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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.02 (1875) n.58, 13 giugno

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L'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A S E T T I MA N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno II - Yol. Ili

Domenica 13 giugno 1875

N. 58

LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN ITALIA

Vi ha nel processo delle idee qualche cosa di simile ai ricorsi storici, segnalati dal Vico nel suo libro, più spesso ricordato che letto, della Scienza Nuova. D’un tratto esse sorgono vive, imperiose, risplendenti di luce che affascina, scorrono il mondo, si impon­ gono a tutte le menti, sicché pare che i fatti non debbano tardare a seguitarle; poi a poco a poco cessano dal preoccupare il pensiero umano, altre' idee, altri fatti sorgono sull’orizzonte, a quelle prime impressioni succede un periodo di inazione e di oblio, e poi la corsa ascendentale ricomincia ed il circolo si compie un’altra volta.

Un curioso esempio del fenomeno psicologico, al quale accenniamo, ci presenta la storia del nostro ordinamento amministrativo. Dal giorno in cui, rotte a Magenta le soldatesche imperiali, Piemonte e Lom­ bardia si fusero insieme a costituire il primo nucleo del futuro Regno d’ Italia, a tutt’oggi, noi abbiamo veduto tre o quattro volte sorgere viva, ardente, la quistione di una radicale riforma nell’amministrazione del Regno, al duplice scopo di spendere meno e di soddisfare meglio ai bisogni degli amministrati. Ar­ ticoli di giornali, opuscoli più o meno pensati, voci d’oratori dalla tribuna parlamentare e dai meetings popolari, bandirono tratto tratto la necessità di que­ sta riforma e la pubblica opinione preoccupata dal­ l’evidenza di questo bisogno ne domandò l’attuazione, ma le ceneri ricopersero in brev’ ora il fuoco testé divampante ; a poco a poco si piegò il collo, si di­ menticò e la sognata radicale trasformazione del no­ stro sistema amministrativo, rimase almeno sino ad ora un pio desiderio.

Eppure malgrado la scoraggiante esperienza del passato noi crediamo di poterci senza pericolo at­ teggiare a profeti e pronosticare che un giorno o l’altro bisognerà pur venirci alla soluzione di questo benedetto nodo gordiano che da tanti anni aspetta la spada di un Alessandro, e che in verità sarà più facile troncare che sciogliere.

La quistione finanziaria ed in certo modo anche la politica, sono troppo strettamente legate ad esso per­ chè l’Italia bramosa di giungere all’assetto delle sue

finanze senza nuovi sacrifici e nuovi gravami, possa più lungamente trascurarlo e converrà che Parla­ mento e Governo, fatte tacere le spesso assurde esigenze dei partiti, si accingano animosi a questa grand’ opera, che è per l’ Italia d’ una importanza suprema.

E che il bisogno di questa riforma esista, non pare a noi difficile a riconoscersi.

Se noi gettiamo attorno lo sguardo in cerca dei meccanismi coi quali esercita le sue funzioni lo Stato, la prima cosa che ci colpisce è la vasta, com­ plicatissima rete di impiegati e di uffici, colla quale ogni dicastero ha ricoperto l’Italia.

Una circoscrizione speciale provvede al servizio delle cose amministrative, un’ altra a quelle della giustizia, Una terza a quelle delle finanze; circoscri­ zioni diverse si hanno per le cose di guerra, per quelle della marina, dei lavori pubblici, delle mi­ niere, delle foreste e di quanti altri sono i rami dei pubblici servizi. Col mezzo di questa circoscrizione territoriale e dei funzionari che essa richiede, l’azione governativa partita dal centro si diffonde alle più remote contrade del Regno ; ed il Ministro dal suo gabinetto trova esecutori contemporanei dei suoi or­ dini, migliaia di impiegati sparsi in ogni più mode­ sta borgata, quasi automi mossi da una tastiera cen­ trale.

Quale stupendo spettacolo per gli ammiratori della onnipotenza dello Stato ! Quale splendida applicazione del sistema di centralizzazione !

E anche noi, ammirati a questo organamento che chiude in un pugno tutte le forze della nazione, sa­ remmo proclivi a disertare le vecchie nostre cre­ denze, se ad intorbidare lo splendore di questo qua­ dro non ci apparisse nel fondo la cifra enorme, spaventosa, delle spese che essa produce, se non vedessimo l’intralcio che deriva agli affari da questa massa di burocratici, causa ed effetto ad un tempo di leggi intricate e di formalismi senza numero, che strozzano l’attività e creano il pedantismo.

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706 L’ ECONOM ISTA 13 giugno 1875 poteri, da quello di grazia all’altro di divertirsi con

un sigaro o col giuoco, del lotto. E la conseguenza logica, inevitabile di tutto questo è stato, lo ripe­ tiamo, un aggravio enorme alla finanza dello Stato, ed una inutile e "molesta complicazione di cose per ogni più semplice atto della vita, complicazione che fa prendere in uggia Governo e Parlamento, e che non è fatta certo per svilluppare arti, traffici e in­ dustrie.

Siccome non amiamo che ci si possa tacciare di esagerazione, citeremo un esempio e crediamo potrà bastare per tutti.

Un Tizio proprietario d’un terreno che fiancheggi un torrente trovandosi a poter disporre d’un capitale modesto e sentendosi chiamato alla vita dell’ indu­ striale, forinola un progetto, idea di fondare un mo­ lino di cui difetta il sud Comune, e che potrà es­ sergli fonte di un lucro o fornirgli almeno il mezzo per utilizzare la propria attività personale. In quanto alla forza motrice egli la chiederà al torrente. Quat­ tro cavalli dinamici bastano ai suoi palmenti, e il Governo aderirà facilmente al suo, desiderio di de­ rivare la poca acqua che gii abbisogna, e che d’al­ tronde pensa di restituire quasi per intero col canale di fuga del suo molino. Il premio che il Governo domanderà per questa concessione sta, è vero, nel­ l’arbitrio dell’autorità demaniale, ma la consuetudine generale fa sì che esso si determini a ragione di lire 30 per cavallo, sicché il suo canone annuo sarà di lire 120, spesa, non c’è che dire, modesta.

Pieno della sua idea il nostro futuro mugnaio si presenta ad un ingegnere, ottiene da lui un progetto formale con disegni e relazione spiegativa, fa bollare il tutto, e poi si reca al capoluogo della sua provin­ cia, presenta la domanda corredata dei documenti al Prefetto e quindi ritorna al villaggio ed aspetta. Poveretto, avrà ad aspettare un bel pezzo. Il suo incartamento deve percorrere troppo cammino per­ chè possa giungere sollecitamente a destinazione. Dalia Prefettura esso passa al Genio civile, che lo esa­ mina, lo studia, lo manda a esporre nel comune o nei comuni che il torrente attraversa, compila un monte di rilievi e di osservazioni e in capo a un paio di mesi, quando il lavoro fu compiuto sollecitamente, ritorna il tutto alla Prefettura. Questa, previi i proto­ colli ecc. di uso, spedisce le carte alla capitale, al Mi­ nistero dei lavori pubblici. Il capo servizio, data una occhiata superficiale alla pratica la comunica al Con­ siglio superiore dei Lavori Pubblici. Il presidente di questo onorando Consesso, nomina un relatore ; Costui esamina e studia e finalmente riferisce al Con­ siglio. Le carte allora marcate del nulla osta, ritor­ nano al Ministero, che le riceve un’altra volta e con voto favorevole le spedisce al Ministro delle Finanze. Siccome 1’ ufficio competente a conoscere di queste faccende è la Direzione Generale del Demanio, e

questa è tuttora a Firenze, le carte viaggiano da Roma a quella volta. Giunte finalmente alla sezione speciale, passano sotto un altro esame. L’ incaricato di quel servizio osserva le domande, i varii pareri già ottenuti per via e prepara una modula di con­ tratto, che la Prefettura sarà chiamata a stipulare. — Tutta la massa delle carte, dei disegni, ec., -viaggia un’ altra volta verso il capoluogo della provincia da dove mossero da principio. —- Ivi finalmente 1’ atto si stipula e il nostro aspirante Mugnaio vagheggia prossimo il giorno in cui le ruote del suo mulino faranno spumeggiare l’acqua del torrente nativo. Ma • egli S'ìngannà’ là via dolorosa non è compiuta, altre

stazioni rimangono a percorrersi.

La Prefettura prepara le copie occorrenti (tre al­ meno) del contratto e del disegno che lo accompa­ gna, una ne manda al Registro, le altre alla Dire­ zione Generale del Demanio. Questa visto che tutto è regolare formula un Regio Decreto e rinvia tutto il processo al Ministero delle Finanze in Roma. Il fascicolo vianaria dal Gabinetto del Ministro al Con- giglio di Stato, da questo a casa del Relatore, poi un altra volta al Consiglio e poi di nuovo al Ministero, che deve promuovere la firma sovrana. — Quando il Capo dello Stato ha sanzionato la concessione ri­ chiesta dal nostro infelice postulante, le carte lasciano il Ministero delle Finanze, transitano pel Gabinetto del Guardasigilli, vanno a Firenze all’ufficio di stralcio, poi alla Corte dei Conti, poi alla Delegazione del Mi­ nistero di Grazia e Giustizia che cura la inserzione del R. Decreto sulla Ga.zetta Ufficiale, finalmente alla Direzione del Demanio, che spedisce il Decreto* stesso alla Intendenza di Finanza del Capoluogo del nostro martirizzato, la quale, coll’intermezzo del Ri­ cevitore Demaniale, ne fa finalmente a lui la con­ segna. — Ora supponete la migliore delle ipotesi, ammettete che niuno ostacolo ne abbia attraversato il cammino, che esso abbia trovato sempre la via sgombra ed ufficiali zelanti sul suo percorso, ma questo progetto non sarà giunto al suo compimento se non dopo quattordici o sedici mesi dalla sua prima presentazione in Prefettura.

Quale sarà il resultato di tutto questo? Per fare entrare nelle casse dello Stato cento venti lire, la nostra Amministrazione avrà messo in moto, trenta impiegati almeno, e sarà riuscita senz’ altro al bel risultato di far perdere la 'pazienza a quel povero diavolo, che avea ceduto per un momento alle se­ duzioni dell’industria, ed era stato tanto ingenuo da credere che ufficio dello Stato sia di agevolare e non di rendere difficile lo sviluppo delle attività indi­ viduali.

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13 giugno 1875

pochi giorni, avremmo ottennio assicurato alle finanze il canone indicato, cansando a queste le maledizioni di chi è vittima del nostro organamento, e rispar­ miando forse venti agenti intermedie

Questi fatti, i quali pur troppo non sono isolati, siccome quelli che emergono non da una legge sola, ,ma dall’intiero nostro sistema di amministrazione, ci

tornano vivi dinnanzi alla mente ogni qualvolta ci si ripete la solita antifona che bisogna riformare, spendere meno, ridurre impiegati ed uffici, e che per giungere alla agognata riforma vediamo proporre la abolizione di tre o quattro Prefetture, e di forse dieci o dodici Circondarii.

No, che in verità non ci pare questa la strada più sicura per giungere alla invocata semplificazione, alla necessaria economia. Per arrivare a questo ri­ sultato, conviene prender l’aire da ben più alto, e ricercare non i sintomi, ma le cagioni del male ; conviene allargare la sfera d’azione dell’individuo e del cernirne a detrimento di quello del Governo, sopprimere le dande con cui gli ammiratori dell’on­ nipotenza dello Stato pretendono reggere il paese, quasi eterno fanciullo.

Quando noi avremo incorporato più circondari ad una provincia, quando avremo ridotte a cinquanta, a quarantacinque le pxovineie stesse, non avremo fatto che peggiorare il male, perchè gli affari accu­ mulandosi maggiormente negli uffici andranno an­ cora più lentamente di quello che non facciano in giornata, ma non avremo certo restaurato il nostro Bilancio, imperocché durando uguale il cumulo de­ gli affari, non essendo mutato il sistema formalista e centralizzatore che noi deploriamo, il numero degli impiegati occorrenti sarà ancora enorme e la spesa non sminuirà che di poche centinaia di mille lire.

Se dunque vuoisi sul serio arrivare ad una ri­ forma che valga a restaurare le nostre finanze, se vuoisi che amministrazione non sia più oltre sino­ nimo di pedanteria, ma si tramuti in un vero aiuto, in una vera difesa del cittadino, conviene che certe smanie invaditrici dello Stato cessino e che lenta­ mente sì, ma con azione continua si limitino alle vere, alle razionali, alle sole legittime le attribuzioni di questo ente a cui spetta la difesa della nazione, P amministrazione della giustizia e la tutela dei grandi interessi nazionali, ma che non è chiamato dalla sua natura a far da babbo al cittadino nei più semplici atti della vita._________ _

L’ACQUA POTABILE A VENEZIA

Venezia, giugno 187o. Non sono molti giorni che un riputato periodico di questa città scriveva le seguenti parole:

« Affatto inutile sarebbe l’intraprendere a

dimo-« strare tutta la necessità che ha Venezia di essere « dotata di un acquedotto. Ognuno ne è anticipata- « mente persuaso, perchè non havvi veneziano che « non abbia più volte dovuto allontanare dalla bocca « con profonda nausea un bicchiere d’acqua fetida e « malsana ; - perchè non havvi veneziano che non « abbia più volte, specialmente d’ estate, lamentata » la scarsezza e talfiata la mancanza assoluta di questo « indispensabile elemento di vita. »

E chi al leggere queste parole ed al sapere che rappresentano quasi la verità in riguardo alla man­ canza d’acqua potabile a Venezia, non le troverà di primo acchito d’una logica indiscutibile? — Chi non concluderebbe, date quelle premesse, che non e me­ stieri dimostrare la necessità che Venezia sia do­

tata d’un acquedotto? _

Eppure, ove si voglia esaminare logicamente quel raziocinio, si dovrà convenire che zoppica in alcuna parte e che le promesse non conducono punto a quella conclusione, che tuttavia par tanto naturale e consequente. Infatti dalla scarsezza d’acqua potabile, giustamente lamentata in Venezia, non si può con­ cludere niente affatto la necessità di un acque­ dotto, ma solo la necessità di procurare a Venezia dell’acqua buona ed abbondante; onde mi pare che prima di tutto si dehba porre il quesito: quale sia il modo migliore per approvigionar d’acqua pota­ nte la nostra città.

È un quesito che ha occupato molte volte Vene­ ziani e forestieri; - Veneziani perchè desiderosi di togliersi una molestia, confi è quella di penar d’acqua a(f orni arsura; - forestieri, o illustri, nel desiderio di beneficar la città, o speculatori, nella speranza di ottenere l’esercizio d’un acquedotto, o di altra opera che lo sostituisca.

Non andrò a vedere se al tempo della Repubblica Veneta abbiasi dibattuto l’argomento colle idee con cui lo si discusse dopo la sua caduta, ricorderò come abbiasene vivamente trattato al tempo della breve dominazione francese, durante la quale, - giova pur confessarlo, per amore di verità, - quasi tutte le grandi quistioni veneziane furono o studiate e trattate, od almeno messe sul tappeto; - basti ricordare cosa ab­ bia scritto Napoleone da S. Elena sulla posizione di Venezia come grande deposito dei commerci tra il centro d’Europa e l’Asia; in poche parole l’impera­ tore ha tracciate tutte quelle idee che poi furono ampliate e svolte nelle nostre questioni ferroviarie. Comunque siasi, fino dal principio del secolo adun­ q u e ,^ questione dell’approvvigionomento d’acqua po­ tabile di Venezia fu discusso a più o meno lunghi intervalli con calore sempre, con larghezza di vedute talvolta, con mire di interesse alcun’ altra, poche volte con tranquilla placidezza.

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708 L’ ECONOM ISTA

13 giugno 1875 motivo per rimbeccarsi; ne parlò in Consiglio co­

munale il Sindaco; si sa che furono presentati vari progetti per acquedotti; infine il fuoco è ancora la­ tente ma non tarderà a mandar fiamma e faville.

Da quanto vi ho detto dapprincipio di questa mia corrispondenza, avrete compreso che non voglio en­ trare in particolari sui progetti presentati, e neppure entrare nelle viscere della questione degli acquedotti; ho veduto un sillogismo che mi è parato falso, e prendo argomento da questo per esporre in propo­ sito alcune idee nella speranza che possano valere a raddrizzare le menti che fossero fuorviate o che si mettessero allo studio con preconcetti intendimenti; e se le idee false saranno le mie, se la mente da raddrizzare sarà la mia, nulla amerò meglio che con­ vertirmi ad altra dottrina quando buone ragioni mi vi persuadano.

Per me, entro in campo col solo desiderio di far bene al mio paese, e tratto la questione come un quesito qualunque di economia, giacché l’economia c entra qui con tutti e due i suoi significati; eco­ nomia come risparmio, giacché il Comune va in­ contro ad una spesa rilevante; economia come scienza, giacché, secondo il mio modo di vedere, precipua cura dell’uomo deve essere, nel soddisfacimento dei suo bisogni, di consumare il meno possibile delle proprie forze servendosi il più possibile di quelle che gratuitamente gli presenta la naiura.

E senza perdermi di più in preamboli mi getto capofitto nella questione.

Venezia, come tutto il mondo sa, è una città sin­ golarissima, non solo per i suoi sontuosi monumenti, per la sua. storia, per la sua posizione e costruzione, ma ancora per moltissimi usi, i quali appunto per la speciale configurazione della città si allontanano rimarchevolmente da quelli degli altri paesi. Onde Venezia offre campo molte volte di gravi ed impor­ tanti considerazioni che applicate ad altre città par­ rebbero sottigliezze o cavillosità, mentre parlando di Venezia risiedono benissimo.

E sul proposito dell’acqua potabile, Venezia, posta in mezzo ad un ampio bacino d’acqua salsa, situata nell’ultimo lembo d’una vallata, è infatto in eccezio­ nale condizione. Non naturali sorgenti d’acqua viva, non monti vicini da cui possa essere condotta l’ac­ qua, ed i fiumi che le sboccano intorno sono ad un livello quasi eguale a quello della città, e per di più nei pressi della foce sono tutt’altro che limpidi. Tut­ tavia, considerando come attualmente sia fornita l’ac­ qua dolce ai 130,000 abitanti di questa città scorgo tre maniere: -la le sorgenti vive nascenti nella città; 2a le cisterne che raccolgono e conservano l’ acqua piovana; 5a l’acqua portata dalla terraferma.

Vi sorprenderete che usando di tutti e tre questi mezzi per avere l’ acqua potabile, questa poi si trovi in quantità cosi scarsa da doverne molte volte lamen- I

tare la mancanza. Vi ho già detto che fra noi ap­ punto per la nostra eccezionale anzi unica posizione, molte cose presentano un aspetto affatto singolare e ve ne capaciterete se riescirò a farvi comprendere il vero stato delle cose intorno all’ argomento che mi occupa.

Sì; a Venezia abbiamo sorgenti d’acqua viva, ab­ biamo cisterne che ci mantengono sana 1’ acqua di pioggia, abbiamo un quid-simile d’acquedotto; eppure manchiamo d’ acqua!

Le nostre sorgenti sono i pozzi artesiani. Non oc­ corre che a voi nè .ai vostri lettori ricordi cosa siano i pozzi artesiani e perchè si chiamano artesiani ; qualunque trattatello di fisica ne porge la più ampia spiegazione. Questo genere di pozzi a Venezia fu anticamente conosciuto ; lo Scamozzi infatti ci parla di un pozzo artesiano scavato con un trivellane nei Chiostri dei Padri Minori ; e di un altro nel Rio dietro S. Samuello, ma amendue con vano risultato; - e ciò nel 1550. Comunque siasi qui a Venezia vi fu. un momento in cui si credette dalla generalità che per mezzo dei pozzi artesiani si avrebbe potuto approv­ vigionare abbondantemente di buona acqua la città. E nel 28 novembre 1844 i due ingegneri Manzini modenese, e Degoussée francese, e celebre per tal genere di lavori, conclusero col Comune un contratto con cui si assumevano di dare alla città per mezzo dei pozzi artesiani, 1230 litri d’ acqua per minuto, cioè 1800 metri cubi per ogni 24 ore; si fecero infatti dei lavori, vennero appositi ordigni da Parigi, si trivellò con ardore la crosta terrestre e si ottenne dell’acqua, non abbondante a vero dire (il che sa­ rebbe stato il meno m ale, poiché moltiplicando i fori, siccome il getto è perenne si avrebbe potuto raggiungere egualmente lo scopo); ma sventurata­ mente l’acqua che esce da queste sorgenti non è po­ tabile. Esaminata replicatamente da mediche com­ missioni fu riconosciuta ferruginosa; ed il nostro popolo se l’ebbe per detto, poiché essendo tutt’ ora aperte al pubblico le otto o dieei fontane in tal modo fatte scaturire, molti veneziani d’estate fanno co­ modamente la loro cura d’ acque minerali senza la noia e la spesa di recarsi a Pejo, a Levico od a Roncegno; e in campo S. Maria Formosa, dove esiste il primo scavato dei pozzi artesiani, e dal quale pare esca un acqua contenente sostanze ferruginose in maggior quantità, v’è d’estate realmente folla di po­ polo che sistematicamente beve di quell’acqua colla fede di ottenerne un giovamento al fisico.

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ad ottenere lo scopo ; — y’ è invece chi, facendo pompa di molte cognizioni geologiche, disse e scrisse che la formazione geologica del nostro bacino è tale che non si avra mai acqua potabile dai pozzi arte­ siani. Io non starò a ripetere ora le ragioni degli uni e degli altri; esprimerò solo il senso di mera­ viglia che mi domina udendo alcuno ostinarsi an­ cora in una cieca ed assoluta fiducia nella possibile riuscita di tale impresa, quando nessuno, ad onta del manifesto interesse che ne ritrarrebbe, si accinge ad esercitarla o meglio a condurla a termine.

Non sono molti anni che scavandosi uno di que­ sti pozzi in un giardino di privata proprietà, giunti col trivellone ad una certa profondità nacque un fenomeno stranissimo. Con impeto subitaneo il trivel­ lone fu sbalzato fuori dalla terra ed allargatosi il foro già praticato ne uscì una colonna d’ acqua mista a sabbia di tale altezza e portata che sorpassava le case vicine e ricuoprì di materie eruttate il giardino ed il campo adiacente. Si ebbero anzi dei danni rilevanti poiché scosso all’ intorno dall’ impeto di questa sorgente il terreno, le case circostanti si squi­ librarono; la chiesa di S. Agnese dovette essere chiusa e puntellata, molte case sgombrate e soste­ nute con opportuni congegni; in fretta ed in furia si chiuse 1’ apertura e non se ne parlò più. Alcuno disse di aver assaggiata 1’ acqua uscita e di averla trovata eccellente; altri di aver rovistato nelle vec­ chie cronache e di avervi trovato cenno della esi­ stenza d una sorgente in quel luogo.... molti speravano che fosse sciolta la questione dell’acqua potabile a Venezia.... ma nessuno ne parlò più e nessuno ne parla. Eppure mi pare che ne varrebbe la pena ! Imiterò i miei concittadini e dei pozzi artesiani non ne parlerò più oltre, parendomi anzi d’ averne par­ lato troppo.

Dirò solo che dell’ acqua che attualmente essi forniscono, i Veneziani ne fanno qualche uso, non solo come medicinale, ma anche per bisogni dome­ stici, come pel bucato, per ripulire le-case, ed anche per qualche industria, ecc.

Veniamo al secondo mezzo con cui i Veneziani si provvedono d’acqua ; voglio dire le cisterne che rac­ colgono e conservano l’acqua che cade dal cielo. Ed anche qui noto una singolarità.

I p o zzi quali abbiamo a Venezia non credo esi­ stano in nessuna altra parte del mondo, o se esi­ stono non sono che imitazioni di quelli di Venezia, come nella Cocincina dove, dietro richiesta di quelle autorità, vennero spediti da Venezia le più minute istruzioni per costruirli.

Con brevi parole cercherò di farvene la descri­ zione. — Immaginate una conca della forma d’ un tronco di piramide capovolto; la profondità di 5 metri al più, la superficie maggiore, quella cioè verso il suolo, variante dai 30 ai 60 metri quadrati, e quella •

minore nella profondità dai 4, ai 6 m. q. Scavato con queste dimensioni il terreno, le pareti all’ in­ torno si rivestono stabilmente con tavolato di rovere o di larice per impedire i guasti dei terreni e so­ pratutto perchè le radici degli alberi non abbiano ad oltrepassare ; — indi si intonaca tutto di argilla dello spessore di 60 cent, all’incirca e nel fondo di quasi un metro. Nel centro si costruisce la canna di muratura secondo il solito, in fondo alla quale si pone una pietra rotonda del diametro della canna stessa. Tutta la conca vien riempita di sabbia di mare addolcita, perche usando sabbia di fiume o di cava la purità dell’ acqua ne soffrirebbe in causa della melletta che vi è sempre mescolata. Agli angoli di questo recinto si praticano dei condotti di muratura a secco i quali, mediante appositi fori aperti sul suolo ricevono da altri conduttori l’acqua di pioggia e la lasciano penetrare nelle sabbie da dove cade nella canna purissima, sanissima, di sapore eccellente e dove si conserva sempre in eguali condizioni. L’acqua di questi pozzi il Lucchesi la giudica limpida, dolce, sana in modo da andar al di sopra di quella di fonte o di sorgente. Per dimostrarvi poi quanto sia antico a Venezia 1 uso di questi pozzi vi riporto un brano tratto dal Zibaldone del Temanza : « Io credo, « egli dice, che sia antichissimo tal uso di pozzi in « Venezia. Ho veduto molte antiche Pergamine, o « siano ¡strumenti di vendita di case, nelle quali si « nomina curia cum spongia et puteo. Quel Spongia « significa la conca di creta ed il Puteo significa la « canna nel mezzo. In molti siti di questa città ove «< vi sono fabbriche antichissime si vedono moltis- « sime vere di Pozzo (in latino putealia) lavorate « d’ intaglio alla greca. Molte ne ho vedute, eh’ io « le giudico del secolo IX. Nè puossi dubitare della « loro antichità perchè per il maggior numero da me « veduto sono di macigno. Tal pietra si usò al se- « colo IX o poco più. »

Del resto poco importa ora il dire della antichità di questi pozzi. Vi basti il sapere che a Venezia ne abbiamo d. tali cisterne 5339; delle quali 186 sono co­ munali, si trovano sulla pubblica via, generalmente nei campi (piazze), e rimangono aperte al pubblico due ore al giorno, una al mattino, l’altra sul vespro ; e 5163 sono di proprietà privata e si trovano nelle corti, o nelle entrate delle case e rimangono naturalmente aperte a beneplacito dei proprietari od inquilini ser­ vendo il più delle volte a questi ed ai vicini.’

Dovrei parlarvi ora del modo con cui sono ali­ mentati i pozzi pubblici e privati, ma per l’ordine del mio scritto mi riserbo di parlarvene in ap­ presso.

( Ofa veniamo al terzo mezzo con cui si fornisce d’acqua la città, cioè portandola dalla terraferma.

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acque-710 L’ ECONOMISTA 13 giugno 1875 dotto sui generis ma è veramente un mezzo con cui

si conduce l’acqua dalla terraferma alla città. L’ acqua piovana che entra nelle cisterne, non basta (e notate bene che ve ne dirò poi la ragione) ad alimentar la popolazione; in tempo di siccità i pozzi, e specialmente i comunali, si trovano all’ asciutto. Ciò non solo accade adesso ma accadeva anche al tempo della Repubblica, onde da epoca immemora­ bile si usava trasportare in apposite barche del- 1’ acqua dolce che si andava ad attinger dal vicino Brenta e che poi si immetteva per mezzo dei condut­ tori nelle cisterne pubbliche o private della città. L’ acqua del Brenta però era nella corrente del fiume molto limacciosa, e male serviva allo scopo ; fu per questo che la Repubblica nel 1609, dietro proposta dei periti Gian Luigi Gallesi e Tommaso Contini, fece scavare, non lungi da Dolo, un canale, derivandolo dal Brenta mediante chiavica, per con­ durre 1’ acqua fino al Moranzano nel labbro della laguna ; questo canale, largo 3 piedi e lungo 3600 passi, fu molte volte ristaurato anzi ultimamente il nostro Municipio con provvido pensiero lo fece ri­ parare dai guasti sofferti e con apposito regolamento provvide alla sua conservazione. Quel canale, detto la Seriola, è il principio dell’ acquedotto dal Brenta a Venezia; i burchi ne sono i conduttori ed i pozzi, i serbatoi. V’ è anzi una pietra all’ un dei lati, del canale stesso che porta l’iscrizione: Hinc urbis potus. 3 Ed è per mezzo dell’ acqua di quel canale che si

mantengono d’acqua i pozzi comunali; ed il Muni­ cipio, che ha appaltato ad un’impresa l’esercizio di questo servizio, vi spende l’egregia somma di circa 60,000 lire all’ anno, per il trasporto di tanta acqua che mantenga, dice il contratto, sempre ad eguale livello i pozzi comunali. Sventuratamente nei mo­ menti in cui c’ è il maggior bisogno d’acqua i pozzi comunali si trovano spesse volte all’asciutto e quel eh’ è peggio vi rimangono per due, tre ed anche più giorni ; colpa dell’ impresa che non è in grado, per insufficienza di mezzi o per avidità di specula­ zione, di supplire all’ acqua di pioggia che manca, ed al maggior consumo causato dalla calda stagione ; e colpa anche del Municipio che con troppa debo­ lezza lascia calpestare i termini più importanti del contratto.

Ora che bene o male vi ho descritto in quali condizioni si trovi la città nostra rispetto all’ acqua potabile, entrerò nel merito della questione e cer­ cherò di rispondere al quesito già propostomi fin dal principio di questa corrispondenza, quale sia cioè il miglior mezzo per approvigionare Venezia di acqua potabile buona ed abbondante. Ma lasciate che ne faccia tema d’un’altra mia lettera.

A. J. de J.

LE RELAZIONI DEI GIURATI ITALIANI

sulla Esposizione Universale di Vienna del 1873

Ed u c a z io n e, Is t r u z io n e e Cu l t u r a *)

Il programma della Commissione imperiale del­ l’Esposizione viennese esigeva che tu tta la vita intellettuale dei popoli, che negli altri gruppi rappresentavano la loro operosità industriale, si esplicasse nel gruppo XXVI. Il giurì di questo gruppo fu diviso in quattro sezioni, delle quali Il 1° doveva esaminare i piani, l’ordinamento, i mezzi d’insegnamento e lavori delle scuole po­ polari.

Il 2° i piani, ordinamenti e mezzi d’istruzione delle scuole medie.

Il 3° i piani, ordinamenti, mezzi d'istruzione e lavori delle scuole speciali, tecniche superiori e dell’università.

Il 4° i sussidi per l’avanzamento degli adulti. Come ben si scorge l’ educazione veniva eli­ minata, nella divisione delle sezioni, delle quali le tre prime riguardavano la sola istruzione e la quarta il vastissimo ed indefinito campo della cultura intellettuale.

F ra gli Stati che concorsero all’Esposizione alcuni non si presero cura alcuna di eseguire le condizioni del programma, altri l’eseguirono con poca cura e piuttosto a caso, altri il meglio che seppero e colla maggiore possibile diligenza.

Il govèrno inglese nè diresse, nè promosse i privati, nè volle porre in m ostra quello che fa per diffondere l’istruzione e la cultura.

In modo uguale si comportò il governo russo; le sue esposizioni scolastiche erano incompletis­ sime, cosicché non se ne poteva formare in modo alcuno un adeguato concetto.

L’ Olanda si contentò d’ inviare una relazione sulle scuole elementari e medie dello Stato e sul loro sviluppo.

Il Belgio, ove l’istruzione privata gareggia colla pubblica, fece una duplice esposizione, quella dei privati e la pubblica; la prima era assai meglio coordinata e completa della seconda.

La F rancia sorpassò di gran lunga i governi e nazioni che sopra; 800 furono i suoi espositori, ed il catalogo degli oggetti esposti veniva clas­ sificato in 25 categorie diverse, le quali abbrac­ ciavano, si può dire, tutte le specie d’ insegna­ mento maschile e femminile, elementare, tecnico, universitario.

F ra i vari rami d’istruzione il meglio rappre­ sentato era il superiore. Di esso si videro con vera soddisfazione i soggetti degli esami univer­ sitari, i programmi dei corsi e le tesi di

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rato delle facoltà e scuole superiori. Facevano però difetto le statistiche recenti, quelle presen­ tate essendo antiche, e perciò di poco interesse. La città di Parigi fece per conto suo la più bella esposizione di municipio che si potesse vedere.

In apposite sale essa diede una completa ed ordinata rappresentazione delle sue scuole. In esse si vedeva il tipo d’un gruppo scolastico che comprendeva una scuola di fanciulli, una di fan­ ciulle, un asilo. Il modello era al 50° dal vero ed aveva due annessi, 1’ uno ad indicare la di­ stribuzione del pian terreno, T altro quella del piano superiore.

A ltri modelli di sale scolastiche colla rispet­ tiva mobilia e magazzini del m ateriale d’ inse­ gnamento e della fornitura della classe. Piante di scuole comunali riprodotte colla fotografia e molti altri oggetti ed arredi, unitamente ai re­

gistri di classe e regolamenti di studio. In que­ sta esposizione mancavano però i lavori degli scolari.

La Germania, per m ostrare le condizioni in cui si trova T istruzione locale, aveva costrutto un edificio apposito per la sua esposizione. I Tedeschi pensano che l’insegnamento tanto più guadagna di evidenza e di facilità, tanto più gagliarda immagine imprime nella mente del­ l’alunno, quanto più ogni altro senso, ed in ¡specie l’occhio e il tatto sono chiamati a concorrere coll' udito nell’ apprendere, quanto più altresì l’ insegnamento è condotto in m aniera da pro­ durre un armonico e spedito sviluppo delle fa­ coltà intellettuali e morali dell’uomo.

E considerata sotto questo rapporto questa esposizione era completa, poiché abbracciava dai giuochi per i fanciulli sino ai preparati microsco­ pici più delicati.

Meglio ordinata e più completa ancora era l ’esposizione fatta dalla Svizzera, nel suo chalet

appositamente costrutto.

In esso erano disposti gli oggetti scolastici presentati dal governo federale, dai cantoni e dai privati.

Quanto si riferisce alla cura del bambino ed al suo allevamento fisico e psichico dei primi anni della vita sino alla sua entrata nella scuola, rappresentava T educazione. L’ istruzione veniva invece rappresentata mediante case scolastiche, mobilia di scuola al vero, in modelli e disegni, e mezzi d’insegnamento, opere e diarii sopra la istruzione, descrizione ed illustrazione di scuole, colla loro organizzazione c*

legislazione.-Completava questa bella esposizione una sta­ tistica dell’insegnamento appositamente preparata per l ’Esposizione di Vienna.

La Svezia e gli Stati Uniti d’America presenta­ rono i modelli di scuole i più perfetti che si pos­ sano desiderare, ma si ha ragione di credere che la realtà non corrisponda alla mostra da essi fatta.

L’esposizione fatta dalle università e da ogni altra specie di scuole dell’impero austriaco riuscì pure commendabile sotto ogni rapporto, quan­ tunque neppure in essa siasi potuto mandare completamente ad effetto il programma troppo vasto ed indefinito di questo gruppo.

Il catalogo dell’esposizione italiana dimostrava che il programma del governo austriaco era stato accettato in tu tta la sua estensione, senza però chiedere schiarifnenti e farvi critica di sorta.

Esso era perciò distribuito sotto i tre capi dell’istruzione, cultura ed educazione. Gli oggetti attinenti alla cura ed allevamento dei bambini, accennavano all’educazione che loro vien pòrta, l’istruzione veniva espressa da tutto ciò che con­ cerne scuole superiori di applicazione per gli in­ gegneri, tutto quello insomma che concerne la istruzione dall’infimo al grado superiore.

Una miscea diversa di cose, quali ad esempio il banco di scuola del Du-Jardin, e la busta far­ maceutica del F errerò compresevi le statistiche coloniche amministrative del comm. Scelsi, ac­ cennavano alla coltura del paese.

Fortunatam ente il paese e gli istituti non cor­ risposero agli eccitamenti del Ministero del com­ mercio, che tanto piccolo era lo spazio assegnato all’istruzione, che i pochi oggetti che giunsero a destinazione non si poterono disporre convenien­ tem ente e molti di essi andarono perduti.

La maggior parte del piccolo spazio riservato alla coltura era occupata dal Ministero dell’istru­ zione pubblica, che aveva concepito l’esposizione in una maniera diversa da quella che avevano fatto tu tti gli altri governi, poiché non espose nè i mezzi d’ insegnamento, nè la mobilia delle scuole, come nemmeno una notizia riassuntiva dello stato, delle condizioni, dell’ organizzazione dei vari gradi d’insegnamento nel Regno.

L’ istruzione primaria era rappresentata solo dai tre primi volumi della relazione e statistica pubblicati dal Ministero e da alcune relazioni speciali delle condizioni sue in dodici provincie e tredici circondari.

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712 L’ ECONOMISTA 13 giugno 1875 L ’esposizione scritta era copiosa per gli isti­

tuti, biblioteche, archivi, istituti musicali ed ac­ cademie di belle arti.

Le 21 università avevano mandata la loro re­ lazione; così pure le tre scuole superiori di me­ dicina veterinaria, due scuole di applicazione degli ingegneri di Napoli e Torino e T istituto superiore di Firenze.

Cinque istituti musicali avevano mandate le loro relazioni, e così pure cinque accademie di belle arti.

Solo dieci città avevano data notizia delle loro gallerie.

Di biblioteche sole 30 avlvano mandato la loro relazione, il che venne pur fatto da sei archivi e dieci musei.

Il Conestabile aveva mandate le sue memorie sulla necropoli di Orvieto, il Fiorelli quella su­ gli scavi di Pompei, altri quella sui monumenti di Sicilia e quella sulle scoperte archeologiche romane.

I volumi esposti dal Ministero dell’ istruzione pubblica sommavano a 688. Più parco fu il Mi­ nistero d’agricoltura e commercio, che in quanto agli istituti tecnici lasciò esporre i loro mezzi d’insegnamento e lavori degli allievi, il che fe­ cero quelli di Asti, Piacenza, Torino, Napoli e qualche altro. P e r conto proprio detto Ministero non espose che disegni pompeiani da servire di modello agli istituti tecnici.

Le esposizioni collettive vennero in genere giudicate nel loro complesso, però fu ammesso che un espositore, il quale desiderasse di essere giudicato singolarmente, dovesse fornire i dati richiesti dal giurì.

P e r questa ragione fu concesso un diploma d’ onore al Fiorelli per la sua memoria sugli scavi di Pompei, ed operosità sua nel campo delle scoperte archeologiche.

II Conestabile summentovato ottenne una me­ daglia di progresso, ed altri premi vennero pure concessi ad altri particolari espositori.

Il Ministero d’istruzione pubblica conseguì esso pure il diploma di onore.

LA GIUNTA CENTRALE DI STATISTICA

Nei primi giorni del corrente mese si è adunata la Giunta centrale di statistica presso il Ministero di agricoltura e commercio.

Alle quattro sedute, presiedute alternativa- mente dal ministro Finali e dall’onorevole Cor­ renti, presero parte i signori Morpurgo, Mantel- lini, Messedaglia, Piolti de’ Bianchi, Raeioppi, Castiglioni, Gabelli, Casanova, Malvano, Boldrino, Caravaggio, Colligaris e Bodio.

Come direttore deH'ufficio centrale di statistica l ’egregio professore Bodio rese dettagliato conto dello stato dei lavori in corso di compilazione, non che di quelli che in breve saranno pubbli­ cati. Inoltre presentò la statistica ultim ata delle Casse di Risparmio in Italia e all’ estero, e che servì agli studi fatti dall’onorevole Sella sul pro­ getto di legge sulle Casse di Risparmio postali, ora approvato. Presentò i dati riassuntivi della statistica delle ultime elezioni politiche, parago­ nate alle precedenti, lavoro che è in corso di stampa ; il movimento della popolazione dell’an­ no 1873 e la statistica dei bilanci dei Comuni capoluoghi di provincia per il trienno 1871-1872- 1873.

Procedutosi quindi all’esame dei resultati del­ l’ultimo censimento della popolazione, ebbe luogo sui medesimi una importante discussione, parti­ colarmente nella parte che r guarda la scala delle età.

Dopo molte considerazioni, svolte da diversi membri della Giunta, furono determinati i crite- rii per la compilazione di una tavola nazionale di popolazione calcolata, la quale poi potesse ser­ vire di base alla formazione di esatte tavole di m ortalità e di sopravvivenza.

Altro argomento di discussione per la Giunta fu la grande inchiesta statistica da intrapren­ dersi quanto prima sulla beneficenza in Italia e sulla prosecuzione delle ricerche intorno alla be­ neficenza ed assistenza pubblica nei diversi Stati di Europa.

Relatore del programma relativo era l ’onore­ vole Correnti, il quale rammentò l’importanza di questo lavoro statistico per il quale già sono stati raccolti non pochi documenti riguardanti varii paesi, e dopo una dottissima discussione, a cui presero parte non pochi componenti la Giunta, furono stabilite le norme da seguirsi nella com­ pilazione di questa importantissima statistica in­ ternazionale.

Fu altresì deliberato, sopra questo argomento, che mentre si procede alle ricerche per la stati­ stica del 1874 per l’Italia, sia fatta domanda al Ministero degli interni e al Consiglio di Stato per avere le notizie relative alle nuove opere pie fondate dopo la legge del 3 agosto 1862 ed alle trasformazioni state autorizzate nelle fondazioni esistenti, cominciando dall’epoca di quella legge fino al presente.

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varie parti la gestione attuale delle opere pie in Italia, ma di rendere pure possibili i confronti fra la nuova statistica e quella del 1863, già pubblicata in varii volumi e per compartimenti dalla direzione della statistica generale del regno.

DEI MEZZI COI QUALI IN ALCUNE NAZIONI ESTERE

si raggiunge il fine propostosi

DA LLA NOSTRA SCUOLA DI SCIENZE SOCIALI

Lettura del prof. Giabeè

Signori,

Quali sieno i frutti, che la Società per 1’ educa­ zione liberale si affatichi a raccogliere, fu già in modo da escludere ogni dubbiezza, e con autorevole parola, annunziato e ripetuto dal benemerito presi­ dente Senatore Alfieri, che primo ne formò il disegno, e, perseverando, riuscì, poi, a darle vita.

Egli disse, che noi non pretendiamo, nè vogliamo mettere in serbo e moltiplicare la pianta M inistro; noi intendiamo piuttosto ad appagare un bisogno che, forse, non tutti avvertono, oggi, ma eh’ è sentito da quanti studiano di proposito le nostre condizioni poli­ tiche, e, preoccupandosi dell’avvenire, si adoperano a conservare e migliorare quel che alla generazione nostra è pur costato tanti sacrifizi di persone e di denaro.

È vero, pur troppo, che in Italia redenta di fresco a libertà, d’ uomini di Stato non abbiamo dovizia; e molti di essi, nati colla rivoluzione furon poi dalla rivoluzione medesima così percossi, da aversi, oggi, sebbene a torto, in conto di arnesi logori e non più buoni al lavoro; ma non per questo pretenderemmo crearne altri noi, colla nostra scuola di scienze so­ ciali. — Con questa noi miriamo a riempire una grave lacuna nella istruzione nazionale, lacuna che esiste qui, come è esistita in Francia fino al 1872. — 0 Signori; un uomo che per le sue virtù, per la sua intelligenza giunga al potere, si sente come isolato; i buoni di­ segni, le ottime intenzioni non gli mancano ; ma per cooperatori ha solo pochi funzionari dello Stato; e per critici il più delle volte non si trova di fronte che gente la quale agogna, e spia ogni occasione per inalzarsi sopra la caduta di lui; e molti meglio fa­ rebbero, se a viso aperto esclamassero con un dei nostri allegri poeti :

Levati di costi, ci vo’ star io

Il resto della nazione, si agita, s’irrita; applaude o maledice; propone gli onori del Campidoglio, e condanna ai precipizii della rupe Tarpea; ma nei suoi giudizii si lascia, quasi sempre, trasportare dalla passione. In una parola, quadra anche a noi quel che dicevano i promotori della scuola di scienze politi­ che in Francia: « I ministri son generali; i cittadini

« rappresentano l’esercito; ma tra questo ed i ge- « nerali, non si hanno che pochissimi uffìziali e man- « cano assolutamente i sotto uffìziali. »

E questi, appunto, noi speriamo formare, rivol­ gendoci ai giovani delle famiglie agiate, i quali po­ trebbero comporre una classe di gente politicamente istruita ed assennata, la quale fosse non antogonista, ma sostegno e guida della vera e saggia democrazia.

Chiariti gl’intendimenti nostri, sentiamo il bisogno di fare qualche altra osservazione d’ordine generale.

Ci è stato in questi giorni sussurrato all’orecchio, che la Società nostra, non dovea limitarsi ell’educa- zione delle classi agiate, ma prodigare i suoi bene- fizii a vantaggio d’ogni ordine di cittadini.

Questa critica, o signori, questo desiderio che, a prima vista non manca di certa generosità, muove forse da chi guardi la cosa solo nella superficie. Noi prendiamo di mira l’educazione delle classi agiate, è vero, e ne abbiamo le nostre buone ragioni. Non disprezziamo, però, almeno in questo, quanto dice­ vano i seguaci di St. Simon, che, cioè : « Tutte le istituzioni sociali debbono avere per scopo il miglio­ ramento della classe p iù numerosa e p iù povera: » ma a questa formula aggiungiamo ; che l’eguaglianza dell’educazione e dell’istruzione è l’eguaglianza de’sel­ vaggi *); e che quel miglioramento non può otte­ nersi, se non a prezzo della conservazione politica e del miglioramento intellettuale delle classi agiate.

Ed a queste, noi abbiamo rivolto il pensiero e le cure; imperocché niuna meglio di esse possa ado­ perarsi ad allontanare dalla patria nostra quelle pro­ celle, che sotto forma di questioni sociali ingrossano ogni giorno di più e minaccian l’Europa; e niuna meglio di esse, per l’interesse che vi ha, possa dare opera a bene ordinare il paese ed aiutarlo a proce­ dere in quella via d’ incivilimento e di progresso, nella quale, da 15 anni, ci siamo risolutamente inol­ trati.

E poi, diciamolo apertamente; in Italia non è man­ cata una classe di cittadini, rispettata per 1’ amore all’ordine, per nome o per censo; ma questa classe, meno poche, ma famose eccezioni, non ha però sa­ puto giungere ancora coll’educazione sociale e poli­ tica, e coll'istruzione che le è più acconcia, a quel grado che le spetterebbe nel nostro giovine regno. Guai a quel paese, in cui la gioventù chiara per il­ lustre casata, o per censo, non comprende, come e nome e censo le impongano i più solenni e i più sacri doveri, quello, cioè, dell’istruzione e quello del lavoro a prò della patria ! Alla istruzione ed all’edu­ cazione delle classi meno favorite dalla fortuna prov­ veggono lo Stato, il Comune e i privati; v’era una lacuna, che noi cerchiamo riempiere, e questa si ri­

*) La p e a d e. — L ’éducation liberale, etc. Chapit. pré­

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scontrava appunto nell’ istruzione e nell’ educazione delle classi agiate.

Possiamo anche dire per quiete dei generosi, che la nostra scuola non chiuderà mai le sue porte in faccia ad alcuno; e che, per fermo, dai giovani i quali domanderanno di esservi ammessi, purché so­ disfacciano alle condizioni prescritte nello Statuto delia Società, mai, vorremo sapere a quanto ascenda il censo delle loro famiglie.

Ma aH’infuori di queste ragioni, e qui ritorno alla comparazione del generale e dell’ esercito, lo stato maggiore e tutti gli altri uffiziali e sotto uffiziali di che si ha difetto in Italia, non possono sperar dallo Stato neanche la razione che tocca all’ umile grega­ rio. I servizii che debbon' prestare sono assoluta- mente gratuiti; e ci par dunque logico che avendo in animo di curare la istruzione di quelli uffiziali, siasi pensato ai giovani delle classi agiate, e non a coloro che fortuna ha posti in condizione di dover coll’esercizio delle loro facoltà fisiche e intellettuali procurarsi la sodisfazione di quei tanti bisogni che nascon coll’uomo e lo accompagnano per tutta la vita.

Non è qui luogo a discutere se per avventura tor­ nasse più utile il retribuire quelli uffiziali ; notiamo il fatto qual’è, nè possiamo cambiarlo.

Gli uffici di deputato, di sindaco, di consigliere comunale e provinciale, di presidente di opere di beneficenza, e tanti altri, mentre son tutti gratuiti, richieggono poi ed esigono lunghe ore di lavoro ; e molte volte avviene che quegli il quale è scelto ad alcun di quei gradi, debba anche sopportare del proprio spese non lievi nè poche. Mi si dice, a ca- gion d’esempio, che il sindaco di Firenze non abbia che 5000 lire all’anno per far fronte alle spese di rappresentanza ; ed io, se non fosse indiscrezione soverchia, vorrei sapere quanto egli vi rimette del suo! Ma di ciò basti per ora.

Detto il perchè delle nostre intenzioni, cerchiamo piuttosto di conoscere come nelle nazioni più colte, o liberali di Europa si ottengano que’ famosi uffi­ ziali e sotto-uffiziali e come si provvegga agl’inse­ gnamenti de’quali la nostra scuola si propone farsi dispensatrice.

Per quanto sappiamo e abbiamo potuto veder da noi stessi, nè in Inghilterra nè in Germania esistono scuole che possano, comunque, assomigliarsi alla nostra ; lo scopo, cui oggi miriamo, v’è egualmente raggiunto, ma con altri mezzi che da noi mancano assolutamente.

In Inghilterra gli uomini, quali auguriamo veder sorger tra noi, vanno giovanissimi all’università di Oxford o di Cambridge 1). In esse gli studenti son di due specie : i class-men e i pass-men; i primi dei

*) Dejiogeot e Montucci. — De l’enseignement supé­

rieur en Angleterre et en Ecosse. Vol. in 4°. Anno 1870.

13 giugno 1875 quali aspirano agl’impieghi lucrosi e maggiori nelle Università, nella chiesa e altrove ; i secondi, e sono i più, non ambiscono che ad ottenere un diploma il quale vale ad attestare che un giovane ha potuto spendere molto denaro e tre anni di tempo in mezzo a gentiluomini (gentlemen) e senza far nulla, il che appunto, finché non hanno raggiunta una certa età, si riguarda come un privilegio dei gentiluomini *). Tutti, però, posson compirvi i loro studi universi­ tari, se pur tali posson chiamarsi, in tre anni.

È inutile che io analizzi gl’ insegnamenti che vi sono impartiti ; soltanto dirò che alla fine del terzo anno, si sostengono quattro esami diversi, tra i quali, quello che più interessa la nostra scuola, è l’esame finale in storia moderna, in legislazione ed in eco­ nomia politica. Così si ottiene dai più quel certificato, che, al certo non è la prova migliore della loro cultura intellettuale.

Per regola generale, però, a queste Università Inglesi non accorrono che i figli di famiglie agiate 2); imperocché un giovane vi spende dalle sei alle otto mila lire it. all’ anno; ed anche di più; e compiuti i suoi studii non si trova preparato all’ esercizio di una professione che gli possa fruttare verun gua­ dagno.

Non è dunque dalle Università che si ottiene V educazione liberale delle classi agiate in Inghil­ terra; ma pure lo classi agiate si rendono utili al paese, e per esser tali, nulla risparmiano.

Fatti de’ buoni studii intorno alle vicende ed ai costumi di tutti i popoli, e intorno alla costituzione Inglese, perchè quella si studia da tutti, a compi­ mento della loro educazione, i giovani imparano le lingue moderne più in uso; viaggiano dappertutto; e presso le altre nazioni, per farne poi soggetto di studii compararvi, osservano di persona i costumi, le istituzioni, i governi, la vita pubblica e la vita privata de’ popoli forestieri. Anzi, il viaggiare per studio, tanto rientra nelle consuetudini delle classi agiate d’ Inghd terra, che perfino i membri del Par­ lamento giovani e vecchi profittano delle vacanze parlamentari, per andare all’ estero veder, da vicino e studiare le cose e gli uomini più celebrati. Per tal modo acquistano larghezza di vedute e si arricchi­ scono la mente delle conoscenze più utili alla vita degli individui e della Nazione.

Nè qui si arrestano. Giovani ancora, purché edu­ cati ed istruiti, sono ammessi ad uffieii importanti, ed anche ad assidersi in Parlamento; ed in quelli uffieii, per anni ed anni non s’atteggiano a facondi oratori, non ambiscono sdottorare anzi tempo; ma

1) il . Taine. — Notes sur VAngleterre. Chapit. q u a ­

trième. — Dehogeot et Montucci, oeuv. cit., pag. 151 e 175.

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tacciono e proseguono con tutta costanza a tacere e a studiare, finché non si sentono abbastanza rubusti ed agguerriti.

In una parola, in Inghilterra i giovani delle fa­ miglie agiate studiano e lavorano, perchè sanno che lo studio ed il lavoro son un dovere per loro; al- l ' antica e storica aristocrazia, a poco a poco va sostituendosi 1’ aristocrazia del! intelligenza, di cui sono esempio vivo gli stessi Gladstone e d’ Israeli onde se fra quelli vi son degli inetti, si lascian da banda ; ma tuttavia ne sorgono ancora della vecchia tempra in tal numero da mantener le classi agiate in quel grado di superiorità, che, senza nocumento della libertà e del! eguaglianza, tanto giova al buono e regolare andamento interno d’un libero Stato.

Dal detto fin qui, si rileva che questa educazione è possibile in un paese come l’ Inghilterra , in cui la libertà ha poste salde radici da qualche secolo; è possibile in un paese, in cui il popolo minuto ri­ tiene conforme a natura che le classi agiate lo gui­ dino e lavorino per lui in quelli uffici a’ quali egli non può aspirare a nessun patto ; ma non ci par possibile tra noi giovani troppo alla libertà ed av­ vezzi fin qui a vedere le classi agiate, meno sempre una qualche grande eccezione , riposarsi tranquilla­ mente nell’ozio lor concesso dalle proprie ricchezze e non curarsi di studi e di lavoro.

Non pertanto il bisogno d’ una scuola congenere alla nostra comincia, forse, a manifestarsi anche tra gli Inglesi; imperocché, or son pochi giorni, nella Camera de’deputati credo sia passato alla prima let­ tura un disegno di legge per la istituzione di una scuola di Giurisprudenza e di Scienze sociali. — E se io di tal fatto non tenni conto, attribuitelo o Si­ gnori , all’ ignoranza in cui sono delle ragioni che consigliarono la proposta di quella legge, termini ne’quali è dettata, il numero e 1’ ordine delle disci­ pline che si vorrebbero insegnate, ed il fine spe­ ciale che ebbero in animo i proponenti, in un paese, ove non si hanno scuole che preparino Procuratori legali ed Avvocati.

In Germania, poi, le materie che formeranno sog­ getto d’insegnamento nella scuola di scienze sociali

istituita in Firenze, s’msegnano nelle università, ma, al solito, non col fine speciale pel quale saranno in­ segnate tra noi. In ogni modo, v’è differenza tra le università Germaniche, le Inglesi e le Italiane; e questa differenza coopera in qualche parte, se non in tutto, ad educare come intendiam-noi, i giovani delle classi agiate. — Nelle università Italiane, come avvertiva con tutta verità e con quella eleganza di stile che gli è propria, il mio amico e collega prof. Fon- tanelli, s’insegna quanto può teoricamente bastare a formar gli avvocati, i procuratori legali, i magi­ strati, ed i futuri professori. Ma gli studenti vi sono obbligati rigorosamente a frequentare tutti i corsi

determinati [nei programmi ufficiali, ed a ripetere agli esami presso a poco quel che han detto dalla cattedra i professori.

In Germania, invece, noi troviamo, il paese della vita e della libertà universitaria, libertà che ebbe sempre validissimi difensori tra i quali Niebuhr, Sa- vigny e Grimm; e che ha prodotti e produce tut­ tavia eccellentissimi frutti. Lo scolaro tedesco, una volta inscritto alla università, sceglie a piacer suo i corsi che reputa più utdi o più acconci alla sua inclinazione; fra tutti i professori elegge il più ac­ creditato o quello che più gli va a genio e lo paga; ricorre al privato docente (Privateti docenten) che riempie le lacune dell’ insegnamento officiale, non v’ è esame o regolamento governativo che, finché egli studia, lo inceppi o raffreni, compie i corsi e li ripete finché non si sente sicuro di sé; e consi­ dera le 19 università germaniche come aperte in ogni tempo per lui. Con tutta facilità, poi, fa pas­ saggio da una facoltà all’altra, e questi cambiamenti che da noi qualche volta son pei giovani cagione di gravissimi danni e per tutta la vita, si compiono in Germania senza difficoltà e senza danno. Un esempio chiarirà meglio di quel ch’io non possa far con pa­ role, questo liberale ordinamento di studii. Il celebre Carlo Raumer, *) fratello del famoso storico nel 1801 lasciò il ginnasio e si ascrisse come studente di Di­ ritto a Gottinga alle lezioni del Prof. Waldeck che spiegava le Istituzioni e le Pandette secondo il me­ todo antico ; nell’anno seguente preferì il prof. Hugo che apparteneva alla scuola storica; ma in tutti e due gli anni seguì anche uno o due corsi affatto estranei alle sienze legali e così, senza tener conto della conoscenza ch’avea delle lingue moderne, studiò Matematiche sotto Thibau, e Storia naturale sotto Blumenbach. Nel 1803 si trasferì a Halle per assi­ stere alle lezioni del celebre filologo Wolf; ed era sul punto di presentarsi agli esami per darsi all’av­ vocatura quando un suo amico gli parlò con entu­ siasmo del geologo Steffens. — Raumer, allora, si diede con passione allo studio della Geologia, e lo compiè poi nella scuola di Freiberg. Nel 1809 lo vediamo in Svizzera per avere da Pestalozzi lezioni intorno al metodo pedagogico ; e nel 1810, e non avea che 27 anni d’età, invece di avvocato, era già nominato professore di Geologia a Breslavia.

Cr questa facilità di cambiar facoltà e professori, questo tasteggiare una scienza e poi un’ altra, mol­ tiplica le conoscenze d’un giovane, il quale finisce per spingersi là dove la sua intelligenza lo chiama; e quel che più interessa il nostro soggetto, dà modo ai gio­ vani delle classi agiate di compier, senza tanti ostacoli, lo studio di quelle discipline che loro sembrano più

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716 L’ ECONOM ISTA

13 giugno 1875 utili alla loro condizione sociale e più convenienti

alle loro particolari inclinazioni. Ma non basta. Compiuti i loro studii, i giovani si presentano agli esami e ottengono il grado di dottore, grado che si risolve in un titolo onorifico, necessario in pochis­ simi casi e che non ha effettivamente un vero e proprio valore legale.

Quindi chiunque aspiri ad un impiego, voglia darsi aH’insegnamento, o ad una professione, deve presen­ tarsi agli esami di Stato, che son dati da esamina­ tori nominati dal governo fra gli uomini più illustri, ma il meno possibile tra i professori insegnanti. Se­ verissimi esami son questi, e tanto più severi in quanto, purché, un giovane abbia fatto in precedenza un corso universitario, non gli si domanda dove e come abbia studiato; ma si vuol con essi acquistar certezza di quel ch’egli abbia imparato. Anche questo fatto influisce grandemente sull’ educazione intellet­ tuale delle classi agiate, perchè tutti i giovani sanno, come, a meno che non preferisean poltrire nella mol­ lezza e negli ozii, il che non è proprio della razza germanica, o prima o poi debban necessariamente dar pubblico saggio della loro istruzione.

Finalmente vuoisi osservare, come quella burocra­ zia, contro la quale tanto si esclama tra noi e forse non con tutti i torti, è in Germania, mezzo efficace d’educazione tanto delle classi agiate, quanto di quelle che son chiamate comunque a fornir funzionarii allo Stato, ed ecco come : È metodo inaugurato da Stein, se non andiamo errati; è metodo che dal primo al- 1 ultimo gl impiegati delle pubbliche amministrazioni sieno individualmente responsabili degli affari che son loro affidati. Dal commesso d’un Ministero, agli agenti diplomatici d’ogni ordine, tutti rispondono °del "fatto proprio; e di regola non si permette a un impie­ gato subalterno di rivolgersi ad un superiore, per aiuto o consigli. Trasmesso un affare qualunque ad un impiagato, egli dee pensare a risolverlo; egli è appositamente in ufficio per questo, e in lui non si ammette ignoranza. Ora, da questa responsabilità per­ sonale, nasce di conseguenza, che tutti son costretti a studiare quasi ogni giorno ; e cosi acquistano, mercè un esercizio continuo, una pratica nelle trattative di molti affari svariati, che la non si trova in sì larga dovizia negli impiegati d’altre nazioni.

Tra noi manca la libertà che si trova nelle uni­ versità germaniche, manca quella smania di coltivare le facoltà intellettive che fin da bambini i tedeschi sentono potentissima, manca quell’esercizio continuo •che per loro è consuetudine, a qualunque ufficio sien essi eletti; e quindi nell’educazione delle clasri agiate l’Italia non potrebbe davvero, prendere ad imitare la Germania, divenuta oggi cotanto potente.

Non vi meraviglierete ora, o Signori, se a tal punto noi ci avviciniamo di più all’ Italia, e fermiamo la nostra attenzione alla Francia; e non ve ne mera­

viglierete, ripensando che la nostra Italia, fatta ec­ cezione delle provincie lombarde e venete, quasi tutta si è risentita fino agli ultimi tempi della sog­ gezione al Primo Impero ; che le pubbliche ammini- nistrazioni erano foggiate alla francese, e che le stesse leggi il cui fondamento era pur sempre l’antica sa­ pienza romana, o eran prese pari pari a prestito dalla Francia, o si eran di poco modificate o tutto al più si erano rivestite di una forma paesana.

In Francia, adunque, dopo i rovesci, i disinganni e le umiliazioni sofferte nell’ultima guerra; dopo le sventure ben più gravi patite per colpa di gente che nella sua ebbrezza acquistò l’ orrida celebrità del pazzo Erostrato, si pensò sul serio a preparare delle generazioni migliori e quindi a procurare, sen- z’ altro, un’ educazione ed una istruzione particolar­ mente indirizzata a chi, più o meno fornito di censo potea rendere al paese grandi e disinteressati servigi; al che non provvedeva, come non provvede tra noi, l’insegnamento officiale. Con questo intendimento, sul cadere del 1871, Emilio Boutmy ed Ernesto Venet promossero una scuola libera di scienze politiche in Parigi ; ebber subito cagione a bene sperare dal plauso di Taine, di Laboulaye, di Guizot e del gior­ nalismo francese;f) ed il paese intiero comprese fin da principio ove mirassero i loro sforzi patriottici e generosi.

In Francia, come in Italia, le università non ser­ vivano e non servono che a preparare i giovani a de­ terminate professioni, il che è affatto diverso da quello che in un paese, il quale vanti un sistema di governo rappresentativo, è necessario a formare una classe acconciamente istruita ed indipendente; di cui in Francia ed in Italia si sentiva e si sente il difetto. Ed in Francia i promotori della scuola libera di scienze politiche, fatti accorti da una dolorosa e ben dura esperienza, dissero, quel che ban detto oggi in Italia, e per tempo, i promotori della scuola libera di scienze sociali; noi curiamo l’educazione e l’istru­ zione :

1° Dei giovani che per la loro condizione so­ ciale e le loro attitudini aspirano a entrare nella vita politica, e partecipare alla vita pubblica nei Comuni e nei Consigli provinciali;

2° Dei giovani che intendono percorrere la car­ riera diplomatica, come addetti al Ministero de di affari esteri, segretari di legazione, consoli, ecc. ;

3° Dei giovani che aspirano a essere preferiti a qualche impiego e di coloro che impiegati nelle varie amministrazióni dello Stato, si apparecchiano a sostenere onorevolmente i loro esami di promo­ zione ;

*) Gu iz o t, Lettre du 7 octobve 1871. — Laboulaye,

Lettre du 3 0 septembre 1871. — H . Ta in e, Débats

Riferimenti

Documenti correlati

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che e di Toscana, conservando i caratteri dell’origine loro podolica, sotto l’influenza dell’allevamento colla stabulazione perpetua, ingentilirono nelle forme, ma

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