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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.02 (1875) n.40, 7 febbraio

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L'ECONOMISTA

GA Z Z E T T A SE T T I MANAL E

SCIENZA ECONOMICA, FIN AN ZA, COMMERCIO, BANCHI, FERR O V IE, INTERESSI PR IV A TI

Anno II -'Voi. Ili

Domenica 7 febbraio 1875

N. 40

IL CONGRESSO DI MILANO

i

Non occorre scusare presso i nostri lettori il ritardo con cui veniamo a discorrere del triduo celebrato a Milano, sui primi giorni dello scorso mese, nel Congresso di economisti, avendo già dichiarato che volevamo attenderne un resoconto degno di piena fede, il quale adesso appena si è compiuto nell’ organo ufficiale de’ congressisti. Nè abbiamo a pentircene, perchè è probabile che i ragguagli dati da’ giornali di allora ci avrebbero tra tti in errore. Come ogni cosa del mondo, il Congresso ebbe il suo lato ridicolo, di cui noi non amavamo occuparci, eppure era questo il solo che i giornali d’allora ci lasciasser vedere. Oggi, in­ vece, il lungo resoconto dell’ Economista d’Italia, accuratamente riveduto e corretto, ci apre gli occhi alla luce ; e, mostrandoci come anche nella festa milanese qualche cosa di serio si può spigolare, ci consola, e ci spinge a parlarne di buona voglia. Non vorremmo, per altro, esser fraintesi. Codesto

qualche cosa di serio non vorremmo sia preso troppo

sul serio da’ nostri lettori ; noi lo diciamo soltanto nel senso che il Congresso offre molto da riprovare e nulla da encomiare.

Noi dobbiamo per prima cosa rimproverare al Congresso la flagrante infedeltà con cui ha m an­ cato alla missione che si propose. La circolare di Padova si era espressa ben chiaro ; trattavasi di « investigare quali funzioni economiche spettino allp Stato odierno, perchè la libertà non si sfrutti dal fatalismo degli ottimisti, ma diventi ognor p iù

certa e feconda. » Paradossale quanto si voglia,

questo proponimento meritava un certo rispetto, ed apriva il cuore a qualche buona speranza. Noi, è vero, come i nostri lettori ben sanno, non fummo mai così semplici da prestar fede alle promesse de’vincolisti. Sapevamo, e non abbiamo taciuto, che trattavasi del più antico ed intricato problema della scienza economica; abbiamo osservato a tempo l’impossibilità di risolverlo in una riunione di uomini, de’ quali la gran maggioranza non siasi mai preoccupata di simili indagini, e che si sa­

rebbe arruolata, così alla ventura, sulla piazza del Duomo per condurla entro la sala del gran Congresso, com’è l’uso de’ meetings. Ma ad ogni costo, fu voluto e fatto il Congresso. Che cosa n’è uscito? Il quesito, per cui fu convocato, non vi si è nè anco proposto; se qualcuno si avventurò a ricordarlo, la sua importunità non servì che a provocare un tratto di teocratica presidenza, che 10 scartava assai bruscamente, rendendo così il primo omaggio a quella libertà di scienza, di cui, come ognun sa, i vincolisti lombardo-veneti si professano apostoli e martiri.

Semplice molto e spedito è il modo in cui il seggio presidenziale si comportò. L’onor. Lamper- tico aprì lo spettacolo, recitando, per la decima volta, un sunto di economia politica, congegnata a suo modo. Ripetè le solite frecciate agli ottimi­

sti; il solito teorema del lasciar fare divenuto

oggidì, se non assurdo ancora, inopportuno e vec­ chio ; il solito bisticcio degli interessi, che egli consente di chiamare armonici qualora non sieno disarmonici; la solita apoteosi dello Stato, che, lungi dall’essere un male, è un beile, secondo lui

necessario, un bene troppo spesso più funesto che

11 male, noi ci permetteremo di avvertire in pa­ rentesi ; ripudiò ogni solidarietà colle dottrine te­ desche, delle quali egli, e più di lui gli amici suoi, sono stati fino all’altr’ ieri caldi propagatori in Italia; citò, come luminosa confutazione del­ l’accusa di germanismo, l’articolo con cui il Luz- zatti fece una apologia furibonda delle dottrine medesime che intendea di respingere; e tanto ba­ stava perchè si comprendesse come diveniva inu­ tile ingolfarsi a discutere il quesito per cui il Congresso erasi radunato. Sopravvenne il Luzzatti, con la sua edizione di storia inglese,e allora sì, che la discussione definitivamente si chiuse.

Sicché il gran problema è già bello e sciolto. La scienza economica ha il gran torto di aver tanto voluto perseguitarlo, cercando una forinola, nella quale i limiti delle competenze governative si trovassero assai bene segnati perchè la libertà

diventi ognor p iù certa e feconda. Ma, grazie alle

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130 L’ ECONOMISTA

l’indole razionale dello Stato e le sue funzioni. Non bisogna che invocare il responso di questo doppio oracolo, Luzzatti e Lampertico; i quali dal canto loro han fatto il gigantesco progresso di ispirarsi alla dottrina di Luigi XIY. Lo Stato, essi hanno sentenziato senza nè anco avere il coraggio di dircelo, lo Stato siam noi, e le sue funzioni son quelle che noi vorremo. — Speriamo che il Cobden Club, che la società degli economisti francesi, non escluso il Wolowski, si affretteranno a prendere buona nota di questa nuova dottrina, che è evidentemente destinata a divenire qualche cosa di mondiale, insegnata come sarà colla punta d’ùna spada vittrice.

Ben più che dalla reticenza, il vero fine del doppio oracolo si desume dalla scelta de’ temi particolari (leggete: delle pratiche questioni), che furono sostituiti al tema scartato. E i temi parti­ colari sarebbero sembrati opportuni anche a noi, se si fossero attinti fra quella massa di teoremi preliminari, da cui il problema delle funzioni go­ vernative scientificamente dipende. Studiare, ad esempio, la legge secondo cui opera la concor­ renza ; esaminare e definire, un po’ meglio di ciò che finora si è fatto, in qual modo l’ elemento morale si possa contemperare con l’elemento eco­ nomico; pesare la somma de’ beni e de’ mali che sgorgano sotto l’impero della coercizione o sotto l’impulso della libertà naturale ; verificare la po­ tenza pratica dello Stato a produrre ciò che egli desideri, o la gravità delle jattu re che fatalmente nascono dalla sua impotenza: queste, e cento altre consimili, son quistioni tratte proprio dalle viscere dell’argomento, strettamente connessegli; e son vera economia sociale ; e nulla vi può essere di più utile e nobile, nè di più scientifico, che il presentarle ad un riesame spassionato e tranquillo di uomini competenti.

Ma, come vedremo più tardi, le domande che si son poste all’ ordine del giorno in Milano ap­ partengono alla sfera delle applicazioni ; la scienza vi entra appena di sbieco ; tanto vi entra 1’ eco­ nomia a un di presso, quanto l’igiene, la morale, il diritto, la tecnologia, la navigazione, il com­ mercio ; e per quella parte per cui vi può entrare, il suo titolo e le sue armi unicamente consistono nel principio regolatore di tu tte le ingerenze go­ vernative, in quel principio appunto che gli an­ tesignani del Congresso vollero eliminato. Del che, la miglior prova si scorge nel resoconto medesimo del Congresso, ove l’economia-scienza bisogna cer­ carla col microscopio, non si distingue che per essersi completamente ecclissata nella miseria delle argomentazioni scambiatesi fra gli oratori.

Invece, vi campeggia e vi splende anche agli occhi de’ciechi il gran principio: lo Stato siam

7 febbraio 1875

noi. Non giova dunque dissimularlo, parliamoci francamente. La capricciosa scelta di questioni che non erano per l’Italia nè così gravi, nè u r­ genti per domandare un congresso ; la leggerezza con cui si esposero ; la smania di venire a con­ clusioni precipitate; le formole con cui si concluse, tutto dimosti-a lo scopo supremo che al Congresso si intese prefiggere. Si affermò la necessità di una legge, si fe’ voto perchè il Parlamento non tardi a deliberarne una seconda, o perchè lo Stato prov­ veda a una terza. Due membri del potere legi­ slativo han fatto la scelta ; essi proposero, essi propugnarono, essi soffocarono ogni velleità di contrasto, essi imposero dolcemente la forinola e la fecero deliberare sotto il loro vigile sguardo : che cosa mai ogni animo indifferente sarà costretto di leggere in una condotta, che ci crediamo assai moderati chiamandola strana? Leggerà che queste tre leggi son già collocate sotto il patrocinio di una fittizia popolarità, e guai a chi oserà contra­ starle ! Leggerà una pura e semplice pressione, che si è tentato di esercitare sul Parlamento, da due membri del Parlamento : da tutto questo arti­ fizio non sorge alcun sentore di scuola.

Noi saremmo, del resto, relatori inesatti, se trascurassimo qui di avvertire che una tinta di Scienza nel Congresso vi fu , e teorie se ne dis­ sero. Ma che razza di scienza fu quella ! e quanto non è doloroso il vedervi impigliato il nome, a noi caro, dell’onorevole senatore Lampertico !

Nel bisogno di un punto fermo su cui poter fissare il primo anello della catena di funzioni governative, egli fa suo, com’è noto, il malinteso volgare e germanico, che snatura radicalmente e volge in ridicolo la tesi delle Armonie. In pienis­ sima buona fede, come sempre , il Lampertico crede di aver fatto una grande scoperta, annun­ ciandoci che gl’ interessi in questo mondo non sono armonici sem pre, e vi è bisogno della Sta­ tistica per indicarci i casi ne’quali noi sono.

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evoluzione si svolge per la quale esso ha l’appa­ renza di trovarsi costituito in due razze: la divo­ rante e la divorata ? Quanto a n o i, ne eravamo informati da lungo tempo, e, molto meglio che da filosofi antichi o recenti, noi 1’ avevamo appunto imparato dagli economisti della vecchia scuola. Su questo fatto fondamentale, non vi può essere e non v’è disaccordo; le cifre statistiche non sarebbero che vasi a Patmo e fichi ad Atene.

Ma qui comincia la discrepanza. I vincolisti as­

seriscono, senza averne mai dato una prova, che

dovunque si trovi discordia, usurpazione , errore, là chi possa e debba appianare, conciliare, armo­

nizzare ogni cosa, è la mano dello Stato, son essi.

Noi ragioniamo ben altrimenti. Noi non asseriamo di nostro capriccio, ma, con uno sterminato corredo di fatti, dimostriamo che havvi per 1’ umanità un’altra legge fatale inesorabile: usurpare e di­ vorare, fu e sarà sempre possibile, noi diciamo, ma ad un gran patto, a patto che, presto o tardi, l’op­ presso rilevi il capo, e 1’ uomo divoratore riesca, dal canto suo, divorato. Questa sanzione naturale ed inevitabile, noi aggiungiamo, è la gran forza ri­ paratrice su cui bisogna precipuamente, per non dire esclusivamente, contare. L’Umanità è costretta di apprendere a sue spese che la libertà e la giu­ stizia non si possono violare od offendere, senza che la reazione ne scoppi, e che l’altalena conti­ nua degli interessi usurpatori è la causa viva, per cui la ricchezza, con tanta pena prodotta, si an­ nichili, e la specie si strozzi, e la creatura, che pur poteva e doveva elevarsi verso il suo creatore, ri­ cada ad ogni momento nel fango, come se abbia sortito per suo naturale retaggio un continuo e fatale ricorso di fame, di guerra, d’infermità, di mi­ serie. L’Umanità è costretta in fine ad apprendere che non havvi per lei alcuna lusinga di benessere solido e duraturo, se non sia riposta in un sistema di immacolata giustizia, che significa di pienissima libertà ; nel sistema in cui ogni ostacolo, fosse pur minimo, sia rimosso, allo svolgimento delle facoltà che furon date all’essere umano, come mezzo di conquistare la bruta natura ma rispettando il suo simile.

Ecco in qual senso VArmonia economica è stata preconizzata, ed ecco come il vincolismo pretende di sfigurarla. Le armonie di cui noi parliamo son quelle che nascono per virtù provvidenziale della libertà ; i vincolisti ci han fatto dire che noi le supponiamo preesistenti. L’intervento governativo, che noi respingiamo, è quello di cui non esiste na­ turalmente il bisogno, o non siasi abbastanza pro­ vato che debba riuscire efficace quanto la libertà non riesca. I vincolisti son più svelti di noi, ma son vittima cieca di qualche cosa, che sarà illu­ sione, in tu tti i casi in cui è non calcolo interessato.

L ’intervento, essi lo vogliono ad ogni istante, per­ chè ? perchè ad ogni istante trovano disarmonie, perchè la loro statistica si dà l’inutile incomodo di confermarne l’esistenza, perchè la loro indiscuti­ bile sapienza ne conosce, ella sola, i rimedii op­ portuni, e sempre, in una parola: perchè lo Stato son essi.

Il mistero delle armonie si riduce a decidere: se l’ordine naturale del mondo non sia qualche cosa di più efficace che un codice indigesto, di umana fattura: se un espediente possa ispirarci una fiducia degna di stare a fronte di quella, che scende direttamente dalla sapienza infinita,

\ che trasse il mondo dal nulla ed impose agli

uomini, come legge suprema della loro coesistenza, il canone della libertà inviolabile ; se Dio non è qualche cosa di più che un ministro qualun­ que se la manetta del questurino non è in­ finitamente meno gagliarda ed educatrice, che l’onnipotenza della libertà. E tu tta dunque la no­ vità, profondità, originalità de’nostri- avversarli con­ siste nel non essersi accorti dell’incredibile equi­ voco in cui son caduti ; ed è solo perciò che han potuto sì spesso ripetere la freddura dell’ottimi­

smo, con quell’altra, ancora più puerile, dell’ar- monia prestabilita di Leibnizio, Ma si tiene dun­

que un Congresso nella capitale morale d’Italia per far pompa di simili sbadataggini ? E ci vo­ levano de’ grandi studi per evitare un qui prò quo così umiliante ? Oh ! eravi, se non altro, il libro di Bastiat. Non fu scritto, ben lo sappiamo, in te­ desco ; ma qualcuno ha pur dovuto tradurvelo, perchè non v’è lingua in cui non si possa leg­ gerlo ormai, ed una nuova versione si è sentito or ora il bisogno di farne in inglese.

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132 L’ ECONOMISTA 7 febbraio 1875

s’incrociarono nella sala, riflettendosi fino al corpo degli stenografi. Abbiamo profondamente ammirato l’effusione di nobili affetti, tra persone che noi ave­ vamo il torto di credere corrose da vecchi rancori, e che in vece han mostrato quali eroici sacrificii si possan compire sopra l’altare della sciènza. Le metafore, è vero, scarseggiarono un poco, e forse è nostra la colpa ; ma la dottrina, la profondità, e l’eloquenza, irruppero a torrenti, e ne fanno ampia fede i frequenti e fragorosi e prolungati applausi, che a nessuno oratore mancarono fuor­ ché a que’due soli che ebbero, ci perdonino, il cat­ tivo gusto di atteggiarsi ad oppositori contro il parere della Presidenza. Insomma, le tre giornate di Milano resteranno memorande nel nostro paese; uno degli oratori lo ha solennemente predetto, e noi siamo pienamente di accordo con lui, salvo, solo, ove occorra, di spiegarne un po’ meglio il perchè.

La discussione Selle Casse postali di risparmio

al Congresso tli Milano

Egregio Signor Direttore,

Un giornale politico di Milano, il quale è no­ toriamente amico svisceratissimo dell’ onorevole Luzzatti, osò dire che i seguaci delle dottrine smithiane ebbero, nel Congresso di Milano, ampia

e piena libertà di propugnare le loro idee, e che certo non è per mancanza di libertà se rimasero schiac­ ciate.

Oh! gli amici troppo zelanti!

Nel Congresso di Milano, quasi tutti i membri della società A. Smith brillarono come assenti. Mancavano gli avversari: e quando mancano, come mai si possono schiacciare?

In secondo luogo, un oratore non poteva par­ lare più di un quarto d’ora: e questo limite si può forse conciliare coll’ampia e piena libertà di discussione ?

E tu tti hanno riconosciuto e riconoscono, per­ fino lo stesso giornale milanese, che non rispar­ miò incenso e mirra all’ onorevole Luzzatti, che nella questione dei principii dell’una e dell’altra scuola non si penetrò. E come dunque i seguaci di una scuola potevano essere schiacciati dai se­ guaci dell’altra?

Strano, ma pur vero. Io solo, che pur sono un umile gregario del valoroso esercito dei liberisti, I una sola volta presi la parola nella questione se si debba o no accettare l’ ingerenza governativa nelle casse postali di risparm io/E qui il Luzzatti dovette limitarsi a proporre un ordine del giorno, affatto platonico e sentimentale (che trovò perfino !

qualche oppositore fra i così detti nuovi) con cui riconoscendo opportuno aiutare il risparmio colla istituzione delle casse postali, si considerava però come prematuro decidere, se le casse debbano am­ ministrarsi direttamente dallo Stato, o considerarsi come succursali delle casse di risparmio già esi­ stenti. E la discussione fu strozzata : giacché dopo di me e contro di me parlarono quattro o cinque oratori, e poi il Luzzatti, che parlò egli solo per più d’un’ora. Così che si fece tard i; la seduta stava per sciogliersi ; e quella, cioè la terza, era inesorabilmente l’ultima.

Perciò permettetemi ora, egregio direttore, al­ cune considerazioni in risposta a quelle dei miei avversari.

Il Luzzatti, splendidamente e con calorosa elo­ quenza, ricamò a lungo su queste due semplicis­ sime idee: la in Inghilterra le casse postali di risparmio governative ottennero buoni risultati; ed il governo inglese è un buon banchiere : 2a in Italia il risparmio si sviluppa troppo lentamente, e bisogna facilitarlo. Conclusione: bisogna istituire anche in Italia le casse postali.

Ma, citando le cose inglesi, il Luzzatti, pare a me, non è stato logico. Difatti, cominciò per dire che in Inghilterra le libere casse di risparmio erano fallite a centinaia e che il povero, nel dubbio se il suo denaro sarebbe stato o no custodito da esse con fedeltà, non risparmiava più. Benefica quindi riusciva la istituzione delle casse postali, nelle mani d’un governo, come l’inglese, solidissimo, e nel cui credito s’ ha, giustamente, grandissima fi­ ducia. Ma il Luzzatti disse ancora che le libere casse di risparmio italiane non fallirono punto, di regola, ai loro impegni, ch’ esse sono una gloria nazionale, che Pròre-Orban le additava con se­ greta invidia all’esempio di tu tti i paesi, giacché avevano attraversato felicemente tu tti i pericoli e tutte le crisi. Inoltre non può dirsi che il governo italiano goda ora un credito eguale a quello di cui godeva il governo inglese, quando Gladstone istituì le casse postali di risparmio. Un confronto fra la condizione dell’Inghilterra e quella dell’Ita ­ lia non può a meno che porre eloquentemente in rilievo i due seguenti fatti: 1° In Inghilterra li­ bere casse di risparmio mal sicure: in Italia si­ curissime : l’ha detto il Luzzatti ; 2" In Inghilterra governo godente di un credito di molto maggiore a quello di cui il governo italiano. Di guisa che in Inghilterra sorsero le Casse postali di risparmio in circostanze affatto diverse da quelle che si pre­ sentano ora i n , Italia.

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tuttora contro il disavanzo, ed ha di già conver­ tito in un’arm a finanziaria, la più disastrosa cui possa ricorrere un governo, la circolazione dei biglietti di banca, contraendo in tal modo il de­ bito di un miliardo, ed è obbligato a vivere di espedienti finanziari più o meno ingegnosi, ma pur sempre espedienti. Questo è un fatto doloroso, che cesserà : ma è un fatto pur troppo innegabile. Ora, nelle presenti circostanze, non potrà forse avvenire (se il governo nostro amministrerà esso stesso le casse postali) che nasca nell’ animo del povero il dubbio che il suo denaro sarà custodito, o no, con fedeltà ? Questo dubbio ora è tu tt’altro che infondato. Ed ha detto il Luzzatti, che questo dubbio fu la causa per cui in Inghilterra, man­ cando la sicurezza delle libere casse di risparmio, il povero non risparmiava più. Se questo dubbio sorgerà in Italia contro il governo, pochi risparmi affluiranno alle casse governative. Ci pare che questa sia una conseguenza logica di ciò che disse lo stesso Luzzatti.

E quando egli soggiunse che il governo britan­ nico è un buon banchiere, s’ egli ha inteso dire con ciò che il denaro depositato nelle sue casse è sicuro, ha detto cosa verissima. Ma ci pare il­ logico il considerare questo fatto come favorevole all’istituzione, ora, in Italia, delle casse di rispar­ mio governative. Non crediamo che il Luzzatti possa aver inteso dire che un governo è capace di fare il banchiere e l’imprenditore d’ industrie, meglio dei produttori che sorgono naturalmente col sistema della libertà; giacché, in tal caso, egli avrebbe enunciato uno dei più screditati sofismi, che non vale la pena di confutare nelle colonne dell’ Economista.

Il Luzzatti parlò, a lungo, della spaventosa lentezza con cui nelle provincie meridionali si sviluppa il risparmio. Ma è forse vero che ivi, tranne il Banco di Napoli che funziona come cassa di risparmio e i cui depositi non superano i sette milioni di lire, la previdenza ed il risparmio siano istituzioni sconosciute ? È parso a me, ed a molti altri, ch’egli abbia detto proprio così. Pure, a pag. 117 del libro di Martello e Montanari — . Stato attuale del credito in Italia — sta scritto che

il numero delle casse di risparmio è negli Abruzzi e Molise di 6, nella Campania di 12, nella Basi­ licata di 3, nelle Calabrie di 3, tutte fondate dopo il 1860. Dunque i 7 milioni depositati nelle varie casse del Banco di Napoli sono soltanto una parte dei risparmi delle provincie meridio­ nali. Quivi si risparmia ancor poco, è vero. Ma crede forse il Luzzatti che basti dare ai meri­ dionali le casse postali perchè essi risparmino ? Avvi quivi qualcosa di più importante e di più urgente da compiere per ora. Gli è verità d’eco­

nomia mondiale che la ricchezza ed il risparmio non si sviluppano dove manca la sicurezza delle persone e delle proprietà. L’Italia meridionale ha bisogno anzitutto di sicurezza. Il miglior modo di favorire il risparmio è di renderlo possibile e non 10 è fin tanto che manca la sicurezza.

Il Banco di Napoli non raccoglie che 7 milioni di risparmi : ma perchè? perchè il vincolo, che ora lega il Banco al governo, è un ostacolo a che afflui­ scano a lui i risparmi del povero Quando nel 1860, sotto il ministro Pepoli, venne eretta la Cassa di risparmio di Napoli, essa aveva una gestione se­ parata ; ma nel 1864, sotto il ministro Torelli, fu fusa addirittura col Banco ; ed ora, in seguito al consorzio delle sei banche, il Banco di Napoli ha un avvenire che dipende dall’avvenire del go­ verno. Sarà un avvenire buono, lo speriamo; ma per ora ? Ora una libera cassa di risparmio, sag­ giamente amministrata, offre più sicurezza del Banco di Napoli, unicamente perchè T ingerenza governativa, per scopo fiscale, ha perturbato la legge naturale della libertà dell’ industria ban­ caria.

Il Luzzatti vuole facilitare il risparmio di quei 15 milioni d’italiani, che ora lo ignorano. Lo vo­ gliamo anche noi ; e chi non lo vuole ? Ma quali sono i mezzi più acconci ? Qui è la questione.

Ci pare sia un lavoro improduttivo gettare una buona sementa in un campo tutto coperto di male erbe e di spineti; bisogna estirpare dapprima gli spineti e le male erbe. Ci pare che l’ individuo, 11 comune, ogni corpo morale, e quindi anche lo Stato, hanno l’obbligo di astenersi dal far il male, prima di predicare il bene. La cassa postale di risparmio è benefica, siamo d’ accordo : questo e

ciò che si vede subito da tutti. Ma, per facilitare il

risparmio, bisogna anzitutto togliere gli ostacoli che ora per opera dell 'autorità lo rendono difficile; ecco ciò che a primo aspetto non si vede; ecco il lato della questione che il Luzzatti non ha esaminato: pure coloro che vogliono davvero il progresso de­ gli studi economici, non debbono mai dimenticare

ce qu’on volt et ce qu’on ne voti pas di F. Bastiat !

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134 L’ ECONOMISTA 7 febbraio 1875

E in Inghilterra e nel Belgio, prima di istituire le casse postali, si è abolito il lotto. Questo di­ ciamo non per scopo politico, ma solo per con­ statare i fatti, seguaci, quali siamo, del metodo di osservazione, vecchio come i libri di Smith e di Say, e che pure certuni, ora, in Italia, vor­ rebbero appropriarselo come nuovo!

È noto che il giuoco del lotto promuove l’im­ previdenza, l’ozio, l’ immoralità ; il lotto strappa ogni anno al risparmio della popolazione italiana 87 milioni ; e chi può calcolaret tu tti i funesti effetti sociali che ne derivano ? E anche noto che sonvi ora, in Italia, altre tasse, le quali colpiscono la sussistenza dell’ operaio ed il piccolo capitale in formazione. P ur troppo T azione fiscale dello Stato perturba le leggi naturali della formazione della ricchezza e del risparmio. Non dimentichiamo che gli economisti debbono ancora lottare e lot­ tare, perchè diminuisca il male che ora è prodotto da un’eccessiva ingerenza governativa ; pure ora, proprio ora, nelle condizioni in cui ci troviamo, v’ha chi dice volere il progresso ed intanto pro­ pone una maggiore ingerenza!

Tornando alla questione delle Casse postali, il Luzzatti, benché abbia parlato assai a lungo, pure non ha trovato tempo di confutare la seguente idea, ch’io ho esposto, panni, chiaramente — se il governo, io dissi, amministrerà le casse postali) appena l’orizzonte politico o sociale si oscuri, av­ verrà dei libretti ciò che sempre avviene dei bi­ glietti delle banche privilegiate, aventi un legame intimo col governo, cioè i detentori si affollano agli sportelli per farseli rimborsare : ecco quindi il governo che, per fare il bene!, ha istituito le Casse postali, posto nella seguente tristissima con­ dizione — proprio nel momento in cui ha bisogno di denaro, perchè la crisi politica o sociale au­ menta le sue spese e diminuisce le sue entrate, i proprietari dei libretti accorrono in folla a lui per domandargli del denaro.

Io aveva anche detto che, nel 1848, il governo francese, nelle cui mani stavano i fondi delle casse di risparmio, non potè restituirli, giacché dovette servirsene per far fronte alle sue spese straordi­ narie ; ed il Luzzatti rispose che fu un caso ecce­ zionale. Verissimo: ma può rinnovarsi, tanto più. facilmente là dove il governo lotta indarno con­ tro il disavanzo. Soggiungeva il Luzzatti che nel 1848 anche molti industriali e banchieri francesi si trovarono, come il governo, nella impossibilità di soddisfare a tu tti i loro impegni: ma egli non ha detto se avrebbero anche mancato ai loro im­ pegni le casse di risparmio, quando fossero state

J

libere. Pure qui è ìa questione. Luzzatti non ha

notato che una Cassa di risparmio libera non su­ bisce, come un governo, le tristi conseguenze di

una battaglia, di una sommossa, di una crisi po­ litica o sociale. Le seguenti parole, che ha pro­ nunciato lo stesso Luzzatti, danno torto a lui, e ragione a noi, liberisti: « Prère-Orban, egli disse, additava, con segreta invidia, le casse di rispar­ mio italiane, le quali avevano attraversato felice­ mente tutti i pericoli e tutte le crisi. » Ma non possono attraversarle felicemente le casse gover­ native, perchè governative.

Molte altre considerazioni avrei da fare ma que­ sta lettera è già troppo lunga. Permettetemi solo, sig. direttore, che dica come due egregie persone, la cui voce suonava autorevole nel convegno di Milano, rispondendo a me, hanno enunciato due massime, eh’ io d’ora innanzi considererò sempre come le due più grosse e fulgide gemme della così detta nuova scuola !

Io aveva detto essere cosa vecchia, come i libri di Smith e di Say, ma che pur troppo bisogna ancora ripetere, che il governo è sempre un agri­ coltore, un manufattore, un banchiere meno felice di quelli che sorgono naturalmente col sistema della libertà. E il comm. Ellena (cito il Pungolo, che considera l’Ellena quale uno dei più autore­ voli oratori del Congresso; e lo era di fatto) nega

che lo Stato sia un cattivo banchiere e di regola un cattivo imprenditore d'industria: è un sofisma vec­ chio, cui ora non si crede più: cita molti fatti in ap­ poggio (applausi).

E l ’avv. Benvenuti disse e scrisse nei giornali che è una strana ed assurda massima quella di un oratore (cioè di me) che il governo prima di fare il bene debba astenersi dal fare il male.

So che non è acconcio confutare queste mas­

sime (!) nelle colonne dell’Economista. Mi è però

dolorosissima cosa dover constatare che venne sa­ lutato con applausi (in pieno secolo XIX, e per­ fino in un convegno che si disse di economisti, e da coloro che dicono volere il progresso degli studi

economici) l’uomo che sostiene essere un vecchio

sofisma, cui ora non si crede più, che lo Stato è un cattivo banchiere e di regola un cattivo im­ prenditore d’industria! Io sono intimamente con­ vinto, e parmi debbano esserlo anche tu tti coloro che hanno studiato l’ economia politica, che le '

massima dell’avv. Benvenuti e del comm. Ellena,

provano luminosamente che pur troppo si rinno­ vano ancora, e perfino si applaudono, in pieno secolo XIX, alcuni dei più vecchi e screditati so­ fismi economici.

Ferrara, 25 gennaio 1875.

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DELLA CASSA DI RISPARMIO LOMBARDA

ANNO 1873

Nel corso di 50 anni la Cassa di risparmio di Milano ha generato 76 casse figliali, e mantenendo il titolo di Lombarda ha allungate le braccia nel Veneto e sino ad Udine, confine ultimo orientale d’Italia, firmando l’azienda per lire 224,927,399. 64 in credito ai depositanti al finir del 1872; divise quelle lire su 264,890 libretti, che in media mo- stran per ciascuno lire 849.14.

Tutta quest’ azienda ha rimescolato 4,133,998 libretti per 870,883,601.99 lire depositate, e un profitto d’ interesse per lire 88,127,929. L’ attivo finale di 243,271,159. 99, aveva un passivo oppo­ sto di lire 228,206,431. 93. Quindi lasciava un nu­ merario in cassa di 8,956,730. 08. Su questo fi­ nale aprissi il bilancio dell’anno 1873, il quale meno felice dell’antecedente, vide scemarsi il con­ corso dei depositanti per lire 4,710,166.01, ma altresì le passività che salirono solo a 222,139,775. 34. Il patrimonio o fondo di riserva che era di lire 15,064,728.06 divenne a fin del 1873 di lire ita­ liane 16,421,218. 64; salite ad 84 le casse di ri­ sparmio.

Questo volume d’amministrazione del 1873 ha questi finali:

Attivo

eongaranziaipotecar. L. 58,626,696.25 Capitali mu-' a corpi morali . . » 9,056,565.64

tuati. . con pegno di effetti

pub-! filic i... » 81,907,355.32 C a m b i a l i ... * 6,994,187. 38 Buoni del Tesoro...» 17,541,597.96 Conto corrente colla Banca na­

zionale ... * 10,871,675.35 Effetti p u b b l i c i ...» 35,756,071.97 Beni stabili, mobili e crediti di­

versi ... » 3,799,887.04

Residui inesatti d’interessi. . » 3,711,475.15

Numerario in cassa . . . . » 10,895,481.92 A fine del 1873, in tutto . L. 238,560,993. 98

Passivo

Per 275,297 libretti devesi la

somma d i ...L. 221,166,951.14

Per debiti diversi . . . . » 972,824.20

Fondo di rise rv a ... » 16,421,218. 64 Somma pari all’activo . L. 238,560,993. 98 Altre sopravvegnenze fra attive e passive che finiscono in un altro attivo di 95,534. 96.

Quest’è pel patrimonio ; per T anno particolar­ mente si presentano queste speciali cifre:

Attivo

Ì

sui capitali a mutuo L. sugli effetti pubblici. >

sui buoni del tesoro, conto colla Banca e sconto cambiali . . . . » Utili d i v e r s i ... » 7,236,617.12 2,291,656. 71 1,628,844. 60 45,492. 68 In tutto . . L. 11,202,611.11 Passivo Interessi ai depositanti . . . L. 7,708,586. 53

Stipendi agl’ impiegati . . . » 423,911.80

Amministrazione e perdite » 849,156. 96

Imposte . . . . . . . » 960,000. 00

Utile aumento del fondo di

ri-s e r v a ... y> 1,260,955. 82

Eguale all’attivo . . L. 11,202,611.11

Il Contoreso dal mezzo secolo ci lasciò divisa cognizione dei diversi valori dei depositi fatti ; quello del 1873 diede i fatti suoi e i rimborsi rispettivi onde possono vedersi qual maggior parte di depositanti ebbe maggior fede nel risparmio, e quale per le infelicità dell’anno fu costretta a ritirarlo.

Nota il celebratissimo cav. Grriffini ragioniere, che a far diminuire i depositi e ad accrescere i rimborsi furono cagione il caro di tu tte cose, e l’of­ ferta di maggior frutto dato dalle banche popolari. Veramente il 3 e mezzo per .cento che dà la Cassa di risparmio è un po’ poco, avendosi avuto il sei e dallo Stato e al contrattare privato e il più dell’altre casse dando il quattro, alcune più del quattro, talune il cinque ; ma T amministra­ zione non si fece mai usuraia, e per lunga serie d’anni non trasse da’ suoi capitali che fra il quattro e il cinque per cento, per alcuni non raggiunse il quattro lordo e per altri non ebbe il corrisposto ai depositanti. Due volte tuttavia provò a corri­ spondere per alcuni anni il quattro: ma prudenza esige che si misuri il dare colTavere, e si abbian grossi fondi in cassa.

(8)

136 L’ ECONOMISTA 7 febbraio 1875

volume sono in cinque classi distinti fino a quella di oltre dieci mila lire, poco aiutando la cifra dei rimborsi in tre diverse classi distinta. Daremo adunque separatamente le diverse distinzioni. A fine del 1872 avevansi libretti :

da i lire a 20 33,972 da 21 » 100 34,644 da 101 » 250 40,305 da 251 » 500 41,734 da 501 » 1000 50,348 da 1001 2000 35,783 da 2001 » 5000 21,966 da 5001 10000 4,774 oltre le T> 10000 1,364 In tutto sommano 264,890

Nel 1873 si aggiunsero libretti:

Da 1 lira a 20, 43,161 - da 21 a 50, 36,393 - da 51 a 100, 29,807 - in tutto 119,361. Coi 108,921 dei rimasti a fine del 1872 sommano a 228,282. Essendo stati ritirati dei da 1 a 20 lire, 36,480 - da 21 a 50, 35791 - da 51 a 100, 36,385 - in tutto 108,664, rimanevano a fine del 1873 libretti 119,618 e quindi 10,697 più che non vi erano a fine del 1872. Certo questi rappresentano la parte più povera dei depositanti. La categoria imme­ diata da 101 a 500, è pel 1873 divisa in cinque nei depositi e in tre nei rimborsi : impossibile quindi misurare i bisogni sulle potestà ; che se pei biso­ gni si ebbe, come vedremo, cura di far risaltare un punto più culminante, ed è stato ottimo darne un altro per la potestà, i raffronti non hanno identico luogo. Ecco il documento :

Per da 101 lire a 200, 28,865 - da 201 a 300, 25,795 - da 301 a 400, 15,646 - da 401 a 499, 9,716 - da 500, 86,861 - oltre le 500, 1394.

Contro questi depositi vennero i rimborsi. Da 101 a 199, 29,814 - di 200, 98,704 - da 201 a 500, 10,339.

Contro depositi 178,883 di questa seconda classe stanno 138,857 ; cioè resta una permanenza di 40,026. In questa parte si segnala il maggior nu­ mero delle potestà che fu sulle 500, e il maggior dei bisogni che fu sulle 200.

Dopo la categoria 500 si hanno chiaro notati i rimborsi :

Da 500 a 1000, 9068 - da 1001 a 4000, 11,160 - oltre le 4000, 3,163; di questa adunque i rim­ borsi superarono di 10,697 i depositi, e come le somme son le maggiori e per i maggiori te ­ nenti non deve avervisi accagionato il caro del- l’ogni cosa, anzi loro favoreggiatore, può darsi che le migliori offerte d'altre banche, facendo cilecca, abbiano vinto il meno ; e così per le ragioni note o supposte e le ignote, i depositi del 1873 in

277,638, furon diminuiti di 270,804 lasciando in permanenza soli 6,834 depositi. Ma io so che gli amministratori della cassa spauriti dal prodigioso concorrere a darle denaro, vedendo che per quanto assidui fossero al lavoro gli ufficiali e vi si affa­ ticassero, bisognato avrebbero d’ aumentarne il numero e quindi la spesa, e di giunta mancar la rendita a questa pel troppo danaro che sarebbe rimasto giacente infruttuoso in cassa per non tro­ var modo di collocarlo sicurissimo e con quelle cautele che eglino si sono prefissi, avvegnaché molti domandino, ma pochi abbiamo le guaren­ tigie opportune, risolvettero di diminuire ai de­ positanti l’ aggio del tanto per cento. Ciò per altro, come vediamo, non li allontanò in propor­ zione, e le banche popolari, se molto raccolsero, molto accettarono anche senza cauzione o quasi, il che non si concedette dalla cassa di Lombardia. Ne’ primi 39 anni la cassa lombarda agì in modo da finire, colla rimanenza viva di libretti 96,904 portanti fra capitale e interessi la somma di lire 74,484,783; ma liberato il paese dall’ incubo au­ striaco (1859), la somma ingrossò anno per anno di casse filiali che da 16 salirono ad 84 e quindi ebbesi nel 1873 il tanto di libretti e di crediti di essi che ho detto; e così la media di credito di un libretto che fin del 1859 fu di lire 768. 66; i libretti a fine del 1866, liberata Venezia, si tro­ vavano in 39 casse, quant’ erano allora, 159,875 per L. 130,483,161, quindi la media del libretto era salita a 816.15. La diminuzione a fine del 1873 in faccia ai concorsi delle banche popolari, e al mag­ gior fondo di riserva lasciato dimostra T alta fi­ ducia alla rettitudine della Cassa lombarda. ■

Sarebbe desiderabile avere di questo 1873 le cifre rispondenti dell’insieme delle altre easse del regno ; ma io non ho, nè credo che altri abbia, notizia più giù che dal 1869. In quell’anno si da­ vano per tu tta Italia al 31 dicembre per capitali ed interessi capitalizzati o da capitalizzare lire 297,092,925 in 512,853 libretti. Di queste cifre si assegnavano alla Lombardia libretti 203,232 per lire 178,017,949, onde pel resto d’Italia sarebbero rimasti 299,621 libretti per 119,074,621 lire ; la media cifra del valore del libretto di Lombardia lire 875. 96 ; degli altri solo 397. 42 ; nè importa fermarci sulla poca differenza che è da questo libro a quello dato da Milano, il quale pel 1869 rende 203,078 libretti e lire 177,697,934, e media di libretto lire 875.02.

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tenuto a quell’epoca dall’ Emilia il capitale di 38,632,954 in libretti 109,646, per 353. 27 media di essi; e molto più dalla Toscana cbe ebbe so­ pra 91,855 libretti lire 38,583,185, ossia 420. 04 per libretto: meno ricchi e più economi.

Testé apparve lo stato di lire 380,065,174 do­ vuto ai depositanti il 31 ottobre 1874, con un patrimonio e una riserva di 28,352,915; per tutta Italia; ma la somma pel Lombardo s’innalza di molto sopra la metà di tutto il regno, toccando quasi i due terzi, essendo stati 279,650 libretti per lire 221,415,770.28. Questo può scusare il Governo, se avendo utili officiali in ogni picco­ lissimo paese li voglia offerir dappertutto a chi voglia accumular risparmi eh’ ei riceverebbe, e, rendendo il tre e mezzo per cento, amministre­ rebbe nel fondaco dei Depositi e Prestiti, con lor ragione a parte. Certo, massime nel basso d’Italia, sono grandi estensioni con sì poco d ’utile che non si trovò modo di piantarvi da nessuna cassa ma­ dre alcun particolare rampollo, e que’ singoli offi­ ciali se vi si mettessero con amore sarebbero op • portunissimi; ma T amministrazione dello Stato parve sì poco fortunata fin qui da non ispirar molta confidenza per la sicurezza de’ capitali, per Teconomia delle spese amministrative, e pel rag­ giungimento utilitario del fine di pronti, misurati e provvidenti aiuti e soccorsi all’agricoltura e al­ l ’industria. I bisogni di questa e di quella pron­ tamente riconoscibili in diversi punti della peni­ sola quanto i mezzi di sicurtà può l’ aiuto non farsi stentare, e riuscire adeguato a tempo senza incertezze, inquietudini e spese vessatorie. Cotesto si potrà egualmente nella presenza di una sola cassa e da ogni luogo tanto lontana? Yero è che la concorrenza delle altre casse esistenti sarà sprone al meglio per la governativa. Ma, e le spese di amministrazione ? La cassa lombarda coll’aiuto e Ta entratura di tante figliali nel 1873, spese ir amministrazione lire 117,878. 50, e in salari lire 423,911.80; insieme sole 541,790.30 per tu tto fi movimento di 472,155,473 lire che equivale ad un­

dici centesimi ogni cento lire. Ciò è mirabile di­

nanzi a quel che costano le 176,343,252 di ri­ scosse e spese di tu tte le provincie dello Stato scritte in 2,980,937 d’amministrazione e 2,777,312 di salari, e insieme 5,758,249 che riescono lire 3. 36 ogni cento di lire. Il paragone forse non calza a quadro, ma per chi conosce la quantità e la qualità di lavoro degl’impiegati pubblici e il si­ stema amministrativo in xoro mano, non sarà così arrendevole a credere che la cassa in mano al go­ verno sia per costar tanto poco quanto relativa­ mente la cassa lombarda. E tacerò dei Comuni che spendono 52 milioni sopra 278 di amministra­

zione fra dare ed avere, il che risponde al 18. 60 per cento !

Come poi non si dissimula che di tal cassa deve avere grande aiuto la finanza dello Stato, io de­ plorerò che più a questo concetto che al morale del persuadere al povero T amor • del risparmio, ministri e Parlamento non abbiano pensato che molti non si faranno coraggio al' proprio bene. È vero che i libretti non sono tassati, ma è anche vero che diminuisce il possibile patrimonio e che tanto meno resta per i materiali aiuti all’ agri­ coltura e alle industrie artigiane.

Oggi più presto queste che quelle essendo sul forte dello sviluppo, hanno invertito le partite del passato. Il posto di preminenza eh’ era dei mutui ipotecari è stato preso dalle sovvenzioni contro

pegno a b r e ^ scadenza. E i pegni furono di va­

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138 L’ ECONOM ISTA 7 febbraio 1875

prestar mano se aiutino, ma saranno condannati se disaintino, peggio se non lascian parlare, pes­ simamente se opprimono.

Prof. Luciano Scarabelli.

LA DISPUTA ECONOMICA IN ITALIA

' (tyttere di un francese)

¡ H t . . •! t M

Florence, 2 Février.

Monsieur Jules Franco,

Directeur du journal L ’Econohista, Florence.

Puisque vous m’avez promis d’insérer dans vo­ tre estimable journal les lettres que j ’adresse à Monsieur Lèroy Beaulieu, j’ai l’avantage de vous transmettre la première, et en vous priant d’avance d’agréer mes remerciments, je m’engage à vous envoyer régulièrement toutes les autres.

J ’ai l’honneur de vous présenter mes civilités empressées.

Jean Monville.

Florence, 2 février.

Monsieur Paul Leroy-Beaulieu,

Dir, cttur du journal L ’Economiste Français, Paris.

Je suis Français: c’est-à-dire qu’élève et p ar­ tisan de l’école économique de mon pays, j ’ai été, je suis et je reste convaincu des vérités qu’elle

enseigne.

Surpris de l’espèce d’auréole dont s’est entourée tout-à-coup l’école allemande qui se dit nouvelle, j ’ai une fois encore étudié ses meilleurs et plus illustres auteurs, qui ne m’ont rien révélé.

J ’ai suivi les débats qui s’agitent aujourd’hui en Italie, et malgré que je fuie la partialité, je ne puis renier mon pays ni mes opinions libérales. Or, la disposition que je constate dans la presse scientifique française à se ranger du côté de l’ar­ bitraire, excite au plus haut degré mon étonne­ ment.

Dans votre numéro du 23 janvier Vous avez publié une correspondance de Milan qui, en ter­ mes voilés, dénote la plus grande sympathie pour les théories de l’école socialiste, autant que l’im­ plicite adhésion que vous leur accordez.

Ces théories pseudo-nouvelles occupent actuel­ lement la presse de la Péninsule, très satisfaite d’avoir de la copie scientifique sans bourse délier, et d’en bourrer son public, charmé de son côté d’apprendre à vol d’oiseau. C’est l’esprit du jour, mais j ’ai été, je l’avoue, bien étonné qu’un jour­ nal français ait réservé un engageant accueil aux contrefaçons scientifiques de quelques jeunes gens aussi avides de nouveautés qu’impatients d’études.

Je ne mettrai point en ligne les luttes sérieuses et utiles que la France a soutenues et dans les­ quelles elle a constamment arboré la bannière de la vérité, de l’honneur et de la liberté, car vous avez été un de ses plus illustres champions ; mais, frappée dans sa puissance militaire et politique, la France n’a-t-elle donc plus rien à défendre ? N’est-ce pas la France intellectuelle et savante qui a sauvé l’Europe entière de l’envahissement des armes et des doctrines communistes? N’est pas elle qui a donné au monde Dunoyer et Bastiat? je n’en cite pas d’autres, parce que ces deux hom­ mes suffisent pour illustrer toute une époque et toute une civilisation.

Il faut donc croire, Monsieur, que Vous n’avez pas exactement suivi les discussions qui se sont élevées dernièrement en Italie entre les maîtres et les amateurs d’économie politique.

De même que la signature de quelque illustra­ tion politique suffit à démontrer qaelles sont les opinions du premier journal qui nous tombe sous la main, Votre nom placé en tête de l'Économiste

français indique clairement quels sont les prin­

cipes scientifiques que Votre feuille doit défendre et soutenir dans la patrie de J. B. Say.

Je ne dis pas que la science doive avoir un parti pris ; bien loin de là, elle est impassible, car elle ne recherche que la vérité, sans se préoccu­ per des conséquences et des conclusions pratiques qui peuvent en résulter ; mais lorsqu’elle est de­ meurée victorieuse dans toutes les luttes qui lui ont été livrées par le génie utopiste, et qu’elle seule a triomphé des commotions sociales et des aberrations révolutionnaires, n’a-t-elle pas acquis le droit d’être entièrement respectée dans une pu­ blication économique rédigée par Paul Leroy-Beau­ lieu? C’est pourquoi je me permettrai de vous adresser quelques lettres que vous voudrez bien, j ’espère, me faire l’honneur de reproduire dans t votre excellente revue.

Ces lettres seront empreintes de la modération que doit avoir celui qui, en défendant ses prin­ cipes, n’a d’autre but que de faire' briller la vé­ rité aux yeux du public, tout en respectant les personnes qui la combattent de bonne foi, la cro­ yant fausse.

Mes lettres intéresseront sans doute vos lecteurs, soit parce que la’question qu’elles traiteront pour­ raient passer d’Italie en France, comme elle a déjà passé, sous une autre forme, de France en Italie, soit surtout parce que la science est universelle, et particulièrem ent la science économique qui se rattache de tous côtés aux intérêts de tout pays et de tout peuple.

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qui ont suivi dès son origine la discussion actuelle, et qui doit fixer, quoiqu’avec des résultats bien différents, l’attention des orthodoxes aussi bien que des hétérodoxes de la science, c’est-à-dire, que la question qui a été tout à coup soulevée en Italie, et qui paraissait insoluble, ne se réduit mainte­ nant qu’à des nuances très faibles sur les points les plus délicats des idées divergentes. Peu à peu les adversaires les plus autorisés du principe de liberté se sont retirés de leurs positions avancées, et s’en tiennent aujourd’hui à la défense, toute platonique, de ce que personne n’a jamais songé à attaquer ; les chefs ont engagé la lutte et lais­ sent exposés leurs pauvres prétoriens à toutes ses conséquences.

Pour vous en convaincre, lisez le premier ar­ ticle sorti de la plume de M. Luzzatti dans la

Nuova Antologia de septembre dernier, — c’est le

premier coup de canon tiré par les insurgés contre la forteresse de la science, — et comparez-le à ce qu’a écrit M. Luzzatti lui-même et beaucoup d’autres après lui, et vous verrez quelle énorme distance ils ont parcouru depuis le point de départ de leur discussion, jusqu’au but auquel ils visent.

Par exemple, en parlant du budget de l’instruc­ tion publique d’Angleterra et des Factory and

Workshops Acts, M. Luzzatti disait dans son pre­

mier article : « il ne faut pas croire que les An­ glais, qui cultivent si bien la science économique, se soient déterminés à abandonner le laissez faire et le laissez passer pour accepter avec une puérile étourderie l’intervention de l’E tat ; chaque pas contre la liberté a été précédé d’enquêtes, et ce n’est que lorsqu’on s’est aperçu que le conflit des intérêts était inévitable sans cette intervention, que celle-ci a été confirmée. » — Il semble que M. Luzzatti se prononce ici indirectement contre le laissez faire et le laissez passer ; il dit, en ef­ fet, sans ambiguité, un peu plus loin, que malgré les formules et les espérances des harmonies pré­ établies par Leibnitz et Bastiat, la société est hérissée d’intérêts chpquants, et qu’au moment*où leur influence menace ruine, le laissez faire et le

laissez passer doivent céder leur place à l’inter­

vention de l’É tat. Eh bien, Monsieur, à trois mois de date, M. Luzzatti, comme le médecin de Mo­ lière, « a changé tout eela. » Dans une lettre qu’il adressait au Directeur du journal L ’Italie, il lui élisait: « dans votre article d’hier vous m’attribuez l’opinion que l’époque de la fameuse maxime du

laissez faire et du laissez passer ait fui. Cela n’est

pas exact.... je disais seulement que le problème de l’intervention de l’E tat est un des plus délicats. » E t comme d’habitude, toute école, qui est, ou qui se croit nouvelle, commence par les côtés poé­ tiques du sujet, plutôt que par son essence même,

les pensées de ces messieurs, comme les fleurs du printemps, se sont annoncés par le parfum de leurs expressions plutôt que par la rigueur de leurs principes. En voici un échantillon:

« L’Allemagne, disait il y a trois mois M. Luz­ zatti, avec ses grandes^ victoires militaires et po­ litiques, a toujours rempli le monde de ses doctri­ nes philosophiques, religieuses et sociales; et ses idées, qui sont toujours la substance la plus spi­ rituelle, semblent tirer leur éclat de la splendeur d’une épée victorieuse. C’est pourquoi les écrivains français sont maintenant très peu lus et considérés moins encore qu’ils ne l ’étaient avant Sédan.... La pensée des savants allemands est profonde : leurs têtes sont enveloppées de nuages chargés d’électri­ cité qui éclatent en faisceaux de lumière. »

N ’admirez vous pas comme moi, monsieur, l’élé­ gance et la simplicité des formes louangeuses em­ ployées en pareille matière où doit se montrer pure et froide la vérité de la science? L’Allemagne est le seul creuset de la pensée humaine, et elle doit être le vrai milieu de la science en général et de l ’économie en particulier; l’Allemagne qui a inventé une nouvelle méthode historique, sui­ vant laquelle « l’homme ne peut être guidé par une seule doctrine juridique, éthique et économi­ que, mais par toutes les économies, tous les droits et toutes les morales adoptés, comme dirait Darwin, à son ambiant spécial; » c’est cette méthode qui nous montre « la nécessité phisiologique qui a dé­ terminé auprès des générations passées les phases économiques imparfaites ; » et c’est de cette mé­ thode que Roscher, Knies, Hildebrand et cent autres ont fait couler fraîches et étincelantes en ruis­ seaux d’or, les ondes des nouvelles vérités, en réhabilitant le passé, en justifiant le présent, en préparant l’avenir.

Le pauvre Smith et son école sont déjà trop anciens ; ils ont posé pour base aux lois écono­ miques la rélation permanente de l’égoisme humain avec la richesse, et ils les ont fait planer sur le temps et sur l’espace, en les croyant immuables, et en oubliant que l’homme change suivant les endroits géoidrographiques où il déploie son acti­ vité individuelle et collective.

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140 L’ ECONOMISTA 7 febbraio 1875

reté la liberté individuelle, aussi bien que le dé­ veloppement naturel des phénomènes sociaux, et d’entreprendre les travaux qui ne peuvent pas être du ressort de l ’individu ou de l’association, cette vérité, base de toute démonstration économique, ne doit pas non plus rester trop longtemps vraie. Savez-vous pourquoi ? Dans le premier cas, parce que quand on a construit le chemin de fer de la ville A à la ville B, au lieu de prendre la ligne droite par la voie X, on a pris la ligne courbe par la voie T ; dans le second cas, parce qu’en Angleterre les télégraphes ont été achetés par l ’Etat, et que l’E tat intervient toujours davantage dans l’exploitation des chemins de fer. La ligne droite serait ainsi, par suite des progrès mathé­ matiques, devenue courbe; et l’Etat, par suite des progrès économiques, cesserait d’être la sauvegarde et le maintien de la liberté pour en devenir le violateur.

Voilà comment, par la fausse observation de quelques faits particuliers, on voudrait renverser des principes scientifiques universel. C’est comme si quelqu’un en voyant un bâton plongé dans l’eau, voulait soutenir qu’il est brisé. Que diable! il faut bien le croire, puisque on le voit de ses propres yeux ! On pourrait en déduire alors, comme conséquence logique, le principe que l’eau a la propriété particulière de briser les choses qui y sont immergées. L’application pratique de ce rai­ sonnement serait d’enlever de la mer, des lacs et des fleuves tous les navires pour éviter qu’ils ne s’y brisent. Si la science n’expliquait pas, p ar la loi de réfraction, le phénomène d’un rayon de lumière qui passe d’un milieu homogène dans un autre milieu homogène de différente densité, le fait observé, q’un bâton plongé dans l’eau se brise, serait une investigation profonde, une nouvelle analyse, auxquelles il faudrait soumettre la phi- sique de notre planète. De cette façon la décou­ verte de la vérité serait la chose la plus facile du monde, et on courrait le risque d’être d’autant plus savant qu’on serait ignorant.

Les adversaires du principe de liberté, sous une forme pas tout à fait nouvelle, répètent un nom­ bre infini de sophismes, mille fois combattus victo­ rieusement. Ils ont réussi à en faire une espèce de système, qui vu de loin parait, ainsi qu’un décor, harmonieusement conçu et finement peint, mais qui examiné de près apparait tel qu’il est en effet: une illusion d’optique, un échafaudage de contradictions.

Cet examen, je m’engage à le faire, sans parti pris, sans rien y m ettre de mes opinions person­ nelles; et lorsque je vous ferai le portrait des principaux personnages de l’école autoritaire, je

laisserai intacte l ’empreinte dont la réflection des faits et des documents animera mes lettres.

Agréez.... etc.

J. MonVil l e.

fili studi Geografici eâ il Congresso Internazionale

DEL 1875

Condizione passata e presente degli stu d i g eo g ra­ fici. - Scopo ed u tilità dei medesimi. - Associazioni libere per 1* increm ento della geografia. - C orri­

spondenze e congressi. - N atu ralisti, v iag g iato ri, ingegneri e docenti. - Il Congresso internazionale geografico di Anversa e quello di P a rig i del 1875. - Sezioni e gru p p i di quest’ultim o. - 1 sette gru p p i della sezione scientifica. - M atem atica. - Idrografia. - Fisica. - Storia. - Economia. - D idattica. - V iaggi. - L’Esposizione geografica contem poranea. - Il que­ stionario del Congresso. - Sua soverchia estensione. - Questioni geografiche in teressan ti l’Italia.

Gli studi geografici furono per lungo tempo ne­ gletti : parvero anzi privilegio e quasi monopolio di pochi, fino a che la generale diffusione dello spirito investigatore e di ricerca non li rianimò, e li fece progredire col concorso degli arditi esploratori e degli scienziati che ne fecondano, coordinano e spie­ gano le scoperte.

Studiare la terra nei suoi aspetti diversi, nella sua fisica costituzione, nella manifestazione della vita alla sua superficie ; indagare i mezzi di misurarla e di rappresentarla, nonché determinare le sue re­ lazioni con gli altri corpi celesti ; chiarire la condi­ zione successiva, del nostro pianeta nelle diverse epoche del passato e scrutare le impronte della storia del suolo ; mirare a facilitare ed abbreviare le rela­ zioni tra i vari popoli, nonché ad accrescere la su­ perficie terrestre da essi abitabile ; tali sono, somma­ riamente espressi, gli scopi precipui delle discipline geografiche. Le quali in questi ultimi tempi sono state grandemente promosse e favorite dai governi e ¿;on amore pari all’ intelligenza coltivate da asso­ ciazioni libere, qual’ è, per ta'cere dell’ estere cele­ bratissime, la Società'geografica italiana, (I ) cui vor­ remmo che ogni amante della grandezza della patria comune si ascrivesse, per concorrere a far grada­ tamente riacquistare all’ Italia 1’ aureola di gloria perduta in un ramo di operosità civile, nel quale nei secoli decorsi essa tenne incontestabilmente il primato.

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zioni libere o società, provarono il bisogno di coor­ dinare il frutto disparato dei respettivi studi; il che fecero dapprima con lo stabilire delle regolari cor­ rispondenze e di poi, recentissimamente, mercè il favore delle comunicazioni facilitate, col riunire in congresso, a parlamento, ossia a discussione, gli uo­ mini che isolatamente, ognuno per conto suo, si ap­ plicano alla soluzione dei gravissimi problemi

geo-grafici. .

E vaglia il vero, come non convenire col Vivien de Saint-Martin, nella sua Storia della Geografia, « che la conoscenza della nostra dimora terrestre è il ramo di scibile del quale dobbiamo essere più teneri, come quello che si connette, strettissimamente a oii- merosi, quanto gravi interessi che sì da vicino ci riguardano ? »

Ad accrescere e rendere meno incompleta questa conoscenza, concorrono non soltanto i geografi che si applicano più particolarmente a siffatto ordine di studi ; ma i naturalisti, che, per compiere altre ri­ cerche, han d’uopo d’invocare il soccorso della geo­ grafia ; i viaggiatori che, talvolta con rischio di vita, allargano gli orizzonti della scienza e moltiplicano le vie del commercio ; i professori, che dalla catte­ dra o con la stampa, contribuiscono a diffondere le cognizioni geografiche; gl’ingegneri, che con porten­ tosi lavori pubblici hanno, si può dire, creato co­ municazioni d’ ogni maniera nel mondo intero ; e tutti coloro infine, che oggi sono la Dio mercè nu­ merosissimi, i quali molto s’interessano alle questioni relative al nostro pianeta, e si adoperano per affret­ tarne e propalarne la soluzione.

È tra questa svariata categoria di persone che reclutano i loro membri i Congressi intemazionali, di cui il primo fu tenuto con splendido successo nel 1871 in Anversa, ed il secondo con assai mag­ gior solennità avrà luogo contemporaneamente ad una Esposizione geografica, e per dieci giorni nella estate prossima, aprendosi in agosto nella metropoli francese, per iniziativa e cura della Società di Geo­ grafia di Parigi, la quale ha già saputo per ciò as­ sicurarsi il favore tanto pel proprio governo, quanto della maggior parte degli esteri.

Questo Congresso è opportunamente ordinato in cin­ que sezioni, e cioè : scientifica, d’organizzazione, di pubblicità, di esposizione e di contabilità; ma per lo scopo nostro basterà che intrattenghiamo il let­ tore soltanto della prima, la scientifica cioè, ed appena della quarta, che riguarda la Mostra geografica pure internazionale : della quale ultima daremo succinto ragguaglio, dopo che sarà stata aperta.

La sezione scientifica è divisa in sette gruppi, e cioè: nel matematico, idrografico, fisico, storico, eco­ nomico, didattico, ed in ultimo in quello che si r i ­ ferisce ai viaggi. Ne abbiamo sott’occhio il questio­ nario che comprende ben centoventitre quesiti ; il cui

numero, se ci sembra sproporzionato al tempo asse­ gnato alla riunione, io è quasi anco allo spazio con­ sentitoci per una semplice enumerazione in questa rassegna. Nella quale, ciò non pertanto, ravvisiamo indispensabile il farlo, più che per dare un idea dei lavori che il Congresso è chiamato a compiere, per capacitare i nostri lettori del vasto campo tracciato all’attività dei geografi, ed informarli di primo tratto della condizione presente della scienza di cui ci oc­ cupiamo.

Nel gruppo matematico s’ intende che sono con­ template questioni di geografia matematica, di geo­ desia e di topografia; quali la sostituzione della di­ visione centesimale dal quarto di circonferenza alla divisione così detta sessagesimale e le sue conseguenze relative alla divisione del tempo in astronomia ; la determinazione di uno zero per la livellazione ge­ nerale ; l’utilità pratica degli strumenti di precisione più recenti ; l’applicazione della telegrafia elettrica alla determinazione delle longitudini ed in genere alle ricerche geografiche; la misura di un arco di meridiano nell’emisfero Sud, e particolarmente nella repubblica Argentina ; lo studio delle curvature ge­ nerali o locali della scorza terrestre, nonché degli allineamenti naturali sì orografici che idrografici, e l’applicazione della rete pentagonale; quello delle attrazioni locali e dei loro effetti in conlronto coi resultati geodetici ; la scelta dei punti più opportuni per chiarire col pendolo le variazioni della gravità; i metodi di determinazione più rapida di declinazione magnetica, e della formazione di carte che ne rap­ presentino le curve ; l’applicazione della fotografia ai rilievi topografici, e finalmente quanto concerne le carte geografiche ed ipsometriche, le loro proiezioni, e la possibilità di unificare i lavori cartografici dei differenti servizi.

L’idrografia e la geografia marittima costituiscono il gruppo idrografico, nel quale sarà trattato della ricerca di un sistema semplice ed uniforme per con­ tare i rombi dei venti ; dei più recenti progressi fatti dall’ applicazione dello studio dei venti agl’itine­ rari marittimi; della profondità alla quale propagasi l’agitazione della superficie del mare ; delle maree, delle loro leggi, delle loro anomalie e dei luoghi più propri ad osservarle, e della loro propagazione nei fiumi ; dell’onda di fondo e delle sue cause, nonché dei fenomeni analoghi nei grandi laghi ; delle cor­ renti marine, in specie negli stretti ; del regime dei corsi d’acqua ; dei modi e luoghi più opportuni per determinare la temperatura del mare alle varie pro­ fondità; delle cause dell’alta temperatura del Gulf-

Stream; degli scandagli profondissimi, delle osserva­

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