa, che si sarebbe prodotta, qualora fosse rimasto immutato quanto elaborato dal Comitato ristretto.

L'art. 104, infatti, deve essere coordinato con le norme del codice di rito in materia di interrogatorio da parte del G.I.P. (artt. 294, 390 e 391 c.p.p.).

L'art. 294 c.p.p. stabilisce che, in ipotesi di arresto di una persona in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare, il G.I.P. deve procedere al relativo interrogatorio entro cinque giorni; gli artt. 390 e 391 c.p.p. prevedono che, in caso di arresto o fermo di una persona su iniziativa della P.G. o di fermo disposto dal P.M. ex art. 384 c.p.p., la persona arrestata o fermata deve essere messa a disposizione del G.I.P. entro 48 ore e questi, a sua volta, deve procedere all’udienza di convalida ed all'interrogatorio entro le 48 ore successive.

Da parte di qualcuno si è osservato che, a seguito della modifica al sesto comma dell'art. 294 c.p.p., introdotta dall'art. 11 del testo approvato dalla Commissione Giustizia (impossibilità per il P.M. di procedere all'interrogatorio della persone in stato di custodia cautelare prima che vi abbia proceduto il G.I.P.), diventa oggettivamente impossibile per il P.M. organo titolare della indagini procedere ad interrogatorio prima che l'indagato abbia fruito di colloqui con il difensore, così essendogli sottratta la possibilità di ascoltare l'inquisito non solo a fini investigativi, ma anche di ricerca di eventuali elementi a suo favore, così come disposto dall'art. 358 c.p.p..

Pur in presenza di tali riserve, questo Consiglio ritiene che un possibile affievolimento dell'efficacia investigativa, scaturente dalla previsione legislativa, sia compensata dalla migliore realizzazione del diritto di difesa, evitando che chi si trova in uno stato di coercizione renda dichiarazioni all'organo dell'investigazione, in assenza di una linea difensiva concordata con il proprio avvocato.

Alcuni, al fine di potenziare ulteriormente l'esercizio del diritto di difesa, sostengono l'opportunità di prevedere che l'interrogatorio del GIP sia in ogni caso

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preceduto da un colloquio tra difensore ed indagato, immmediatamente prima di procedere all'atto istruttorio.

Art. 2

Viene introdotto l'art. 141 bis c.p.p. secondo il quale "ogni interrogatorio di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, e che non si svolga in udienza, deve essere documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalla parti".

La previsione non compariva nel d.d.l. governativo e recupera solo parzialmente il comma 2 dell'art. 8 della proposta 1005/C (Saraceni ed altri), creando evidenti difficoltà applicative nella forma della verbalizzazione degli atti. Ne consegue, infatti, che la documentazione degli interrogatori "de quibus", salvo espressa previsione, non potrà avvenire in forma riassuntiva, anche se accompagnata da riproduzione fonografica, atteso che quest'ultima è prevista solo per il verbale redatto in forma riassuntiva: cfr. art. 134, 3 comma c.p.p.

La sanzione di inutilizzabilità introdotta per l'inosservanza delle modalità di documentazione degli atti concerne:

a) gli interrogatori svolti dal P.M. e dal G.I.P., quando tale A.G. proceda all'atto istruttorio ai sensi dall'art. 294 c.p.p.;

b) gli interrogatori fuori udienza di qualsiasi persona si trovi, a qualunque titolo, in stato di detenzione: in tale categoria si collocano anche i soggetti

"detenuti" per altra causa, tra cui in base all'art. 363 c.p.p. le persone imputate (o indagate) in un procedimento connesso ex art.12 c.p.p. o le persone imputate (o indagate) di un reato collegato nel caso previsto dall'art. 371 c. 2, lett. b) c.p.p.

Da alcuni componenti si e` osservato che, non contemplando la attuale normativa distinzioni per le modalità di documentazione in rapporto alle qualità soggettive di colui che rende dichiarazioni da verbalizzare, la modifica proposta, oltre che contrastare con l'intera disciplina codicistica in materia, appare di dubbia costituzionalità sotto il profilo della violazione dell'art. 3 Costituzione. Infatti la norma prevede modalità particolari di documentazione degli atti (uso di mezzi di riproduzione meccanica e quindi almeno la registrazione fonografica) solo per i verbali degli interrogatori resi dagli indagati o imputati comunque detenuti, mentre tali forme non si applicano agli interrogatori degli indagati a piede libero.

Secondo tale tesi, questa disparità di trattamento non appare razionalmente giustificabile, trattandosi della medesima categoria di atti (interrogatori) e della stessa qualità di soggetti e non essendo sufficiente lo stato di limitazione della libertà personale a costituire un oggettivo criterio per l'introduzione di una normativa specifica differenziata.

La violazione dell'art. 3 Cost. apparirebbe ancora più evidente, in considerazione della circostanza che le modalità particolari di documentazione non si applicano agli interrogatori di tutti i soggetti in stato di detenzione, poichè nella previsione non rientrano gli interrogatori degli arrestati o fermati svolti nell'ambito dell'udienza di convalida ai sensi dell'art. 391 c. 3 c.p.p. o degli imputati detenuti

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nell'udienza preliminare ai sensi dell'art. 421 c.p.p. e degli indagati detenuti nel corso dell'incidente probatorio ai sensi dell'art. 392 c.p.p.

La maggioranza dei componenti ha, di contro, osservato che la conformità al dettato costituzionale sarebbe assicurata dalla sostanziale diversità tra la situazione, e più ancora la condizione psicologica, che vive il soggetto detenuto rispetto a quello a piede libero, in conseguenza dello stato afflittivo di coercizione, che consiglia l'opportunita` di una documentazione piu` fedele possibile delle dichiarazioni rese. Dichiarazioni che, piu` di quelle del soggetto libero, possono risentire di detto stato coercitivo, specie nel caso in cui, come quello che si qui esamina, vengano rese al di fuori della udienza; in momenti, cioe`, in cui e` meno intenso il rapporto triadico.

La circostanza che la normativa si applichi anche agli indagati di reato connesso, e quindi anche ai "collaboratori di giustizia", non e` certo ragione che ne debba sconsigliare l'approvazione, ma puo` anzi rappresentare un modo (gia` peraltro nella prassi ampiamente utilizzato dai magistrati inquirenti) per circondare di necessarie cautele l'utilizzazione di uno strumento di indagine da ritenersi assolutamente irrinunciabile.

La delicatezza della materia e` tale che, per sua regolamentazione, occorre prescindere dall'eventuale preoccupazione di chi leggesse nella previsione normativa, più che la ricerca di appropriate forme di documentazione, un atteggiamento di sfiducia nei confronti del magistrato procedente o degli stessi legali presenti agli atti di indagine da documentare.

E` in ogni caso utile evidenziare il prevedibile aumento dei costi della giustizia penale, in considerazione sia della necessità di dotare gli uffici giudiziari e gli istituti penitenziari di strumenti tecnici idonei per la riproduzione fonografica e audiovisiva, sia della necessità di conferire incarichi retribuiti per l'effettuazione delle riproduzioni meccaniche ed ancora per la necessità di trascrivere, mediante tecnici estranei all'Amministrazione della Giustizia, le riproduzioni effettuate.

A tale previsione si dovrebbe, quindi, quanto meno accompagnare un consistente incremento di bilancio destinato all'acquisto ed alla utilizzazione di mezzi meccanici utili per gli scopi che si vogliono raggiungere; e nel frattempo occorre sicuramente prevedere una disciplina del periodo transitorio fino a quando gli Uffici non saranno effettivamente dotati degli strumenti necessari.

Per evitare ciò non appare sufficiente la previsione, che non compariva nel testo elaborato dal Comitato ristretto, della necessità di trascrizione delle riproduzioni meccaniche solo a richiesta di parte; ciò perchè come è intuitivo la possibilità di esame del testo verbalizzato, anche a distanza di tempo dalla sua realizzazione ed a fini di utilizzo processuale, è ancorata alla necessità di documentazione cartolare, non potendosi certo ipotizzare che il P.M., il giudice od il difensore debbano continuamente esaminare, riascoltare e studiare le registrazioni foniche o audiovisive per realizzare i diversi fini delle loro attività.

Art. 3

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L'art. 3 del testo, che costituisce uno dei capisaldi del progetto di riforma, modifica le lettere a e c dell'art. 274 c.p.p. in tema di esigenze cautelari (rispettivamente pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione di delitti).

1) La formulazione della lettera a, che recupera il testo del d.d.l.

governativo e, per il secondo periodo, quello delle proposte 988 e 1007 (Finocchiaro, Grimaldi), mentre nuovo è il riferimento all'art. 179, 2 comma c.p.p.

sul carattere assoluto della nullità, prevede che la custodia cautelare possa essere disposta in presenza dei seguenti presupposti:

- sussistenza di esigenze non solo inderogabili, ma anche specifiche,

- in rapporto al compimento di "atti di indagine relativi ai fatti per cui si procede",

- in relazione a situazioni di "concreto e attuale pericolo" per l'acquisizione e genuinità della prova;

- obbligo di motivazione, a pena di nullità assoluta del provvedimento, delle circostanze di fatto che fanno ritenere concreto e attuale il pericolo per l'acquisizione o genuinità della prova;

- divieto di ravvisare una situazione di concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni o nella mancata ammissione degli addebiti.

Prescindendo da alcune puntualizzazioni forse superflue - quali la precisazione che gli atti di indagine che si intende tutelare con la misura debbono essere relativi ai fatti per cui si procede e quella secondo la quale l'esigenza probatoria non può essere individuata nel rifiuto dell'indagato/imputato di rendere dichiarazioni, nè nella mancata ammissione degli addebiti - che, con tutta evidenza, si riferiscono a regole di valutazione già richieste dalla interpretazione del testo vigente (ma debbono anche suggerire un "esame di coscienza") la modifica limita la possibilità di emissione di ordinanze di custodia cautelare, in quanto stabilisce una correlazione tra atti di indagine predeterminati ed ancora da compiere ed attualità del pericolo per l'acquisizione e la genuinità di prove, sulla base di specifiche circostanze di fatto.

Con riferimento innanzitutto alle esigenze probatorie di cui alla lettera a) dell' art. 274 c.p.p, la aggiunta che deve trattarsi di esigenze 'specifiche' oltre che inderogabili, e fondate su 'circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento' (art. 3), può servire a rendere meno generica ed evanescente la motivazione del provvedimento stesso (può apparire invece superflua l' aggiunta della 'attualità' del pericolo di inquinamento probatorio, posto che il pericolo 'concreto' già menzionato nella normativa vigente non può che essere attuale).

E` stato da diversi componenti obbiettato che l'obbligo di motivazione analitica a pena di nullità in ordine alla concretezza ed attualità del pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova, potrebbe finire per vanificare la segretezza delle indagini, che trova il suo fondamento nella circostanza che le stesse si svolgono in fase preprocessuale e si giustifica con un'esigenza di cautela, che nella nuova formulazione della norma verrebbe sensibilmente depotenziata.

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In realta`, tra i due estremi di una motivazione di stile (sostanzialmente mancante) e di una motivazione così analitica da equivalere quasi ad una anticipata discovery degli elementi di accusa di cui dispone il P.M., va più realisticamente prospettata una via di mezzo consistente nella rappresentazione di elementi fattuali sufficienti a non eludere l’obbligo di motivazione del provvedimento; e, ragionevolmente, la nuova norma non può che essere interpretata in questo modo.

E' ovvio che su questo terreno il punto di equilibrio non è predeterminabile in astratto, ma è affidato alla maturazione della prassi applicativa.

Critiche quasi unanimi ha invece suscitato la previsione della sanzione della nullità assoluta per il caso di vi olazione dei predetti obblighi motivazionali, anche tenuto conto che, senza evidente fondamento, verrebbe mantenuta la sanzione della nullità relativa con riferimento alle altre esigenze cautelari, ed incombendo, altresì, il grave rischio che la nullità assoluta minacci come una mina vagante il processo fino al suo compimento.

La sanzione della nullità assoluta conseguente alla omessa indicazione delle

"circostanze di fatto" sembra destinata a produrre l'ampliarsi del "contenzioso" in qualsiasi stato e grado del procedimento ed è, oltretutto, un tipo di sanzione che non sembra conciliarsi con il complessivo sistema dei controlli sulle misure cautelari previste dal codice.

In ogni caso andrebbero, comunque, definiti gli effetti della dichiarazione di nullità sugli atti conseguenti.

Dubbi interpretativi derivano, inoltre, dalla lettura della norma in ordine al punto se la custodia cautelare in carcere ed anzi qualsiasi forma di misura cautelare personale potrà essere più disposta, sotto il profilo della lettera a) dell'art. 274 c.p.p., tutte le volte in cui la situazione di pericolo di inquinamento probatorio emerga nella fase dibattimentale.

2) Nella nuova formulazione dell'art. 274, 1 comma lettera c c.p.p. si introduce una rilevante modifica, con particolare riferimento all'inciso "reati della stessa specie di quelli per cui si procede, per i quali sia prevista una pena non inferiore nel massimo a quattro anni".

Secondo l'opinione prevalente, le modifiche proposte non sollevano particolari obiezioni quanto al limite della pena previsti per la valutazione del parametro cautelare. E' noto che in questo caso la motivazione fondamentale del ricorso ai provvedimenti cautelari è costituita dalla esigenza di tutelare la collettività; questa esigenza in realtà sussiste veramente soltanto con riferimento ai reati che presentano una particolare gravità. Da questo punto di vista l'avere fissato il limite della pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, quale tetto al di sotto del quale possono essere applicate misure coercitive dirette a prevenire la recidiva, appare soluzione sostanzialmente accettabile. Si tratta infatti di un livello di pena sul quale si attesta un campionario sufficientemente rappresentativo di reati di gravità medio-alta; e d'altra parte è difficile individuare parametri selettivi alternativi basati sul livello di pena che siano al riparo da possibili obbiezioni.

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Si delinea in realtà, anche per effetto della contestuale modifica dell'art.

280 c.p.p., una disciplina per cerchi concentrici: quello più ampio (condizioni di applicabilità delle misure coercitive) contiene i delitti punibili con pena superiore nel massimo a tre anni; quello più ristretto (applicabilità della custodia in carcere) contiene quelli punibili con pena non inferiore nel massimo a quattro anni;

analogamente per la tutela dell'esigenza preventiva.

Desta, invece, generali perplessita` la circostanza che, quale effetto probabilmente indesiderato dagli stessi proponenti, la novella finisce con l'escludere la possibilità di ricorrere a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere in base al pericolo di reiterazione di condotte delittuose sanzionate con pene inferiori ai quattro anni. Tra tali reati ve ne sono alcuni (si pensi ad esempio ad alcune truffe produttive di ingenti danni patrimoniali), rispetto ai quali non va sottovalutata l' esigenza di impedirne la reiterazione. Da questo punto di vista potrebbe essere allora opportuno prevedere la possibilità del ricorso a misure cautelari extradetentive.

Art. 4

Viene introdotto nell'art. 275 c.p.p. il comma 2 bis, secondo il quale "non può essere disposta la misura della custodia cautelare se il giudice ritiene presumibile che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena".

La nuova formula, che nel testo elaborato dal Comitato ristretto faceva riferimento solo alla misura della custodia cautelare in carcere così non tenendo conto degli "arresti domiciliari", usa la locuzione "ritiene presumibile", che ha senso solo se ancorata a parametri di riferimento bene individuati.

Poichè, in sostanza, si anticipa ad una fase preprocessuale (di solito le misure cautelari vengono adottate nella fase delle indagini preliminari) valutazioni solitamente affidate al giudice del dibattimento all'esito della formazione della prova nel contraddittorio delle parti e della ponderata analisi di tutti gli elementi di prova acquisiti, la formulazione adottata ("presunzione che possa essere concessa") appare eccessiva, perche` il giudizio prognostico richiesto deve essere di concedibilita` in concreto e non di mera possibilita` astratta di concessione della sospensione.

Viene in sostanza richiesto al G.I.P. un giudizio prognostico che, oltre a presentare le note difficoltà di ogni prognosi, con maggiore aleatorietà può essere emesso nella fase delle indagini preliminari. Il G.I.P. può infatti ragionare in termini di mera possibilità astratta, ma questa possibilità non sarebbe da escludere quasi mai, con conseguente rischio di vanificare in un numero eccessivo di casi il ricorso alle misure cautelari.

Andrebbe studiata percio` una formula che ancori la valutazione prognostica a dati concreti.

A qualcuno sembra, infine, incongruo, rispetto alla funzione della custodia cautelare, che la limitazione riguardi anche l'ipotesi di cui alla lett.a) dell'art.274 cpp.

Art. 5

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1) La nuova formulazione dell'art. 275, 3 comma c.p.p., diversa da quella del d.d.l. governativo, da quelle delle altre proposte di legge presentate nonchè dal testo elaborato dal Comitato ristretto, stabilisce che "la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'art. 416 bis del codice penale o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416 bis, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari".

Appare positivo il parziale abbandono dei casi di "quasi obbligatorietà" della custodia carceraria ed il recupero e l'allargamento della discrezionalità del giudice nella adozione della misura carceraria solo per que i reati comuni, la cui commissione non denoti particolari e complesse modalità organizzative, rivelatrici di un fenomeno criminoso maggiormente allarmante.

Va, comunque, segnalato che a vari componenti appare incongruo escludere dalle ipotesi di cattura obbligatoria reati di notevole allarme sociale: quelli commessi per finalità di terrorismo e di eversione dell'ordinamento costituzionale;

devastazione, saccheggio e strage (art.285 c.p.); guerra civile (art. 286 c.p.); strage (art. 422 c.p.); i reati di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione di armi da guerra; sequestro di persona a scopo di estorsione (art.

630 c.p.); omicidio (art. 575 c.p.); associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti (art.74 D.P.R. 309/90) ed in definitiva la gran parte dei reati indicati nell'attuale art. 275, 3 comma c.p.p.

Si e` sottolineato, infatti, che tale esclusione, che non compariva nel testo elaborato dal Comitato ristretto, appare difficilmente comprensibile sia perchè vanifica le esigenze poste a base della modifica dell'art. 275, 3 comma c.p.p., per come introdotto con D.L. 13.5.1991 n.152 convertito in legge 12.7.1991 n.203, sia perchè restringe le ipotesi di obbligo di detenzione in carcere solo alle ipotesi criminose rivelatrici dell'esistenza di consorteria mafiosa o ad essa assimilata, quasi che siano spariti dal panorama criminale fenomeni quali il traffico e lo spaccio di droga, il terrorismo di varia matrice, i traffici di armi e di materiale bellico.

Secondo alcuni l'obiezione non appare tuttavia tale da vincere l'esigenza della massima limitazione dell'area della "cattura obbligatoria", destinata, nella prospettiva della restituzione al giudice di piena capacita` valutativa della misura adeguata al caso concreto, semmai a scomparire piuttosto che ad ampliarsi.

2) La modifica dell'art. 275 comma 4 cpp, che non compariva nel ddl governativo, estende il divieto della misura custodiale in carcere anche a "padri e madri con figli in tenera età" e ai malati cui non possono essere prestate "opportune"

cure in stato di detenzione.

Si tratta certamente di norma di civilta` giuridica, ma la sua applicazione richiede, allo scopo di evitare possibili abusi, che siano individuati adeguati strumenti di controllo de lla reale esistenza delle specifiche situazioni prese in considerazione.

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Art. 6

Viene modificato l'art. 278 c.p.p. nel senso che ai fini dell'applicazione delle misure, per determinare la pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, si deve tenere conto anche delle circostanze attenuanti ad effetto speciale nonchè di quelle in ordine alle quali la legge stabilisca una pena di specie diversa da quella ordinaria.

La previsione, che non compariva nel d.d.l. governativo, è apprezzabile per l'estensione del potere valutativo del giudice alla reale offensività del fatto, così come merita di essere condivisa l'introduzione del principio già espresso dall'art.

275 c.p.p. 1930, secondo cui dopo la sentenza di primo grado l'applicabilità delle misure deve essere rapportata al reato ritenuto in sentenza e non già a quello con testato.

Valutazione diversa merita la abrogazione dell'inciso secondo il quale, nel determinare la pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari, si debba tenere conto della recidiva reiterata specifica infraquinquennale.

La previsione appare produttiva di conseguenze negative, in quanto la situazione del delinquente primario è del tutto diversa, sul piano della gravità e delle esigenze cautelari, da quella del recidivo, sicchè appare giustificato che le condizioni per disporre la custodia siano per il secondo meno restrittive.

Perplessità suscita anche la scelta di non tenere conto delle aggravanti ad effetto speciale nei casi di condanna con sentenza, che applica l'equivalenza tra aggravanti ed attenuanti. Si deve, infatti, considerare la diffusa tendenza a riconoscere l'equivalenza delle circostanze nel nostro sistema, caratterizzato dalla previsione di pene edittali molto elevate,che vengono poi temperate in fase di bilanciamento.

Ciò può determinare un notevole indebolimento della prevenzione generale e speciale delle forme di microcriminalità, perchè ad esempio uno scippatore, arrestato obbligatoriamente in flagranza, sarà altrettanto obbligatoriamente scarcerato all'atto della sentenza di condanna, che gli riconoscesse circostanze attenuanti.

Si tratta di una di quelle norme che, come già è avvenuto in passato, potrebbe determinare nell'opinione pubblica moti di ripulsa tali da provocare il prevalere di atteggiamenti di stampo iper-reattivo.

Art. 7

La norma, che riproduce parzialmente quella del d.d.l. governativo, modifica le condizioni di applicabilità delle misure coercitive, stabilendo una differenziazione per l'adozione dei diversi tipi di misure cautelari sulla base della pena edittale (art.

280 c.p.p.).

E' in particolare previsto che la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prescritta la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, mentre per le altre misure coercitive si ha riferimento ai delitti per i quali la legge prevede una pena superiore nel massimo a tre anni, così coordinando la norma in esame con quella di cui all'art.

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278 c.p.p. nuova formulazione (art. 6 del testo) ed anche con quella che introduce il comma 2 bis dell'art. 275 c.p.p. (art. 4 del testo).

Da condividere è la norma di cui al 3 comma, che consente l'applicazione della più grave misura anche per reati punibili con pena pari od inferiore ai quattro anni nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare. Sembra peraltro opportuno prevedere esplicitamente anche i condannati per evasione (posto che si evade non solo dagli arresti domiciliari) e prevedere inoltre, per i trasgressori, una più rigida e pressochè automatica disciplina dell'aggravamento della misura violata.

Art. 8

Nel sostituire il 1 comma dell'art. 291 c.p.p., mentre si lascia al P.M. il potere di cernita tra gli elementi raccolti consentendogli di trasmettere al G.I.P.

solo quelli su cui la richiesta si fonda, si fissa l'estensione con riferimento a quelli a favore della persona sottoposta alle indagini, che debbono esser trasmessi tutti, in uno alle deduzioni ed alle memorie difensive già presentate e si sanziona tale obbligo ex art. 179, 2 comma c.p.p.

Se non si ritiene di imporre al P.M. l'obbligo di trasmettere al G.I.P. tutti indistintamente gli elementi acquisiti al momento della richiesta, atteso che ciò sicuramente comprometterebbe l'esito delle indagini in cui siano collegate posizioni diverse, va preso atto che la sanzione di nullità insanabile e la sua deducibilità in qualsiasi stato e grado del giudizio introduce la possibilità di un giudizio "ex post"

circa la rilevanza a favore dell'indagato dell'elemento non trasmesso, giudizio facilmente influenzabile da acquisizioni probatorie successive, alla cui luce quell'elemento acquisti un diverso peso.

Più opportuna era la formula del d.d.l. governativo, che non prevedeva la sanzione della nullità assoluta.

E' condivisa, anche se non unanimemente, l'abolizione del principio della correlazione cautelare sia perchè, in pratica, il P.M. raramente si avvale delle facoltà di limitazione di cui all'art. 291, 1 comma bis c.p.p. sia perchè risulta rafforzata la posizione del G.I.P., quale esclusivo "dominus" della vicenda cautelare.

Art. 9

Viene modificato il 2 comma dell'art. 292 c.p.p. e si prevede, tra l'altro, alla lettera d), che il Giudice, nel motivare l'adozione della misura cautelare, debba obbligatoriamente spiegare a pena di nullità le ragioni per le quali gli elementi forniti dalla difesa non sono rilevanti.

La norma è evidentemente correlata all'art. 8 del testo che, modificando il 1 comma dell'art. 291 c.p.p., stabilisce che le misure sono disposte dal Giudice su richiesta del P.M. che presenta gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché, a pena di nullità, tutti gli elementi a favore della persona sottoposta alle indagini, comprese eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate.

Il fatto che il legislatore senta il bisogno di dilungarsi analiticamente sugli elementi necessari per la motivazione di un provvedimento è indicativo dell'avvertita

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esigenza che sempre piu` all'espansione dei poteri valutativi del giudice si accompagni un maggior rigore nella motivazione.

Non è mancato, tuttavia chi ha segnalato i possibili inconvenienti di una previsione eccessivamente dettagliata degli elementi che devono essere posti alla base della motivazione del provvedimento, la quale sembrerebbe oltretutto tradire un atteggiamento di preconcetta sfiducia circa la diligenza con cui i provvedimenti vengono di solito motivati dai giudici.

Art. 10

Viene modificato l'art. 293, 3 comma c.p.p., stabilendo che le ordinanze con le quali viene applicata la custodia cautelare e quelle che dispongono misure interdittive, dopo la loro notificazione od esecuzione, debbono essere depositate nella cancelleria del giudice che le ha emesse in uno "alla richiesta del P.M. ed agli atti presentati con la stessa".

La previsione, che non compariva nel disegno di legge governativo e neanche nel testo elaborato dal Comitato ristretto, ha l'evidente finalità di anticipare la conoscenza da parte della difesa degli atti di indagine posti a base del provvedimento cautelare rispetto al momento in cui ciò solitamente avviene esperendo la procedura di riesame ex art. 309 c.p.p.

La modifica appare condivisibile quanto all'intento di porre a disposizione del difensore tutte le fonti di prova sulla base delle quali il P.M. ha avanzato richiesta al G.I.P., nel più breve tempo possibile, ai fini di una più compiuta difesa tecnica, così forse limitando un abnorme ricorso alle procedure incidentali di riesame, volte in gran parte dei casi solo ad acquisire la conoscenza degli atti di indagini svolti dall'organo inquirente.

A taluno, peraltro, è apparso poco opportuno che sia stato previsto l'obbligo di deposito anche della richiesta avanzata dal P.M. Ed invero questi può aver indicato, in tale atto, fatti, elementi, circostanze, nominativi di persone, che per evidenti motivi di cautela processuale è inopportuno che siano conosciuti dall'indagato, nel mentre è utile siano appresi dal giudice, al fine di una più completa conoscenza e valutazione dei fatti portati alla sua cognizione, senza peraltro che sia indispensabile citarli nella motivazione del suo provvedimento, che resta l'unico titolo di detenzione e l'esclusivo oggetto di impugnazione.

Art. 11

Premesso che la previsione non compariva nel d.d.l. governativo, si osserva che la modifica dell'art. 294, 1 comma c.p.p. secondo cui l'interrogatorio della per- sona sottoposta agli arresti domiciliari deve essere effettuato non oltre dieci anziché quindici giorni dall'esecuzione della misura di scarso rilievo e comunque risulta compatibile con l'esigenza di accertare più rapidamente la permanenza delle esigenze cautelari.

Più emblematica, in quanto diretta a segnare una inversione di tendenza rispetto alla disciplina vigente, è la modifica del 6 comma dell'art. 294 c.p.p.,

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secondo la quale l'interrogatorio da parte del P.M. della persona in stato di custodia cautelare non può precedere l'interrogatorio del giudice.

Pur evidenziandosi come fra le esigenze investigative correlate all'attività del P.M. vi sia anche la ricerca di elementi a favore dell'indagato, elementi su cui l'organo dell'accusa deve obbligatoriamente svolgere accertamenti al fine di valutare se sussistano i presupposti per sostenere l'accusa a dibattimento (art. 125 disp. att. in rapporto all'art. 405 c.p.p.), la modifica appare ai più opportuna, per le ragioni gia`

illustrate in tema di colloqui con il difensore e registrazione degli interrogatori.

Ed il giudizio positivo sulla norma non muta, pur tenendo conto che, ai sensi dell'art. 121 disp. att., l'organo dell'accusa può disporre con decreto motivato che l'arrestato o il fermato sia posto immediatamente in libertà quando ritiene di non dovere chiedere l'emissione di misure coercitive, compito per il quale l'interrogatorio immediato da parte del PM puo` assumere un certo rilievo.

Qualcuno ha di contro osservato come, correlando tale previsione con quella di cui al precedente art. 10 (obbligo di deposito nella cancelleria del giudice anche della richiesta avanzata dal P.M.), appaia ancora più evidente la difficoltà per l'organo dell'accusa di svolgere utili interrogatori (contestazioni di circostanze e deposizioni rese da persone informate sui fatti o da coindagati), perchè ormai l'inquisito avrà conoscenza di tutto lo sviluppo logico delle indagini svolte dal P.M., anche di quelle non direttamente collegate alla sua posizione processuale.

Le considerazioni critiche esposte non sembrano, tuttavia, tangere l'opportunità che la norma in esame venga varata, in omaggio a quella iniziale indicazione concernente la necessità di sacrificare, ove lo richiedano fondamentali esigenze difensive, qualche discutibile segmento di efficacia investigativa.

L'interrogatorio del PM è, e deve restare, principalmente atto di contestazione dei reati e di indagine.

All'esito di tale atto, finiscono per manifestarsi comportamenti processuali dello stesso PM, incidenti in maniera diretta o indiretta sulla posizione custodiale dell'indagato (pareri, patteggiamento, consenso al giudizio abbreviato).

La fiducia nella correttezza deontologica dei magistrati del PM nell'entrare in rapporto con l'altra parte processuale prima dell'intervento del giudice e dell'interrogatorio di garanzia, non esclude pero` il peso della particolare influenza psicologica che, sul detenuto, può esercitare quell'interrogatorio e la percezione dell'incidenza delle proprie affermazioni dinanzi all'Autorità giudiziaria sulla sua posizione custodiale, che lo pone in stato di particolare coercizione e soggezione.

E' preferibile, anche per ragioni di complessiva trasparenza istituzionale, che il primo manifestarsi di comportamenti processualmente rilevanti, di chi viva tale condizioni, avvenga dinanzi al giudice "terzo".

Art. 12

La norma, che non compariva nel d.d.l. governativo, modificando l'art. 297, 3 comma c.p.p., tende a ridisciplinare il caso delle c.d. contestazioni a catena, non solo statuendo che i termini di custodia cautelare decorrono dal giorno in cui è stata eseguita la prima ordinanza e che sono commisurati all'imputazione più grave, ma

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anche facendo riferimento ai casi di connessione teleologica, limitatamente ai reati prodromici, e ai casi di reato continuato.

Da un lato si è rilevato che, così concepita, la previsione appare congrua rispetto alla limitazione che la norma stessa pone con riferimento alle ipotesi di connessione teleologica, mentre potra` avere effetti negativi con riferimento al reato continuato in particolare nei processi di criminalità organizzata - se l'indagato venga colpito da più provvedimenti restrittivi, emessi in diversi momenti per reati collegati dalla identità del disegno criminoso, quando il progredire delle investigazioni porti ad individuare in successione temporale indizi di reità in relazione ai diversi fatti criminosi ed addirittura anche quando l'ultimo di essi sia successivo all'ordinanza custodiale.

In tale prospettiva critica, alcuni giungono a paventare che la previsione possa provocare effetti devastanti, specie nell'ambito dei procedimenti di criminalità organizzata.

Si è però da altri sottolineato come non possa essere elusa l'esigenza di garantire che la custodia cautelare abbia confini predeterminabili e si è altresì rilevato come i rimedi alla lunga durata dei processi non debbano consistere in meccanismi che incidono in misura intollerabile sulla libertà dell'indagato o imputato.

Art. 13

Prescindendo dal comma 2 del testo, che introduce una modifica tecnica dell' art. 303 c.p.p., intesa a raccordarsi con la nuova previsione dell'art. 299, comma 3 ter (art. 13 del testo), l'innovazione è costituita proprio dalla previsione di un nuovo comma 3 ter di tal norma: "il Giudice, valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di provvedere può, o deve se richiesto, assumere l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini. Al P.M. e al difensore, che hanno facoltà di intervenire, è dato tempestivo avviso del compimento dell'atto".

La previsione, che recupera ma solo in parte il d.d.l. governativo e le proposte 759 e 988 (Simeone, Finocchiaro), rappresenta probabilmente, insieme a quella di cui all'art. 21 del ddl, l'intervento di maggiore delicatezza sul piano dell'assetto procedurale.

L' art. 13 e l'art. 21 del testo approvato dalla Camera si muovono in una direzione di fondo in linea di principio condivisibile. E' infatti opportuno, proprio allo scopo di riequilibrare il rapporto tra le due parti processuali, e di superare una prassi del tutto insoddisfacente di affidamento al P.M. delle istanze difensive, consentire al difensore di sottoporre direttamente al giudice, senza il filtro del magistrato requirente, gli elementi favorevoli all' indagato.

Tuttavia, le norme in questione, considerate nella formulazione finora proposta, non affrontano con la necessaria chiarezza i problemi sottesi alla loro applicazione, con il rischio di scaricarne la soluzione in misura eccessiva sulle prassi interpretative.

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Con l'espressione "gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione" di cui alla norma in esame e con quella "gli elementi che egli reputa rilevanti" di cui all'art.21, potrebbero intendersi, infatti, sia la semplice sottoposizione e sottolineatura al giudice, ad opera del difensore, di elementi di valutazione e giudizio gia` presenti in atti, come gia` accade con la normativa vigente, sia la risoluzione a livello normativo del grosso problema delle "investigazioni difensive" e della loro documentazione.

Il potere investigativo del difensore costituisce uno dei punti dolenti del c.p.p. e viene giustamente indicato quale principale spia della carenza di "pari opportunita`" tra accusa e difesa.

La dottrina processual-penalistica ha denunciato da tempo le gravi insufficienze (se non la relativa inconciliabilità) delle norme che fanno riferimento diretto o indiretto ai poteri di intervento della difesa nella fase delle indagini preliminari (artt. 358 e 367 c.p.p., 38 disp. att.). Da una parte la prospettiva degli articoli 358 e 367 c.p.p., che ripristina la figura del P.M. un po' giudice, supplente del difensore, e dall' altra la prospettiva inconclusa dell' art. 38 disp. att., che non riesce a dare reale spazio e fiato all' esercizio del diritto di prova dei difensori per la seria difficoltà di articolare i poteri di investigazione dell'avvocato.

E' perciò scontata la difficoltà di prospettare modifiche normative che, nel tendere a un completamento della attuale disciplina monca dell' art. 38, siano tali da fornire soluzioni assolutamente appaganti.

La definizione dei modi attraverso i quali sia possibile, nella fase delle indagini, documentare ed introdurre negli atti i risultati della ricerca difensiva appare non a caso problematica, essendovi consistenti remore circa la ammissibilità di una raccolta diretta di elementi probatori attraverso enunciati dichiarativi da parte del difensore.

Pur senza nutrire una preconcetta sfiducia nei confronti della correttezza deontologica del ceto forense, esistono infatti esigenze di garanzia circa le modalità di acquisizione e documentazione delle prove a discarico. La consapevolezza di ciò non deve tuttavia indurre ad assumere atteggiamenti di opposizione pregiudiziale, ma deve semmai spingere ad innalzare il livello delle garanzie con la predisposizione di strumenti adeguati. E' proprio sotto questo aspetto che le innovazioni progettate appaiono carenti sotto il profilo dei poteri di verifica e di indagine attribuiti al G.I.P., nonchè sotto l' aspetto della fedeltà e genuinità di quanto raccolto dal difensore. E' perciò auspicabile uno sforzo di chiarimento e di elaborazione diretto ad integrare le lacune riscontrabili nella formulazione normativa fino ad ora approvata.

E` stata da piu` parti prospettata la possibilita` che l'acquisizione dei risultati delle indagini difensive (quanto meno in occasione delle istanze "de libertate") possa avvenire, anziché prevedendo la diretta produzione di nuovi elementi di fatto ad opera del difensore (così escludendo il PM dalla loro conoscenza e dalla conseguente possibilità di interloquire), attraverso un meccanismo simile a quello dell'attuale incidente probatorio.

Quale che sia la scelta legislativa al riguardo, è opportuno comunque, in questa sede, auspicare che la volontà del legislatore, in materia tanto delicata ed

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innovativa, traspaia da un chiaro dettato normativo, che eviti di trasferire la questione con le sue ambiguita` ed i suoi rischi sul piano interpretativo e di far la divenire ulteriore occasione di possibile conflittualita` nel rapporto tra la magistratura e l'avvocatura.

La prospettiva di potenziamento dei diritti della difesa emerge, inoltre, da una ulteriore importante modifica in tema di revoca o sostituzione de lle misure cautelari, precisamente da quella che consente al difensore, previa richiesta, di fare assumere obbligatoriamente dal G.I.P. l' interrogatorio dell'indagato (in proposito identica procedura dovrebbe, per coerenza, essere estesa anche all' ipotesi di cui all' art. 305 comma 2° c.p.p.: proroga dei termini di custodia cautelare).

Suscita, tuttavia, decise critiche la previsione di un obbligo e non di una facolta`per il giudice di procedere all'interrogatorio dell'indagato ad ogni sua richiesta, la quale rischia di diventare ulteriore occasione di rallentamento dei procedimenti, potendo, in teoria, essere richiesto ogni giorno un interrogatorio dell'indagato.

Art. 14

La norma, che riprende l'art. 7 del d.d.l. governativo, modifica l'art.301 c.p.p. in tema di estinzione di misure disposte per esigenze probatorie. Si stabilisce con l'introduzione di un nuovo comma 2 bis che, quando si procede per reati diversi da quelli elencati nell'art. 275, 3 comma c.p.p. e da quelli per il cui accertamento sono richieste investigazioni particolarmente complesse ovvero quando siano richiesti atti di indagine all'estero (facendosi così riferimento all'ipotesi di cui all'art. 407, 2 comma lettere b e c c.p.p.), la custodia cautelare non può avere durata superiore ai trenta giorni, rinnovabile per non più di due volte e comunque entro il limite di novanta giorni, adeguatamente valutando i motivi addotti dal P.M. in ordine alla impossibilità di compiere gli atti di indagine per la cui effettuazione la misura era stata disposta e previo interrogatorio dell'imputato.

Se può in linea di principio apprezzarsi la limitazione della custodia cautelare per esigenze probatorie fissata in generale per tutti i reati ad esclusione di quelli piu` gravi o ad indagine complessa non va sottaciuta la particolare difficolta`

di individuare in concreto proprio le fattispecie che, in uno ai reati di cui all'art.275, 3^ comma, vengono escluse dal ristretto termine custodiale, difficoltà che potrebbero sfociare in continui contrasti interpretativi.

La prescrizione rigida del termine puo`, in certi casi, porsi in contrasto - per il suo collegamento con specifici atti di indagine, anziché con l'indagine nel suo complesso - con le concrete esigenze di genuina acquisizione di elementi probatori in processi di grande rilevanza, come quelli relativi a gravi delitti contro la P.A., in specie quando il progredire delle indagini evidenzi la necessità di ulteriori accertamenti non inizialmente prevedibili.

Ragioni di coerenza imporrebbero, comunque, di disciplinare con identica procedura la proroga in questione e quella del termine custodiale di cui all'art. 305, II co. c.p.p..

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Art. 15

Modificando parzialmente l'art. 304 c.p.p., viene opportunamente introdotta la sospensione dei termini di custodia cautelare anche in caso di rinvio dell'udienza preliminare per le cause menzionate alle lett. a) e b) del primo comma, essendosi constatato che il moltiplicarsi di forme di astensione dei difensori dall'attività tecnica crea gravi disagi nella fase dell'udienza preliminare, e può comportare la scarcerazione di soggetti particolarmente pericolosi per effetto della scadenza dei termini.

Opportunamente non è stata mantenuta l'abrogazione, prevista nel testo redatto dal Comitato ristretto, dell'attuale secondo comma (sospensione per i dibattimenti particolarmente complessi concernenti i reati di cui all'art. 407). Ciò avrebbe comportato non solo trattandosi di norma processuale di immediata applicazione l'escarcerazione di tutti gli imputati nei cui confronti i termini sono stati sospesi, ai sensi dell'attuale secondo comma, ma soprattutto la grossa difficoltà di celebrare i dibattimenti concernenti i reati associativi e quelli più gravi ed allarmanti, atteso che lo svolgimento di siffatti dibattimenti comporta tempi tecnici lunghissimi assolutamente non riducibili (si pensi al controesame dei testi e degli imputati ex art. 210 eseguito da decine di difensori) anche per l'obiettiva difficoltà di una concentrazione delle udienze.

Peraltro il generico rinvio contenuto nel comma 5 della proposta al doppio dei termini previsti dall'art. 303, come termine massimo della custodia, può essere fonte di gravi incertezze interpretative, non risultando affatto chiaro se la norma faccia riferimento ai termini di cui al comma 1 del 303 ovvero a quelli di cui al comma 4. Se fosse vera la prima ipotesi, il termine massimo, in certi casi, risulterebbe certamente insufficiente e tale da determinare la scarcerazione di molti imputati nei cui confronti è stata applicata la sospensione dei termini, mentre, se il riferimento fosse al comma 4, ne risulterebbe un notevole ridimensionamento della portata pratica della norma.

Artt. 16 e 17

Si introducono alcune rilevanti modifiche agli artt. 309 e 310 c.p.p. in tema di riesame delle ordinanze applicative di misure coercitive e di appello avverso misure custodiali: oltre alla non computabilità nel termine utile per proporre l'istanza dei giorni per i quali è stato disposto il differimento del colloquio a norma del novellato art. 104, 3 comma c.p.p. ed all'espressa previsione della facoltà del difensore di ottenere copia degli atti depositati nella cancelleria (così soddisfacendo precise richieste degli avvocati) viene introdotta la perentorietà del termine (5 giorni) per trasmettere gli atti al Tribunale, sanzionandone l'inosservanza con la inefficacia delle misura. Viene altresì respinta l'interpretazione giurisprudenziale secondo la quale l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale per qualsiasi causa non comporta inefficacia della misura, equiparandosi invece la decisione nulla a quella formata intempestivamente.

In primo luogo vanno evidenziate alcune difficoltà interpretative, dovute ad assenza di chiaro collegamento fra le singole norme. Invero il nuovo comma 3 bis,

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relativo alla non computabilità per l'istanza di riesame dei giorni per i quali è stato disposto il differimento dei colloqui, fa espresso riferimento anche ai termini previsti dal comma 2 dell'articolo (imputato latitante e per il quale quindi nessun differimento di colloquio è possibile): semmai il richiamo dovrebbe essere relativo alla ipotesi di cui al secondo periodo del comma 2 (esecuzione della misura).

Ciò premesso, si osserva che le innovazioni appaiono giustamente intese a rafforzare la tempestività della tutela.

Non va, peraltro, trascurato che obiettivo da perseguire dovrebbe essere, oltre la celerità della procedura, anche il decongestionamento del carico del Tribunale del riesame, che che già oggi in molte sedi giudiziarie è gravato da un numero di procedure incidentali superiore a quello dell'intero carico dibattimentale e potrebbe essere ulteriormente oberato dalla possibile reiterazione di impugnazioni volte esclusivamente ad acquisire copia degli atti di indagine.

Art. 18

Soddisfacendo reiterate richieste dei difensori, che in alcune sedi giudiziarie hanno anche attuato prolungate astensioni, con la modifica dell'art. 335 c.p.p. e con quella dell'art. 38 delle norme di attuazione di coordinamento e transitorie del c.p.p. (art. 21 del testo) si estendono i poteri di investigazione della difesa.

Ridisegnando il 3 comma dell'art. 335 c.p.p. ed introducendo "ex novo" il comma 3 bis di tal norma e l'art. 110 bis disposizioni di attuazione, si prevede che, tranne i casi in cui si proceda per uno dei delitti di cui all'art. 275, 3 comma, e di quelli puniti con la reclusione superiore nel massimo a quattro anni, le iscrizioni delle notizie di reato sono comunicate all'indagato ed al suo difensore, qualora ne facciano richiesta. Tuttavia, se sussistono specifiche esigenze attinenti l'indagine, il P.M. può con decreto motivato disporre il segreto sulle iscrizioni per un periodo non rinnovabile di tre mesi; in tali casi come in quello in cui la risposta sia negativa il richiedente entro dieci giorni ottiene il responso "nulla".

La previsione, che recepisce per intero il d.d.l. governativo, rovescia la regola della non conoscibilità delle iscrizioni sui registri mod. 21 e 22, nonche` la direttiva 35 della legge delega del nuovo c.p.p., che ha previsto che le notizie relative alle iscrizioni non possono essere chieste ed ottenute in qualsiasi tempo, ancorando le relative facoltà ed i diritti allo specifico momento processuale rappresentato dalla assunzione della qualità di imputato a norma dell'art. 61 c.p.p..

Il tema della conoscibilità dell'iscrizione è di particolare delicatezza perchè involge anche profili di tutela degli interessi della persona sottoposta ad indagine, che devono trovare giusta protezione.

Il dibattito, al riguardo, ha evidenziato diversi orientamenti.

In senso critico taluni componenti hanno osservato che, pur avendo ogni cittadino il diritto a conoscere se nei suoi confronti siano in corso indagini quale presunto autore di un reato, tale conoscenza egli debba avere non appena le indagini si siano orientate in modo mirato con il compimento degli atti c.d. garantiti.

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La modifica susciterebbe ulteriori perplessita` su un piano sistematico, in quanto, oltre ad apparire problematicamente conciliabile con il successivo art.19, che restringe i margini di comunicazione all'indagato della pendenza delle indagini, contraddirebbe uno dei due criteri informatori del processo penale: precisamente sotto il profilo che la mancanza di valore probatorio in senso stretto degli atti del PM è compensata dalla segretezza con la quale egl i può svolgere le sue indagini.

Si e` ancora evidenziato che, su un piano pratico, l'immediata (o quasi) conoscibilità dell'iscrizione puo` comportare un grave rischio di paralisi delle indagini e di indebite interferenze nel loro svolgimento e si è lamentato che non è prevista una norma di diritto transitorio relativa alle iscrizioni già esistenti (così come era invece inserita nella proposta di legge a firma Simeone ed altri); mentre nulla è detto quanto ai reati rispetto ai quali vi è obbligo di comunicazione qualora siano connessi con altri nei cui confronti tale obbligo è escluso.

Da diversa prospettiva, si è sottolineato come corrisponda, invece, a un principio di civiltà che, fuori dai casi dei reati più gravi, e ove non sussistano esigenze di speciale segretezza (come nei casi previsti dall' art. 275 comma 3 c.p.p.), il cittadino abbia il diritto di venire a conoscenza dell' eventuale pendenza di indagini a suo carico; in questo senso appare, perciò, giustificata la proposta di modifica dell' art. 335 c.p.p.

Ove vi fossero preoccupazioni che in questo modo si rischi di intaccare pericolosamente il segreto delle indagini, si potrebbe eventualmente aumentare il periodo di possibile segretazione eccezionale di cui al punto 3 bis.

Art. 19

Riproducendo il d.d.l. governativo, viene modificato l'art. 369, 1 comma c.p.p. stabilendosi che l'informazione di garanzia deve essere inviata solo quando il P.M. deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere.

La modifica è utile perchè evita che l'informazione di garanzia sia inviata in una fase precedente all'atto "garantito" ed a prescindere dallo stesso, legando "la conoscenza del procedimento" ad una oggettiva necessità istruttoria. Per evitare peraltro una lettura "in malam partem" della norma, contraria addirittura alla sua

"ratio", dovrebbe precisarsi che l'obbligo dell'invio sussiste anche nel caso di un atto garantito compiuto non direttamente dal P.M., ma da questi delegato alla P.G..

Va osservato, infine, che la norma, come si e` piu` sopra detto, non si sottrae a qualche censura di incoerenza con la nuova disciplina della conoscibilita`

delle iscrizioni.

Art. 20

La eliminazione dell'inciso "se infermo" dal testo dell'art. 386, 5 comma c.p.p., così come previsto dal d.d.l. governativo, consente al P.M. un tempestivo intervento, senza riferimento alle condizioni soggettive dell'arrestato o fermato, quanto alle modalità di custodia della persona arrestata in flagranza di reato o, comunque, fermata.

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La norma, per la sua generale applicazione, appare condivisibile in quanto, sebbene attribuisca al P.M. potestà insindacabili in materia in cui vi è un autonomo potere della P.G., realizza il generale principio di adeguatezza delle misure cautelari sin dal momento di prima applicazione da parte degli organi di polizia giudiziaria.

Art. 21

La aggiunta dei commi 2 bis e 2 ter all'art. 38 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p., già prevista nel d.d.l. governativo, collegandosi alla modifica dell'art. 335 c.p.p. (art. 18 del testo) tende come già detto all'obiettivo condivisibile di estendere i poteri di investigazione della difesa.

Si stabilisce, infatti, che il difensore della persona sottoposta ad indagini può presentare direttamente al giudice elementi che egli ritenga rilevanti ai fini della decisione da adottare e che la relativa documentazione (e quindi gli atti formati e prodotti dal difensore) possa essere inserita nel fascicolo del P.M. in originale o in copia, qualora la persona sottoposta alle indagini ne richieda la restituzione. Logica conseguenza è che con il meccanismo delle contestazioni ex art. 500, 4 comma c.p.p. tali atti possono entrare a far parte del fascicolo per il dibattimento.

Sul punto va ricordato che il legislatore del 1992 (l. 356) ha recepito, al comma 4 del nuovo testo dell'art. 500, l'esigenza di diversificazione qualitativa del dato conoscitivo proveniente dall'indagine "unilaterale", rispetto a quello acquisito in contraddittorio.

La valutazione a fini probatori del primo (veicolato attraverso il meccanismo della contestazione) è evidentemente ispirata ad un principio di non

"autosufficienza" (necessità dell'esistenza di riscontri), che riafferma come e quanto le "modalità di raccolta" pesino sulla "qualità" della conoscenza offerta. Ciò comporta, in effetti, un parziale "recupero" di legittimità di un'indagine svolta (per quanto attiene all'ascolto delle persone informate sui fatti) in assenza del difensore.

Si è passati, in altre parole, da uno "sbarramento conoscitivo" ad una articolata

"regola di valutazione", che, responsabilizzando il giudice, comunque garantisce la necessaria diversificazione tra atti di indagine e prova dibattimentale.

In una prospettiva analoga verrebbero a collocarsi gli atti di indagine svolti dal difensore e sottoposti al giudice. Ciò, come si è già osservato nel commento all'art.13, può suscitare perplessità e preoccupazioni, specie con riguardo alla attribuzione di un potere di redazione e documentazione dell'atto in capo al difensore. Invero si tratta di perplessità e preoccupazioni che prescindono da pregiudiziali mozioni di "sfiducia" nei confronti della correttezza deontologica degli appartenenti alla classe forense e che si pongono piuttosto su binari esclusivamente di ordine tecnico: se, infatti, nella fase preliminare si raccolgono elementi dichiarativi suscettibili (sia pure in forma mediata) di pesare nell'economia della decisione, ciò comporta inevitabilmente l'esigenza di un "innalzamento" del profilo di ritualità procedimentale dell'atto, che non può essere "caricata" soltanto sul soggetto difensore.

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Bisogna dunque ovviare alle difficoltà tecniche offerte dalla modifica, pensando, ad esempio, a forme di assunzione in contraddittorio delle prove offerte dalla difesa.

Art. 22

La norma, modificando l'art. 94 disposizione di attuazione, coordinamento e transitorie del c.p.p., introduce un meccanismo di informazione del detenuto all'atto dell'ingresso nell'istituto penitenziario, quanto al contenuto del provvedimento restrittivo nei suoi confronti emesso, e gli riconosce la facoltà di consultare in ogni momento la sua cartella personale e di avere copia dei provvedimenti emessi dalla autorità giurisdizionale, che lo riguardino.

Atteso che ai sensi dell'art. 293 c.p.p. all'arrestato deve essere consegnata copia del provvedimento restrittivo e che ai sensi dell'art. 116 c.p.p. chi ne abbia interesse (quindi anche l'indagato/detenuto) ha facoltà di ottenere copia di atti, la modifica appare in gran parte di scarsa incidenza pratica.

Art. 23

La norma, che non era prevista nel testo unificato elaborato dal Comitato ristretto, introduce l'art. 102 bis nel D.Lgs. 28.7.89 n.271, che va a collocarsi subito dopo l'art. 102, avente ad oggetto le modalità di presentazione della domanda di riparazione dell'ingiusta detenzione.

Il testo della nuova norma prevede che chiunque sia stato licenziato dal posto di lavoro a causa della sottoposizione a custodia cautelare in carcere ex art.

285 c.p.p. o agli arresti domiciliari ex art. 284 c.p.p. "ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro medesimo qualora venga pronunziata in suo favore sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione".

La introduzione della norma è indicativa dell'apprezzabile intenzione di prevedere una ulteriore forma di riparazione dell'ingiusta detenzione, ma a differenza dell'art. 314 c.p.p., prescinde dalla definitività del provvedimento giurisdizionale di conclusione del processo. La reintegrazione nel posto di lavoro, quindi, potrebbe essere richiesta già subito dopo l'archiviazione, la sentenza del giudice dell'udienza preliminare o la sentenza di primo grado.

L'impatto della norma è di scarso peso sul rapporto di impiego pubblico, perchè la sospensione cautelare del dipendente, quale conseguenza di custodia cautelare, è revocata in caso di sentenza di proscioglimento, ai sensi dell'art. 97 D.P.R. 10.1.57 n.3 (sullo stato giuridico dei dipendenti civili dello Stato).

Ben diverse sono le conseguenze nell'ambito del rapporto di lavoro privato, dal momento che ricade sul datore di lavoro l'onere di reintegrare un dipendente eventualmente non più necessario alla sua struttura aziendale.

Di fronte a possibili riserve in proposito, qualcuno ha osservato che la norma si pone in sintonia con i principi che informano il diritto del lavoro privato, alla stregua dei quali, a causa del coinvolgimento della persona del lavoratore, la disciplina del rapporto tra esigenze dell'impresa e doveri di assistenza e solidarietà

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comporta in più punti (malattia, lavoratori invalidi ecc.) che vengano compresi nel rischio di impresa anche eventi che sarebbero ad esso estranei secondo la disciplina generale dei contratti.

Art. 24

La norma prevede l'abolizione dell'art.371 bis c.p. (false informazioni rese al PM), introdotto dal DL 8.6.92 n.306, convertito con modifiche nella legge 7.8.92 n.356, dopo la strage di Capaci.

Tale abolizione comporta che, in caso di dichiarazioni false o reticenti rese al P.M. da parte della persona informata sui fatti, si potranno al più configurare gli estremi del delitto di favoreggiamento personale.

Pur se condivisa da una minoranza, la cancellazione del reato di cui all'art.371 bis c.p. (che non compariva nel d.d.l. governativo), ha suscitato in Consiglio notevoli e diffuse riserve.

Infatti, da un lato, sono note la ragioni di fondo che hanno indotto ad introdurre questo nuovo reato, che è venuto a colmare una lamentata lacuna di tutela, e cioè uno spazio residuo posto fra il reato di favoreggiamento personale e quello di falsa testimonianza. In realtà l' art. 371 bis c.p. munisce di tutela penale l'obbligo contenuto nella norma processuale di cui all' art. 362 c.p.p, secondo cui le persone sentite dal P.M. su circostanze utili ai fini della indagini sono tenute a dire ciò che sanno.

Dall'altro lato, però va osservato che la introduzione di questa nuova figura di reato è stata considerata quanto meno discutibile da una parte della dottrina, che ne ha messo argomentatamente in dubbio la costituzionalità sotto il profilo del rispetto dei principi contenuti nella legge-delega sul nuovo codice, in particolare sotto il profilo della violazione della parità della accusa e della difesa. Ma è anche vero che, specie a seguito della novella del 1992, la raccolta di informazioni ad opera del P.M. ha acquisito maggiore rilievo processuale per i più ampi margini di una loro utilizzabilità in sede dibattimentale. In ogni caso è fuori discussione che la fattispecie incriminatrice in parola può assolvere ad importanti funzioni, anche sul terreno della prevenzione generale.

In materia di criminalita` organizzata, in particolare, la norma assumerebbe l'oggettivo significato di un "abbassamento della guardia", perchè potrebbe indurre la convinzione che sia legittimo mentire al P.M., così favorendo l'omertà e tutte le altre forme di indisponibilità alla collaborazione spesso manifestate da persone informate sui fatti, anche con riferimento a procedimenti penali di grande rilevanza.

Se la ratio della prevista abrogazione è da ravvisare nell' esige nza di riequilibrare i rapporti tra accusa e difesa, non sembra in realtà che per il raggiungimento di un tale obbiettivo la abrogazione stessa sia condizione necessaria, poichè il riequilibrio può essere raggiunto ben altrimenti.

E' giustificata, invece, la preoccupazione di rimediare agli abusi che si sarebbero verificati sul terreno applicativo sotto forma di arresto in fragranza dell' interrogato mendace.

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