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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.02 (1875) n.41, 14 febbraio

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GAZZETTA. S E T T I MA N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno il - Voi. Ili

Domenica 14 febbraio 1875

N. 41

La fine del corso forzalo negli Stati-Uniti

Da circa due lustri i progressi economici della grande confederazione Anglo-Americana trovano forte ostacolo nell’ aggravamento dei dazi protet­ tori, nel corso forzato, e nella legge che regola le banche di emissione.

Gli effetti della azione combinata di questi tre fattori di malessere eeònomico appaiono manifesti nel peggioramento delle condizioni delle classi operaie, segnalato dalle statistiche, ehemi inse­ gnano essere dal 1860 al 1873 aumentati del 92 per 100 i prezzi delle cose di uso comune, e al 70 per 100 essersi arrestato l’aumento delle mercedi.

Non pare che in quel paese sia vicino il trionfo del libero scambio sui vieti pregiudizi dei sistemi protezionisti, ma gli Americani da tempo lavorano intorno al male architettato meccanismo della legge bancaria del 1863, cercando migliorarlo colla legge, che il Congresso ha in questi ultimi giorni appro­ vata, dimostrano il loro fermo proposito di farla finita col corso forzato.

Questa ultima legge, che il Congresso votò quasi senza opposizione, segna un notevole progresso nelle idee economiche dei legislatori di quel grande paese. E invero il corso forzato ha molti amici negli Stati Uniti e non solo tra i mercanti e gli uomini di borsa, ma ancora fra gli uomini di Stato, e nel passato anno erano questi amici del corso forzato cosi potenti nel Congresso che nell’aprile vi face­ vano votare una legge, che aumentava di molto la quantità della carta moneta in circolazione, legge che non ebbe valore per il veto del Presi­ dente Grant, e nel luglio arrivavano ad imporre alla Nazione altra legge, che indirettamente au­ mentava la carta moneta in circolazione, liberando le Banche Nazionali dall’ obbligo di tenere una ri­ serva in greenbacks per i bigliétti emessi. Tali amici del corso forzato sono ancora sotto l ’ impero del­ l’ antico pregiudizio, che fa credere la ricchezza o la miseria delle nazioni dipendano dalla maggiore o minore quantità di ¡strumenti di circolazione che essa possiede, onde vogliono mantenere il corso forzato, e avere in circolazione grande quantità di

carta moneta governativa e di biglietti delle Ban­ che Nazionali.

E ancora il pregiudizio sul quale Law fondava il sistema, ed è negli Stati Uniti così forte che quegli stessi legislatori, che ora si sono accorti che il corso forzato è un male che bisogna togliere, hanno paura che il paese abbia a mancare di mezzi di circolazione e, mentre provvedono al ri­ tiro della carta moneta governativa, tolgono ogni limite all’ emissione dei biglietti delle Banche Na­ zionali.

Ed ecco in breve le disposizioni dell’ultima legge: 1° Il limite massimo di 354 milioni di dollari fissato dalle leggi anteriori alla emissione dei biglietti delle Banche Nazionali è tolto, e queste sono li­ bere di emettere quella quantità di biglietti che credono. Restano però in vigore le disposizioni delle leggi anteriori riguardo alle garanzie dei biglietti emessi. 2° È dovere del Segretario del Tesoro di ridurre a 300 milioni di dollari la carta moneta governativa ora in circolazione ; ma il ri­ tiro deve effettuarsi soltanto mano mano che au­ menta la emissione dei biglietti delle Banche, in modo che il Segretario del Tesoro deve ritirare dalla circolazione 80 dollari di greenbacks ogni volta che avviene uno aumento di 100 dollari nella emissione complessiva delle Banche Nazio­ nali. 3° Sono dati al Segretario del Tesoro i mezzi per pagare in valuta metallica la carta moneta governativa, che si troverà in circolazione al primo gennaio 1879.

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per la sicurezza che dà il deposito delle cartelle del debito pubblico. É facile vedere come in tal modo l’arte del banchiere diventi 1’ arte la più facile, la più lucrosa, la più sicura del mondo, ed è facile prevedere che tutti vorranno depositare cartelle di rendita ed emettere biglietti. La in­ debita ingerenza del governo negli.affari bancari toglie cosi ogni limite naturale alla emissione, e ciò rende necessario il crearne di artificiali. A questo la legge del febbraio 1863 provvide limi­ tando a 300 milioni di dollari la quantità dei bi­ glietti che possono emettere le Banche Nazionali, limite, che da leggi posteriori venne portato a 354 milioni e che l’ultima legge toglie affatto.

Quale sarà la conseguenza di questa disposi­ zione ? N on può essere che quella di un aumento anormale, eccessivo dei biglietti emessi, che causerà poi una perturbazione gravissima nella economia del paese. Era un danno il limite, ma un danno reso necessario dal falso sistema al quale si informa la legge bancaria americana. Per fare cosa real­ mente utile e buona bisognava mutare sistema, togliere dalle Banche il patronato governativo e porle sotto la salvaguardia della libera concorrenza.

La seconda delle disposizioni della nuova legge non ha bisogno che drbrevi osservazioni. La mag­ giore quantità di carta moneta governativa (green- backs), che si trovò in circolazione negli Stati Uniti fu di 690 milioni di dollari, e ciò fu nel 1864. Però la quantità di carta moneta in circolazione scemò rapidamente e nel 1870 fu fissato a 400 mi­ lioni di dollari il limite massimo della circolazione dei greenbacks, e la diminuzione di 269 milioni di dollari e le migliorate condizioni politiche facevano in quel periodo di tempo scendere il disaggio della carta dal 130 per cento al 18 per cento. Più tardi il Ministro Mac Culloch ritirò dalla circolazione 46 milioni di dollari di greenbacks, ma coll’ intento di al­ leviare la crisi del 1873 il Ministro Richardson au­ mentò nuovamente di 26 milioni la circolazione dei greenbacks, elevandola a 382 milioni di dollari, e questa cifra venne fissata come il punto massimo dalla legge del 1874. La nuova legge dunque fino al 1879 non alleggerisce che di 82 milioni di dollari il fardello del corso forzato.

La terza disposizione dice dei mezzi coi quali si pagheranno i greenbacks, e lo dice molto laconica­ mente : coll’ eccedente delle entrate e colla emis­ sione di prestiti. Non è un piano finanziario, nel quale splenda l ’abilità di un grande uomo di Stato; ma la semplicità sua è la migliore garanzia della sua reale attuazione.

Nel 1879 gli Americani bene o male saranno giunti a liberarsi dalla piaga del corso forzato.... E l’Italia ?

14 febbraio 1875

La navigazione nei porti principali d’Italia

IV

MESSINA

Il porto di Messina quantunque presenti una diminuzione nel movimento dell’ anno 1873 in con­ fronto del precedente 1872, pur tuttavia nella statistica della navigazione che andiamo esami­ nando tiene il quarto posto fra i porti principali del Regno.

Il movimento complessivo della navigazione per operazioni di commercio nel porto di Mes­ sina durante l’ anno 1873 ascese a 10,865 navi della portata di tonnellate 1,647,654.

Ecco le cifre riassuntive che rappresentano il tonnellaggio del movimento della navigazione e di cabotaggio (approdo e partenza) di quel porto in ciascuno degli undici anni dal 1863 al 1873.

Anni Navigazione

complessiva internazionale di cabotaggio

1873 1,647,654 1,098,409 549,245 1872 1,913,367 1,197,912 715,455 1871 1,956,068 1,212,220 743,848 1870 1,900,098 1,160,178 739,920 1869 1,776,401 1,180,074 596,327 1868 1,689,735 1,063,277 626,458 1867 1,451,152 936,475 514,677 1866 1,593,755 1,072,782 520,973 1865 1,256,759 776,541 480,218 1864 1,419,857 898,475 521,382 1863 1,522,016 933,798 588,218

■ Dall’ esame di queste cifre si scorge come il movimento della navigazione nel porto di Mes­ sina, quantunque presenti nel 1873 un aumento di oltre 100 mila tonnellate in confronto al 1863, è 'sempre però notevole la diminuzione verifica­ tasi nell’ ultimo anno, quando si consideri il mag­ gior movimento che si ebbe in quel porto du­ rante il quinquennio 1868-72.

Vediamo ora quale fu il movimento nel porto di Messina nel 1873, per ciascuna delle due spe­ cie di navigazione.

Al commercio internazionale concorsero 690 navi con bandiera italiana di tonnellate 361,791 (a vela 257 navi di tonnellate 56,995, a vapore 433 navi di tonnellate 304,796) e 1506 navi con bandiere estere di tonnellate 736,618 (a vela 754 di tonnellate 157,294, a vapore 752 di tonnellate 579,324).

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14 febbraio 1875 L ’ E C O N O M IST A 163 diere estere presero parte al commercio di ca­

botaggio nel porto di Messina.

Il movimento della navigazione internazionale e di cabotaggio (approdi e partenze) che nel­ l’ anno 1861 era, pel porto di Messina di 721,072 per le navi a vela e di 388,519 per le navi a vapore, discese nel 1873 a 379,610 tonnellate per le navi a vela e raggiunse le tonnellate 1,268,044 per i vapori. Quindi nel 1873 abbiamo una dif­ ferenza in meno, rispetto al 1861, di 90 per cento nel tonnellaggio della navigazione a vela, e una differenza in più che ragguaglia al 223 per cento nella navigazione a vapore.

La proporzione del tonnellaggio dei vapori su quello delle navi a vela era, pel porto di Mes­ sina, del 35 per 100 nel 1861 ; nel 1873 aveva raggiunto il 77 per cento.

Ora vediamo come si ripartiva nel 1873 il ton­ nellaggio della navigazione internazionale a vela ed a vapore (approdi e partenze) nel porto di Messina secondo i paesi di provenienza e di de-stinazione.

Paesi Tonnellate

cifre effettive per 1000

Europa - Inghilterra 266,556 243 Grecia 187,069 170 Francia 164,268 149 Turchia (Europea ed Asiatica) 56,724 52 Austria 56,660 51

Altri paesi d’Europa 154,663 141

Totals 885,940 806 A frica - Egitto 58,000 53 Algeria 2,345 2 Tripoli, Tunisi e M a-rocco 1,821 2 Totale 62,166 57

America - America inglese e Stati Uniti del

Nord 53,333 48

Uruguay 410 ì i

Argentina 146 i 1

Totale 53,889 49

Asia ed Oceania - Indie

orien-tali, ecc. 13,093 12 Riassumendo queste cifre si ha :

Europa 885,940 806 A frica 62,166 57 America 53,889 49 A sia ed Oceania 13,093 12 Porti Italiani 83,321 76 Totale 1,098,409 1000

Da queste cifre risulta come il movimento della navigazione internazionale nel porto di Messina nel 1873 per 4/5 (806 tonnellate su 1000) ebbe luogo coi paesi d’Europa e principalmente con lTnghilterra, con la Grecia e cen la Francia.

Il movimento suddetto esaminato poi secondo la nazionalità dei bastimenti, offre le cifre se­ guenti che rappresentano il tonnellaggio di cia­ scuna bandiera. Bandiere Tonnellate I n g l e s e ... cifre effettive 4 0 8 , 1 2 5 per 1000 3 7 2 I ta lia n a ... 3 6 1 , 7 9 1 3 2 9 F rancese... 9 5 , 4 1 0 8 7 Russa... 5 1 , 4 2 0 4 7 Nord Americana . . 4 7 , 1 6 9 4 3 Olandese... 3 7 , 1 6 0 3 4 E lle n ic a ... 3 3 , 7 5 4 3 1 G e rm a n ica ... 2 7 , 7 6 3 2 5 D a n e s e ... 1 1 , 7 1 7 10 Svedese e Norvegiana . 1 0 , 3 0 9 9 A u s t r i a c a ... 6 , 0 2 9 5 O t t o m a n a ... 4 , 3 6 7 S p a g n u o la ... 3 , 2 3 4

!

8

j M oldo-Valaeca . . . 1 6 1 Totale . 1 , 0 9 8 , 4 0 9 1000 La bandiera inglese fu quella che concorse mag­ giormente (372 tonnellate su 1000) al movimento della navigazione internazionale del porto di Messina ; la bandiera italiana concorse pure in buona parte (329 tonnellate su 1000) in quella navigazione; le bandiere francese, russa, nord americana, olandese, ellenica, germ anica, ecc., comprese tutte insieme non raggiunsero neppure il terzo (299 tonnellate su 1000) del movimento della navigazione internazionale cha ebbe luogo nell’ anno 1873 in quel porto per operazioni di commercio.

LA DISPUTA ECONOMICA IN ITALIA

(Lettere di un francese)

II

Florence, 9 Février. Monsieur Paul Leroy-Beaulieu Directeur de ¿’Economiste Français, Paris. M. Angelo Messedaglia est un homme, dit-on, de l’ école autoritaire: s’il n’y appartient pas ou­ vertement, il y appartient par son adhésion tacite, n’ayant jamais, protesté contre l’assertion tres-sou- vent répétée dans les journaux, qu’il est l ’adversaire de la doctrine smithienne.

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164 L’ ECO N O M ISTA 14 febbraio 1875 qu’en tout cas on puisse dire qu’il n’a pris parti ni

pour les uns, ni pour les autres. La neutralité, il n’y a pas de doute, est la position la plus commode en tout et pour tous, particulièrement pour les hommes plus ou moins influents. Elle est pour M. Messe- daglia le camp retranché de sa conduite publique, je dirai môme la première condition morale de son existence. Il n’y manque jamais : on le voulait mi­ nistre des finances, mais il se trouve plus à son aise professeur honoraire et stipendiaire de l’Uni­ versité de Padoue. Il est commandeur, député, il est savant, publiciste, il est même conseiller du ministre des finances, et jouit en paix de tous les avantages da sa magnifique et tranquille position- C’est lui, me dit-on, qui dans un hôtel de Naples a enfanté la loi de la circulation fiduciaire, qui a été ensuite entièrement façonnée par la coopé­ ration de M. M. Minghetti, Maurogonato et Luz- zatti. C’est lui qui a rédigé les programmes des cours d’économie politique pour les Instituts techni­ ques de l’Italie, programmes qui dans le journal florentin V Economista ont été très sévèrement jugés; c’est lui, pour tout dire, qui a l’ oreille du gouverne­ ment avant toute décision financière et économique. Comme vous voyez, c’est un homme assez impor­ tant dans le monde officiel, et, il faut le dire, très- distingué aussi dans le monde de la Science. C’est justement par la grande estime publique dont il jouit, que la nouvelle école se fait forte de son nom, bien qu’il ne l ’ y ait jamais autorisée formel­ lement. Je pense qu’ en effet il n’ est pas tout-a- fait partisan des principes plus ou moins socialistes que l’Italie emprunte maintenant de l ’ Allemagne. M. Messedaglia a, sans doute, une remarquable sympathie pour la statistique, et s’ en est occupé avec beaucoup d’ exactitude et de talent dans ses deux travaux : L a théorie de la population, et la f i e Moyenne. Mais s’il suit un système d’ études de préférence à un autre, cela n’ établit pas qu’il nie les lois naturelles et universelles de l’ écono­ mie politique, et je pense que ses apologistes de l’ école autoritaire n’ ont pas lu trop attentivement tous ses écrits.

Il y a de M. Messedaglia un cours d’economie, maintenant introuvable, fait à l’Université de Pa­ doue, qui, lithographié en peu d’exemplaires, n’ a pas eu d’autre édition, car l’auteur l’ a trouvé très- incomplet, et ne s’ est pas donné la peine de le compléter ensuite. Yoici quelques passages de cette ébauche de traité: ils suffiront à démontrer que l ’ érudition et le talent de M. Messedaglia ne peu­ vent pas être a disposition des réformateurs italiens. Voyons, avant tout, ce qu’il dit de l ’Etat, le pivot sur lequel tourne toute discussion entre les économistes classiques et les néo-socialistes.

« Le gouvernement, — je traduis mot-à-m ot

n’intervient que pour une part limitée dans la vie sociale; bien loin d’être tout, il n’ est qu’une fonc­ tion éducative et de secours, destinée à décroître d’intensité si non d’ extension, à la suite des temps» et subordonnée, en tout cas, aux lois essentielles qui président à la vie sociale, et que l’Etat ne doit jamais violenter ».

Je ne sais si l’on peut s’ expliquer plus claire­ ment et plus exactement ; je ne crois pas que Smith lui-même avait une notion plus précise que celle-ci ; je ne sais enfin si quelque disciple de son école pourrait rétrécir davantage l’ action de l’Etat. Ma foi, si M. Messedaglia est avec les au­ toritaires, ils ont en lui une bien mauvaise com­ pagnie ! La distance entre lui et eux ne pourrait pas être plus éloignée sur ce point essentiel. Les

j autoritaires veulent que l ’Etat soit l ’institution toute-puissante et la plus glorieuse de l’éspèce j humaine; s’ils ne le disent pas carrément, comme le font nos bons amis au delà du Rhin, c’ est qu’ en obéissant à la tradition machiavélique, qui est dans le sang de tout italien, ils savent tourner les phrases pour s’ expliquer comme ils l’entendent sans être pris en flagrante contradiction. Ainsi, M. Luzzatti s’exprime de la manière suivante : « Kant, dans la Critique delà Saison pure, observe que la colombe en planant serait disposée à se plaindre de la résistance de l’air, et elle ignore que c’est par son effet qu’ elle plane. De même que la liberté ; dont l’action se renforce et se rend légitimé par la résistance nécessaire de l ’ auto­ rité ». C’est bien ce que disent les socialistes al­ lemands dans un langage plus franc et plus cou­ rageux ; mais M. Luzzatti fait dépendre les idées de sa phrase, et cependant c’ est le cas ou jamais de dire: « Comparaison n’est pas raison ».

Mon but n’ est pas assurément de confuter par mes opinions personnelles et par mes études les opinions et les études des autres ; je n’ai pas cette prétention; l’ aurais-je même, je ne ferais que dire, sous une autre forme, ce qui a été dit mille fois. Sordet cognita veritas ; d’ ailleurs on a commencé par une question de principes, et on va finir par une question de limites. C'est un expédient, puisque les limites ne sont que les corollaires des princi­ pes; c’ est pourquoi je n’ai qu’ à mettre en con­ tradiction avec eux mêmes les réformateurs ita­ liens, ou relever simplement la faiblesse de leurs argumentations.

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éeo-14 febbraio 1875 L’ E C O N O M ISTA 165 nomistes se « distinguent » et ne se « divisent »

pas; il ajoute qu’il y en a trois, savoir: celle qui suit les doctrines de Smith et de Bastiat, et qui compte parmi ses chefs M. Schulze-Delitzsch; celle qu’on peut appeller l ’école expérimentale, et qui se bifurque en école historique et en école stati­ stique ; celle enfin qui est surnommée l’école des socialistes en chaire.

Vraiment, je ne saurais pas trop dire comment la doctrine socialiste se relie à la doctrine smi- thienne: il me semble qu’ entre les deux il y a un abîme, et M. Luzzatti ne nous a pas expliqué pourquoi et comment elles ne se « divisent » pas. |

Mais ceci est très-peu de chose, et ne fait pas beaucoup de tort à la logique de M. Luzzatti. Ce qui jure davantage c ’est qu’ il fait tout d’abord l ’apologie de M. Schulze et du principe de son système, qui non seulement est un principe de l’ école de Smith, mais qui exclut tout particuliè­ rement l ’ idée de l’intervention de l’Etat dans les applications pratiques faites par l’ œuvre de Mon­ sieur Schulze; qu’il fait ensuite l’ apologie de l’ école appellée expérimentale, déclarant que les deux méthodes sont également excellentes; la méthode historique « qui a nié-l’ideal des lois universelles et s’ est renfermée dans l ’ étroit horizon de la pa­ trie ; » la méthode statistique « dont il n’ es plus permis de mettre en doute l’utilité. » Il fait en­ suite l’apologie de la troisième école, celle des so­ cialistes en chaire, « qui se fie à l'évolution et non pas à la révolution, sachant que les grands pro­ grès de l’ histoire résultent du travail des siècles. » Ainsi voilà M. Luzzatti économiste orthodoxe avec Smith ; le voilà étliérodoxe avec Gneist et Schmol- ler; le voilà entre les deux avec Knies, Eau et Hildebrand !

Il est vrai que, sans hésister, il se déclare ad­ versaire de Lassalle et. ses semblables, « qui flat­ tent l ’instinct de cette partie trouble et engourdie des ouvriers, qui veut, sans épargne et par le moyen des impôts progressifs, s’ emparer du gou­ vernement, afin d’ échanger leurs misérables con­ ditions avec l ’ordre social ». Mais ce n’ est pas assez: que M. Luzzatti me dise quelle différence il trouve entre le voleur d’ un sou et le voleur de mille, de cent mille francs. Une grande différence, apparemment: on ne craint pas le premier voleur, et tout le monde se garde du second ; on ne punit pas le premier, le second va en prison, ou est condamné aux travaux forcés. Mais en réalité, l’un est voleur aussi bien que l'autre, et il y a à parier cent contre un que le petit voleur deviendra grand, comme dit Lafontaine. C’est identiquement la même chose que les socialistes de la chaire et les socia­ listes de la rue: les premiers sont les voleurs d’ un sou, qui finiront comme les seconds par voler les

mille, les cent mille francs, s’il le peuvent. On commence toujours par peu pour arriver à beau­ coup; on commence à demander que le rôle de l’Etat soit « d’initier une œuvre de réforme posi­ tive et reconstitutive de la société, » et on finit, à coup sûr, par sauter à pieds joints dans la so­ ciété économique de Charles Marx et de Ferdinand Lassalle. La route qui conduit d’une violation lé gale de liberté en plein despotisme est très-rapide et on y glisse avec une vélocité vertigineuse.

Les petits voleurs rougissent d’ avoir dans l ’opi­ nion publique la même réputation ques les grands : ils leur semble être d’ honnêtes gens en compa­ raison. Autre chose est de culbuter le monde de fonde en comble, en changeant, tout à coup l’ ordre social existant; autre chose est de substituer au principe de l’intérêt personnel le principe éthique de la science. Demander l’intervention de l ’Etat dans les faits économiques afin qu’ils répondent à la loi de socialité, n’est pas faire de l’ Etat le régu­ lateur et le dominateur absolu de la société.

Ce sont les grands arguments de l’ école socia­ liste italienne, qui, cependant, expose contre la liberté le3 mêmes griefs que les socialistes alle­ mands les plus acharnés. Ils sont tous deux con­ vaincus de la tyrannie du capital, de l’ oppression du travailleur, de l’ injustice qui régit le droit actuel de propriété, des graves inconvénients qui suivent de près tout le système de la libre con­ currence, des dangers matériels et moraux de la division du travail, du conflit permanent des in­ térêts personnels, de l’ opposition réciproque entre les lois de production et celles de distribution des richesses, etc. L ’ ecole socialiste italienne, comme les plus purs socialistes allemands, est émue des conditions déchirantes qui torturent la pauvre humanité; de même qu’ eux, elle évoque le prin ­ cipe éthique comme seul remède à tant de maux. Bon gré, mal gré, les deux légions de réforma­ teurs ont le même drapeau, les mêmes armes de guerre, la même discipline, la même stratégie, les mêmes ennemis à combattre, la même victoire à poursuivre. C’est étonnant que le génie scientifi­ que allemand et le génie artistique italien aient trouvé leur trait-d’union dans la conception so­ cialiste, qui est la plus colossale négation du vrai et du beau.

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166

mais ils n’ont pas eu la bonté de nous dire ce qu’ils entend per ces deux jolis mots. Dans ma curiosité j ’ai cherché parmi les auteurs que les socialistes italiens citent le plus complaisamment l ’explication du mot de la chose. Je n’ ai trouvé ni l’un ni l’autre; seulement dans le cours d’ eco- nomie politique de M. Angelo Messedaglia, j ’ ai lu quelques lignes, qui n’ ont pourtant pas fait éva­ nouir les ténèbres de mon ignorance, puisque il y a des choses que j ’avais apprises de Smith lui- même. Yoici le passage: « Si, par éxemple, le travail servile était en certains cas plus productif que le travail libre, l’économie théorique ne serait point à blâmer si elle constatait ce fait ; mais dans l'application, le résultat économique devrait céder aux exigences de la morale, qui défendent l’escla­ vage, et aux sciences sociales, qui donnent l’ escla­ vage comme source de dépravation physique et spirituelle. De môme l ’introduction précoce des enfants et leur travail excessif dans les fabriques, fû t-il reconnu utile en économie politique, la crainte très-légitime qu’il en résulte une dégradation phy­ sique et morale pour la population, exigerait d’ y mettre obstacle.

Il faut cependant se rappeler que s’il peut y avoir conflit dans certains cas tout-à-fait particuliers, il n’ y en a jamais dans la généralité. En examinant bien les rapports universels, on trouve que la mo­ rale et l’utilité économique s’ accordent toujours. Cicéron lui même le gavait: quidquid honestum est, idem utile videtur, nec utile quidquam quod non sit honestum?... Ainsi il est démontré que l’ esclavage est économiquement moins productif que la liberté, et que l ’excès de travail se traduit à la longue par un défaut de production; c’ est pourquoi l ’esclavage et l’ excès de travail ne peuvent pas répondre aux intérêts économiques ». C’est, il me semble l’ expli­ quer net. Mais M. Messedaglia va plus loin avec l ’ exactitude de ses expressions. Il dit, par exemple, que quel que puisse paraître en certains cas l’ an­ tagonisme, il y a toujours accord au fond: « on peut déclarer qu’à chaque vertu morale correspond toujours un avantage économique, et réciproque­ ment que chaque avantage économique facilite toujours le développement d’un élément moral ». — « Tous les intérêts légitimes, ajoute-t-il, sont har­ moniques, comme Ta fort bien dit Bastiat ».

En voilà assez pour le principe éthique! Il n’y a pas, à ce qu’il me sem ble, d’économiste plus smithien que M. Messedaglia. Je remercie de tout mon cœur les écrivains de l’ école socialiste ita­ lienne de m’avoir indiqué cette autorité, qui est le meilleur appui, non pas pour admettre, comme ils le croient, mais pour confuter leurs sophismes. Peut-être se sont ils fiés à ce que M. Messedaglia a dit ça e là dans ses écrits en faveur de l ’inter­

14 febbraio 1875 vention de l’Etat? - Mais, bon Dieu, qu’ a-t-il dit au fond? - il a dit quelque part que parmi les sciences sociales il y en a une nommée science de l’administration qui « règle l ’intervention de l’Etat dans les divers rapports de la vie sociale, à titre de tutelle, d’ éducation et de sécours » et il ajoute avec empressement qu’une partie distincte de cette science « est la science de la police ou de la justice préventive, qui enseigne les moyens les plus efficaces de prévenir tout désordre ou dommage, provenant non seulement de causes volontaires, mais aussi d’ accidents naturels ».

Quiconque connait personnellement M. Messe­ daglia, voit de suite dans cette partie de son en­ seignement le professeur craintif, cauteleux, cir­ conspect, prudent. Je vous ai dit déjà combien il aime à rester neutre, autant qu’il peut, en toute occasion et en toute circonstance. Si donc les autoritaires prennent au vol quelques phrases que M. Messedaglia a dû se laisser échapper, et s’ en servent de témoignage en faveur de leurs doctrines, il faut avouer que jamais mets ne fut plus maigre.

De ma part, je me félicite d’avoir réhabilité M. Messedaglia dans l’opinion des Français, qui pou­ vaient le croire plus ou moins socialiste, tandis qu’il est un des continuateurs le plus sérieux de Adam Smith et de Jean Baptiste Say.

Et je serai très-heureux si, pour la gloire de la science économique, dont la France a si bien mé­ rité, je pourrai démontrer aussi que les plus il­ lustres personnages de l ’ école autoritaire italienne sont, malgré eux, smithiens de la vieille roche. —

Agreéz, etc.

J. Monville.

LE RELAZIONI DEI GIURATI ITALIANI

sulla Esposizione Universale di Vienna del 1878

Setaetessutidiseta >)

Prima di esporre in qual modo l ’arte della seta fosse rappresentata alla Esposizione di Vienna del 1878, la Relazione riassume a grandi tratti la storia del setificio e il grado di svolgimento che esso ha raggiunto presso le principali nazioni di Europa. Un tale studio serve a dimostrare per quali cause l’industria della tessitura serica, che più d’ogni altra ha contribuito un tempo ad as­ sicurare la potenza e la ricchezza di alcune fra le principali città d’Italia, sia poi venuta fra noi decadendo, man mano che andava prosperando in altri paesi, mentre è pur rimasta a noi la preva­ lenza riguardo alla produzione della seta.

Da questo interessante riassunto risulta che la J) Dalla Relazione dei signori prof. Pietro Pinchetti, Francesco Mattiuzzi e G-. B. Nesti.

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14 febbraio 1875 L’ E CON O M ISTA 167 industria serica in tutte le sue ramificazioni ebbe

culla nel nostro paese e che qui raggiunse un grado eminente di perfezione, quando in Francia e nelle altre nazioni era ancora bambina ; e che se questo ramo importante di prosperità nazio­ nale volse alla decadenza, ciò più che all’inerzia delle popolazioni, deve attribuirsi al malgoverno degli stranieri e specialmente alla dominazione spagnuola. Fra i paesi esteri i primi a trar par­ tito dalla decadenza della nostra industria serica, appropriandosene gli elementi, furono la Spagna e la Svizzera, quella per la sua vicinanza alla Sicilia, questa alla Lombardia. Da più di un mezzo secolo le principali n azioni d’Europa, meno l’Italia, hanno spinto tant’ oltre lo sviluppo e il perfezio­ namento della fabbricazione delle stoffe di seta, da lasciare in dubbio se l ’avvenire potrà frenarne il corso. In Italia quest’industria non è in floride condizioni nelle città stesse in cui prosperava un tempo, tantoché oggi contano pochi telai insuffi­ cienti a provvedere ai bisogni del consumo locale. Forse un maggior numero se ne incontrerebbe nelle fabbriche sparse nelle provincie di Milano, Bologna, Siena, Roma, Napoli e Catania, ma con una produzione limitatissima e con un carattere puramente locale.

Sola Como si distingue nel setificio e può es­ serne considerata come centro principale. In quella città e provincia nel 1872 battevano circa 6,500 telai, da cui traevano lavoro e sussistenza più di 10.000 persone, e il valore della cui produzione stimavasi non inferiore a 18 milioni di lire.

Mancano i dati per stabilire quale sia il nu­ mero complessivo dei telai battenti in Italia nella fabbricazione delle stoffe di seta, ma probabil­ mente nel 1872 non superavano i 12,000. Di questi 7,000 circa si troverebbero in Lombardia, 2,500 in Piemonte e 2,500 nelle provincie venete, del centro e meridionali. Gli operai non sono meno di 20,000, nel qual numero vanno compresi oltre ai tessitori tutti gli addetti alle operazioni sussidiarie della tessitura, quali sono le operaie incannatrici, le orditrici, le spoliere, coloro che piegano e rimettono le catene, che assortiscono la seta, ecc. Il valore medio del prodotto di 12.000 telai, posto che lavorino senza interruzione, può aggirarsi fra i 35 e i 40 milioni di lire, di cui un terzo è rappresentato dalla tintura e dalla mano d’ opera, e le altre due parti vanno attri­ buite alla materia prima. Le fabbriche di Milano e di Torino applicate alla fabbricazione delle stoffe operate e lisce, quelle di Genova che pro­ ducono velluti, e più quelle di Como, che lavo­ rano stoffe liscie, promettono una rigenerazione manifatturiera. Pel resto la produzione è inter­ mittente e non adeguata.

Se nell’ industria tessile il nostro paese è fra gli ultimi d’Europa per importanza, nella produ­ zione serica agricola occupa il primo posto. Alla produzione e alla lavorazione della seta principa­ lissima fra le industrie italiane sono strettamente collegati tutti i rami della nostra vita economica, dall’ agricoltura sino alle manifatture, alle banche e al commercio. In circa 100 eircondarii che ap­ partengono a 40 provincie d’Italia e che rappre­ sentano in superficie quasi la metà del nostro suolo, è estesissima da molti anni la trattura della seta, mentre la tessitura è quasi esclusivamente esercitata nelle provincie della Lombardia e del Piemonte. Fra le 40 provincie, quella di Como è quella di Otranto segnano i due estremi, massimo e minimo, della scala della produzione serica. Anzi quella di Como dà ordinariamente quasi il dop­ pio di quanto suole produrre la più feconda fra le altre provincie del regno d’Italia.

Prima che si sviluppasse l’atrofia del baco da seta, la produzione ordinaria della seta in Italia stimavasi circa di 50 milioni di chilogrammi di bozzoli, cifra che secondo alcuni statistici equivar­ rebbe alla quinta parte della produzione annuale della seta in tutto il mondo, ed a più del quin­ tuplo della produzione attuale in Francia, che, dopo l’Italia, è la nazione più sericola fra quelle d’ Europa.

Il raccolto complessivo del 1872 secondo un prospetto statistico annualmente compilato per cura di un ragguardevole filatore di Milano, il cav. Pasquale De Vecchi, fu di chilogr. 3,125,000. L a Lombardia vi figura per chilogr. 1,170,000, il Veneto per chilogr. 500,000 Piemonte, Liguria e Sardegna per chilogr. 482,000 ; assai meno le altre provincie. Apparisce pertanto da queste ci­ fre che il raccolto della seta, soprattutto in que­ sti ultimi anni, è cresciuto in modo da raggiun­ gere la quantità che si ebbe negli anni che pre­ cedettero la deplorata invasione dell’atrofia.

Il quale splendido risultato va attribuito in gran parte all’energia manifestata dai produttori e commercianti italiani nel combattere i disa­ strosi effetti di quella terribile epizozia. Non ri­ medii che non fossero sperimentati, non lontani e anche inospitali paesi che non fossero visitati per incettare buon seme; nè i fallimenti e lo spreco di tempo e di capitali valsero ad abbat­ tere l’ardore dei nostri sericoltori. Colla migliore educazione compensarono la deficienza cagionata dalla minor rendita del seme giapponese, cosic­ ché vi ha chi presume che in condizioni ordina­ rie di raccolto l’Italia sarebbe in grado di pro­ durre non meno di 60 milioni di chilogrammi di bozzoli.

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168 L’ E C O N O M ISTA 14 febbraio 1875 la stagionatura di Lione nel 1864, la quale rap­

presenta anche la media degli ultimi anni, fu di chilogrammi 3,508,632. La media annuale com­ plessiva delle esportazioni in seterie dal 1867 al 1872 fu di fr. 465,000,000. Lione tiene il primo posto, poi Saint-Etienne nella fabbricazione dei nastri e Tours, ove si fabbricano principalmente le stoffe per mobilie. Questi tessuti vanno agli Stati-Uniti, in Inghilterra, G-ermania, Austria, Russia, Belgio, Paesi Bassi e nel Levante. Le statistiche portano a 5000 i telai meccanici per la tessitura serica oggi posti in azione dal va­ pore o dalla forza idraulica in Francia dei quali la più gran parte trovasi nei dipartimenti del Rodano.

Nel 1872 a Lione battevano 120 mila telai, procaccianti lavoro a circa 180 mila operai. Di questi telai un quarto è in città e 90,000 telai in 6 o 8 dipartimenti vicini. Il consumo annuale de’ telai stessi supera i chilogrammi 2,200,000 di seta e le stoffe rappresentano un valore di circa 460 milioni di lire, di cui 350 servono per l’e­ sportazione e 110 pel consumo interno. Le fab­ briche francesi traggono la materia prima dalla produzione serica indigena e da quella estera. In conseguenza della malattia del baco da seta la prima scemò in proporzioni enormi.

Nel 1872 la produzione in bozzoli fu di chilo­ grammi 9,871,000. Il filugello si alleva in circa 20 dipartimenti e più di 500 grandi filande e >-00 stabilimenti per la lavorazione delle sete prepa­ rano la materia prima della tessitura. Nel 1872 le sete e le seterie rappresentavano più di un miliardo, ossia quasi il sesto del valore comples­ sivo delle importazioni ed esportazioni della Fran­ cia. Questa manifattura è favorita, incoraggiata, sussidiata da scuole, musei e da istituzioni uma­ nitarie. Lione rimase insuperata per l ’invenzione e la bellezza dei colori.

Inghilterra. — Il setificio inglese, per il buon mercato dei suoi prodotti, primeggia in America. Recentemente battevano 120,000 telai. Dopo la malattia, gl’ inglesi si procacciarono le sete dalla China, dal Bengala e dal Giappone, poi dal Le­ vante, dalla Siria e dalla Persia. Le sete italiane si adoperano pei tessuti primarii o per formare Lordilo delle stoffe. Si fanno articoli di molto consumo, e l’ Inghilterra può vantare la supre­ mazia su tutti i centri di mercatura del mondo per la vendita a miglior prezzo dei prodotti del­ l ’industria serica.

In Germania il setificio ha sede nelle provincie della Prussia Renana e notevolmente in Crefeld, Elberfeld-Barmen e in Berlino. La sua impor­ tanza dal 1844 al 1872 è quasi triplicata. Nel 1872 il prodotto complessivo si valutava a 50

milioni di talleri, col consumo di chilogrammi 980,000 di seta. Attualmente i fabbricanti sono circa 330.

In Svizzera la industria serica è la più impor­ tante. Nel 1872 dette origine ad una esportazione di prodotti serici del complessivo valore di 215 milioni di franchi.

In Austria questa industria è andata progre­ dendo. Oggi il prodotto complessivo delle fabbri­ che di seterie supera il valore di 16 milioni di fiorini. La Spagna è in decadenza, benché le sue sete greggie siano in oggi stimate per l ’accurata loro trattura. Gli altri Stati di Europa non pos­ sono esser posti nel numero dei produttori riguardo all’industria serica.

Alla esposizione di Vienna i prodotti compresi nella 4a Sezione del 5° Gruppo costituivano due distinte categorie: 1° la seta, 2° i tessuti serici e le sete tinte. Quanto alla produzione della seta, l’ordine per merito sarebbe il seguente : Italia, Francia, Austria, Svizzera, Spagna, Ungheria, Portogallo, Grecia e Russia ; per la reale impor­ tanza della produzione serica sarebbe invece : Ita­ lia, Francia, Spagna, Austria col Tirolo, Porto­ gallo, Grecia, Russia, Svizzera, Ungheria. Quanto alla importanza manifatturiera, l’ ordine sarebbe : Francia, Inghilterra, Germania, Svizzera, Italia, Austria, Russia, Spagna, Grecia, Portogallo.

Quanto alla esposizione, quella Francese fu stu­ penda, P Inglese ebbe un posto secondario.

La Germania al contrario mostrò di essere in progresso, e così pure apparì manifesta la vita­ lità dell’industria serica in Svizzera. Le manifat­ ture austriache si sono perfezionate grandemente, tanto da non temer concorrenza in alcuni arti­ coli. Meritò lode la Russia. Non può dirsi altret­ tanto della Spagna. Quanto al Portogallo l’ espo­ sizione delle Seterie dinotava un progresso. Non meritano attenzione i prodotti serici de la Grecia, dell’ Ungheria, della Svezia, del Belgio e de’ Paesi Bassi.

Quanto al nostro paese, l’esposizione delle se­ terie dimostrò che questa industria è in progresso tale da farci concepire ragionevole speranza che presto sarà condotta a molta perfezione ed im­ portanza. Gli espositori furono pochi, ma sosten­ nero con onore la riputazione nostra. Nei loro prodotti v ’era brio, ricchezza, colori vivaci e bene assortiti, lavoro inappuntabile. Di 25 fabbricatori 22 vennero distinti, 6 colla medaglia per il pro­ gresso, 6 per il merito, 10 colla menzione ono­ revole.

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14 febbraio 1875 L’ E C O N O M ISTA 169 vollero specialmente premiare coloro cbe hanno

introdotto utili innovazioni e raggiunta una invi­ diata perfezione nell’ arte di lavorare il filo serico, che sono specialmente i Lombardi e poi i Pie­ montesi. Nelle altre provinole la trattura è in generale suddivisa ancora in una'quantità di pic­ cole filande che sono quasi accessorii dell’ industria agraria, condotti con sistemi elementari.

L ’arte di tingere la seta ebbe quattro esposi­ tori italiani, i cui saggi dimostranti perfezione mirabile, furono giudicati tutti degni di premio.

Di tutte le industrie di primo ordine, nessuna fra noi per ampiezza di lucri e per importanza economica , raccoglie tanta evidenza di successo quanto quella del Setificio. L ’ enorme quantità di seta annualmente prodotta in Italia all’ infuori della ventesima parte, che viene manufatta in paese, si vende all’estero, ove trasformata, acqui­ sta un valore quasi doppio.

Col progresso dell’ industria tessile oltre ad as­ sicurare molto più. valore , potremmo vendere a miglior mercato degli stranieri. Il prezzo basso della mano d’opera ci è assicurato da una quan­ tità di forze motrici idrauliche in località popo­ lose e da operai in due terzi d’Italia assai labo­ riosi. Mentre i 6,500 telai all’incirca attualmente applicati alla industria serica in Com o, trovansi disseminati in circa 2,GC0 abitazioni, gioverebbe con forti associazioni creare grandi fabbriche. Così sparirebbero per la maggior parte le piccole fabbriche ed in ispecie quelle che ora manten­ gono lo scredito dei manufatti nostrali, provo­ cando diuturne gelosie e spessi fallimenti. Allora i fabbricanti si persuaderanno della necessità di studii teorico-pratici speciali, e che la migliore protezione governativa non sta nei dazii e nelle dogane, ma nelle scuole e negli insegnamenti.

IL CONGRESSO DI MILANO

l i

LAVORO D E I FANCIU LLI

Tolta di mezzo la molesta discussione del prin­ cipio teoretico, si venne al primo de’tre terni p a r­ ticolari, che la Presidenza aveva apparecchiati. Ognun sa qual fosse: legge sul lavoro de’fanciulli nelle sue attinenze con l’igiene e l’ educazione. Non crediamo inutile che, prima di sottoporre al pub­ blico qualche riflessione sul merito di questo tema, si abbia un’ idea precisa del modo in cui venne dal Congresso dibattuto e deliberato.

L ’onor. Luzzatti, con un discorso il quale, come sempre, fu interrotto da frequenti ed unanimi ap­ plausi, che scoppiarono ripetuti e fragorosi alla fine,

domandava due cose al Congresso:

I o che « determini essere utile nell’ ordine morale ed economico una legge che fissi i limiti del lavoro de’ fanciulli » (salvo d’includervi anco le donne) ;

2° che « venga affidata alla Presidenza la compilazione d’ un questionario da divulgarsi fra g l’industriali, e che vi si proceda con commissioni composte di medici, tecnici ed operai ».

La proposta era bene avviata; ma l’ onor. sena­ tore Possi, con una crudeltà di cui non sapremmo assolverlo, surse a contrariarla un poco. Non siate, egli disse, così facili a legiferare! il Congresso dovrebbe limitare la sua azione soltanto a un in­ chiesta. Parlò due volte in tal senso; ma, o lu d i- torio non applaudì, o il Resoconto si è scordato di dirlo.

È da credere che, sotto l ’impressione di questo fulmine a ciel sereno, si sieno manifestati de’segni di titubanza; e allora, è evidente che una vota­ zione nel senso dell’pnor. Rossi sarebbe riuscita al­ quanto grave, a riguardo della Presidenza. Quindi fu, che il Luzzatti si affrettò a recidere il nodo. « Prendiamo ciò che ci accorda, lasciamo ciò che ci divide » : prudentissima regola. In termini par­ lamentari: noi, Presidenza, non abbiamo alcuna voglia di far quistioni di gabinetto ; ci rassegne­ remo all’ emendamento, piuttosto che perdere il nostro seggio. Sistema molto in voga oggidì ; quindi, applausi vivi e prolungati.

Allora, il presidente Lampertico dichiara an­ eli’ egli di associarsi al Rossi per quanto riguarda il fare un’ inchiesta, ma protesta di non volere « limiti all’ opera del Gomitato cui dovrà essere affidata » (semplici applausi).

Indarno il prof. Vidari vorrebbe eliminata 1 in­ chiesta, perchè soverchia, ritenendo già dimostrata la necessità di una legge (nessun applauso). Luz­ zatti sostiene, contrariamente alla sua primitiva proposta, che sarebbe inopportuno votar prima la necessità ed utilità della legge, e poscia fare un’in­ chiesta per vedere se la legge sia necessaria ed utile; e dopo altri vìvi segni di approvazione, l’ or­ dine del giorno Lampertico vien messo ai voti, e si approva all'unanimità.

in breve: fu disfatto il Vidari in un senso; il Luzzatti, in un altro senso, si disfece da sè ; vinse apparentemente il Rossi ; ma trionfò sostanzial­ mente la Presidenza, perchè ciò che perdeva in dignità veniva largamente ricompensato da’poteri illimitati che le si diedero, e di cui siamo certis­ simi che saprà fare buon uso, come sempre in si­ mili casi si suole.

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170 L’ E C O N O M ISTA 14 febbraio 1875 quale, come scientifica quistione, sarebbe men fre­

sco che un putrefatto cadavere, e sarebbe poi in­ dovinato sì bene, quanto un colpo di mazza che si scagli sulla testa d’un’ ombra.

Di lavoro de’faneiulli negli opifieii, si parla e scrive in Europa da poco meno che un secolo. Se n’ è parlato appunto ne’ termini che il Luzzatti e il Lampertico vengono ora a ripetere, con un’en­ fasi che resta molto inferiore a quella de’loro pre­ decessori. Si conoscono a menadito i benemeriti pubblicisti che sudarono intorno ad una quistione così simpatica. Perceval, i due Peel, Wilberforce, Ashley, Edward.... chi mai non ha, per lo meno, udito cento volte ripetere siffatti nomi ? La storia delle leggi fatte in proposito non è soltanto de­ positata in grossi volumi di atti ufficiali, ma anche in molte e pregevoli opere di privati. È stata egre­ giamente narrata or sono appena tre anni, e in tedesco. Il compendio poi di tutti i compendi, trovasi in un capitolo, che si |a leggere assai vo­ lentieri, nel recente volume sopra il Lavoro, pub­ blicato dallo stesso Lampertico. — Ciò in quanto alla originale freschezza dell’argomento.

Se non il tema, sarebbero forse nuove le conclu­ sioni a cui si vuol riuscire? Naturalmente così avrà pensato la maggioranza del Congresso ; avrà dovuto supporre che gli economisti della vecchia scuola sieno stati avversari]', inviperiti, delle leggi tendenti a migliorare la sorte de’fanciulli operai.

Ma, o noi abbiam bevuto 1’ acqua di Lete, o i sigg. Luzzatti e Lampertico han voluto mettere a prova la credulità ed il sapere di coloro che li ascoltavano. Ci è parso di cascar dalle nuvole. Noi conosciamo le opposizioni elevatesi ne’ parlamenti fr gli uomini politici ; ma in riguardo ad econo­ misti, ignoriamo completamente che essi abbiano mai combattute le leggi di cui si tratta. E par­ liamo di economisti smithiani ; giacché in quanto, per esempio, al Sismondi, il quale volea proscritte le macchine, le manifatture, i biglietti di banco, non deve far meraviglia che egli abbia pure domandato provvedimenti restrittivi nel lavoro degli opifieii.

L ’ onorevole senatore Lampertico ha riprodotto, egli stesso, i tratti di Say e di P. Rossi, che eransi già citati dal W olow ski; ma si sarebbe mostrato più imparziale, se ne avesse ricordato molti altri. Torrens, Giac. Mili, Horner, Sumner, Eisdell, da un lato, meritavano un cenno. Dall’ altro, egli non poteva ignorare che, se M’ Culloch e Stuart Mili si permisero di elevare qualche timido dubbio; se Senior avea già sostenuto una sagace e nobile disputa con Horner; tutti nondimeno conchiusero sempre col non riprovare le leggi sul lavoro dei fanciulli. Tra i francesi poi, sta bene che il Lam­ pertico siasi tanto appoggiato sull’ autorità del Wolowski ; ma i Fix, i Villermé, i Delessert, i

Blanqui, i Eeybaud, i Lavergne, i Legoyt, i Gar- nier, i Chevalier, non appartengono pure alla razza malnata degli ottimisti, e non furono, chi meno, chi più, approvatovi, sostenitori, aderenti, avver­ sari non mai, del sistema inglese intorno al lavoro di fanciulli ? Noi dunque saremmo ben lieti di apprendere dai nostri avversari un solo nome della vecchia scuola, su di cui, in questa materia, si ab­ bia ragione di far piombare i fulmini della nuova; e fino a che non cel dicano, riterremo che non esiste.

Ora, che un uomo isolato, o anche una accade­ mia, in vista di tante leggi e tanti studi già fatti, volesse riprendere in mano la materia, riordinarla, arricchirla di nuovi fatti o nuove riflessioni, niente di strano e niente a potersi rimproverare. Ma che si affetti tant’aria di novità ; ma che il tema si presenti a un Congresso di proposito radunato, come un primo esempio della impudenza con cui i perfidi Smithiani abbiano sfruttato la libertà ; ma che si cominci, con questo metodo, ad esercitare il Congresso nella santa opera di rigenerare, rettifi­ care, far progredire la scienza economica ; ma che lo s’inviti a deliberare sopra una quistione nella quale gli economisti non furono mai dissenzienti, e nella quale i riformisti non possono profferire una sen­ tenza, una frase, una sillaba, senza commettere un plagio sopra i loro avversari ; ciò è una evidente derisione che, quand’ anche fosse una celia, ci sem­ brerebbe niente affatto piccante verso di noi, ma certo spinta tropp’ oltre a riguardo di quella gente dabbene, che fu invitata al Congresso, e vi andò inconscia della umiliante figura a cui si meditava di condannarla.

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14 febbraio 1875 L’ E C O N O M IST A 171 politica, come scienza, non ne sarà per nulla alte­

rata, comparativamente allo stato in cui trovasi. Qui dunque le parti si vorrebbero invertire. Il Congresso ha un bel farsi appellare innovatore, ri­ formatore : in realtà non è che T estrema destra della Scienza, una congrega di conservatori i più puri e ciechi ; è 1’ Economia chiusa, la negazione d’ogniprogresso, l'ottimismo de’ fatti compiuti; tutte in somma son sue le pessime qualità delle quali incolpano il liberismo. A tutt’ altri la bandiera del progresso potrà appartenere. E a noi toccherà, se noi avremo delle buoni ragioni, come ne abbiamo il coraggio, di infirmare ciò che i nostri venerati maestri han consentito finora; di indagare se, in quel sentimento, generoso al certo e lodevole, per cui l ’ Inghilterra ed altri paesi hanno spinto tant’ oltre il principio della tutela sugli opificii, non vi furono illusioni; di arguirne che, in un paese come l’ Italia, convenga non affrettarsi ad imitare l’ esempio. Que­ sto, sì, ove noi potessimo riuscirvi, diverrebbe un vero progresso della scienza ; giacché sarebbe una prova di più in favor della massima, che ogni violazione di libertà è sempre pericolosa, anche quando promani dalle intenzioni più leali e più sacre, anche quando non miri che allo scopo su­ blime di lenire le piaghe dell’uman genere. Pro­ viamoci dunque ; confidiamo ai nostri lettori il segreto de' nostri scrupoli.

Il lato prettamente giuridico, ben volentieri lo sorpasseremo. Libertà di lavoro, ed autorità pa­ terna, son diritti intangibili, è vero ; ma la salute, le forze fisiche, le facoltà intellettive e morali dei fanciulli, la loro vita, i servigi che la patria ne attende nella loro matura età, anche questi son beni sacri ; e quando parenti avidi e crudeli li distruggano o compromettano, un diritto di su­ prema tutela nella società si risveglia, a cui è bisogno e fortuna concedere libero passo. — Su questo punto preliminare, non abbiamo la me­ noma opposizione a proporre.

I nostri avversari, dal canto loro, ci han fatto, dobbiam confessarlo, una preziosa concessione. Eiconoscono che limitare e regolare il lavoro a capriccio, per sola libidine di governo, sarebbe una insania. Il fatto morboso, gli abusi, le op­ pressioni, devono preesistere, perché le leggi di cui si tratta, e che sono naturalmente di un’ in­ dole repressiva, acquistino una ragione di esistere. Lo disse il Luzzatti. Allora nasce nella Legge e nello Stato il diritto di imporsi sopra il padrone d’un opificio, quando questi osa di « storpiare, uccidere, ammalare fisicamente e moralmente i suoi operai ». Ha detto poi mille volte che « il principio e la norma vera è la libertà; il vincolo non può essere che eccezione, della quale è obbligo

stretto dare r igida prova intorno alla sua necessità ». E ciò che mostra quant’ egli ne sia convinto, al- men finora, è, da un lato, la docilità con cui ce­ dette all’ onorevole Rossi aderendo all’ inchiesta ; dall’ altro, la fermezza con cui resistette al Vidari che respingeva l’inchiesta. — Ecco dunque un se­ condo ed importantissimo punto, sul quale liberismo e vincolismo non han motivi di dilaniarsi a vicenda.

Ma cominciare da un’inchiesta, è poi tutto ciò che fa d’uopo ? Il vincolismo se ne contenta, per­ chè sa il fatto suo ; il liberismo non può, perchè sa pur troppo che le inchieste son come le cene di certe donne, ove si mangia ciò che si porta. A noi non basta il concederci la necessità d’ una inchiesta per poter provocare una legge: noi ab­ biamo bisogno di domandare, più preliminarmente ancora, se vi sia motivo sufficiente per istituire l’inchiesta.

E non pretendiamo già troppo, nè qualche cosa d’insolito. Fu sempre così, che alle leggi sul la­ voro de’ fanciulli si venne ; così si rinnovarono, si moltiplicarono, si portarono al punto in cui le ve­ diamo oggidì. Sempre la notorietà del fatto mor­ boso determinò l ’indagine ufficiale, e questa con­ dusse alla legge. Ben prima dell’Atto di Giorgio n i, ben prima che la quistione si portasse alla Camera de’ Comuni, la società inglese era scossa e spaventata da’ mille fatti, che accusavano il profondo rivolgi- gimento avvenuto nell’industria inglese. Villermé lo definì in due parole : le leggi sui fanciulli operai discendons in linea retta dal telaio di Arkwright, e dalla caldaia di Watt. WoloWski, forse meglio che altri, ha descritto a grandi pennellate come sia avvenuto che l ’attenzione de’ pubblicisti inglesi si trovò attirata verso lo stato delle manifatture e degli operai. Gli è, che le macchine resero su­ perflua la forza dell’ uomo fatto, e domandarono invece la destrezza, la sorveglianza, l’assiduità so­ prattutto, di fanciulli e di donne. Quindi, le lun­ ghe ore passate in una atmosfera viziata e sovrac­ carica di polverìo insalubre; quindi le notti vegliate, l’estenuazione e le infermità ; quindi l’ affollamento della popolazione infantile in quelle manifatture ove la macchina agiva senza riposo ; quindi quella tratta de’ bianchi, che gli scrittori del tempo la­ mentano e maledicono in tutti i tuoni: tanto era conosciuto, propagato, universale, il fatto di cui finalmente i legislatori s’ impossessarono. Lo stesso in Francia. La celebre inchiesta di Villermé, che precedette la legge del 1841, non ha data che dal 1839 ; ma da più che 12 anni s’ erano innalzate le grida sullo stato deviatori nel Basso-Reno, senza dire per altro che le omelie di Sismondi risalgono al 1819.

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172 L’ ECONOM ISTA 14 febbraio 1875 oggi l’Italia ? Gli sterminati opificii, a di cui be­

nefizio la tratta de’bianchi si eserciti; ai quali si sia sottratta « la luce e l’aria » ; ne’ quali le mac­ chine minaccino ad ogni istante la vita del giovi­ netto operaio, son dunque così numerosi ed accal­ cati in qualche luogo d’Italia, da potersi paragonare alle industrie inglesi sulla fine del secolo scorso, o alle francesi che divampavano nel periodo della Bistaurazione? Abbiamo noi le nostre Manchester o Sheffield, le nostre Lille e Mulhouse ? E codesti padroni che « battono, storpiano, uccidono » ; che abbandonano i loro operai agli orrori d’una igno­ ranza brutale, o li corrompono di proposito, sa­ rebbero forse a Biella od a Schio, si chiamereb­ bero forse Ginori ? li ha veduti il Luzzatti, e no ha veduti parecchi? La sproporzionata affluenza di popolazione operaia, lo spietato overtrade, il lavoro protratto per 15 o 16 ore del giorno, la mescolanza de’sessi, il terribile deperimento di pu­ dore e costumi, l’ abitudine delTubbriachezza, sareb­ bero pure fra noi un fatto così diffuso e impudente, da mostrarci un abisso, all’orlo del quale sia tempo oram ai, sia urgente di accorrere con un volume di leggi, per ritrarne indietro la popolazione ope­ raia e con essa la Nazione ? Abbiamo, per lo meno, in Italia l’industria frazionata di Lione, colle sue estenuate famiglie, co’suoi barbari padri, che, im­ mersi nel vizio, si alimentino sull’ incessante tra­ vaglio della consorte e de’figli? Lo dicano i no­ stri lettori, lo decida quella parte del pubblico, che non è andata al Congresso.

Gli Italiani non- saprebbero neanco farsi l’idea d’una simile condizione di cose, se scrittori stra­ nieri non l’avessero tante volte narrata de’ propri paesi. Qui, se doglianze finora si mossero, non l’ec­ cesso del lavoro noi abbiamo udito lamentare, ma piuttosto la ritrosia, la svogliatezza, la forte ten­ denza all’ozio, l’ influenza, vera o supposta, del clima e delle vecchie abitudini ; e se leggi inglesi fosse il caso d’imporre alla popolazione manifat- trice, noi saremmo piuttosto tentati di raccoman­ dare quelle d’un secolo innanzi, quando il legisla­ tore inglese stimolava e minacciava di dure pene l ’ operaio indolente. Eppure, è piaciuto al Luzzatti di darci quasi del. barbaro, perchè, il fatto mor­ boso mancando ancora in Italia, g l’ Italiani non comprendono ancora la necessità delle leggi di restrizione che l ’Inghilterra moderna ha adottate, ed egli vuol copiate fra noi!

Ma vediamo un po’ da vicino su quali fatti siasi egli appoggiato, per istrappare al Congresso T ade­ sione a un’inchiesta, che, quand’ anche si risolvesse in una pretta commedia, sarà sempre qualche cosa di grave, delle cui conseguenze chi l’ abbia voluta e chi l’ abbia accettata son tenuti del pari a 'r i­ spondere. _______

Il commercio fleinniUlterra duraste il 1873 e 1814

Durante il 1874 il commercio inglese ha subito una notevole diminuzione tanto n ell importazione che nell’ esportazione. Il seguente quadro dimostra T importanza di questa diminuzione.

1873 1874

Lire st. Lire st. Importazioni . 370,389,000 368,435,000

Esportazioni . 255,165,000 239,436,000 Totale. . 625,554,000 607,871,000 Dunque le importazioni del 1874 sono state in­ feriori a quelle del 1873 di 1,954,000 lire st., e le esportazioniaccusanouna diminuzione di 15,729,000 lire sterline.

In quanto alle importazioni durante i primi mesi del 1874, i resultati sono stati alternativamente in rialzo o in ribasso confrontati con quelli dei corrispondenti mesi del 1873, e solo dall’ ottobre in poi ha generalmente prevalso la diminuzione. Del resto ecco un quadro del movimento delle importa­ zioni durante ciascuno dei dodici mesi del 1873

e 1874.

Importazioni

1874 1873

differ, nel 1874 Lire st. Lire st. Lire st. Gennaio . . 31,274,000 27,398,000 -+- 3,876,000 Febbraio . . 31,351,000 27,620,000 -fi- 3,731,000 Marzo. . . . 29,749,000 29,850,000 — 101,000 Aprile . . . 31,681,000 31,242,000 -+- 419,000 Maggio . . . 28,560,000 34,386,000 - 5,826,000 Giugno . . . 34,124,000 30,242,000 + 3,882,000 Luglio . . . 32,731,000 35,054,000 — 2,323,000 Agosto . . . 32,433,000 29,895,000 -fi- 2,538,000 Settembre . 31,143,000 SO,204,000 -+ 939,000 Ottobre . . 27,913,000 31,648,000 — 3,735,000 Novembre ,, 28,347,000 29,920,000 — 1,582,000 Dicembre. . 28,683,000 33,137,000 — 4,454,000 Circa T esportazione poi ciascuno dei mesi del 1874 ha presentato resultati inferiori a quelli del mese corrispondente del 1873:

Etportazioni

DifF. in meno nel

1874 1873 1874

(13)

L’ E C O N O M IST A 173 14 febbraio 1875

A migliore schiarimento diamo le cifre detta­ gliate delle importazioni e delle esportazioni.

Il movimento dei principali articoli d’importa­ zione fu il seguente: Importazioni 1873 1874 Lire st. Lire st. L a rd o ... . . 5,667,183 5,386,307 — B urro... . . 6,957,396 9,053,157 -+-Formaggio . . . . 4,057,784 4,483,636 + C a ffè ... . . 7,318,587 7,103,415 — G r a n o ... . . 28,446,689 25,201,062 — O r z o ... . . 4,010,344 5,266,096 -+-A v e n a ... . . 4,804,118 5,118,785 -t-Granturco . . . . 6,621,720 7,484,178 + Cotone in lana . . . 54,887,320 50,936,509 — Patate... . . 2,121,235 1,030,589 — Sete... . . 6,772,241 5,017,646 — Tessuti di seta . . . . 5,444,094 7,329,074 -4-Nastri di seta . . . . 1,703,017 ■2,075,882 + Zùcchero raffinato . . 3,970,187 4,098,638 + Zucchero scuro. . . . 17,220,533 15,901,046 — T h è ... . . 11,538,865 11,573,032 -+-V i n i ... . . 8,304,032 6,868,141 — L egn am e... . . 17,206,876 20,265,956 + L a n a ... . . 18,951,075 20,489,055 + Oro e argento . . . . 33,603,224 30,380,968 —

Fra le mercanzie estere e coloniali, riesportate dallTnghilterra si notano specialmente le seguenti:

Riesportazioni 1873 D74 Lire st. Lire st. C a f f è ... . . 5,783,890 5,160,701 -R a m e ... . . 1,832,896 2,012,685 -f~ Cotone in lana . . . 6,393,414 6,843,676 + Seta grezza . . . . . 3,700,404 2,961,796 — L a n a ... . . 8,889,547 10,251,220 -+-I prodotti diretti del suolo e dell’industria in­ glese hanno partecipato al movimento delle espor­ tazioni del Regno-Unito nel 1873 e 1374, nelle seguenti proporzioni: Esportazioni 1373 Lire st. 13,188,511 15,895,440 61,468,172 37,731,239 1,976,830 7,306,153 5,393,493 Carbon fossile . . Fili di cotone . . Tessuti di cotone Ferro e acciaio . Fili di lino e di jute Tessuti di lino . . . Fili di l a n a ...

Tessuti dilana (panni)« 6,599,635 — — (misti). 14,277,382 — — (tappeti) 1,597,383 Oro e argen to. . . . 28,899,285

1874 Lire st. 11,954,255 - 14,516,033 , 59,716,277 - 31,225,380 - 1,721,205 - 7,123,596 5,558,963 - 6,624,379 ■ 11,887,478 1,474,831 22,853,593

Durante l'anno passato, l’ opinione pubblica ha manifestato delle inquietudini in proposito del commercio. Ognuno può interpretare a modo suo questo sentimento ; ifaa la sua esistenza attestava sicuramente delle penose preoccupazioni ed a presso a poco generali. L’ apparente situazione del commercio d’ esportazione era tale, in tutti i casi, da giustificare una simile sollecitudine; poi­ ché le esportazioni diminuivano, mentre altri paesi, si diceva, guadagnavano di questo ribasso, e si designava espressamente la Germania come destinata a raccogliere la successione della lunga supremazia commerciale della Gran Brettagna. E se le importazioni inglesi andavano crescendo, mentre al contrario diminuivano le esportazioni, non era quello un indizio troppo significante di uno stato d’ impoverimento, in cui si vedrebbe tutto il numerario precedentemente accumulato passar nelle mani di felici rivali, che, non con­ tenti di togliere all’ Inghilterra la sua antica clien­ tela, tentavano renderla loro propria cliente? Ria­ vutosi dal pànico lo spirito pubblico, può oggi meravigliarsi di averlo per un momento subito. La cosa resta nondimeno certa, e gli apprezza­ menti, le lagnanze di cui parlavamo sopra non erano le più p essimi ste di quelle che si facevano sentire.

Vediamo fino a qual punto esse si spiegano o si giusti! cano dalle circostanze, e cominciamo dal capitolo delle importazioni. Fino al mese di di­

cembre scorso esse si erano mostrate superiori a quelle del 1873, ed il fatto, confrontato colla di­ minuzione delle esportazioni, sembrava far pendere in maniera sensibilissima la bilancia del com­ mercio a pregiudizio dell’ Inghilterra. Si sarebbe dovuto riflettere, sem bra, che non presentava niente d’ allarmante se non fosse stato per una richiesta più attiva degli oggetti di consumo ali­ mentario. Supponendo anche che tale fosse stato il caso, non sarebbe stato inopportuno il conside­ rare che le cattive raccolte non costituiscono che accidenti momentanei e che non si rinnuovano tutti gli anni. Fin d’ allora, il vedere il rallenta­ mento del commercio nazionale in un tributo mo­ mentaneo ed assai debole che il suo alimento imponeva al paese, era un partire da vere pre­ messe per venire ad una conclusione forzata. In fatti l’ aumento delle importazioni riconosceva altre cause che un deficit alimentario.

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