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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.02 (1875) n.44, 7 marzo

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L’ECONOMISTA

GAZZETTA. S ET T I MA NA L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Alino II - Y o l. i l i

D om en ica 7 m arzo 1875

N. 44

IL CONGRESSO DI MILANO

franchi. A ltri calcolarono : 5 minuti di ozio ogni

V

Lavorode’fanciulli - Lalezionedell’espebienza

Giacché ci han fatto d'im provviso sparire l ’In ­ chiesta, il nostro com pito si è dimezzato ; e pas­ seremo senz’ altro a spiegare perchè, in onta a un consenso pressoché generale, noi siamo ritrosi a sposare lo z e lo , con cui si vorrebbe precipitare l ’ introduzione in Italia della .così détta tutela, a favore de’fanciulli operai.

Sem brerà un paradosso; ma ciò che ci ha scorag­ giati di più è 1’ esperimento medesimo che l ’ In­ ghilterra ne ha fatto. In qual modo, abbiam do­ mandato a noi stessi, codeste leg gi tutelari, delle quali, ove sia necessario dirlo ancora una volta, noi rispettiamo l ’ intenzione e il prin cip io giuri­ dico , in qual m odo operarono sino ad ora ? Se non vuoisi negare la luce del s o le , uopo è rico­ noscere che esse han generato , e sempre meglio genereranno in appresso, effetti precisamente con ­ trarii a quelli che miravano a conseguire. V o le ­ vano giovare alla persona medesima de’ fanciulli, conservandosi innocue verso i loro p a d r o n i, ma invece inflissero dapprima enorm i jatture ai fab­ bricanti e poi finirono col rovinare i fanciulli.

I l prim o danno, pei grandi m anifattori, era vi­ sibile, si potè c o n te g g ia rlo , e lo vediamo unani­ memente confessato. L a potenza m eccanica, che non va di sua natura soggetta a stanehezzi, de­ riva dal sacrificio di sterminati capitali; e p e r ò , nello interesse del fabbricante, non dovrebbe mai riposarsi, affinchè non cessi un momento di ren­ dere il frutto , legittim am ente dovutogli. Della grande industria moderna potrebbe quasi con esat­ tezza affermarsi che la produzione non vien dal lavoro, ma dalla continuità del lavoro. Ashworth, uno de’ più cospicui m anifattori britannici, in qual­ cuna delle inchieste inglesi deve aver detto : se un contadino depone la sua vanga, ciò che lascia in ozio è un valore di appena 2 franchi; m a quando un solo de’ nostri tanti operai sospende di lavorare, il suo riposo sterilisce un valore di 2 o 3 mila

giorno , fan due o tre giornate in un anno ; e quando il Parlam ento sopprime un’ ora o due di lavoro quotidiano in un grande o p ificio , invola il 13 o il 25 °/o del prodotto n etto, è com e se imponesse sul fabbricante una tassa di parecchie m igliaia per anno.

Questi calcoli non si potevano contrastare, e con ­ trastati non fu ron o; ma è proprio de’ vino olisti il non perder co ra g g io .p e r così poco.

Han mostrato la sagacità di aver saputo sco­ prire che il lavoro, di sua natura, acquista in ala­ crità ciò che perda in tem po: massima quasi vera affatto, allorché si parli di travaglio umano , af­ fidato a’ muscoli e nervi dell’u o m o ; massima evi­ dentemente erronea, quando si parli di opere dipen­ denti da macchine che non sudano nè sbadigliano, a cui l ’uomo n on è tenuto di associarsi che per gu i­ dare e vegliare.

I vincolisti si son poi consolati riflettendo che la jattura del fabbricante è servita di stimolo a’ per­ fezionam enti industriali, giacché la scienza accorse a riparare, con le sue invenzioni, il disastro che la legge avea causato. E qui, si esce dall errore, per cadere in un sofisma, poco degno, in vero, dell’illustre W olow sk i che più di tutti lo volle adoperare. L a scienza fa sempre il suo cammino, perchè porta innato in sè stessa il bisogno di pro­ gredire, senza di cui non sarebbe scienza. Il m ondo esterno, sì, contribuisce moltissimo a stimolarla-, m a ella è neutra dì faccia al mondo, non sente predilezioni partigiane, non cede ad im pulsi g o ­ vernativi più di quanto cederebbe a quelli che venissero, e vengono in copia largam ente maggiore, dall’industria libera. Ci si concederà, speriamo, che senza leggi di tutela le industrie inglesi avrebber fatto egualmente i loro progressi, non sarebbero rimaste im m obili; e infatti non si aspettarono g li atti di G iorgio III e di Peel, perchè nascessero A rkw right e W att. Fu inventata recentemente una

dipping machine per assorbire le esalazioni fosfo­

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utili degli opificii? la spiegazione ci sembra valga poco ; eppure ci rincresce di dover dire che l ’ha data tal quale il Lam pertico, benché possa averla tolta da altri. Ma insom ma: se 1’ umano sapere avesse bisogno di farsi sospingere dalla nequizia o assurdità della legge, la società non dovrebbe, per compiere i più meravigliosi progressi, che met­ tersi a fabbricare le leggi più mostruose. A ciò l ’argomentazione del W olow sk i direttamente con ­ duce. Ma il grosso buon senso degli uomini ra­ giona ben altrimenti ; e reputa insania il procu ­ rarsi un’ infermità per fruire la benefica azione d’ un farm aco; e dichiara follia che ci facessimo strappare ambo gli occhi, per acquistare un udito ed un tatto più raffinati. Le leg gi tutelari lian danneggiato sensibilmente quanto da loro potea dipendere, la condizione de'fabbricanti : questo è l’ effetto di cui esse rispondono. Se ciò nondimeno il fabbricante ha potuto da un altro lato procu ­ rarsi un vantaggio, che senza il danno sofferto potea godere del pari ; se il ^crogiuolo e la pila son venuti o soccorrerlo; se 1’ emancipazione del commercio ha rieecitato la produzione; se l ’Inghil­ terra non è perita o si è arricchita di più ; tutto ciò non cancella la tendenza malefica delle leggi

tutelari, non distrugge il guasto da loro prodotto

e sarà m olto che arrivi a com pensarlo; tutto ciò è un caso fortuito, di cui il vincolismo non deve pavoneggiarsi; o è piuttosto l ’ opera di quella vis

medicatrix, alla quale il vincolismo non crede, tutte

le volte che non gli giovi.

Altro danno, forse ancora più esteso, ma men visibile in numeri, è risultato dal complesso delle molestie che si son cum ulate sul fabbricante. D a principio si nutrì la lusinga che una sorveglianza lieve e indulgente bastasse; ma di grado in grado le leggi inglesi incrudelirono in m odo letteralmente spietato.

Formalità disciplinari infinite, registri di m ille forme, doppi e tripli certificati, meticolose, e molto spesso ridicole, precauzioni ne’ meccanismi, visite tanto più ripetute quanto più riescano infruttuose, medici a spese del fabbricante, m ulte strabocche­ voli ad ogni passo : queste sono le parti più ele­ ganti che si leggano in quella ventina di leggi emanate nel Corso de’ 70 anni ora scorsi. E in oggi, piccoli e grandi opificii son tutti contornati a meraviglia, sotto regole di clausura conventuale, a cui il regio ispettore presiede, sorveglia, comanda. Picchia di nottetempo alla vostra porta (l’onore­ vole Sella ebbe una volta interesse di ricordar­ celo); ed è forza di aprirgliela. T errà più volte nel corso della giornata ; e vi darete 1’ onore di fargli liete accoglienze. Interpreta a suo modo una

legge equivoca; e bisógna accettare a fronte bassa la sua lezione. Col cronometro in mano, esamina il vostro orologio, lo trova in ritardo ; e vi multa. A pre un’inchiesta nella vostra casa, chiarfitad uno ad uno i vostri operai e domestici, profitta de’ loro rancori per indurli a denunziarvi e calunniarvi ; e vi trascina a lunghi e costosi litigi. Egli ha fino il diritto di presumere la frode: se ha incontrato per le scale dell’opificio un essere umano, il cui nome non si legga nella lista de’lavoranti, sta a lui dichiararlo contravventore ; e voi dovete r i­ sponderne.

Tutto ciò, noi lo com prendiam o, è un ’inezia, è anzi uno de’paradisi che la nuova Scienza de’ eon- gressisti desidera regalare all’ Italia ; ma nello schietto linguaggio degli affari si chiama tem po, danaro e martirio. V ’ è bene fra g l’ Inglesi una parte che ne sente vergogna ; ma il Parlamento, che ha coordinato di pezzo in pezzo un sì goffo sistema, di vessazioni, è costretto a tacersi, perchè la logica umana non è mai così ferm a, come quando vien chiamata a difendere un errore com ­ messo. La grande -stampa, che fu complice del­ l’ errore, tace essa pure ; è appena sui giornaletti della provincia, o su qualche pagina di romanzo, che si possono spigolare le scene della tortura a cui la filantropia ha condannato P industria. Ma qualche nuova è dovuta pur troppo arrivarne in Italia, se dobbiamo arguirlo dalle poche parole di sdegno, che al Bossi e al D e’ Gori sfuggirono nel Congresso, e non furono applaudite.

Ciò che dovea derivarne, avvenne assai di bu on ’ora, e durò lungamente. Le leggi di tutela

incontrarono una di quelle resistenze ostinate, che mai, per altro, non mancano, quando le violazioni di libertà sorpassano i lim iti del bisogno ed at- taccan di fronte g li interessi materiali. N e’ tanti R apporti degli Ispettori, nella storia del Plener che abbiam o accen n ata, un p o ’ ancora nel libro medesimo del L a m p e rtico , si può vedere quanto tem p o, quanti sforzi legislativi, ci vollero, non perchè fosse lecito dire attecchita la legislazione

tutelare, ma perchè al meno potesse già reputarsi

teoricam ente costituita.

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7 marzo 1875 L ’ E C O N O M I S T A 259

verità, e si seppe : che i fabbricanti avevano si­ m ulato età e nom i di operai e registri ed orarii ; avevan rubato minuti ed ore, ogni giorno, al prin­ cipio od al fine della giornata, la notte, nelle ore del pasto ; che questi e cento altri ripieghi si eran potuti usare a man salva, mediante uno spionaggio com binato assai bene, perchè l’Ispettore mai non giungesse a tem po opportuno per sorprendere la flagranza dell’infrazione. Si diedero provvedim enti amministrativi ; si intentarono processi (per lo più decisi da’ magistrati a favore del delinquente) ; si emanarono nuove leggi. Ma a llora , la scena si muta. Le resistenze prendono un’altra via ; l’inte­ resse del m anifattore si salva alla m eglio, e tutte le calamità vanno definitivamente a ripiom bare sugli operai.

Prem ettiam o che il Parlamento avea distinto i fanciulli in due classi : quelli di tenerissima età, al disotto di 8 o 9 an n i; e quelli, un po’ più cresciuti, da 9 a 13, dopo de’ quali venivano gli adolescenti, da 13 a 18 anni. De’prim i non occorre parlare : ad essi fu interdetto ogni lavoro, e qu e­ sto intento riuscì agevolissim o a conseguirsi, per la ragione ben semplice, che bam bini così immaturi raro è che si adoprino, e poco giova adoprarne. La quistione si aggira su quelli di seconda cate­ goria. Son essi che il legislatore inglese ha voluto peculiarmente proteggere, e son essi che han fatto le spese della sua paterna sollecitudine.

Premettasi ancora che, com e tutti sanno, le prime restrizioni furono indirizzate soltanto contro le ma­ nifatture di materie tessili : cotone, lana, seta, ca­ nape, lino ; nelle quali era più segnalata 1’ a f­ fluenza de’fanciulli operai.

Ora, tostochè a questi non fu più permesso di lavorare che 7 ' o 6 ore per giorno, i padroni eb- ber la scelta fra due partiti.

A lcu ni si disfecero della loro ciurm a infantile. S’intesero con g li adolescenti, ponendoli (la legge lo perm etteva) a una giornata di 12 ore, ed ac­ cordando a ciascuno una mercede minore d i quella che si sarebbe dovuta pagare per due fanciulli ; ebber così un lavoro m igliore, a m inor prezzo, li­ beratisi intanto dalle responsabilità e dalle noie che la legge im poneva.

A ltri adottarono un m etodo di ricam bii o mute, che consisteva nello arruolare due tru ppe di fan­ ciulli, per due alternati lavori di sei ore ciascuno, e così ottenere l ’intera giorn ata di 12 ore.

Questo m etodo parve così legittim o e buono, che lo troviam o raccom andato da Senior e dal me­ desimo H orner, il più distinto fra g l’ ispettori. 11 legislatore anch’egli avea mostrato di consentirlo, quando, n ell’ atto del 1833, si limitò a proibire che

uno stesso fanciullo venisse iscritto in due sepa­ rate manifatture.

Se non che, surse ben presto l’ abuso. Era tanto facile il trafugarsi da un opificio ad un altro, che il sistema delle mute divenne generalmente l ’astu­ zia, per mezzo della quale ciascun fanciullo potè a man franca occuparsi per 12 ore, purché le r i­ partisse fra due o tre luoghi diversi. Fu scoperta anche questa ; e ne nacque uno scandalo, un cla ­ m oroso processo, che tuttavia i magistrati decisero a favore degli imputati. Ciò avveniva nel 1850. Il catafalco delle tutele se ne trovò tutto sdrucito; e il Parlamento, dopo mezzo secolo di sudori per­ duti, si sentì umiliato. Ma G iorgio G rey ed Ashley prom ossero allora, e vinsero, un nuovo Bill, nel quale si andava sino a prescrivere che nelle fa b ­ briche tutelate, non fosse lecito lavorare, se non precisamente alle medesime ore per tutti. Così i ricam bii divennero materialmente im possibili ; ma uu atto di m aggior tirannia industriale non si sa­ rebbe saputo ideare da Stefano Boileau o da Colbert.

Comunque sia, ognun vede che questo prim o periodo si chiude in modo ben degno di essere raccom andato alla memoria de’posteri. L a legge

ha tutelato una classe di piccoli lavoranti sì bene,

da farli cacciare come leprosi dagli opifieii in cui guadagnavan la vita. A vrà lor procurato, se vuoisi, sanità ed istruzione, ma privandoli del pane coti­ diano, o costringendoli a mutar mestiere, a gettarsi in industrie nuove per loro, a seppellirsi vivi nelle miniere, per trovarvi appunto le malattie e 1’ i- gnoranza da. cui avea preteso di saperli salvare!

I l secondo periodo non fu che complem ento e perfezione del prim o. Se i leprosi riuscirono ad invadere le industrie non tutelate, ciò era potuto avvenire soltanto perchè esse non erano tutelate. Or chi ci vieta di estendervi le medesime le g g i? pensarono e dissero g l’ispettori. Le estenderemo! replicarono i vincolisti del Parlamento ; e benché titubassero per 10 anni, nel 1860 si fecer corag­ gio, com inciando a snocciolare un rosario di leggi suppletive, in virtù delle quali è oramai cancel­ lata ogni reliquia di eccezioni.

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ogni genere d ivellutati (1). N ell’agosto poi del 1867, in data del 15, un nuovo A tto (30 e 31 Vitt., c. 103), dopo avere enumerato tutte le industrie metallur­ giche, e le vetraie, e le cartiere, e i tabacchi, e le tipografie, e la rilegatura de’libri, e fino i la ­ vori di gomma elastica e gutta-perca, si aggiunse, quasi sbadatamente, con uno di que’tratti magi­ strali che s’ incontrano spesso nelle leg gi inglesi, una clausola generale, per cui qualunque siasi industria, in cui lavorassero non meno di 50 per­ sone, veniva ad un tratto tirata su, entro la rete della tutela.

L ’effetto di questo colp o sarebbe stato sicuro : espulsione generale de’ fanciulli da tutti i grandi opificii; e, come ha bene osservato il Lam pertico 'a d altro proposito, que’poveri esuli non avrebbero trovato rifugio che ne’ mestieri e nelle case (2). Se non che, i legislatori, scaltriti oramai dalla esperienza, si erano apparecchiati al rimedio. Un Atto, posteriore di appena sei giorn i (c. 145), so­ pravviene a dichiarare senza ritegni o pietà che

i Factory Acts rimanevano pure applicati alla p ic­

cola industria, a qualsivoglia mestiere, bottega, ufficina, ovunque lavori di qualunque genere si eseguissero. — Così l ’ordinamento ideale della tu ­ tela si trovò tutto decretato. Il Luzzatti non si stanca di citarlo ogni giorno, gongolando di gioia. Il Lam pertico lo contem pla estatico ; e invece di scorgervi ciò che a prima giunta parrà, una fra le più dissennate imprese legislative del nostro secolo, vi trova la naturale e sapiente gradazione d’uno stupendo progresso della scienza economica, la quale, affatto estranea, non ne ha alcun merito nè demerito.

N oi ora saremmo curiosi di conoscere quale im­ pressione avrà generato n ell’animo de’ nostri let­ tori il genuino racconto di questi fatti; e se eglino son curiosi altrettanto di sapere la nostra, eccola francamente.

Le leggi tutelari in Inghilterra, secondo noi, non

furon sinora che uno spettacolo di fantasm agoria filantropica.

I capi-m anifattori vi figurarono già com e vit­ time prime e necessarie alle esigenze dell’igiene e della educazione infantile; ma subite le prim e per­ dite, si son salvati, abbandonando i fanciulli operai a quella sorte qualunque che dalla legge era loro serbata.

(1) Fustian-cutters. E un equivoco del Lampertico l’aver tradotto « fabbricanti di fustagni ; » tutti i tessuti di seta o cotone, lavorati a pelo raso, entrano in questa categoria.

(2) « Quanto più, son le parole dell’ A., si limita il lavoro delle fabbriche, tanto più i fanciulli s’ im­ piegano ne’mestieri ed in casa ».

L o stato vi figura bensì da protettore di tenere creature, ma che, per eccesso di amore, parrebbe aver loro tramato una specie di caccia reale, fer­ mamente condotta, com e farebbesi contro un grosso branco di animali nocevoli. Le snidò in principio dalle industrie tessili ove trovavansi riunite ; poi le inseguì in tutti gli altri opificii ove eransi ri­ coverate ; og gi le ha cercate e sorprese nella b ot­ tega, nel laboratorio domestico, nel tugurio, nella capanna se fa bisogno.

Tra lo Stato da una parte, manufattori e fan­ ciulli dall’altra, la tutela si è convertita in una scena di guerra, impegnatasi fra la volontà di la­ vorare, e il fanatismo pietoso che tratta come un delitto il lavoro : guerra lunga,, monotona, instan­ cabile, guerra di settantanni, che pur troppo m e­ riterebbe il suo Schiller.

L a società aveva evidentemente bisogno di nu­ tricare una popolazione che sin dall’ infanzia si fosse abituata a riconoscere nel lavoro il destino dell’umanità ; ma le leg gi inglesi hanno insegnato ai fanciulli che lavorare è condanna, violenza, as­ sassinio, ingiustizia, alla quale, dalla legge aiutati, han diritto a sottrarsi il più lungam ente che possano.

La Società aveva ancora bisogno, non meno sacro ed urgente, di ottenere che i diritti della produzione si svolgessero insieme, fin dove ci sia conceduto, a quelli della salute, della mente e del cuore, n e’ fanciulli operài. Ma tra tutti i mezzi che la libertà potea suggerire, nessuno a’ieg isla- tori inglesi è piaciuto; scelsero il più violento, lo sforzarono sino alla crudeltà ; conscii od inconscii hanno decisamente im pedito il lavoro a’ fanciulli.

Per dare adunque un giudizio sul valore in­ trinseco di codeste leggi, bisognerebbe seguire le pedate di que’piccoli esuli dagli opificii. D ove an­ darono essi ? che fanno ? Cerchiamoli bene, e non sarà impossibile rinvenirli. Una parte, si aggrap­ parono alla tassa de’poveri. Un’ altra, infingarda, gravita sulle spalle di genitori indigenti e la bo­ riosi. Una terza poltrisce infracidandosi nella melma de’quartieri infami. Una quarta ha assaporato già la prigione. Una quinta, ci sembra di udirla a perorare nella log gia segreta de’ ladri e ladrun­ coli in Londra.

È questo tutto ciò che la scienza nuova vuol copiato in Italia ? Noi saremo p iù superbi che mai, di appartenere alla vecchia.

LE CONFERENZE MONETARIE DI PARIGI

i l i

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rap-7 marzo 18rap-75 L’ E C O N O M I S T A 261

porto a’ suoi confederati monetarii, sia rispetto alla sua politica finanziaria interna.

La convenzione monetaria, più volte citata, del 23 dicembre 1863, fu approvata colla legge del 21 lu­ glio del seguente anno 1866, circa tre mesi dopo che in virtù del decreto legislativo del I o maggio era stato stabilito il corso obbligatorio dei biglietti della Banca nazionale senza determinazione di tempo, e senza limile di somma. Ibiglietti della Banca erano

dati e ricevati (art. 3 del decreto) come danaro con­

tante p er il loro valore nominale, ne’pagamenti effet­ tuabili nello Stato tanto tr a i’ Erario pubblieoe ip r i­ vati, società e corpi morali d’ ogni naturaper qualsiasi titolo e anche in conto o saldo di tributi o prestiti, quanto tra privati o società e corpi inorali d’ogni natura tra loro vicendevolmente, non ostante qua­ lunque contraria disposizione di legge o patto con­

venzionale. La carta si era già sostituita al medio

legale della circolazione metallica in Italia, prima che la convenzione monetaria vi fosse attuata. La condizione della Francia, del Belgio e della Svizzera rimaneva quale era nel giorno in cui fu stipulata la convenzione; ma era profondamente variata quella dell’ Italia. A misura che cresceva il disaggio della carta in rapporto alla moneta, questa era natural­ mente e inesorabilmente scacciata dalla circolazione. Introdotti anche i biglietti di piccolo taglio, di due lire, una lira, e di cinquanta centesimi (e chi non rammenta la maravigliosa concorrenza e la strana anarchia delle emissioni?) emigrò dalla penisola anche la moneta divisionaria di bassa lega per la ragione medesima onde emigravano l’ oro e 1’ argento, salvo soltanto le masse metalliche immobilizzate degli isti­ tuti di emissione, il capitale impiegato nel commercio, sorto alfombra del corso forzoso, del baratto della carta in moneta, e i piccoli tesori che i privati si tengono in serbo, e che, meno che in tempi nor­ mali, sono disposti a sprigionare per un impiego ri- produttivo. Seguiva da ciò che la moneta, sia divi­ sionaria, sia principale d’oro e d’argento, era coniata in Italia, a forma e a’ termini della convenzione del 1863, pe’ bisogni non della circolazione interna, ma del com m ercio esteriore, e col mediato o imme­ diato effetto di accrescere la quantità della circola­ zione metallica degli altri tre Stati dell’ Unione. Finché l’ abbondanza non giungeva a tale da cagionare de­ prezzamento, e finché per la poco sensibile differenza tra il rapporto del valore commerciale e quello del valore legale fisso tra l’ oro e 1’ argento non poteva verificarsi la sostituzione del più deprezzato al me­ tallo più caro, ma si verificava quasi interamente la sostituzione reciproca dell’ uno all'altro; la Francia, il Belgio e la Svizzera, nonché ricever danno da que­ sta anormale condizione della circolazione interna in Italia, evidentemente ne traevano vantaggio pel pra­ tico allargamento del limite della moneta divisionaria,

il quale cominciava ad apparire poco corrispondente a’ bisogni del piccolo commercio, e si sarebbe forse dovuto mutare, se non vi fosse stato il corso forzoso della vicina Penisola confederata. Ma non tardò a va­ riare la condizione del mercato de’ metalli preziosi, e il ribasso del valore commerciale dell’ argento pro­ vocò il timore che una illimitata coniazione di scudi italiani, non necessaria a’ bisogni della coniazione in­ terna, divenisse la causa principale della invasione straordinaria che minacciava gli altri paesi dell’ Unio­ ne. Questi avevano interesse a restringere, contraria­ mente alla convenzione del 1863, la circolazione degli scudi. Ma a che sarebbe giovata la limitazione della Francia, dove il corso forzoso non arreca notevole alterazione all’ andamento normale della circolazione metallica, e quella del Belgio e della Svìzzera, se l’ Italia non avesse consentita una, se non maggiore, almeno eguale limitazione per parte sua?

Oltre a ciò, è da notare che dalla convenzione del 1863 non derivava il reciproco corso legale nel territo­ rio degli Stati dell’Unione delle monete rispettivamente emesse, ma soltanto l’ obbligazione di riceverle nelle casse de’ rispettivi governi; e, sebbene l’ Italia avesse accordato per atti di legislazione interna il corso legale alle monete francesi, belghe e svizzere, una simile di­ sposizione di reciprocità non era stata emanata per le monete italiane. Le banche e il commercio avevano, ciò nondimeno, ricevute le nostre monete senza dif­ ficoltà nel modo stesso che erano ricevute nelle casse governative, finché, coincidendo col rapporto legale il valore commerciale de’ due metalli, non v’ era danno nell’ ammettere illimitatamente e indistintamente le monete dell’ uno o dell’ altro. Ma appena cominciò il rinvilio dell’ argentc, e si potè temere che l’ invasione degli scudi fosse alimentata dalle condizioni speciali dell’ Italia favorevoli alla speculazione de’mercatanti

di monde, le Banche di Francia e del Belgio, e

conseguentemente il commercio de’ due paesi, comin­ ciarono puranco a rifiutare le monete italiane d’ ar­ gento di cinque lire, delle quali restò limitato il còrso legale esclusivamente alle casse governative a forma della convenzione del 1863.

Tale era nel 1873 la condizione dell’ Italia in rap­ porto a’ suoi confederati monetarii. Ed è quasi su­ perfluo il dimostrare come dall’ altra parte non si trovavano di accordo colle esigenze della politica

monetaria della Francia, del Belgio e della Svizzera

gl’interessi e i bisogni pratici dalla sua politica fi­

nanziaria interna. Imperocché non è necessario di­

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basso prezzo dell’ argento, rendere meno malagevole anche alle Banche di emissione la costituzione del loro fondi di riserva ; e il Tesoro medesimo aveva un interesse diretto ad emettere la maggior quantità pos­ sibile di scudi per provvedere con assai minore dispen­ dio al bisogno de’ pagamenti all’ estero e specialmente in Francia, dove, a prescindere da altri debiti per for­ niture e somministrazioni diverse, giunge a circa cin­ quanta milioni di franchi la somma da pagare ogni anno per la rendita consolidata. Finalmente, se il Tesoro italiano, in omaggio a più elevati principii, avesse pur voluto rinunziare all’ utilità fiscale di una emissione di scudi per suo conto, non avrebbe fa­ cilmente potuto anco rinunziare alla facoltà di far ridurre in monete decimali le vecchie monete degli ex Stati che continuavano ad affluire nelle sue casse in pagamenti di dazii di confine. Si calcolava non essere minore di cinquanta milioni la quantità com­ plessiva, e affluirne alle casse del Tesoro non meno di venti milioni all’ anno.

D’ altronde, da’ documenti scambiati fra gli Stati confederati, a’ termini dell’ articolo undécimo della Con­ venzione principale ed originaria del 23 dicemb. 1863, resultava che se, a cominciare dal 1866 a tutto il 1873 l’ Italia aveva fatta per conto de’ privati, delle Banche e del Governo una coniazione di scudi d’ ar­ gento per 166,039,820, la Francia ne aveva emessi nel medesimo periodo per 419,012,960, e il Bel­ gio per 31,283,590, non occorrendo parlare della Svizzera, la quale è noto essersi sempre mantenuta ne’ più stretti limiti, per la sua perseverante aspira­ zione all’ unico tipo d’ oro. E se si paragonano le emissioni fatte nel 1873, cioè nell’ anno appunto in cui pel rinvilio dell’ argento cominciò 1’ opera della speculazione e si turbò l’ azione normale del duplice tipo, 1’emissione complessiva di 308,117,435 superò, com’ era naturale, quella di ciascuno degli anni ante­ riori, e quasi giunse ad eguagliare la metà della somma di quella di tutti i suddetti anni presi in­ sieme; e quella respettiva de’ singoli Stati dell’Unione superò parimente tutte le altre precedenti. Ma, nel confronto relativo dell’ uno all’ altro Stato, mentre l’ Italia raggiunse appena la cifra di 42,273,935,

r e ­

missione francese sali a 134,138,725, e la belga a 111,704,795. Quindi è che, per quanto valore si fosse voluto dare alla circostanza che la coniazione italiana sia destinata esclusivamente alla circolazione internazionale, mentre la Francia e il Belgio dove­ vano principalmente provvedere anche a’ bisogni del commercio anteriore ; non appariva pienamente giu­ stificata da’ fatti l’accusa che l’ Italia, anzi che conte­ nersi ne’più ristretti termini che lo erano possibili, avesse dato alimento alla speculazione, e fosse stata la grande porta aperta agli scudi che si sostituivano alle riserve metalliche d’ oro negli altri tre Stati del­ l’Unione.

Ad ogni modo, in tale condizione di cose, e in tale conflitto di rapporti e d’ interessi, il • Governo italiano doveva principalmente concorrere co’ suoi confederati monetarii negli accordi necessari a rista­ bilire le funzioni normali del doppio tipo secondo lo scopo della Convenzione del 1865 — doveva quindi propugnare esso stesso, e accettare il principio della limbazione dell’ emissione degli scudi — doveva esser fedele alle sue tradizioni, e costante nelle sue ten­ denze ad un sistema definitivo, mediante il quale il doppio tipo, per un’ amara delusione, non si converta nell’unico tipo deteriore, e Túnico tipo d’ oro sia il modo razionalmente e praticamente efficace a man­ tenere in determinati limiti legali la circolazione del- l’ altro metallo. Ma, nel rendere omaggio a’ principii, e nel preparare la via al progresso avvenire, non poteva nè doveva dimenticare gli speciali suoi bisogni e gl’ interessi transitorii del presente. Y ’ era evidente­ mente per T Italia un limite necessario alle misure restrittive che le venivano dimandate. Poteva accet­ tarle in fino al punto che erano giustificate dallo scopo di porre un freno alla speculazione de’ privati a danno degli altri paesi dell’Unione; e, infatti, non­ ché limitare, si mostrò disposta a proibire assoluta- mente T immissione alla zecca di Milano di masse d’ argento per conto de’ privati. Ma non poteva ac­ cettarlo in fino al punto da impedire alla Banca Nazionale, che è il principale e più grande istituto di emissione, di costituire in specie monetate il suo fondo di riserva, o da toglieie al Governo la facoltà di provvedere ad interessi urgenti del tesoro, e di riconiare in monete decimali le antiche monete che, versate nelle casse erariali in pagamento di dazi, erano ritirate dalla circolazione a’ termini della stessa Convenzione del 1865.

Ora, il contingente proporzionale alla popolazione respettiva di quattro Stati, fissato dalla Convenzione addizionale del 31 gennaio 1874, se corrispondeva a’ criterii razionali che anche l’Italia accettava in via di massima, era alquanto più stretto del limite, a . cui essa poteva giungere senza offesa de’ suoi inte­

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L’ E C O N O M I S T A 263 7 marzo 1875

normale era per ben 55 milioni assorbito dalle vec­ chie monete ritirate nel 1873, dall’ argento residuale di proprietà della Banca pel fondo di riserva, e da quello immesso da’ privati prima che in sullo scorcio di gennaio 1874 fosse emanato il divieto d’ immis­ sioni d’ argento alla zecca per conto de’ privati. Co- testa dimanda, transitoria ed eccezionale, di 10 mi­ lioni al di là del contingente, sebbene vivamente combattuta in. sul principio, fu poi accolta dalla Conferenza per la necessità delle cose e dei fatti, a condizione però che una eguale maggiore fa­ coltà fosse pure accordata agli altri Stati, propor­ zionalmente a’ singoli contingenti. Ma l’ aumento per l’ Italia era motivato da speciale interesse pratico e attuale ; per gli altri Stati da una ragione soltanto di reciprocità ed eguaglianza internazionale. Onde, mentre si può esser certi che, di fatto, la Svizzera non userà quel maggior diritto convenzionale, è a sperare ragionevolmente che neppur la Francia e il Belgio vorranno avvalersene.

Tali sono le stipulazioni transitorie inserite nelle Convenzioni del 31 gennaio 1874 e del 5 feb­ braio 1875 ; tali i motivi derivanti dalle speciali condizioni dell’ Italia, che le spiegano e le giustifi­ cano ad un tempo. E non tanto per la forma ecce­ zionale che si adottò, quanto pel tenore delle discus­ sioni che le precedettero, le quali leggonsi ne’ processi verbali raccolti in un grosso volume stampato a Parigi nel 1874, e certamente si leggeranno anche ne’ processi verbali non ancora pubblicati della se­ conda Conferenza, è chiaro che quelle eccezioni non infirmano, ma confermano i criterii razionali già da noi accennati, siccome ogni modalità che s’ introduce per l’ applicazione di un nuovo principio, piuttosto che una derogazione o modificazione di esso, n’ è 1’ affermazione più positiva nell’ ordine de’ fatti. Chi negherà, ad ogni modo, e tenuto pur conto delle clausole transitorie, l’ importanza pratica delle limi­ tazioni pattuite in questi due anni? Nel 1873 remis­ sione de’ quattro Stati, complessivamente, era giunta alla cifra di 308,117,455. Nel 1874 si arrestò a 120 milioni ; e nel 1875 potrà giungere al maximum,

di 170 milioni, ma probabilmente non giungerà che a 130.

L’ analisi delle cifre delle emissioni respettive di ogni Stato ci conduce poi ad un altro apprezza­ mento di fatto, e cioè che, inaigli do le limitazioni consentite dall’ Italia per gli anni 1874 e 1875, la quantità delle emissioni, a cui fu abilitata, è pur superiore a quella degli anni anteriori, ne’ quali po­ teva usare del diritto illimitato della Convenzione del 1865 : il che prova che le limitazioni anzidette potranno bensì aver l’ effetto d’ impedire la specula­ zione de’ privati a danno degli altri paesi dell’ Unione, occasionata dal ribasso persistente dell’ argento, ma non arrecano il menomo ostacolo e la menoma re­

strizione alla facoltà di provvedere in giusta e pro­ porzionata misura agl’ interessi del Tesoro e a’ diritti acquisiti della Banca Nazionale, che è appaltatrice a un tempo della monetazione italiana. La prova è abbastanza chiara, quando si considera che le re­ strizioni attuali non raggiungono il limite che ebbe naturalmente l’ emissione negli anni anteriori al 1873, quando il ribasso dell’ argento non era tanto consi­ derevole da diventare stimolo efficace alla specula­ zione. L ’ emissione degli scudi italiani era stata di. 2,551,760 nel 1866. Non ve ne fu alcuna nel 1867, e nel seguente anno 1868. Fu di 19,976,250 nel 1839; di lire 30,729,280 nel 1870; di 55,116,695 nel 1871; di 55,611,920 nel 1872. Queste cifre sono inferiori a quella di 4 0 milioni dell’ emissione del 1874 e di 70 della futura emissione del 1875. Si avvicinano più alla cifra eccezionale del 1875 di 42,273,935, che a quelle normali degli anni anteriori.

Yien da ciò anche per altra via dimostrato che l’ Italia mentre nel suo stesso, e nell’ interesse deeli altri Stati dell’ Unione, accettò volentieri un sistema razionale, sia per ristabilire l’ azione regolare del dop­ pio tipo, se momentaneamente turbata, sia per ap­ parecchiare la via ad una riforma, se la perturba­ zione dovesse continuare ; trovò anche modo di provvedere largamente, senza offendere i principii, agl’ interessi del tesoro, e alle speciali sue esigenze interne.

Ma non bastava. Abbiamo già detto che la Con­ venzione monetaria del 23 dicembre 1865 stabiliva l’ obbligazione reciproca de’ quattro Stati di ricevere nelle casse governative le monete decimali d’ oro e d’ argento respettivamente emesse ; ma non stabiliva il corso legale e obbligatorio per le banche e i pri­ vati. La quistione era stata accennata, ma non di­ scussa nel seno dell« Conferenza, essendo sembrato che la sanzione del corso legale dovesse esser data, previo matufo esame, non per atto di convenzione internazionale, ma per atti di legislazione interna. In tal modo vi fu l’ unificazione monetaria de’ quattro paesi, non vi fu, nel vero e proprio senso, l’Unione,

che non può concepirsi indipendentemente dal corso obbligatorio e legale. E, intanto, la Svizzera e l’ Italia per provvisioni legislative interne davano corso legale alle monete della Francia e del Belgio, ma in questi \ due Stati il corso era facoltativo, e dipendeva pra­ ticamente dal tornaconto delle banche di emissione. Non appena, infatti, sorsero più o meno esagerati timori pel ribasso dell’ argento, le banche comincia­ rono a rifiutare le nostre monetò. Or questa dispa­ rità offendeva primieramente il principio fondamen­ tale della reciprocanza internazionale di paesi stretti da una confederazione monetaria — repugnava, in secondo lnogo, allo spirito stesso della Convenzione del 1865, la quale si proponeva di raggiungere

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terzo luogo, consentanea neppure aì&nteresse de’ due governi, i quali, essendo obbligati a ricevere le m o­ nete italiane nelle loro casse, dovevano evidente­ mente desiderare che fossero del pari ricevute dalle banche e dal commercio — e finalmente si opponevi in maniera anche più diretta agl’ interessi del tesoro italiano, che, com ’ è noto, deve pagare una parte del debito pubblico in Francia, e a cagione del corso forzoso soggiace a gravi perdite per lo straordinario aumento de’ cambi. Dall’ altra parte, qual motivo po­ teva giustificare ragionevolmente if rifiuto delle ban­ che 'della Francia e del Belgio, che vuol dire di tutto il commercio di que’ due paesi, se non il pe­ ricolo di una straordinaria emissione di scudi d’ ar­ gento italiani fomentata dall’ avidità de’ mercatanti di monete? Or questo timore era eliminato tosto che l’ Italia consentiva di porre anch’ essa un limite alla coniazione dell’argento, anzi giungeva fino a proibire l’ immissione di questo metallo agli uffici di cambio della zecca por conto de’ privati. Il Governo italiano aveva dunque non solo interesse, ma ragione di chiedere che si facesse cessare ormai ogni misura proibitiva delle banche anzidette, insistendo a un tempo perchè l’ obbligazione del corso legale, come in Italia e nella Svizzera, fosse stabilita definitiva­ mente e normalmente per legge nella Francia altresì e nel Belgio. Quali fossero state le resistenze e le esitazioni opposte, per parte principalmente del Go­ verno francese, scorgesi da’ processi verbali, testò rammentati, della Conferenza del 1874. Ma fu ac­ colta, infine, la domanda dell’ Italia ; e mediante 1’ autorevole ingerenza de’ duo Governi, e la Banca francese e la belga, dichiararono di obbligarsi a ri­ cevere senza difficoltà e senza limiti le monete ita­ liane d’ argento di cinque lire. Questa dichiarazione fu poi ripetuta in occasione dèli’ altra Conferenza del 1875. Ed ognuno intende quanto un tal resul­ tato fosse favorevole agl’ interessi del tesoro e del paese a un tempo.

Dalle brevi osservazioni fatte e dalle notizie espo­ ste in questo e ne’ due precedenti articoli, si può ora desumere che per le stipulazioni racchiuse nelle due addizionali Convenzioni monetarie del 31 gen­ naio 1874 e del 5 febbraio 1875, da una parte si è congruamente provveduto a restaurare l’ azione normale del doppio tipo e ad apparecchiare la ri­ forma definitiva del sistema monetario de’paesi del­ l’Unione ; e dall’ altra parte si è pure-.opportunamente provveduto agl’ interessi e alle esigenze speciali del­ l’ erario e del commercio italiano.

LA LIBERTÀ DEI COMUNI

di frolle alla lene del 14 giugno 1874, S. 1961 (serie 2a)

D al giorno in cui entrò in v ig ore la leg g e c o ­ munale e provinciale del 20 marzo 1865, la quale

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7 marzo 1875 L’ E C O N O M I S T A 265

troppo grave per i Comuni urbani e ricchi di ri­ sorse differenti da quella della sovrim posta fon ­ diaria, ma è facile d iitostra re, com e ci proponiam o di fare, che per la m a gg ior parte dei Comuni rurali cotesto disposto equivale ad un assoluto diniego di nuovi lavori e di nuove spese, e che riduce l’ operosità delle rappresentanze respetti ve alla umiliante com m edia di votare le spese o b ­ bligatorie, ed anche queste in quella misura che piacerà alla deputazione provinciale.

Com e ognun sa, la più im portante delle risorse dei Comuni di cam pagna mancanti di capolu ogo di qualche entità e p ov eri di entrate patrim o­ niali, si è la sovrim posta sui terreni e fabbricati. P ossiam o dire che cotesta risorsa è anche la più giusta dappoiché la m assima parte delle spese di cotesti Comuni si riferisce a lavori stradali dei quali il m a gg ior van taggio si risente dai possi­ denti. M e per la leg ge del 28 giugno 1866, la P rovin cia ed il Comune non possono sovrim porre cum ulativam ente a cotesti tributi erariali oltre il cento per cento, e se il Comune, il quale im­ pianta il suo bilancio dopo che la P rovin cia si è servita a suo agio di cotesta sovrim posta, abbi­ sogna di ecced ere cotesto lim ite norm ale, deve riportare il consenso della D eputazione provin­ ciale. P e r ò non vi è nessuna leg g e che stabilisca quanta parte di cotesta sovrim posta norm ale spetti alla P rovin cia e quanta al Com une; tantoché la P ro v in cia potrebbe legalm ente assorbirla tutta quanta per suo proprio conto. Ora nel fatto quando le P rovin cie godevano del diritto di sovrim porre alla tassa di ricch ezza m obile, ed avanti che per le g g i posteriori al 1865, si caricassero i loro bi­ lanci di nuove spese obb lig atorie, la sovrim posta provinciale sulla fondiaria era in discrete pro­ porzioni, talché lasciavasi al Comune una certa com odità nel servirsi di cotesta risorsa ; ma in og g i, ed in sp ecie dopo l ’ avocazione allo Stato dei quindici centesim i sui fabbricati, la sovrim ­ posta provinciale è in tale misura che di poco possono legalm ente fruirne le amministrazioni c o ­ munali. A dim ostrare di quanto sia andata au­ mentando la sovrim posta provinciale basta il c i­ tare la provincia di Firenze, la quale, mentre negli anni 1866 e 1867 contentavasi di soli 14 centesim i addizionali ad ogni lira d’im posta era­ riale fondiaria, og gi nel 1875, è pervenuta a so­ vrim porre per 47 centesim i, quantunque l’ avoca­ zione dei 15 centesim i sui fabbricati non siasi com piuta che per un te r z o ; e nell’anno 1877, nel quale cotesta avocazion e si effettuerà com pieta- mente, supposto che il suo bilancio passivo resti uguale a quello corrente, la sua sovrim posta si spingerà fino a 60 centesimi, talché non ne rimar­ ranno che 40 ai Comuni in essa com presi. Notisi

che* rammentando la provincia di Firenze non abbiamo inteso di dire che dessa sia quella che in più alto grado si prevalga della sovrim posta, poiché vi sono alcune provincie, fra le quali B ologna, P erugia, P esa ro-U rb in o, L u cca e Siena, quali la sovrim posta si spingerà oltre gli ottanta per le centesim i per ogni lira d’im posta erariale! — Si considerino per p oco le condizioni finanziarie dei piccoli Comuni com presi in coteste provincie. Siccom e gli espedienti finanziari accordati oggi dalle varie leggi alle aziende comunali sono in gran parte, ed in specie nei Comuni agricoli, di pochissim o profitto per assoluta mancanza di m a­ teria im ponibile, e siccom e il margine norm ale della sovrim posta com unale sulla fondiaria restò così ristretto dopo rim pian to del bilancio pro­ vinciale, così è evidente che per cotesti Comuni sarà di assoluta necessità l’ ecced ere cotesto m ar­ gine per supplire sem plicem ente alle spese o b ­ bligatorie ridotte pure ai minimi termini. Se adun­ que non si cam bia legislazione, non è escogitabile il caso che cotesti Comuni possano mai più pensare a spese facoltative, ed alle respettive rappresen­ tanze non rimane che il m eschino còm pito di votare le spese obbligatorie ed anche queste nella misura che piacerà alle autorità tutorie.

M a quali sono og g i per le leg gi vigen ti le spese

obbligatorie e le facoltative dei Com uni? Quelle

che diconsi legalm ente facoltative sono forse spese di m ero lusso o di sem plice utilità così che possa farsene agevolm ente a meno ? Ed al contrario nell’ elenco delle spese obbligatorie stabilite dalla vigente legislazione com unale, forse si com pren­ dono tutte quelle che sono im periosam ente ri­ chieste dall’ attuale increm ento della civiltà e che non potrebbero risparmiarsi senza danno dei c o ­ munisti e senza com m ozione e biasim o di ogni classe di cittadin i? Un esame anche superficiale delle leg gi regolatrici dell’ azienda comunale b a ­ sterà a fa rci rispondere negativam ente a cotesti quesiti. L ’ idea della spésa obbligatoria e della facoltativa, nonostante il positivo ten ore della leg g e, è m olto varia e differente secon do che si tratta di città o di campagne, e s’ in treccia a tradizioni antiche ed a bisogni lo c a li che certo non sono uguali per tutti i Comuni e che non possono a p rio ri rigorosam ente classificarsi con leg gi generali da applicarsi a tutti gli 8383 Co­ muni che si contano nel regno d’ Italia.

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la festa nazionale. A ll’incontro non vi lia legge che obblighi il municipio alla correnzione di una strada comunale di difficile accesso, a p rovvedere di una fonte pubblica un centro abitato che ne manchi, all’ illuminazione notturna di un agglo­ m erazione di fabbricati se già non vi fosse antece­ dentemente stabilita, e così via discorrendo. Confi­ guriam oci adunque il caso che og g i si senta v iv o ed universale il bisogno in un dato Comune di costruire un pozzo pubblico, di correg g ere una strada, di illuminare una contrada buia. Certo che nessuno oserà chiam are non necessarie e superflue coteste spese, eppure di fronte al chiaro disposto dell’ articolo 3 della le g g e di cui parliam o, se cotesto Comune nel deliberare il suo bilancio ha esaurita la scarsa porzione di so ­ vrim posta fondiaria toccatagli dopo 1’ impianto del bilancio provinciale, e se non è in grado di ricavare m aggiori proventi dalle sue tasse locali, cotesti la vori, sebbene reclam ati da tutti, non si faranno. E quando anche fosse possibile un aumento delle tasse locali per p rovvedere a coteste spese, sarebbe forse consentaneo all’equità che S c o r ­ rezione di quella strada e la illum inazione not­ turna di quella contrada si facessero unicamente a carico della tassa personale, e non dovessero concorrervi i proprietari delle terre contigue alla via comunale da correggersi e quelli delle case esistenti nella borgata da illum inarsi, mentre^ com e spesso avviene, cotesti proprietarii dim o­ ranti fuori del Comuue si sottraggono alle im ­ poste locali dirette? In verità non sappiam o qual fosse quella rappr.esentanza m unicipale che v o ­ lesse deliberare coteste enorm ità !

E un vezzo spesso ripetuto og g i nelle alte r e ­ gioni amministrative quello di rim proverare ai M unicipii una pazza prodigalità, quasi che volesse farsi credere che devosi al poco senno delle ma­ gistrature loca li la lamentata gravezza delle im ­ poste. P e r ciò quando le necessità dell’ Erario hanno indotto il legislatore a diminuire le r i­ sorse dei Comuni per arricchirne lo Stato, non sono mai mancati consigli di econom ia e di parsi­ monia alle amministrazioni locali. E così in o c ­ casione della discussione di cotesta leg g e, di cui noi lamentiamo gli effetti a riguardo della li­ bertà comunale, non m ancarono oratori i quali, in com penso dei sei milioni e mezzo che si t o ­ glievano ai Comuni, furono larghi nel raccom an­ dare ai municipii il risparm io.

N on .sappiam o invero quanta buona fede si contenga in coteste declam azioni e, se non fosse opera antipatriottica, sarebbe agevole il contrap­ p orre a cotesti rim proveri di prodigalità una c r i ­ tica del bilancio passivo dello Stato. M a ammet­ tiamone pure la giustizia e i a convenienza. P are

a noi che la leg ge, quando si tratti di aumentare il tributo fondiario p er parto di un Comune, d o ­ vesse lim itarsi ad assicurare il concorso della volontà della gran m aggioranza dei possidenti del comune stesso. Se l ’attuale sistem a della rappre­ sentanza comunale non è tale da far ritenere ohe una deliberazione consiliare sia l’ espressione della v olon tà di cotesta m aggioranza, allora può rifor­ marsi cotesto sistem a in m odo che cotesto m ag­ g ior aggravio sia liberam ente consentito dal m a g ­ g ior numero di co lo ro che debbono sostenerlo. Taluno difatti dei m em bri della Commissione par­ lam entare incaricata di riferire sul progetto di cotesta leg g e di cui trattiam o su ggeriva appunto alcuni di cotesti mezzi capaci di far con correre la volontà della m aggioranza de’ possidenti di un Comune all’ aumento della sovrim posta com unale sulla fondiaria.

M a còsti dovrebbe cessare l’ opera del legisla­ tore in fatto di amministrazione com unale, perch è, varcando cotesto lim ite ed obbligando per forza di leg g e i municipii alla grettezza ed al risparm io nonostante il contrario volere di chi deve pagare, si v iola di troppo non solo l’autonom ia comunale ma la stessa libertà personale. In verità che, se si va di questo passo, non è esagerato il tim ore di vedere ristabilite a prò dello Stato le antiche leg gi suntuarie !

Se le g g i cosiffatte fossero state prom ulgate in Italia quindici anni fa, cosa sarebbe oggi delle nostre città e dei nostri m unicipii? Come si sa­ rebbe potuto com piere quella trasform azione in­ tellettuale, econom ica, edilizia che si è operata in questi ultimi anni nei Comuni italiani e di cui meniamo giusto v a n to ? Sia pure ohe la p o s s i­ denza fondiaria abbia contribuito largam ente a cotesti resultati non ne ha dessa risentito forse nessun van taggio? Questo continuo studio dei mu­ nicipii rurali di m igliorare la propria viabilità non è tutto a vantaggio tìi cotesta possidenza? Una scuola aperta in una borgata non è forse una diminuzione im m ediata di ladri di cam pagna ? Eppoi non sanno i nostri legislatori che spessis­ simo i proprietarii son disposti a tollera re un aumento d 'im p o s ta piuttostochè esporsi al caso di vedere inasprite per nuovi balzelli com unali quelle popolazioni in mezzo allo quali sono s i­ tuati i loro possessi?

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7 marzo 1875 L ’ E C O N O M I S T A 267

m ere l’ingrato ufficio di regg ere le amministra­ zioni locali. L a necessità di vessare i propri concittadini con una moltitudine di im popolari balzelli per risparm iare la possidenza spingerà i m igliori cittadini a rifiutare lo comune incarco.

Ed in cotesto sciopero dei galantuom ini e degli onesti non è forse tem ibile che le cariche com u­ nali cadano in mano di am biziosi e peggio i quali accettando l ’in ca rico abbiano in mira ben altra cosa che il benessere m ateriale e morale del p ro­ prio paese ?

P er chiunque abbia sentimenti lib era li è dolo­ roso il v edere così.m a n om esso il sacro»palladio delle libertà com unali, vanto speciale di noi ita­ liani, e che solo valse a salvarci l ’ on ore nei tempi calamitosi del nostro lungo servaggio. Eppure a questo ci ridu ce cotesto assolutism o dello Stato alla m oda spartana, ch e og gi vorrebbesi elevato a sistem a di g overn o, e che da alcuni si elogia com e una delle più belle cose d e ll'e p o ca nostra. In verità che con tanto progresso civile, non si crederebbe possibile un passo così retrogrado nella via della libertà. Quando un principe austriaco, autocrate, in tem pi nei quali il dispotismo regnava sovrano sulla m aggior parte di Europa, svin co­ lava i M unicipi toscani dalla rigorosa tutela g o ­ vernativa, e col suo celebre M otuproprio del 17 m aggio 1774 proclam ava che glia ffa r i econo­

mici DEBBONO ESSERE DIRETTI ED AMMINISTRATI DA

coloroche v i hannoin ter esse, certo non avrebbe pensato mai che cento anni più tardi un governo nazionale e rappresentativo avrebbe così atten­ tato all’ autonomia comunale, come è stato fatto con la legge della quale abbiamo deplorato gli e f f e t t i . _____________________

SULLA CIRCOLAZONE FIDUCIARIA

IN SA R D E G N A

Cagliari, 28 febbraio.

Signor direttore de\Y Economista,

Firenze. Serie apprensioni sono qui sulle vicen de che toccheranno alla circolazione ed al credito in fine dell’ anno, c o ll’ attuazione della leg ge che costituì il consorzio bancario ; tanto serie che la discus­ sione parlamentare che ha avuto lu ogo, fu sol­ tanto un pallido eco delle v oci, o m eglio, dei sentimenti del paese.

D isinteressato con tutte le amministrazioni di quelle banche ve ne scrivo, perchè mi pare questa materia trop p o attinente al soggetto del vostro giorn ale; e v aglio farlo, esponendovi per quanto m eglio possa fatti, ed astenendomi da giudizii. Q uesti avranno cam po di farli i lettori della v o ­ stra ottima Rivista.

Prem etto, che fino al 1856 qui dal pubblico non si sapeva che cosa fosse un banco. L a cir­ colazione era m etallica, e per un p o’ (ora non rammento se per due, o quattrocento mila lire) di moneta di carta, log ora e sudicia, em essa dallo Stato, n'fei momenti dei disastri tocca ti alla casa di S a voia rifugiatasi qui per le guerre n apoleo­ niche ; circolazione che durò così fino al 1857, quando sorse una succursale della Banca na­

zionale. ’ ' « * * •

A ciò si deve aggiungere che nel paese era una moneta propria, specialm ente negli spezzati, che non avendo corso negli stati del continente, non usciva fuori di qui; in guisa che difetto di mezzo o di strumento di circolazione non se ne sentiva punto, non si subivano crisi perchè senza rischi, e la circolazione era pure ristretta, perchè gli affari abbastanza limitati. Oh! il bel mondo p a ­ cifico dei m iei av i! N el 1856 il conte Cavour, dopo avere invano resistito agli sforzi di alcuni per far sorgere un banco proprio dell’ isola, ciò che i sardi d'allora non vollero capire, visti fru ­ stati i tentativi, vi estese una succursale della Banca nazionale, la quale vi funziona dal prim o marzo 1857.

C om e?

Assai bene per i suoi profitti: l’ ultimo conto dà un totale di benefizii, netto da spese di lire 128,308; ha fatto sconti per L. 17,879,634, anti­ cipazioni per L . 2,103,017, ed ebbe un’ emissione e circolazione che si crede di L. 14,000,000, p oi­ ché è difficile misurare le rimesse di biglietti del continente, fatte da privati, non che i pagamenti delle tesorerie sarde.

M a questa Banca, che per gli avi n ostri’sarebbe stata un superfluo, non basta più ai bisogni del paese, limitata com e essa è nelle operazioni dalle leggi e vicen de che ne hanno circoscritta l ’ azione.

A parte la difficoltà delle tre firme (e la terza ordinariamente si paga e costa), essa fa il c re ­ dito a negozianti, industriali, o ricch i possidenti che risiedono nelle città. Chi la dirige è un sardo, eccellen te persona, largo d’idee negli affari e nel c r e d ito ; ma egli deve pure stare ristretto ai limiti che leg g i, regolam enti e condizioni proprie e speciali pongono allo stabilimento che egli così zelantemente amministra.

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m aggiorm ente della sfera dei possidenti di cam ­ pagna.

P oi fu la volta delle industrie minerarie. Essa aveva qui allargato lo sconto con una fonderia, che liquidò senza perdita eifettiva della banca e con una casa di riputazione solidissima,' la quale faceva da banchiere ad un’altra miniera. Ma venne pure il m om ento fatale di Am leto ; la casa si trov ò rovinata per mancanza d’aiuti esteriori, e la B anca con un credito all’attivo di un fallimento, che essa sola poteva e potrà salvare coi suoi larghi mezzi, e colla illuminata direzione di chi T am­ ministra e la governa.

Ma dopo questi fatti, la Banca in cede con una precauzione massima spesso sov erch ia ; accord a lo sconto a firme che chiede e cred e in eccepi­ bili, o per affari la di cui bontà e sicurezza le siano perfettam ente note.

Quali erano le condizioni del credito in cir­ costanze siffatte?

L a Banca nazionale con affari lim itati: ammessa al credito la propria clien tela ; gli altri, tranne eccezioni, esclusi, od ammessi con firme solidis­ sime.. Il resto dei bisognosi di credito nella ne­ cessità di ricorrere od a scontisti che faceano pagare cara la propria firma, od a sedicenti ca ­ pitalisti, che, volendo arricchire presto, sconta­ vano i bisogni degli altri m ercè interessi altis­ simi. Il 12, il 20, il 2 5 0/0, ed anche il 60 nei p iccoli mutui fu il tasso comune del prestito con ipoteca. V i sono curiosissimi processi civili che 10 prova n o; e tra gli altri mi ricord o d’ uno, in cui il creditore, liquidando i danni m orali m et­ teva in conto al suo debitore il patema d'animo

sofferto' pendente la m ora ! I tribunali e la corte reagiron o in parte, forzando anche la leg ge sulla libertà dell’interesse; ma il denaro sa con chi ha da fa re ; e per togliersi ai pericoli d’ una giu­ risprudenza, se equa, non sem pre corretta, si rinserrò nel patto di riscatto. Di m odo che, a v olere un prestito con garanzia di fondi stabili, non basta l’ipoteca ; bisogna vendere, con patto di riscatto, non oltre il termine convenuto per la restituzione del mutuo.

Questa era la condizione del credito quando la necessità della moneta sp icciola autorizzò la emissione dei biglietti di p iccolo taglio, ed indi sorsero le banche private.

Qui abbiamo avuto il Banco di Cagliari, la Banca agricola-sard a, che aveva una sede anche costì, ed il Credito agrario-industriale sardo, ch’ è 11 più recen te, avendo principiato le sue opera­ zioni n ell’ aprile del passato anno. Tutti e tre questi stabilimenti ebbero la loro em issione, il primo tollerata, il secon do in parte autorizzata, il terzo in conform ità alla leg g e vigente. I due

primi em ettevano biglietti da 50 centesim i, da 1 ,2 , 5, 10 e più lir e ; l ’ ultimo soltanto da 30 in là.

Il primo di questi stabilimenti, dovrà scom p a­ rire com e banco di emissione ; resterà di scon to; e dovrà ritirare la sua circolazion e che si cal­ cola ora di L . 2,400,000. G li altri due potranno em ettere dei buoni agrari del taglio non inferiore a trenta lire.

E innegabile che questi instituti di credito, se crearon o qualche inconveniente, hanno però p ro­ dotto vantaggi m aggiori. Non vi parlo della Banca del p op olo, che qui ebbe p oca vitalità, e p oca fortu na; nè, ne indago le cagioni. Sta in fatto che vi fu m a ggiore agevolezza di credito e di sconto, ed una facilità massima alla circolazion e, m ercè il biglietto di p icco lo taglio. L ’interesse del da­ naro rib a ssò; si è ricorso m eno facilm ente alla grossa usura; si sono potuti intraprendere degli affari e speculazioni che non si perm ettevano an­ teriorm ente. V i sarà stato Tabuso, la larghezza di credito non misurata alla responsabilità del debitore, qualche favore, tutto ciò è possibile, non lo contraddico ; m a a lato- a questo, vi fu il p ic ­ colo m ercante, il p iccolo possidente rurale, i quali ebbero un insperato sussidio ; infine ci fu il s o c ­ corso che il credito può e sa dare al pu bb lico. Tutto questo entro l’ anno corrente cesserà. Il paese rientrerà nel dom inio esclu sivo della Banca N azionale, che non può fare più e m eglio che abbia fatto prima. E ciò, quando m olte intra­ prese sono in corso, e quando il pubblico non ha mai dim ostrato la m enom a sfiducia contro gli stabilim enti di credito agrario esistenti.

Che si domanda quindi ? Di che cosa si è preoccupati ? E c co : si ritiene che le Banche agrarie col biglietto o bono di L . 30 non bastino a tenere una circolazion e v iv a ed efficace ; e si v orrebb e che fossero autorizzate ad em ettere p iccoli big lietti; -ciò che in vece la leg g e ha ne­ gato agli instituti agrari, e lo ha perm esso sol­ tanto al Consorzio Bancario.

E d ecco per quali motivi si chiede. E spongo e la scio che giudichi chi legge.

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L’ E C O N O M I S T A 269 7 marzo 1875

N azionale non scarica il loro portafoglio che degli effetti di prima classe, firme di primo ti­ tolo. Inoltre essa Banca preferisce il risconto con firme di m ercanti cittadini. P roprietari e p iccoli possidenti, non ne intende : Pagherò con valore per « uso ag ricolo » non sono di sua com petenza e non potrebbe scontarne.

Come faranno gli stabilim enti a mantenere quindi viva la circolazione dei loro buoni agrari?

Sta b e n e ; il M inistro r isp o s e ; il bono non è un biglietto... ! P arole, parole, e poi parole : il

bono qui funzionava da strumento di cambio. V o i ne sopprim ete una quantità di cinque o sei milioni : com e li rimpiazzate?

V i è la B anca Nazionale, ci si dice. Ora v e ­ diamo un p o ’ dalle cifre che cosa fanno, essa e gli altri. N e ll’ ottobre 1873, mese questo dei due di massimo scon to, la Banca N azionale scontò per L . 1 ,6 3 6 ,6 2 8 ; anticipazioni L. 121,258; an­ ticipazioni p er depositi L. 560,946. N el dicem bre, mese di liquidazione, la Banca scontava L. 1,910,637, anticipazioni L. 105,463. La Banca agricola scontava L. 2,963,743; anticipazioni per L. 585,545. B en inteso, ho- com preso le sue di­ rezioni lo ca li in diversi paesi ; ma si sa che opera effettivam ente nell’isola. Rim piazzerà la Banca N azionale dal 1° gennaio 1876 tutti questi sconti od anticipazioni per quattro milioni in circa men­ sili, più che noi faccia ora ? Lo d ic a chi vede con quali m assime precauzioni essa opera negli affari.

Ora ci è pure, dal 1874, il Credito Agrario,

stabilim ento diretto con puntualità e perspicacia inappuntabile. Ha due milioni di capitale, con versam ento 40 °/0 cioè L. 800,000. E cco cifre delle sue operazioni. Gli effetti nell’ ultimo mese in por­ tafoglio ascendevano a L. 1,381,628; il credito sov ra pegno a L. 316,378. E tutto questo merce la parte disponibile del suo capitale e 749,650 lire di buoni in circolazion e ; che ci stanno meno com odam ente di quelli dell’ altra Banca, appunto perch è non ne ha d’inferiori a trenta lire. Ma finora quest’ Instituto può procurare il piccolo biglietto, m ercè il suo portafoglio, col risconto presso g l’instituti an alogh i; però quando tutto sia rientrato nei limiti della nuova legge, che potrà fare anch’ esso se non restringersi più dei limiti presenti.

E notate, che a questi stabilimenti non manca la fiducia del pubblico. L ’ ultimo di essi il Cre­

dito agrario nel gennaio ultimo ha conti c o r ­

renti con interesse, rim borsabili con disdetta, per L. 1,340,518 ; la Banca A g ricola nella situazione dell’ ultimo dicem bre per L. 2,623,875. Sono circa

quattro m ilioni che il pubblico ha deposto in

quelle casse che la leg ge vuole p roteggere con

tante cautele ! E la ragione di cod est’ affluenza consiste pure nell’ interesse del 5 °/0 che danno costantemente ai depositanti, anche per piccole somme, diffondendo la virtù del risparm io e della previdenza nel p icco lo possidente e nell’ op era io; mentre la Banca Nazionale dà solamente il 2 1/» °/0. Risulta da tutto questo congegno e dallo sv i­ luppo che prese il credito agrario fra noi in questi anni, che gli affari non m ancarono; perciò le azioni di questi instituti si mantenevano dai pos­ sessori, e producevano un interesse discreto, senza diventare strom enti ad aggiotaggio. Credete v oi, che, attuata la leg ge del Consorzio, manterranno il loro precedente valore, e daranno gli stessi dividendi, se non esagerati, sufficienti? I p os­ sessori non sono di questa opinione ; e da ciò potete capire facilm ente quanti altri clam ori.

Si considera ancora che se è vero finora il massimo credito si facesse più alle altre in du ­ strie che all’agricoltura, tuttavia pessim o effetto dalie innovazioni ne risentirà la proprietà fon ­ diaria, più che ogni altra.

Qui ci è uno stabilimento di credito fondiario messo su dalla Cassa di Risparm io. Il debito ipotecario nella P rovin cia, com e è acceso nei registri, senza che vi garantisca l’esattezza della cifra, si calcola dai 14 ai 16 milioni. Il credito fondiario, che la legge v olle sottratto alla sp e­ culazione privata (e qui non discuto il merito o dem erito della medesima), affidato alle facoltà della sola Cassa di Risparm io per sorregg erlo, non può prendere alcuno sviluppo la rgo, com e i bisogni del paese rich iedon o. Gli istituti agrari accettavauo la cartella fondiaria com e pegno, e concedevan o un’ anticipazione. L a Banca N a ­ zionale invece non accetta quei titoli. Se c o lia m ezza facilità del deposito, quei titoli dal 75 ri­ bassarono al 65 e 60, a qual tasso potranno v e ­ nire valutati dopo ? E pperò si dice : il Credito fondiario dovrà chiudere lo sportello, se non può ricom prare esso i titoli che emette ; perchè il mutuatario, lasciato alle risorse della piazza, cadrà nelle mani dello strozzino. Il Credito fo n ­ diario quindi, o non farà nulla, o diverrà il mezzano dell’ usuraio.

V olete di più ? V i darò alcune cifre, desunte dalla situazione del tesoro, relative agli incassi fatti dalla finanza in Sardegna nei limiti dell’eser­ cizio 1872. Sono cifre che il mio nonno avrebbe ai suoi tem pi credute favolose, se gli avessero detto che il paese poteva pagarle per un eser­ cizio di bilancio.

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