G A Z Z E T T A S E T T I M A N A L E
SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERRO VIE. INTERESSI PRIVATI
Anno li - Voi. Ili
Domenica 24 gennaio 1375
N. 38
LA LEGISLAZIONE MINERARIA
(Vedi n. 35)
Dicemmo che in fatto di miniere due questioni ci si presentavano: quella di diritto e quella econo m ica; che la prima poteva formularsi così « a chi appartiene la miniera? » e la seconda « qual è il miglior sistema per la sua coltivazione ? »
Abbiamo esaminato la prima, non tanto perchè riteniamo che non sia lecito in nome di alcun in teresse vero o supposto di calpestare un diritto, quanto perchè crediamo fermamente che il miglior modo di tutelare gl’interessi sia quello di comin ciare col rispettare i diritti. Partendo da questo principio abbiamo concluso in favore della libera e privata proprietà della miniera, e il sistema della concessione governativa caldeggiato dai nostri av versari ci è apparso come un avanzo del diritto regale, di questo diritto che sorto per la prepo tenza del Fisco ai tempi della decadenza dell’im - pero romano, giunse al suo più largo sviluppo nel medio-evo e ingombra ancora co’suoi tristi avanzi le
legislazioni dei popoli civili.
Lasciando dunque da parte la questione di diritto, che per noi non ammette dubbio di sorta, veniamo alla questione economica. Qui ci aspettano i parti giani della concessione governativa. B attu ti nel campo del d iritto , si fanno forti di una asserta impossibilità pratica. Come farete , ci dicono, a coltivare la miniera se un filone comincia nel vo stro fondo e va a finire chi sa dove ? Eppoi dove avrà il proprietario i capitali necessari all’impresa? 0 non farà gli scavi, o li farà male, o si fermerà ai primi ostacoli.
Prim a di tutto potremmo osservare che non si può affermare a p rio ri che il proprietario del suolo debba necessariamente mancare di capitali.
D’altra parte si osservi che la proprietà non è la coltivazione. Chi è che non sappia a’giorni no stri i benefizi di cui è capace l’associazione? Le acque che passano su molti terreni mediante l’as sociazione si fanno servire ad uso di irrigazione, di stribuendole ai cointeressati. il possibile applicare la grande cultura anco dove esiste la piccola pro prietà.
Le associazioni di contadini e piccoli proprie tari di Svizzera fanno il cacio come si fa nelle grandi cascine inglesi. Nello stesso modo nulla vieta che i proprietari si associno per la coltiva zione della miniera. Quanto ai lavori che per l ’at tivazione della miniera stessa occorresse fare sui fondi vicini, si potrebbero stabilire delle servitù, come tante altre ne stabilisce il Codice per utilità pubblica e privata, senzachè per questo vi fosse maggior violazione di diritto di quella che potrebbe commettere lo Stato o il suo concessionario. Che se i proprietari non volessero essi stessi associarsi per coltivare la miniera, potrebbero darne la con cessione a una società di capitalisti.
G6 L ’ E C O N O M IS T A 24 gennaio 1875 coltivazione di un campo. Leggieri inconvenienti
debbono cedere il luogo a questo gran principio che il proprietario deve potere usare ed abusare della cosa sua. V al meglio lasciare agire l’ inte resse personale che stabilire la sorveglianza de gl’ingegneri. È un gran difetto in un governo dì voler essere troppo padre; a forza di sollecitudine rovina insieme la libertà e la proprietà. »
Quanto allo Stato deve limitarsi a quello che è ufficio suo, alla tutela dei diritti, alla protezione della vita e della salute degli operai e della mo ralità. In Inghilterra lavoravano nelle miniere gli adulti e i fanciulli dei due sessi ; la turpe avidità degli speculatori produceva orrori che commos sero la nazione. Si fece una inchiesta parlamen tare che rivelò fatti dolorosissimi ed ebbe per conseguenza la legge del 10 agosto 1842, la quale interdisse il lavoro delle donne nelle m iñiere, proibì che si ammettessero fanciulli minori di 10 anni, fissò il tirocinio da 10 a 18 anni, ordinò che i lavori interessanti la sicurezza dei minatori si af fidassero a individui non minori di 15 anni e istituì ispettori incaricati di provvedere alla sua esecu zione. Le leggi successive, fra le quali due recen tissime, sono informate dallo stesso spirito. E sta b en e ; il Governo non deve imporsi, ma deve tu telare i diritti.
Supposto poi il caso, per vero molto raro e difficile, che l’ ignoranza e l ’ ostinazione dei pro prietari fossero tali non solo da non voler coltivare la miniera, ma da non volerla nemmeno cedere a una compagnia di capitalisti, e che d’altra parte si venisse in tal modo a togliere una vera ric chezza al paese, allora si potrebbe ricorrere, per così dire, al rimedio comune, ossia all’ espropria zione forzata per causa di pubblica utilità. A questo modo l’ interesse sociale sarebbe salvo, ma prima sarebbe dimostrato mercè tutte le cautele stabi lite dalla legge di espropriazione, mentre non bi sogna dimenticare che l ’esito di un’ intrapresa in fatto di miniere può essere assai problematico. Constatata pertanto la causa di utilità pubblica, si proceda all’ espropriazione mediante indennità. Così si provveda all’eccezione e senza violare per sistema il diritto di proprietà lo si assoggetti a quelle ragionevoli restrizioni, che dentro i lim iti accennati ogni libertà subisce nella civile società.
Noi siamo lieti che i nostri onorevoli avversari non abbiano portato altrimenti in campo la que stione, di cui ci siamo brevemente occupati, nel recente Congresso di Milano ; ne siamo lieti perchè prevedevamo che le loro conclusioni non sarebbero state conformi al principio di libertà.
Vorremmo sperare che l’indugio servisse a fai’li riflettere un poco prima di emettere un verdetto, che potrebbe avere influenza nei Consigli del
Go-verno. Il quale benché 'abbia alla sua testa un economista noto per le sue dottrine liberali, ci sembra accostarsi ogni giorno ,più in pratica al l’empirismo de’vincolisti.
E questo indirizzo ci affligge e ci spaventa. È una via lubrica, sulla quale una volta entrati non si può sapere dove si andrà a finire. Speriamo almeno che lo Stato non imponga alla superficie la servitù della miniera, ripetiamolo coll’ onore vole Minghetti, il quale non vorrà dimenticare que ste sue parole. Comunque s ia , noi adempiamo al debito nostro, difendendo la nostra bandiera, ben ché siamo convinti che avremo da combattere un pezzo prima di poterla piantare sulle rovine de’vin- coli e dei privilegi.
La libertà del commercio e il dazio consumo
iPresento un quesito agli economisti della scuola liberale per discutere se il principio, ormai as sicurato, della lib ertà del commercio possa con ciliarsi coll’esistenza del dazio consumo, il quale prende ognora delle proporzioni smisurate ed enormi che aggravano ed attristano la condizione economica dei popoli.
Mi sembra questo un argomento che può atti rare l’attenzione dei cultori della scienza econo mica e finanziaria per trovar modo di evitare quelle contraddizioni economiche assai frequenti nel regim e tributario, dove accanto all’attuazione d’un canone scientifico trovasi un sistema empi rico che frustra od annichila l’azione benefica dell’altro e fa credere sovente al volgo che una buona parte dei suoi mali sia dovuto alle specu lazioni scientifiche.
Ed io mi accingo tanto più volentieri a studiar questo tem a in quanto che nella sua soluzione, è uno di quelli in cui i liberisti e gli autoritarii potrebbero concordarsi; poiché se il principio della libertà può qui ammettere l ’ingerenza dello Stato, il risultato sarà sempre favorevole e b e nefico all’interesse delle popolazioni.
24 gennaio 1875 L’ E C O N O M IST A 67 giuridica, perchè completa il diritto della libertà
del lavoro.
Questo principio è stato da me propugnato n e d i scritti posteriori, ed ho potuto anche ai- volta cooperare alla sua applicazione, siccome avvenne nel 1859, allorché facendo parte di una commissione presieduta dall’illustre uomo, man cato ai viventi, Gaetano Scovazzo, allora presi dente della Consulta di Sicilia e dopo il 1861 senatore del regno, potei concorrere colle mie deboli forze ad una riforma doganale che si ac costava al regime di un commercio più libero ). Io quindi non dovrei sospettare che le mie pa role possano farmi considerare come un parti giano o un aderente del vincolismo economico, tanto piu che di recente ho manifestato, siccome ho potuto, la mia qualsiasi opinione in favore del liberismo, col discorso intitolato I liberisti e gli autoritarii in economia politica.
Gli economisti nel proclam are il principio della libertà del commercio divenuto un domma della scienza, mirarono a due intenti precipui. Da un canto videro che i dazi elevati di cui si gravavano le mercanzie straniere rincaravano il loro prezzo e ne facevano più difficile l’uso e ia consumazione. A rendere quindi più agevole la sodisfazione dei bi sogni e più accessibile l’acquisto dei prodotti esteri dovevano necessariam ente com battere le dogane e i balzelli, così detti protettori, come quelli che facendo più cari gli articoli che venivan da fuori e che servivano all’ alimento, al vestito, o ad altro bisogno delle popolazioni, restringevano i loro mezzi di sussistenza, non potendo crescere il reddito di ciascuno a misura che aumenti il prezzo delle cose godevoli.
S i vide d’altro canto che rialzato coll’iffiposta doganale il prezzo delle merci straniere i capita listi nazionali erano alcuna volta forzati, o come dicevasi incoraggiati, a rivolgere le loro specula zioni verso quelle industrie dalle quali provenivano le m erci estere, contentandosi di produrle anche d’una qualità inferiore pur di ottenerle a prezzo più mite perchè esenti dal gravame doganale.
P erò fu osservato che un tal sistema, se delle volte riusciva a far sorgere un’industria non con sentita dalle circostanze locali, l’effetto era sem pre quello di sviare i capitali dalla loro spon tanea direzione, dall’industrie più favorite dalla natura, costringendo i consumatori a comprare le m erci indigene di una peggiore qualità o di un prezzo più caro di quello cui potevansi otte nere, se immessi liberam ente.
*) Della suindicata Commissione facevano anche parte i signori consigliere Cirino, marchese di Vil- larena, comm. Gaetano Vanneschi e Micali.
Perlochè fu riconosciuto la convenienza della libertà del commercio, come quella, che spin gendo l’attività industriale verso la sua naturale destinazione, dovea far produrre le merci di mi gliore qualità e al prezzo più basso.
Si comprese che quando la merce estera ot- tenevasi per circostanze, per elementi, per metodi che erano impossibili in altri paesi, non dovea temersene l’introduzione, ed essere anzi stoltezza il tentare di produrla, non trovandosi nelle stesse condizioni dello straniero. E per l’opposto si os servò che allorquando si era nelle medesime circostanze, i medesimi elementi che favorivano lo straniero non doveva trepidarsi della sua con correnza; perchè producendo colle stesse condi zioni lo si poteva vincere nell’interno m ercato, e concorrere con esso lui nei m ercati del mondo ad ugnali condizioni.
D’altronde il principio che i prodotti stranieri si pagano coi prodotti nazionali fu dimostrato come la luce del sole e proclamato come una verità inconcussa. E quindi economisti, uomini di Stato , governi liberali ed assoluti hanno ricono sciuto e grado a grado attuato il regime del libero commercio, come quello che rende più facile la sussistenza dei popoli e spinge i capitali di cia scun paese a quell’avviamento naturale che può dar vita, e sviluppo alle industrie veramente nazionali, perchè caldeggiate dalle circostanze locali.
Epperò una corrente opposta ha quasi neutra lizzato gli effetti benefici della libertà del com mercio.
Tutti gli enti che amministrano la cosa pub blica sono invasi d’uno spirito di rinnovazione e di trasformazione, adesso incoraggiato viepiù dalla scuola autoritaria, che domanda l’intervento dello Stato come fattore d’incivilimento. I bilanci dei comuni, delle provincie, degli Sta ti non debbono più rispondere al bisogno vero, al decoro regolare delle città, agl’interessi reali degli amministrati. L a potestà municipale o provinciale, invece di assumere la missione modesta di amministrare il comune e la provincia con quei mezzi che possono fornire le condizioni economiche dei con tribuenti, si crede investita del mandato di far progredire gli amministrati, facendo consistere il progresso in opere di lusso o non reclam ate urgentemente dalle popolazioni, e alcuna volta riprovate ed inutili.
68 L’ E C O N O M IS T A 24 gennaio 1875 D’altro canto gli Stati, per naturale istinto di
spendere oltre i limiti del necessario, vogliono esercitare pur essi una funzione civilizzatrice, ed estendono coraggiosamente nei pubblici e pri vati negozi, un’ingerenza dispendiosa che i vec chi economisti classici vorrebbero frenare e che i socialisti cattedratici procurano al contrario di sospingere e di allargare.
Questa fatale tendenza deve evidentemente aggravare d’imposte le popolazioni, e quando le imposte riescono insufficienti a sopperire alle spese superflue, o insane, si ricorre a debiti ingenti, i quali dovendosi estinguere cogl’interessi rendono più penosa e più stentata la condizione dei con tribuenti.
Le riforme doganali hanno contribuito in alcuni Stati a diminuire il prodotto delle imposte che da questo ramo si ritraevano; poiché le riforme delle tariffe, non sempre coordinate con un prin cipio razionale e scientifico, e i metodi di per cezione per lo più difettosi e soverchiamente liberali, non han fatto trovare nell’accrescim ento del consumo, favorito dalla riduzione delle ta riffe, quella compensazione che non ¡scuote i bilanci ed accredita anche finanziariamente la teoria del libero commercio.
P e r lo che gli Stati, ai quali è venuta meno una buona parte del reddito doganale ne hanno talvolta ricercato la rivalsa nel dazio consumo costringendo i comuni a pagare su di esso un canone, spesso esorbitante, allo Stato onde sop perire all’esigenze del bilancio nazionale.
P e r tal modo i governati pagano a troppo caro prezzo la libertà di amministrarsi e il piacere di progredire; poiché i loro reggitori nel comune, nella provincia, nello Stato fanno a gara nello spendere e nello aggravare d'imposte gli ammi nistrati, i quali vedendosi assottigliare il pane quotidiano rinnegano la civiltà e la libertà con siderandole come cagione della loro miseria.
Cosi l’effetto benefico della libertà del commer cio si dilegua coll’estendersi del dazio consumo; perchè se Tuna giova a diminuire il prezzo delle merci estere, l ’altra rincarisce le nazionali. E sic come la massa del popolo, quella che vive di lavoro e nelle più modeste e più grame condi zioni preferisce ordinariamente pei suoi bisogni i prodotti indigeni agli stranieri ; cosi la libertà del commercio, se favorisce principalmente le classi più agiate che ricercano mercanzie estere, nuoce alla sussistenza delle classi più numerose del popolo e rende più misera la loro vita, al lorché alla riduzione del reddito doganale si vuol supplire coll’aumento del dazio consumo.
Nè questo solo. Il dazio consumo agisce talora
sulle industrie interne nella stessa guisa che il dazio protettore sulle importazioni dall’estero. E difatti accaduto che il dazio consumo ha forzato i produttori ad abbandonare un’industria più pro ficua ai loro interessi, per abbracciarne un’altra meno ostacolata dai balzelli sul consumo.
R echerò due soli esempii del mio paese. Molte contrade del territorio di Palerm o e dei borghi prossimi, in terreni irrigui erano coltivate a vi gneto per unica specie di uva, detta zib ib b o, la quale serviva soltanto per mangiarsi in frutto, non potendo per la sua natura e pel suo prezzo destinarsi a vino. Colla legge del 3 luglio 1864 s’imposero dazii di consumo a prò dello Stato pel vino ed altre bevande, indicate in una tariffa con questi nomi : vino, aceto, mosto, uva, alcool, acquavite, liquori. Vedesi da ciò che la legge nella parola uva volle colpire quella da cui si estrae il vino non g ià quella esclusivamente usata per commestibile. Eppure il Municipio obbligato a pagare un forte canone allo Stato, circa un terzo del prodotto daziario del Comune, gravò l ’ uva zibibbo d’un balzello che corrispondeva quasi al 50[Q0 sul valore di produzione. Da ciò un grande sgomento nei coltivatori di questo fru tto ; si schiantarono le vigne perchè mancò il tornaconto; le terre che si affittavano a lire 250 ad ettaro, si rinvilirono ; il frutto venne meno e rincarato ai consumatori della città.
I proprietari e i coltivatori danneggiati nei loro rispettivi interessi portarono i loro reclam i all’autorità superiore, ma una ministeriale non coerente alla legge troncò la questione dichia rando soggetta a dazio anche l’uva com m estibile ed anche quella che servisse a condim ento d i com m estibile.
Così un’industria agricola fu colpita nel suo sviluppo e nel suo progresso, e fu mestieri di utilizzare le terre in altre colture meno proficue pei proprietari e pegli agricoltori, onde evitare un balzello troppo grave e le vessazioni cui an- davasi soggetti nell’atto della riscossione.
24 gennaio 1875 L ’ E C O N O M IS T A 69 Ecco un’altra imposta che per essere troppo ,
elevata tanto sul prodotto straniero, che sul na- ! zionale ha colpito fatalm ente due industrie im- j portanti per la Sicilia, quella dell’alcool e quella dei vini.
I danni di questa tassa furono esposti alla Com missione d’inchiesta industriale venuta in Sicilia in dicembre 1872 di cui faceva parte l ’onorevole commendator Luzzatti, edella quale si attendono ancora gli utili risultamenti.
Sim ili fatti si ripetono dappertutto in Sicilia come in terraferm a, dove un’adunanza ebbe luogo in marzo decorso in Milano dei rappresentanti dei comuni di Torino, di B rescia e di Milano per abolire il dazio consumo pei d an n i d i’esso reca alle in dustrie a i traffici ed alle con dizion i del | vitto p e r le cla ssi p iù p overe delle città, lochè prova ad evidenza che il dazio consumo nelle proporzioni in cui è stato applicato cagiona sulle sussistenze e sulfindustrie pressoché i medesimi tristi effetti, e forse anche maggiori delle tariffe protettrici che mettevano ostacolo al commercio internazionale.
Ora dopo cotesti fatti è lecito di posare il seguente quesito: « Uno Stato che per allibrare il suo bilancio, avendo esaurito ogn’altra sor- i gente di reddito tributario e potendo soltanto ricorrere alla risorsa delle dogane o del dazio consumo, dovrà preferire le prime al secondo o viceversa? »
Il problema non è di facile soluzione ed io vorrei che vi meditassero sopra gli uomini abi tuati alle questioni in cui vengono in conflitto i principii della scienza cogl’interessi della finanza. Io esposi già siffatto problema alla sullodata Com missione d’inchiesta industriale, alla quale ebbi l’onore di partecipare come delegato dell’Acca demia di scienze; ma oram i propongo di studiarlo con maggiore attenzione in un prossimo articolo.
Palerm o, 6 gennaio 1875.
prof. Giov. Bruno.
L’ IPOTECA SUI MOBILI
È opinione assai diffusa che il diritto romano sia cosa buona tutto al più per l’interprete e per lo storico, m a che il legislatore non ne abbia più nulla che fare per averne già spremuto tutto il sugo nei codici moderni. È l’idea degli studenti che s’addormentano alle lezioni sul digesto, e un pochino anche de’ professori che le faiiho.
Eppure è un errore massiccio. Il diritto ro mano contiene una m iniera ancora inesplorata di
idee utili a chi fa le le g g i; molte e molte sue disposizioni sono assai più liberali che quelle che il diritto moderno ha creduto ben fatto di su r rogarvi. P e r progredire, in più d’un caso è da tornare indietro.
Uno di tali casi è quello di cui prendiamo a parlare. P a re incredibile, eppure è : due e più mila anni fa il diritto romano faceva la barba di stoppa al nostro codice con una istituzione stu penda di cui esso caduto, più nessuno volle sa pere: Vipoteca su i m obili.
È una storia antica.
È una storia antica, ma assai buona a ri cordare.
A Rom a, nei primi tempi, a garantire il cre ditore s’era incominciato a introdurre il pegno. Ma gl’impacci che ne nascevano fecero pensare a qualche cosa di meglio. Il pretore Salvio ebbe un’ idea luminosa - l’ipoteca, - e ne fece appli cazione per la prima volta.... ai m obili introdotti nel fondo rustico dall'affìttavolo. Poco a poco l ’ipoteca s’estese anche ad altre cose, fino a che le abbracciò tutte, mobili ed immobili.
Il legislatore moderno si trovò di fronte a questa b ella istituzione, ma invece di accettarla tutta intera, come tante altre, si credette obbli gato, dalla natura stessa dell’ipoteca, a dimez zarla, e, fatto buon viso all’ipoteca sugl’ immo bili, tirò una riga su quella mobiliare.
Il granchio era madornale, molto più di quanti sia lecito pigliare ad un legislatore.
Noi abbiamo due specie di proprietà: la mo bile e la immobile. Sono proprietà tutte e due, ma differenti tra loro.
L a proprietà stabile non si muove, ciò è chiaro; onde è facile al vero proprietario il riaverla se qualcuno gliel’ abbia presa.
L a mobiliare invece passa rapidissima di mano in mano, ed è difficile che lasci traccia del suo passaggio, tanto da poterle tener dietro. Sono come lum aca e grillo.
Quindi il legislatore dovette adattarsi a sal tare un fosso a prima vista assai largo e pro fondo, e dichiarare, come fece, che: in fa tto d i m obili il possesso d i buona fe d e vai tìtolo.
Queste parole contengono una rivoluzione. L a proprietà è un diritto reale, che è dire, si può esercitare contro tutti, e segue la cosa presso chiunque la possegga. Eppure pel mobile non è più co si: chi lo possiede è suo.
P el trapasso della proprietà abbiamo dunque due pesi e due misure : v érité au deçà des P i-rën ées, erreu r au delà.
70 L ’ EC O N O M IST A 24 gennaio 1875 rigorosam ente questi prineipii, abolendo tutte
quante le ipoteche generali ed occulte, per quanto paressero degne di favore.
Ed ha avuto mille ragioni.
Ma che fare pei mobili? Come stabilire su loro un diritto reale d'ipoteca (il quale li accompagna in qualunque mano vadano) e ciò senza intral ciare terribilm ente il commercio?
Qui gli cascò l’asino.
Eppure avrebbe potuto tenerlo facilm ente in piedi solo che non avesse perso di vista il si stema che aveva adottato quanto al trapasso della proprietà.
In questo era stato rivoluzionario ; nell’ipoteca invece diventò ultra retrogrado, e nella sua furia di tornare indietro non seppe ferm arsi che al punto che eravamo oltre due mila anni fa. Una stupenda camminata invero!
Se il diritto di proprietà (sebbene reale per eccellenza) sussiste saldo nel proprietario d’im mobili e non in quello di mobili, non potrebbe succedere la stessa cosa per l’ipoteca?
P are di sì.
Ciò è anzi voluto dalla logica. Il possesso di mobili in buona fede basta a far cadere la pro prietà che altri abbia dei medesimi, perchè non estinguerebbe anche l’ipoteca ? Se si ammette il più e perchè non il meno ? Allora ecco che il commercio dei mobili non ne sarebbe più me nomamente incagliato, ed avremmo la nostra brava ipoteca sui mobili bella e costituita.
L a cosa corre co’ suoi piedi.
Or vediamo che nascerebbe a lasciarla correre così, e quel che c’è ora che i piedi son legati alla catena di un 'principio sbagliato.
Tutti sanno l’ inconveniente che c’ è a farsi prestare su pegno.
Il debitore deve consegnare la merce in mano al creditore o il diritto di pegno non esiste.
Vuol dire che è necessaria la spesa di trasporto del mobile, e ciò forse per ingombrare la casa del medesimo di cosa che non può toccare. Talvolta to cca per giunta affittare un magazzino a posta. T u tte spese e noie che si potrebbero evitare.
Ma ciò è il meno.
I l gran guaio sta in ciò che il debitore non può più giovarsi della cosa. P e r un produttore questo è un b ell’imbroglio. È cotone? Non può più filarlo. Sono strumenti, m acchine? Rim ar ranno inoperose, mentre egli dovrà sospendere il lavoro. B el mezzo per metterlo in grado di pagare il suo debito a scadenza !
È una crudele alternativa: o restar senza la m ateria prima da far lavorare le macchine, od ottenerla dando in pegno le macchine, e non aver più modo di lavorarla!
Le note di pegno son venute a togliere già uno degli inconvenienti : la spesa del trasporto della merce. Ma sono da per tutto magazzini generali ? e possiamo portarvi i mobili di casa, gli strumenti del lavoro ?
Evidentemente queste note sono come una goc cia in un secchio d’acqua. Il problema rimane a risolvere.
Ma se non ci fosse che l ’industria a lamen tarsi, si potrebbe ancora chiudere un occhio. Gli industriali hanno tanti altri mezzi dì ottener cre dito, che è meno male se lor si toglie questo.
P erò c’ è una classe di persone, e la più nu merosa e interessante, che non può levar alto la testa, e cui questa provvidenza sarebbe la manna del cielo: gli agricoltori.
A loro pur troppo non si pensa quasi altro che quando si tra tta di por loro sul basto qual che nuovo peso, senza ricordare l’asino della fa vola, che, trattato a quel modo, ad un bel punto finì per cascarci sotto.
Si fa un gran dire che ciò che manca all’ag ri coltura è il capitale, e chi deve darglielo è il credito, ma non si sa andare oltre le ciance. Il guadagno è grande davvero!
Si è inventato il credito fondiario. Ma che ci ha dato con mille stenti? 110 milioni di cartelle fondiarie in giro, di cui buona parte servì a tu t- t ’altro che all’agricoltura.
Prodotti in pegno gli agricoltori non possono darne molti, oltre che sarebbero da piantare per ciò di gran magazzini generali, o far altre grosse spese cui non è da pensare.
Credito puramente personale essi stentano a trovarne, chè sono ancor troppo ignoranti e non hanno le abitudini commerciali necessarie a chi voglia ricorrere alle banche.
Non sarà dunque possibile far nulla per loro ? Sì.
Essi hanno a loro disposizione un capitale mo bile immenso. A calcolo stretto, l’agricoltura ita liana produce ogni anno due bilioni di vegetali, e novecento milioni di animali, e il valore degli attrezzi giunto al credito personale che può m e ritarsi l’agricoltore sale ad oltre un bilione di certo.
Bestiam e ed attrezzi il contadino deve ten er seli se vuole coltivare il fondo; sicché questo capitale immenso oggi, pel credito, è come se non esistesse.
24 gennaio 1875 L’ EC O N O M IST A 71 L ’impianto di banche agrarie ne sarà favorito
più che non con cento privilegi ; V usura dovrà chinare il capo e sgusciar via, e il capitale come le acque benefiche del Nilo, si spanderà a fecon dare le terre aride che lo aspettano.
Agricoltori, che, sbattuti da mille marosi, vivete del continuo colla morte alla gola, a voi rimane un’ ancora di redenzione: l’ ipoteca sui mobili.
E ccola in poche parole questa bella e savia riforma.
Ma sono paurosi cui ogni storm ir di fronda fa raggricchiar di spavento, e che penseranno abbia a cascare il mondo se le faccia di cappello il codice. Ferm iam oci un momento con costoro, e facciamo di rassicurarli, se sia possibile.
Voi tem ete che con questa istituzione mandiamo a rotoli il codice? - No. Noi lo metteremo anzi in pace colla logica, estendendo all 'ipoteca quel che ha già fatto per la prop rietà.
Ma c’ è dell’altro.
Il codice civile ha dato un privilegio al loca tore sui mobili introdotti nel fondo dal condut tore e dall’inquilino. Anche qui i mobili rimangono in mano del debitore, e son vincolati a favore del creditore; eppure s 'è mai dubitato che da ciò dovessero nascerne disordini, o ce ne sono forse stati? No certo.
Ebbene che chiediamo ? Che ftiò che ha fatto a favore del locatore lo consenta anche agli altri. Il legislatore in questo fu capriccioso. Egli ha introdotto questo p riv ileg io a favore di tutti i locatori, anche di quelli che non n eh an bisogno, e poi nega ad ogni altro la libertà di tare un patto eguale, quando lo trovi conveniente.
Il patto è forse immorale e lede l’ordine pub blico per proibirlo? Punto. Il legislatore lo vieta per.... obbedire ad un p rin cip io che non esiste che nel suo cervello.
« Ma, si può dire, e se il debitore vende il mobile? il creditore resterà lì, piantato come un piuolo. Or come questo è troppo facile ad acca dere, così e meglio proibire il patto addirittura. » Certo, m orta la vipera, spento il veleno. Ma è proprio il caso di un rimedio così radicale?
Se la legge non ha paura trattandosi del lo catore, perchè si lascierà pigliar dagli scrupoli quando c’ è di mezzo un altro creditore?
P o i il legislatore ha dato ben altre prove di coraggio. L a massima: in fatto di mobili possesso vai titolo non è cento volte più grave?
È pericoloso pel cred itore? - Sia. Cui non piace lo sputi. Ma se io mi fido, e desidero l’ipoteca, che grillo, salta alla legge di porsi in mezzo e dirmi: alto là, ciò non si può fare?
Oggi essa mi lascia quest’alternativa: o fidarmi alla cieca, o farmi dare un pegno.Perchè non mi con
sentirebbe anche quest’altra strada di farmi dare in vece un’ ipoteca sulla cosa. Contento io, tutti pari. 0 si temono gli abusi? - Ma prima, i birbi sono fortunatamente in minoranza. In cento casi ce ne sarà forse uno in cui il debitore farà cilecca al c re ditore E perchè far danno a cento per salvare uno? P oi non c’è forse il codice penale da punire chi volesse pigliarsi questo spasso? Quando il codice vi provveda, il caso non sarà più fre quente che il furto, anzi sarà più raro assai, es sendo troppo facile il cogliere il reo.
« Ma sarebbe un’ipoteca occulta! » E che importa? 0 tutti i creditori vogliono garantirsi meglio, e sanno come fare; o hanno fiducia nel debitore, e se ne soffrono,lor danno. Oggi il debitore può ben ven der tutti i suoi mobili e far restare in asso i credi tori; domani petrà venderli o ipotecarli. E cco tutto.
L egislatori e pubblicisti si lambiccano il cer vello a cercare il modo di agevolare il credito. Ce n’ è uno, il più semplice di tutti, e che ne vai m ille altri: liberare la proprietà da tutti gl’impacci, lasciare che i privati facciano da sè i proprii interessi senza che il governo s’ intro metta a capriccio per dire quel che possono e
quel che non possono fare.
Gli economisti si sono racco lti a Milano in cerca di catene da vincolare questa libertà che loro pare eccessiva.
Ebbene, miei signori, ecco qua un nuovo caso in cui vi si può ben d ire: - c’ è una vecchia formola che ha ancor bisogno di fare cammino :
L asciate fa r e , lasciate p assa re.
IL CONTO DEL TESORO PEL 1874
E stato pubblicato il prospetto de’ versamenti che si ebbero nelle Tesorerie dello Stato e de’ pagamenti da esse fatti nell’ anno 1874, non meno che la si tuazione del Tesoro al 31 dicembre scorso.I versamenti fatti nelle Tesorerie sono i seguenti, divisi per ciascun ramo d’entrata, a cui aggiungiamo il confronto con quelli dell’ anno 1873.
72 L’ E C O N O M IS T A 24 gennaio 1875 Confrontati i versamenti del 1874 con quelli del
1873, si ha un aumento di lire 3,463,671 01 in fa vore dell’anno scorso.
Si osserva difatti aumento :
Patrimonio dello Stato. . . . per L . 13,812,300 Servizi p u b b lici... » 7,904,976 Imposta sugli affari... » 6,486,911 Ricchezza m o b i l e ... » 5,603,650 Entrate straordinarie . . . . » 5,434,224 F o n d ia ria ... » 5,011,636 M a c in a to ... » 4,532,450 P r iv a t i v e ... » 4,522,741 Dazi di co n fin e... » 3,855,958 L otto... 1,882,760 Tassa di fabbricazione . . . » 636,476 Rimborsi... » 598,828
Invece sono in diminuzione :
Gli arretrati della fondiaria. . . L . 30,690,275 L ’asse ecclesiastico...» 11,517,494 Arretrati della ricchezza mobile . » 10,450,008 Le entrate varie... ... . » 2,801,296 I dazi di consu m o...» 1,360,172 Questo risultato è favorevole in complesso. I l primo semestre dell’ anno é stato duro pel caro de’ viveri e tutto l’anno è stato travagliato dagli effetti della crisi di alcune Banche. Ciò nullameno l’attività del paese si è rivelata principalmente nell'aumento sen sibile della tassa sugli affari.
E tanto più è notevole il risultamento, conside rando che le diminuzioni provengono specialmente dagli arretrati dell’imposta fondiaria e della ricchezza mobile, i quali sono alla lor fine, e dall’asse eccle siastico. In fatto di tasse non si ebbe diminuzione che ne’ dazii di consumo.
Il che appare ancor meglio, paragonando le ri scossioni alle previsioni del bilancio.
Il bilancio delle entrate pel 1874, compreso quelle provenienti da leggi speciali, ascendeva a lire 1,316,162,621 69. Esso superava le riscossioni otte nute di lire 21,913,680.
Ma questa diminuzione proviene in principal modo dalle entrate straordinarie per lire 23,939,969, dal l ’asse ecclesiastico per lire 4,070,178.
Nella fondiaria si ha una differenza in meno di lire 3,174,893, che non ci dovrebbe essere, poiché le ricevitorie non debbono essere in ritardo ne’ versa menti. Ma degli arretrati della fondiaria ne furono esatte lire 3,245,122 di più della somma prevista.
Invece degli arretrati della tassa di ricchezza mo bile, ne furono esatte lire 5,750,513 dimeno e anche per l’anno corrente se ne sono esatte di meno lire 180,534.
Quanto alle altre imposte e tasse, salvo i dazii di consumo che diedero lire 1,431,912 di meno delle previsioni, queste furono superate in tutte le altre, cioè L. 4,298,517 nella tassa sugli affari, L. 3,563,119 ne’ dazii di confine, lire 1,773,545 nelle privative, 1,162,870 lire nel macinato.
Il patrimonio dello Stato ha date lire 1,330,350 di più del previsto, le entrate varie diedero lire 1,158,878, il lotto lire 1,101,668.
Anche la tassa di fabbricazione ha date lire 643,970 di più delle previsioni.
Questi ragguagli attestano con quanta circospe zione sono fatti i calcoli preventivi delle entrate an nuali dello Stato, le quali viepiù vengono confermate dal fatto. 1874 1873 Finanze. . L. 916,801,601 29 894,198,478 15 Grazia giust. 28,971,683 78 29,294,798 18 Estero. . . . 5,263,348 44 5,187,175 67 Istruz. pùbb. . 19,665,148 84 19,176,777 69 Interno . . . 52,492,933 26 50,861,876 14 Lavori pubb. . 134,560,473 30 159,984,896 08 Guerra . . . 192,011,063 55 180,970,490 37 Marina . . . 37,349,422 96 34,799,464 49 Agr.ind.ecom. 9,617,682 76 10,204,064 11 Totale L. 1,396,733,318 18 1,384,618,020 88 In confronto del 1873 i pagamenti del 1874 li su perano di lire 12,115,297, e di assai più li superereb bero se nei lavori pubblici non ci fosse una diminu zione di circa 25 milioni e mezzo.
Rispetto ai pagamenti non si potrebbe però dire quello che delle riscossioni abbiamo detto, che si ac costano alle previsioni fatte.
Il bilancio definitivo del 1874 per le spese era cal colato di lire 1,551,059,241, cioè lire 154,325,923 di più dei pagamenti fatti realmente. Il che attesta più che altro un ritardo nella liquidazione dei conti. Non si tratta in generale di economie, bensì trattasi di resi dui passivi che dal 1874 si trasportano al 1875.
Se come gli incassi cosi gli sborsi delle tesorerie avessero corrisposto alle previsioni, il Tesoro avrebbe dovuto procurarsi la somma di circa 285 milioni, che è la differenza fra 1551 milioni di spese e 1316 dì entrate calcolate.
Ma i pagamenti essendo stati solo di 1396 milioni e tre quarti, e lo riscossioni di 1294 milioni e un quarto, il disavanzo a cui il Tesoro ebbe a far fronte non è stato che di lire 102,484,377.
Como il Tesoro siasi procurata tal somma, apparirà dall’analisi che faremo del seguente prospetto della situazione del Tesoro al 31 dicembre scorso :
A ¿(ivo Cassa 31 dicemh. 1873 Crediti Tesoro id. Riscossioni nel 74 Mutuo corso forzato . Entrate di stralci . . Debiti del Tesoro dicemb. 74
L. 125,089,900 52 . 138,068,382 96 . 1,294,248,940 60 . 40,000,000 00 18,088 80 . 437,530,286 72 L. 2,034,955,599 10 P assivo
Debiti Tesoro fine 73 . . Pagamenti nel 7 4 . . . . Uscita di stralci . . . . Crediti Tesoro dicemb. 74 .
Cassa id. id.
24 gennaio 1875 L ’ E C O N O M IS T A 73 Il confronto di questa situazione del Tesoro alla
fine dei due trascorsi anni ci dà le seguenti diffe renze :
Il fondo di cassa alla fine del 1874 è aumentato di lire 19,594,210 46, mentre i crediti sono diminuiti di L. 13,454,511 07.
I debiti di Tesoreria sono aumentati di 68,608,364 lire e 58 centesimi. Era essi notiamo i Buoni del T e soro, che da L. 184,407,100 sono saliti a L. 198,030,100, con un aumento di L. 13,623,100, e le anticipazioni statutarie delle Banche che da 16 milioni sono ascese a 40 milioni.
II Tesoro ha inoltre disposto di 40 milioni del mi liardo di corso forzato, più della piccola somma di L. 15,712 39 di maggior entrata degli stralei delle antiche amministrazioni in confronto delle uscite.
Riassumendo questa situazione, si scorge che il Te-soro ha dovuto provvedersi nel corsoi dell’anno 1874:
Per d isav an zo ... L. 102,484,377 58 Per aumento di fondo cassa » 19,594,210 46 L. 122,078,588 04 E si è provveduta questa somma nel modo se-guente :
Buoni del Tesoro L . 13,623,000 —
Anticipazioni Banche » 24,000,000 —
Altri debiti di tesoreria » 30,985,364 58 Mutuo sul corso forzato » 40,000,000 —
Stralci » 15,712 39
Minori crediti » 13,454,511 07
L. 122,078,588 04 Al primo gennaio corrente il Tesoro aveva ancora disponibili i seguenti mezzi straordinari per parare ai suoi bisogni, cioè :
Buoni del Tesoro milioni 102
Corso forzato » 120
Anticipazioni delle Banche » 39
Somma milioni 261 Non mancherebbero perciò al Tesoro i mezzi per sopperire al disavanzo di cassa dell’anno corrente e anche dell’anno prossimo ; ma sarebbe assai difficile di poter collocare tutti i 300 milioni di Buoni del Tesoro senza sacrificio e anche senza pericolo. D ’al tra parte, soggiunge l'O pinione da cui abbiamo tolti questi ragguagli, dei 120 milioni che restavano del miliardo, 60 sono stati concessi ed è probabile che i 10 rimanenti del 1874 siano già stati ritirati nel mese per il pagamento degli interessi del debito pubblico, non potendosi esaurire il fondo di cassa.
LE RELAZIONI DEI GIURATI ITALIANI
alla Esposizione Universale di Vienna del 1873
L ’Indùstria ceramica
L ’ industria ceramica, osserva il signor Giulio Richard relatore della sezione B del gruppo IX ,
benché nel tutto insieme splendida e maestosa così per copia di oggetti artistici come di prodotti spettanti all’ economia domestica, alle industrie diverse ed all’arte delle costruzioni, non mostra di aver fatto sulla via del progresso quel grande cammino che avrebbe potuto fare se il tempo non le fosse mancato per apparecchiarsi degnamente ad entrare nell’arringo di una esposizione mondiale.
Il numero degli oggetti esposti fu quasi pari, quello degli espositori di poco inferiore a quello delle mostre precedenti supplendo la Germania e l ’Austria allo scarso numero degli espositori fran cesi ed inglesi, i quali oltre all’esser pochi non presentarono in generale che soli oggetti di lnsso e di fantasia.
Causa di tutto ciò, dice il relatore, fn una certa stanchezza prodotta negli espositori tanto dalla troppa frequenza con cui si succedono ormai le esposizioni internazionali, quanto dalle ingenti spese a cui è mestieri ad un espositore di andare in contro sì per la fabbricazione di oggetti speciali, sì per avere persone che convenientemente lo rap presentino.
Però quantunque l’esposizione ceramicadiVienna avesse potuto raggiungere proporzioni più vaste, nondimeno si potè chiaramente riconoscere nel suo assieme un progresso che segnatamente si appalesava nei nuovi colori di recente introdotti in questa industria. E di questo progresso rende vano testimonianza gli stupendi piatti del signor Deck di P arigi nei quali sembra raggiunto il me rito dei dipinti a olio e le terre cotte a fondo nero brillante dell’inglese signor Minton che è oggidì in questo ramo di industria il primo del suo paese. Dalle produzioni che appartengono esclusivamente al genere artistico scendendo ai prodotti di un • ordine inferiore si notava un importante progresso nelle terre cotte ornamentali tedesche destinate agli usi architettonici come statue, fontane, cor nici, stipiti, mensole, stufe ecc., e ciò per la sin golare proprietà, che le distingue di poter resistere senza soffrire alterazione o deterioramento di sorta alle intemperie ed alle variazioni atmosferiche. E non possiamo nemmeno tacere di una specialità ceramica già esistente in Italia in piccole propor zioni e sviluppatissima altrove, l’industria delle piastrelle in terra cotta impellicciate ed intarsiate per pavimenti e rivestimenti, nè della fabbrica zione degli strumenti per uso della chimica, ramo questo importantissimo dell’ industria ceramica il quale potrebbe con immenso vantaggio essere tra sportato tra noi ove -la scoperta di estesi g iaci menti di argille refrattarie in Sardegna ed in altri luoghi d’Italia nonché l ’abbondanza dei giacimenti di carboni da poco tempo scoperti nella provincia di Cuneo e nel circondario di Mondovì
74 L ’ E C O N O M IS T A 24 gennaio 1875 doei dal tributo che finora fummo costretti di
pagare all’estero per procurarci le materie prime, ci darebbe il modo di fabbricare e anche di espor tare tu tti quegli ¡strumenti chimici di gran mole che ora l ’Italia compra all’estero non senza gravi sagrifici. Annoveriamo poi fra i progressi della parte tecnica dell’industria ceramica, i perfezio namenti introdotti in questi ultimi tempi nei sistemi di cottura, che si devono principalmente ad alcune officine boeme e tedesche, ed i quali è sperabile che possano trovare anche fra noi estesa appli cazione.
Premesse queste osservazioni generali il relatore parla con molta cura e diffusione della parte che ciascuno dei paesi espositori prese a questa sezione della mostra internazionale. Noi astretti dalla bre vità dello spazio, non potremo che ripetere le cose principalissime del suo lungo rapporto rimandando al medesimo quelli fra i nostri lettori che deside rassero particolareggiate notizie.
L ’Austro-Ungheria ebbe in questa sezione 94 espositori e fra essi vennero distribuiti 2 diplomi di onore, 34 medaglie e 43 menzioni onorevoli. L ’esposizione austro-ungherese faceva fede che in quello stato l ’industria ceramica si trova in pro spere condizioni, che ogni singolo ramo ha i suoi cultori e che pochi passi le mancano per raggiun gere un alto grado di perfezione. Ma quel che più importa notare si è che in Austria essa sopperisce ai bisogni dell’intero paese e trova modo di espan dersi anche all’estero. La Boemia ove esiste l’in teressante e per l’Austria importantissima industria dei sideroliti, fa di questi suoi prodotti una con siderevole esportazione per l ’America e per l'Oriente e ciò che parrebbe assai strano sarebbe il buon mercato di questi prodotti boemi, che consistono in stoviglie e altri oggetti verniciati se non si pensasse che la mano d’opera è prestata dalle donne e che tenuissimi sono i prezzi del carbone di Dux e dell’argilla che vale da 7 a 8 fiorini la tonnellata.
L ’industria ceramica della Germania fu rappre sentata da 100 espositori, 3 dei quali furono r i meritati con diploma d’onore, 38 con medaglie e 27 con menzioni onorevoli. Numerose ed importanti sono le fabbriche di ceramica tedesche, e la sola fabbrica sociale Villeroy e Boch produce annual mente per la somma di 6 milioni di franchi e possiede cinque grandi stabilimenti stupendamente orga nizzati di cui i prodotti più rilevanti, sono le ter raglie fini e le piastrelle per pavimenti, ramo di fabbricazione importato or sono pochi anni dal l’Inghilterra.
Sopra 209 e più stabilimenti che nelle isole britanniche si dedicano alla produzione dei lavori di ceram ica fina, appena otto o dieci si trovarono
rappresentati a Vienna e per la maggior parte con oggetti artistici di fantasia, o con specialità non in uso nel continente o di difficile imitazione, e di questa scarsità di espositori oltre alle ragioni comuni per tu tti i paesi, fu causa presso i fab bricanti inglesi il timore che i loro prodotti fos sero copiati dai fabbricanti delle altre nazioni. A queste ragioni si aggiunga che nessuno sprone potevano avere g l’inglesi a mettersi nella contin genza di sottostare a spese ed incomodi, mentre i loro prodotti sia per l’ottima qualità, sia per le peculiari circostanze che favoriscono il commercio inglese, tengono già un posto sicuro ed inattac cabile sui mercati europei e non temono concor renza. L ’ egregio relatore ebbe già occasione di fare osservare nell’ adunanza del Comitato dell’in chiesta industriale tenutasi in Napoli l’81uglio 1871, quale funesta influenza eserciti sull’industria ita liana la straordinaria agevolezza dei trasporti della merce inglese, i quali si fanno quasi gra tuitam ente sulle navi che trasportano il carbone, sicché la grande distanza fra l’Inghilterra e l’Ita lia scompare e le fabbriche della Gran Brettagna possono considerarsi come alle nostre porte. E ciò fu causa che in Italia ben sei fabbriche, una di Castellammare, due di Bologna, due di Torino ed una di Treviso, si dovettero chiudere perchè op presse dalla concorrenza inglese. Nè solo a favo rire l’ industria inglese è il mitissimo prezzo dei trasporti, ma eziandio l’abbondanza del combusti- bile e delle argille e la divisione del lavoro, la quale è tanta in Inghilterra che ivi una fabbrica vive e prospera produ'cendo un solo articolo; del che porge un esempio un’officina che fabbrica unica mente pomelli per serrami di usci interni o portiere. Se ora diamo un’occhiata alla somma della pro duzione inglese restringendoci alla sola terraglia, noi vediamo che oggidì essa ascende annualmente a circa 60 milioni di franchi, quasi due terzi della produzione totale dell’Europa. Essa vien distribuita in poca parte nel paese che la produce ; il rim a nente per un valore di 40 a 45 milioni di fran chi va disseminata all’estero. Gli Stati Uniti, il Brasile, le Indie, l’Australia ecc. ne sono i prin cipali consumatori ; in Europa, l’Italia ne acquista per circa 5 milioni e la Francia stessa, malgrado la perfezione dei propri prodotti, per circa un milione di terraglia all’anno.
24 gennaio 1875 L’ EC O N O M ISTA 75 Ottime e non inferiori a quelle delle altre più
colte nazioni, sono le ceramiche russe. L a sola fabbrica imperiale di porcellane di Pietroburgo produce per 100,000 rubli all’anno, impiegando 230 operai ed una macchina a vapore della forza di 12 cavalli.
Il Belgio e l’Olanda, sebbene concorressero a Vienna con mostre limitate, hanno fabbriche di ceramica di molta importanza da cui escono pro dotti di molta perfezione. Nel Belgio, la sola fab brica di terraglia fina, Boche Keramis, impiega oltre 300 operai ; in Olanda, la fabbrica Regout di Maestricht ne occupa ben 1400.
Rimandando alla lettura del rapporto coloro che volessero notizie sulle condizioni dell’industria ceramica negli altri Stati europei e d’ altre parti del mondo che convennero a Vienna, e in specie sulle condizioni di questa industria nella China e nel Giappone, passiamo subito ad occuparci del l’Italia. Qui la relazione è ricca di osservazioni e di dati statistici e di notizie storiche; noi ci stu dieremo di riassumere senza tralasciare nessuna delle cose di maggiore interesse.
Terre cotte. — Questa industria avrebbe potuto esser meglio rappresentata a Vienna se ne fossero stati mandati i saggi da tutte le parti d’ Italia ov’essa si coltiva. Pochissimi esempi erano stati mandati degli orci rinomati di Toscana, nessuno di quelli della Sardegna. Il principale espositore fu la ditta Tommaso Airaghi di Milano ; ve ne furono altri del Piemonte, della Toscana, del Veneto, del Napoletano, delle Romagne. In Romagna la produ zione annua delle terre cotte ascende a lire 2,416,275 e vi s’ impiegano 3650 operai. L ’ importazione in tutto il Regno di questa specie di prodotti fu nel 1873 per la somma di lire 990,610 e l’espor tazione per lire 2,060,240.
Maioliche, terraglie fine e porcellane. — Espo niamo la statistica generale della produzione in Italia di questo ramo d’industria.
Terraglia di pasta bianca L. 4,510,000 Majolica stannifera . . » 4,031,000 P o r c e l l a n a ... » 1,160,000 Totale . L. 9,701,000 L a sola società ceramica Richard della provin cia di Milano produce per lire 750,0C0 di ma jolica stannifera e per lire 500,000 di porcellane; la fabbrica di Doccia del marchese Ginori (pro vincia di Firenze) per lire 400,000 di maiolica stannifera e per lire 600,000 di porcellane. Di fab briche di porcellane, oltre le due summenzionate, ve ne ha solo una terza a Torino che produce per lire 60,000 all’anno.
Diamo il seguente prospetto dell’ importazione ed esportazione nel 1873:
Qualità Importazione Esportazione
Lire Lire
Lavori diversi in maiolica
b i a n c a ... 727,160 364,400 Detti di majolica dorata di
pinta e colorata . . . . 2,330,250 253,650 Detti di porcellana bianca . 549,360 38,850 Detti di porcellana decorata 1,254,800 55,600 Totale . . . . 4,861,170 712,500 L a differenza in favore dell’importazione è quindi di L. 4,149,070.
L ’industria delle majoliche, che presentemente in Italia è sul rifiorire, aveva a Vienna una mo stra lim itata, ed era quasi tu tta composta di imi tazioni di majoliche e di faenze antiche. Il primo posto fra gli espositori italiani spetta al marchese Ginori ; vien poi il professore Achille Farina di Faenza, ed a lui tengon dietro, Giovanni Spinacci, di Gubbio, Angelo Minghetti e figlio di Bologna ed altri fabbricanti di Roma, di Torino, di Novi, diTreviso,ecc. Nell’insieme però l ’esposizione delle terraglie italiane a Vienna era insufficiente a dare una giusta idea della produzione nazionale.
Quanto alle porcellane la fabbrica Ginori fu la sola che rappresentasse a Vienna la industria ita liana, poiché lo stabilimento di S. Cristoforo (Mi lano) appartenente alla società ceramica Richard e che dà lavoro a 600 persone, non potè per spe cial circostanza figurare coi suoi prodotti. La fab brica del marchese Ginori, l’unico espositore che conseguisse il diploma d'onore, fondata nel 1735, è meritamente celebre in Italia e all’ estero. In questo stabilimento lavorano giornalmente 520 operai comprese le donne e i ragazzi. Per la cot tura vi sono 4 fornaci, 3 forni rettangolari, una fornace ovale per la biseottatura, una cilindrica, 11 muffole ed un fornello a riverbero per Tossi- dazione del piombo e dello stagno immaginato dal proprietario stesso. Bellissimi furono i prodotti esposti da questa fabbrica, sebbene taluni non scevri da difetti, o per una certa tendenza all’esa gerazione della scuola realista che fa capolino ogni qualvolta il marchese Ginori non sta strettamente attaccato ai lavori dei grandi maestri, o per man canza di uguale colorazione, o per imperfezione di cottura. Quanto alle majoliche esposte da questa notevole fabbrica vi si riconosceva un incontesta bile progresso tecnico, ma per ciò che riguarda la parte artistica dopo l ’esposizione di P arigi del 1867, sembra che le cose siano rimaste sempre allo stesso punto.
76
all’ Esposizione specialmente se non fossero man cati gli oggetti di uso domestico.
La parte artistica che era la più importante della mostra era rappresentata in primo luogo dalla fabbrica Salviati a Venezia, officina fondata nel 1859 la quale occupa circa 150 operai, pro duce oltre mezzo milione di lire ed invia all’ e- stero specialmente in Inghilterra circa 4 j5 della produzione totale. A lla fabbrica Salviati teneva dietro per importanza lo stabilimento Baseano di Venezia il quale offre lavoro continuato a 150 uomini e 40 donne e lavoro interpolato ad altre 300 persone. Nomineremo per ultimo la celebre fabbrica erariale vaticana dei mosaici in Roma che si mantenne all’altezza della propria fama.
In conclusione termina l’onorevole relatore, « la « nostra ceramica italiana a Vienna ci potè per- « suadere che rispetto alla parte artistica i lavori « nostrali sostengono il confronto degli stranieri « e che il lato debole è assolutamente la parte « manifatturiera nella quale inglesi, francesi, te- « deschi e belgi, ci sono superiori. Gli sforzi degli « industriali italiani devono dunque essere rivolti « al miglioramento della m anifattura in ogni sin- « golo ramo della ceramica, ma più particolar- « mente in quello delle terre cotte artistiche, ramo « che atteso l’ incarimento dei lavori di pietra è « suscettibile di grande sviluppo ed è meno d’o- « gni altro esposto ai danni della concorrenza « forestiera. Anche l’industria delle terraglie fini « dovrebbe essere coltivata molto più che oggi « non sia,* perchè questi generi di prodotti è or- « mai entrato nell’uso giornaliero anche delle fa- « miglie non provvedute di lauto censo. Le por- « celiane di genere corrente che oggi si fabbricano « in Italia non rappresentano forse il terzo del « consumo generale; ma tanto le m anifatture di « terraglia inglese che quelle di porcellana sono « le più difficili a nascere perchè richiedono in- « genti capitali di impianto, e perciò non si può « nutrire una grande fiducia di vederle moltipli- « carsi in breve spazio di tempo.
RIVISTA AGRARIA-INDUSTRIALE
iliLa coltivazione della LarLaMetola Sa zucchero
Rivendicazione di nazionalità italiana alla barbabietola. - Il syrop à su cre di Oliviero di Serres. - Cifre dell’industria saccarina francese. - Vantaggi agrari. - 1 miracoli di Valenciennes. - Varietà di barba- bietole. - Tipo da preferirsi. - Azione della lu c e .- Germinazione del seme. - Ingrossamento della radi ce. - Norme per la cullura. • Antagonismo fisiologico tra lo zucchero e l’azoto. - Lavori e concimi. - Im
24 gennaio 187 5 portanza della potassa. - Sementa. - Sarchiature e rincalzature. - Sfogliatura. - Raccolta. - Conserva zione. - Trapiantamento. - Posto e funzione della barbabietola nell’ avvicendamento. - Rotazione da noi proposta. - Coefficienti numerici della cultura e della lavorazione delle radici. - Confronto di red diti. - Ciò che domandano i capitalisti esteri per fabbricare zucchero in Italia. - Tentativi pressoché abortiti. - Tre mesi di sciopero. - Da Natale a Pasqua! - Una nostra idea. - Società promotrice della cultura della barbabietola in Italia. - Unica via ed esempi eloquenti.
A vedere gli sforzi che si fanno in Italia per pro muovere la coltivazione della barbabietola, non si direbbe che questa pianta è nostra di origine, o almeno che i francesi antichi, se non i moderni che vanno arricchendosi con lo zucchero che ne estraggono, riconoscono di ripeterla da noi. Infatti leggiamo in Olivier de Serres: « Une espèce de pastenade est la bette-rave, laquello nous est venue d ’I t a lie n’a pas longtemps. C’est une racine fort rouge, asse's grosse, dont les feuilles sont des bottes, et tout cela bon à manger, appareilló en cuisine; voire la racine est rangée entre les viandes délicates, dont le jus qu’elle rend en cuisant, sem blàble au syrop à sucre, est tres-beau à voir pour sa vermeille couleur. »
Che direbbe il buon Oliviero se, tornando al mondo, gli fosse dato conoscere come, grazie ai lavori in trapresi dai tedeschi Margraff ed Achard, nonché dai francesi Crespel, Dombasle e Chaptal su quel succo vermiglio sem blàble à syrop au sucre, la radice da cui scola produca attualmente in Francia duecento tren ta m ilion i di zucchero 1), sia coltivata sopra una estensione di cent ose ssa n ta m ila ettari, procacci lavoro a du ecen tom ila p erson e, consumi cin qu ecen tom ila tonnellate di carbon fossile, e frutti all’erario cento m ilion i di lire ? Questo resultato indu striale è poi accompagnato da immensi indiretti van taggi per l’agricoltura: basti citare questo fatto, de sunto dalle statistiche officiali francesi, che prima dell’impianto della industria saccarina nel circondario di Valenciennes raccoglievansi in media 250 mila ettolitri di frumento, i quali ascesero a 420 mila dopo che vi si coltivò la barbabietola per estrarne lo zucchero; e che nella stessa località, mentre il numero dei bovi che vi s’ingrassavano nel 1822 era soltanto di 400, nel 4854, grazie all’ottimo, econo mico ed abbondante foraggio costituito dalle polpe residuali dall’estrazione dello zucchero, ascendeva di già alla cifra di 40,784.
U La produzione dello zucchero di barbabietola ascese nel 1868-69 a 207 milioni di chilogrammi negli Stati dello Zollverein; a 70 in Austria; a 65 in Russia; a 38 nel Belgio; a 22 in Svezia e Norvegia; a 10 in Olanda; ed ovunque è andata di poi notevolmente aumentando.
24 gennaio 1875 L’ E C O N O M IS T A 77 Egli è pertanto evidente l’interesso che anco l’Italia
ha a promuovere la coltura della barbabietola, della quale ci sembra prezzo dell’opera dettare le norme, a compimento di quanto precedentemente ne di
cemmo.
La barbabietola (beta vulgaris) è pianta erbacea, a radice carnosa, die sarebbe rimasta senza impor tanza industriale, se la carestia del 1792 ed il blocco continentale non avessero spinto a studiarne le pro prietà saccarine. Le sue principali varietà sono le seguenti :
10 La cam pestre, la cui radice è rossa all’esterno e screziata di bianco e di roseo nell’interno, ingrossa a fior di terra, per il die facile ne riesce il ricolto, ed è quella più in uso pel mantenimento del bestiame;
2° La b ia n ca d i S le s ia , la cui radice è bianca anco nell’interno ed è la più produttiva di zucchero; 3° La rossa, preferita negli usi domestici culi nari, perchè è la più nutritiva, sebbene ingrossi meno. 4° La g ia lla , oblunga e rotonda, molto stimata pel bestiame.
Coltivandosi la barbabietola in vista di vendere le radici ai fabbricanti di zucchero, è chiaro che dovranno preferirsi le varietà riferentisi al tipo bian ca d i S lesia , avvertendo che, siccome la luce soverchia nuoce allo sviluppo del principio zuccherino, dovran- nosi preferire quelle varietà le cui radici sono di forma conica e regolare, ed escano poco di terra, perchè la parte loro più esposta all’aria suol essere meno ricca di zucchero.
11 seme di barbabietola comincia a germinare ed a vegetare quando la temperatura media è giunta a -J- 7°, vale a dire tra la metà di marzo e quella di aprile, secondo i paesi: nel primo anno di vegeta zione, sino all’autunno, quando la temperatura è scesa a -(- 9°, la pianta non trova calore sufficiente per maturare semi; ma invece ingrossa la radice, al che è necessaria, quanto il calore, l’umidità in ¡specie di pioggia: l’aumento di volume è in stretta relazione col diverso concorso di queste due circostanze. Così accade che nei climi caldi ed asciutti ingrossa po chissimo d’estate, e cresce invece assai rapidamente dopo le prime pioggie autunnali, mentre che nei climi temperati ed umidi cresce uniformemente du rante tutto il tempo della vegetazione.
Le radici da cui vuoisi estrarre zucchero debbono essere cavate di terra in autunno, quando la vegeta zione cessa: lasciate nel terreno, sopportano anco qualche grado sotto 0°; ma, svelte che ne sieno, bi sogna assolutamente premunirle contro al gelo, che le altererebbe con scapito delle loro qualità saccarine. Nel secondo anno la radice non ingrossa più; anzi si esaurisce in pro della fruttificazione, accaduta la quale, ogni traccia di zucchero e di acido fosforico è scomparsa.
Esigono le barbabietole un terreno fresco, ma asciutto,
provvisto di calcare, ricco di potassa, come di nitrati e di fosfati, e lavorato a gran profondità. Ove queste radici coltivansi per foraggio è utile letamarle senza parsimonia; ma, trattandosi di volerne estrarre lo zucchero, bisogna astenersi dal concimarle con ec cesso di sostanze azotate; le quali ingenerano nei succhi l’inconveniente di una soverchia copia di sali egualmente azotati, che ne rende più difficile il lavoro diretto ad estrarne lo zucchero.
Il terreno destinato a cultura di barbabietole sia per tanto lavorato come praticasi pel formentone, e venga concimato, con la riserva di che sopra, in misura ana loga a quella del formentone stesso però avendo, pre sente quanto segue :
Che in complesso la quantità di zucchero contenuta nelle radici è quasi sempre proporzionata alla potassa contenuta nei concimi adoperati;
Che perciò appunto i concimi ricchi di potassa, quale il letame di stalla, aumentano la proporzione dello zuc chero più dei panelli, del grano e degli escrementi umani ;
Che i concimi azotati e poveri di potassa, favorendo la produzione erbacea, ossia lo sviluppo delle foglie, lasciano le radici proporzionatamente povere di zuc chero ;
Che i. terreni palustri, poveri di potassa e di calce, sono impropri alla coltivazione della barbabietola.
La sementa non dev’essere fatta prima che ogni pe ricolo di brinate sia cessato, ed il seme in quantità di circa otto chilogrammi per ettaro non vuol essere se polto a profondità maggiore di due centimetri : lo si depone in terra o col seminatore, oppure col foraterra, avendo tracciato prima le linee o file, la distanza tra le quali sarà, come altra volta dicemmo, di centimetri trenta, quanti ne dovranno pure decorrere fra pianta e pianta nella stessa fila : è prudente di far cadere due semi in ogni buco e di chiuderlo con terra. La sementa a spaglio è da proscriversi, come quella che dà luogo a nascita troppo irregolare.
Di massima importanza è la scelta del seme, se si vo gliono avere radici ricche di zucchero, che sono per lo più quelle piccole, di forma regolare e di maggior peso specifico. In Germania i fabbricanti di zùcchero prov vedono essi stessi il seme ai coltivatori, per essere certi che le radici acquistate saranno della saccarinità desi derata.