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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.02 (1875) n.39, 31 gennaio

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(1)

G A Z Z E T T A . S E T T I M A N A L E

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno II - Voi. Ili

Domenica 31 gennaio 1875

N.

La libertà del commercio e il dazio consumo !

(Vedi n . 38)

l i

Nel precedente articolo io ho posato un quesito

agli economisti e ai finanzieri per trovar modo di

conciliare il regime del libero commercio coll’in­

cremento del dazio consumo.

Fin qui a me pare che la teoria della libertà,

commerciale sia stata male compresa e male ap­

plicata. I governi da un canto non hanno agito

coraggiosamente nell’attuarla, nè poi si son fatti

sempre guidare dai consigli della scienza. Si è

spesso riformato a tentone; non si sono ponde­

ratamente studiati i bisogni e gl’ interessi dei

consumatori e dei produttori ; non si è seguita

una transizione moderata che avesse meno per­

turbato 1’ attività industriale delle nazioni; e le

tariffe non sempre regolate con criteri uniformi,

presentano ad un tempo delle tasse protettrici e

delle tasse puramente fiscali.

I metodi di percezione, e il sistema di vigilanza

spesso difettosi, o soverchiamente rilasciati hanno

dato grande sviluppo al contrabbando a danno

del commercio onesto. E infine allorché i governi

han veduto per tutte queste ragioni diminuire il

reddito delle dogane ; nel bisogno reale o fittizio

di trovare de’ nuovi proventi al bilancio attivo

dello Stato, hanno cercato di rifarsi con altri gra­

vami, fra i quali precipuamente quello del con­

sumo locale, sia direttamente, sia indirettamente

mercè un canone imposto ai municipi.

E si è dimostrato che T estensione del dazio

consumo , ha ingenerato in Italia principalmente

sul prezzo delle sussistenze e sulla direzione delle

industrie indigene, i medesimi deplorevoli effetti

che si lamentarono sotto il regime cosiddetto pro­

tettore.

Devesi anche notare che tra i fini della libertà

del commercio vi è quello di evitare gli ostacoli

e le vessazioni che i trafficanti incontrano alle

frontiere degli Stati.

Intanto le riforme doganali incomplete, e Rag­

gravarsi continuo del dazio consumo han fatto

39

crescere cotali ostacoli ; poiché alle difficoltà do­

ganali che s’incontrano alla frontiera si aggiungono

le barriere intercomunali.

Infatti nel modo con cui viene generalmente

attuata la libertà commerciale non abbatte le

trincee daziarie che sono d’incaglio e di vessazione

all’esterno commercio.

La Dogana per riscuotere un balzello moderato

e fiscale deve esercitare tanta vigilanza e deve

praticare tante formalità quante ne sarebbero ri­

chieste da un dazio elevato e protettore. E quindi

tutti i veicoli di trasporto, tutti i viaggiatori,

dopo la riforma delle dogane in senso liberale ,

soffrono presso cha i medesimi impedimenti che

subivano per lo innanzi sotto il regime di bal­

zelli più esagerati.

Adesso a siffatti ostacoli, coll’ aumentarsi del

dazio consumo, si sono aggiunte delle pastoie più

restrittive che inceppano la libera circolazione dei

prodotti indigeni, ed alzano delle muraglie esose

che suscitano delle divisioni ostili materiali e mo­

rali fra comune e comune con deplorevole detrimento

delle industrie e dei consumatori.

L’ esperienza ha certamente dimostrato quante

industrie son deperite, e quante han dovuto tra­

sformarsi per l’azione repressiva di tale gravezza.

E dove esse han potuto resistere, i produttori sono

stati sovente costretti a deviare dai loro naturali

centri di smercio onde creare dei mercati più ac­

cessibili, per la vendita delle derrate.

E allorquando codesto espediente sia difficile o

inutile, le popolazioni rurali che recano i loro pro­

dotti alla città sono ordinariamente forzati a per­

dere un tempo prezioso, sia sviando dai sentieri più

brevi e più retti per isfuggire a vessazioni di vi­

gilanza, sia aspettando le pratiche, per consueto

lunghe e tormentose degli uffici di riscossione e

di verifica, che s’ incontrano alla frontiera o alle

porte della città.

(2)

98

L’ ECONOMISTA

del campagnuolo, strema i suoi mezzi di sussistenza

e fa più misere le popolazioni campestri.

Tutti questi vincoli che s’ interpongono fra le

relazioni internazionali e intercomunali sono un

anacronismo, un’aperta contradizione coi progressi

della viabilità. Si cammina e si trasporta in fer­

rovia per abbreviare le distanze ; sovente neppure

si è paghi dei treni ordinari, si vuole un treno

espresso o a tutta velocità per correre grandi di­

stanze in poche ore; e restituire al lavoro indu-

stre quel tempo che si sagrificava cogli antichi

mezzi di comunicazione. Ma allorché dopo di aver

percorso cinquanta chilometri in un’ora s’imbatte

alla frontiera nell’ ufficio doganale o municipale

che ti ferma, rovista i bauli, verifica minutamente

le merci, eseguisce le pratiche regolamentari, e fa

sprecare un’ora, e più di tempo, gli è come an­

nullare il beneficio della locomotiva, gli è come

allungare di altri cinquanta chilometri la corsa

del viaggiatore e del trafficante.

E tutto ciò è doloroso di osservarsi in un tempo

in cui non solo la scienza consiglia altrimenti, ma

ben pure la pratica ha cominciato a seguire una

via opposta. E sono dei piccoli S ta ti, relativa­

mente più ricchi, che danno alle grandi nazioni

l’esempio invidiabile d’un progresso effettivo col­

l’abolizione del dazio consumo.

Ed io che vivo in una città dove questo dazio

prende delle proporzioni eccessive, non sempre

richieste dal bisogno vero delle popolazioni, non

posso rimanere indifferente ai fatti che si svolgono

innanzi ai miei occhi.

Io veggo nel piccolo Belgio un governo che

abolisce il dazio consumo (Yoctroi) per lenire le

sofferenze del popolo ; e per contrasto veggo una

grande nazione, l’Italia, dove il governo dopo le

imposte d’indole veramente erariali, si rivolge al

dazio consumo ed impone ai comuni di fornire,

in favore dello Stato, un canone che aggrava ed

ammiserisce le condizioni dei contribuenti. Veggo

nel Belgio, le popolazioni di Bruxelles e dei sob­

borghi esultanti di gioia alla promulgazione della

legge abolitiva nel 21 luglio 1860, e tale, che

secondo riferisce l’illustre uomo il conte Arrivabene,

durante quel giorno e nella successiva notte « git-

« tandosi con incruento furore sopra quegli antichi

« nemici di legno e di pietra che per tanto tempo

« avevano recato loro noia , la mattina del 22

« di separazione fra città e sobborghi non rima-

« neva più quasi traccia (1). »

E per contrapposto veggo in Palermo, mia terra

natale, una popolazione astretta ad essere da un

canto spettatrice dolente della costruzione di una

(1) Degli effetti prodotti dalla legge Belgica che

ha abolito il dazio comunale di consumo, detto octroi.

31 gennaio 1875

cinta murata che separa a modo chínese la città

dalla campagna, e a sopportare dall’altro muta e

dimessa una spesa enorme di circa quattro mi­

lioni che Pamministrazione municipale intende ri­

cavare da un mutuo da contrarre.

Ora da tutto ciò che io ho potuto dire, e da

tutt’altro che il sapiente lettore saprà aggiungere,

si desume facilmente che l’attuazione incompleta

della libertà del commercio, e l’espediente di con­

seguire col dazio consumo la rivalsa alla diminu­

zione del reddito doganale fa derivare questi in­

convenienti :

1. Lascia gli ostacoli e le molestie doganali

alle frontiere degli Stati.

2. Accresce gl’intoppi e le vessazioni nelle

relazioni intercomunali.

3. Limita il vantaggio della riduzione delle

tariffe doganali alle classi più agiate, che consu­

mano precipuamente generi esteri.

4. Aumenta il prezzo dei generi indigeni

che provvedono d’ordinario ai bisogni più impel­

lenti delle classi meno favorite dalla fortuna.

5. Riduce le risorse dei municipi e divieta

ch’essi possano soddisfare ai bisogni più legittimi

dei comunisti.

Pare adunque che il problema sia complesso;

la tassa che paga il consumatore, sia nelle mani

dell’agente doganale, sia in quelle dell’agente mu­

nicipale è sempre una sottrazione del suo reddito,

del suo profitto, della sua mercede. Non si può

quindi separare e rendersi indipendente la que­

stione delle dogane da quella del dazio consumo.

Le riforme operate nelle prime col sistema da me

enunciato, interessano la libertà municipale; e il

dazio consumo aggravandosi progressivamente, non

solo pei bisogni effettivi del comune, ma spesso

ancora pei bisogni dello Stato, e alcuna volta pei

capricci degli amministratori interessa vivamente

la nazione.

Epperò mi affretto a manifestare che io non ho

la pretensione di risolvere un problema così com­

plicato, le cui parti non si costituiscono soltanto

dello studio delle tasse doganali, e di quelle sulla

consumazione locale.

Comprendo da un lato che nello stato attuale

dei rapporti internazionali, e nella generale con­

vinzione dell’utilità irrefragabile del libero com­

mercio non è facile di far passare un criterio meno

favorevole a questa teorica, anche sorreggendolo

sulle stesse basi che han servito di sostegno alla

dottrina liberista; ossia la sussistenza e l’industria.

(3)

31 gennaio 1875

L’ ECONOMISTA

99

i pregi e i difetti delle imposte dirette e indirette,

le facoltà degli enti diversi a levare le une o le

altre; i metodi di percezione meno vessatorii, e

meno dispendiosi; ma tutto ciò è l’opera d’interi

volumi ed io in questi brevi articoli intendo so­

lamente sottoporre allo studio dei dotti di queste

materie, un solo quesito, persuaso d’altronde che

una riforma radicale è l’opera del tempo; che il

dazio sul consumo locale se può attenuarsi non

può, almeno per ora, del tutto sparire; che la

forza delle abitudini nei contribuenti non pro­

voca all’urgente esame sulla natura dell’imposta

più proporzionale ai redditi individuali; poiché

pare invece prevalente T opinione espressa dal

Montesquieu, che l’imposta sulle teste è più na­

turale alla servitù e l’imposta sulle mercanzie più

naturale alla libertà.

Ciononostante quando proclamasi in tutti i

tuoni 1’ esistenza di una questione sociale, quando

ministri, assemblee, pubblicisti, dottrinarii, socia­

listi si arrabattono a dimostrare l’urgenza di ri­

solverla, quando perfino vecchi economisti diffi­

dano dei principii naturali della scienza, ed invece

di indagare nei suoi dettami l’armonia degl’inte­

ressi sociali si levano a combattere le sue verità

inconcusse, perchè la reputano insufficiente a mi­

tigare i mali dell’umanità ; io avrò pure il diritto

di osservare che l’argomento del dazio consumo e

la libertà di aggravarlo non può trattarsi troppo

leggermente e con una specie di noncuranza, al­

lorché vediamo che esso ha tanta influenza sul

prezzo delle merci di prima necessità delle quali

si alimenta il popolo, o certamente le classi più

numerose e più povere di ogni paese.

E se un Congresso di dottrinanti si è di re­

cente adunato in Milano, da cui pareva dovere

scaturire una sorgente di felicità e di progresso

per le classi meno carezzate dalla fortuna ; se in­

vece dopo tanto aspettare abbiamo avuto la de­

lusione di semplici voti per ridurre le ore di lavoro

nelle fabbriche e nelle miniere, per tutelare l’emi­

grazione, e per favorire le casse di risparmio po­

stali; non sarà per fermo reputato inopportuno

il voto di studiare una questione così strettamente

legata alla sussistenza e all’attività industriale j

dei popoli. Per fare accettare la teoria del libero |

cambio una lega poterte ed appositi congressi

vollero cooperare coi libri della scienza. Varrebbe

dunque la pena di organizzare parimente un apo­

stolato, per dimostrare gli sconci dei vincoli in­

tercomunali, e la necessità di spezzarli o dimi­

nuirli.

Io sono lieto che i congregati di Milano aste­

nendosi dalle questioni più astruse che formavano

l’obbietto precipuo del Congresso, abbiano invece

rivolto la loro attenzione sopra argomenti che non

incontravano l’opposizione degli economisti liberali,

perchè da tempo svolti ed accettati da essi me­

desimi, e di già attuati da varie nazioni. Però

credo giusto di notare che allorquando la sussi­

stenza si fa divenire inaccessibile, non si ha diritto

di dire agli operai vecchi o fanciulli: riposatevi.

Essi risponderanno: la sussistenza è troppo cara,

e noi siamo costretti a prolungare le ore del la­

voro per non morire di fame, o a cercare un pane

in terre lontane quando pure non vi giunga la

vostra protezione e la vostra tutela.

Cooperiamo adunque e tutti alla soluzione di

questo problema. La stampa di ogni colore ne

faccia pure oggetto dei suoi studii. Essa ha so­

vente deplorato l’eccesso dei gravami sul con­

sumo; ma per una inesplicabile contraddizione

alcuni periodici hanno qualche volta e in qualche

luogo incoraggiato ad esagerarli, plaudendo alle

spese, anche insane, dei comuni, delle provincie,

dello Stato, considerandole come espedienti salu­

tari a somministrare lavoro e pane alle classi

operaie.

Non si è sempre esaminato, se una spesa, non

necessaria nè urgente avrà dimezzato il pane

dell’artiere, e diminuito le occasioni di un lavoro

stabile e permanente, togliendo ai contribuenti

una porzione dei rispettivi redditi che impiegati

direttamente dai privati, sono sorgente più feconda

di attività per gli artefici, e più produttiva delle

cose e delle opere veramente utili al bisogno delle

popolazioni.

Pertanto il lettore benevolo permetterà ch’io

ritorni su questo tema doloroso onde sottoporre

al suo giudizio altre osservazioni che potrebbero

giovare alla sua più facile soluzione.

Prof. Giov.

Br u n o.

La navigazione nei porti principali (l’Italia

m Livorno

Il movimento generale della navigazione per

operazioni di commercio nel porto di Livorno

ascese nell’ anno 1873, a 10,780 navi della ca­

pacità di tonnellate 1,822,159. Le navi addette

al commercio internazionale furono 1,922 di ton­

nellate 616,862, e quelle addette al cabotaggio

ascesero a 8,858 di tonnellate 1,205,297.

(4)

100

L’ ECONOMISTA

31 gennaio 1875

Bandiera ital. Bandiere estere

Num. Tonnellate Num. Tonnellate

Interna- (.

vela

rionale £ vaPore

( Totale

545

88,581

644

149,863

98

24,939

635

353,479

643

113,520 1279 * 503,342

A vela 6,108

272,846

Avap.

2,151

747,042

Totale 8,259 1,019,888

1

598

599

76

185,333

185,409

( A vela 6,653

361,427

645 149,939

Totale A vap. 2,249

771,981 1,233 538,812

(Totale

8,902 1,133,408 1,878 688,751

Al commercio internazionale del porto di

Li-vorno presero quindi parte 1189 navi a vela di

tonnellate 238,444 e 733 navi a vapore di ton­

nellate 378,418. Il commercio di cabotaggio fu

invece eseguito da 6,109 navi a vela di tonnel­

late 279,922 e da 2,749 navi a vapore di tonnel­

late 932,375.

Il movimento della navigazione internazionale

e di cabotaggio (approdi e partenze) nel porto

di Livorno è riassunto nelle cifre qui • sotto

indicate, che rappresentano il tonnellaggio per

ciascuno degli 11 anni dal 1863 al 1873.

Anni Navigazione

complessiva internazionale di cabotaggio

1863

2,138,005

1,012,829

1,125,176

1864

1,888,915

857,861

1,031,054

1865

1,993,726

881,805

1,111,921

1866

1,939,317

800,636

1,138,681

1867

1,577,188

612,135

965,053

1868

1,586,426

587,471

998,955

1869

1,738,661

786,535

952,126

1870

1,715,439

644,897

1,070,542

1871

1,843,143

624,312

1,218,831

1872

1,814.534

566,284

1,248,250

1873

1,822,159

611,862

1,205,297

Da queste cifre è dato rilevare che nel movi­

mento della navigazione complessiva del porto

di Livorno vi è una diminuzione di oltre 300 mila

tonnellate nel 1873 a confronto del 1863. Questa

notevole diminuzione si deve tutta alla naviga­

zione internazionale, riscontrandosi invece in quella

di cabotaggio un aumento nel 1873, di 80 mila

tonnellate a fronte del 1863.

La navigazione internazionale e di cabottaggio

(approdi e partenze) che nel 1861 era, pel porto

di Livorno, di 851,395 tonnellate per le navi a

vela e di 821,824 tonnellate per i bastimenti a

vapore, discese nel 1873 a 511,366 tonnellate per

le navi a vela e raggiunse tonnellate 1,310,793

per le navi a vapore. La differenza nel 1873 ri­

spetto al 1861 , fu quindi del 66 per cento in

meno nel tonnellaggio della navigazione a vela,

e del 59 per 100 in più in quello della naviga­

zione a vapore. Inoltre la proporzione del ton­

nellaggio dei vapori su quello delle navi a vela

era nel 1871, nel porto di Livorno, del 49 per 100,

mentre nel 1873, detta proporzione, aveva rag­

giunto il 72 per cento.

Vediamo ora come si ripartiva nel 1873 il ton­

nellaggio della navigazione internazionale a vela

ed a vapore (approdi e partenze) nel porto di

Livorno secondo i paesi di provenienza

stinazione dei bastimenti:

e di

de-Paesi Tonnellate

cifre effettive per 1000

Europa - Inghilterra

231,682

376

Francia

Turchia (Europea

113,346

184

ed Asiatica)

34,613

56

Spagna

23,366

38

Olanda

21,986

35

Germania

17,269

29

Altri paesi d’Europa

66,117

106

Totale

508,379

824

Africa - Egitto

Tripoli, Tunisi e

Ma-7,552

12

rocco

6,343

11

Algeria

8,113

13

America - America inglese e

Stati Uniti del

22,008

36

Nord

60,645

98

Stati Un. di Colombia

1,422 i

Brasile

92 5

¿

62,159

m

Riassumendo abbiamo :

Europa

508,379

824

Africa

22.008

36

America

02,159

100

Porti Italiani

24,316

40

Totale

616,862

1000

Da queste cifre si scorge come il movimento

della navigazione internazionale nel porto di Li­

vorno nel 1873 fu effettuato principalmente (824

tonnellate su 1000) coi paesi d’Europa e in specie

con l’Inghilterra; quindi con la Francia, con

l’America inglese e con gli Stati Uniti del Nord.

Esaminando poi il movimento suddetto secondo

la nazionalità dei bastimenti, abbiamo le seguenti

cifre che rappresentano il tonnellaggio di ciascuna

bandiera :

Bandiere Tonnellate

cifre effettive per 100

(5)

31 gennaio 1875

L’ ECONOM ISTA

101

La bandiera inglese è quella che concorse nel

1873 per quasi la metà (467 tonnellate sopra 1000)

nella navigazione internazionale del porto di Li­

vorno, la bandiera italiana non vi contribuì neppure

per un quinto (184 tonnellate in 1000) ; quella

francese per un decimo preciso (100 : 1000) per

più di un ventesimo ciascuna le bandiere nord-

americana (54: 1000) e germanica (51: 1000) e

per un ventesimo la bandiera olandese (50:1000).

Le altre bandiere estere concorsero tutte insieme

neppure per una decima parte (94 tonnellate

su 1000) alla navigazione internazionale del porto

di Livorno.

ESPOSIZIONE FINANZIARIA

Dalla Gazzetta Ufficiale riproduciamo il testo

preciso dell’esposizione finanziaria fatta dall’ono­

revole Minghetti, ministro per le finanze, nella

seduta del 21.

Presidente. L ’ ordine del giorno reca l’esposizione finanziaria dell’onorevole ministro delle finanze.

L ’onorevole ministro ha facoltà di parlare. Minisio por I® fin nze. (Segnidi attenzione) Signori! L a legge di contabilità prescrive che il 15 marzo il ministro delle finanze debba presentare alla Camera la situazione del Tesoro, il bilancio definitivo del­ l ’anno in corso, ed il bilancio di previsione dell’anno successivo. Suol esser quella, e mi par consuetudine molto ragionevole, l'occasione nella quale il ministro fa la sua esposizione finanziaria. Nè io mi sarei, per verità, discostato da questa consuetudine ; se non che mi parve troppo indugio l’aspettare quel momento per presentare i provvedimenti finanziarii.

D ’altra parte, il presentare questi provvedimenti in forma di progetti di legge senza accompagnarli da alcun commento, mi sembrava inopportuno e non con­ veniente.

Questo commento delle leggi, che presento, sarà dunque una specie di esposizione ; ma essa dovrà ve­ nire rettificata al 15 marzo prossimo dai risultati dei documenti che si riferiscono tanto alla gestione del 1874, quanto al bilancio definitivo del 1875, ed al bi­ lancio di prima previsione del 1876.

Ho detto che io non poteva indugiare la presenta­ zione di questi provvedimenti finanziarii, sebbene la Camera in questo momento abbia i bilanci a discu­ tere ; ma io voglio sperare che essi verranno esami­ nati e votati con rapidità.

Mi sia lecito ricordare che gli altri Parlam enti si intrattengono assai brevemente sopra i bilanci ; essi mirano a sindacare le spese nuove e le variazioni, ma quanto alle spese costanti non tornano ad esa­ minarle.

Inoltre la Camera ha a sè dinanzi le convenzioni ferroviarie, alcuni provvedimenti che compiono l’or­ dinamento del nostro esercito, ed infine una legge importante che si riferisce ai rimborsi delle spese idrauliche. Ciò non ostante , lo ripeto , mi sarebbe sembrato improvvido l’indugiare la presentazione delle leggi di finanza fino al 15 m arzo, e mi pare oppor­ tuno che fin da ora la Camera abbia dinanzi agli oc­ chi direi quasi il programma della presente Sessione.

L a Camera non dimenticherà che la sua alacrità è uno degli elementi principali per mantenere la fidu­ cia nelle libere istituzioni, né mi stancherò mai di ripetere che i Parlam enti tanto più si mantengono nella estimazione universale, quanto più l’opera loro è feconda e breve, e molti uomini degnissimi sono

pronti a dedicare una parte del loro tempo agli af­ fari pubblici purché non debbano occupare in essi tutta quanta la loro vita, e ciò non li costringa a rinunciare ad ogni altro demestico o privato affare.

Io spero che la Camera, capacitandosi profonda­ mente di quest’ idea, potrà in tre mesi compiere tutto il lavoro che le sta dinanzi e quello che oggi le verrò delineando, e lascierà cosi della prima Sessione della nuova Legislatura una memoria gradita al paese ed un esempio utile per l’avvenire.

Un’altra ragione che m’ ha indotto a non ritardare il mio discorso si è l’ansietà nella quale trovasi il paese riguardo alla materia finanziaria; imperocché non si può dissimulare che quest’argomento è quello che sta in cima ai pensieri di tutti. Nelle elezioni e nei programmi elettorali per quanto variamente co­ loriti, pur sempre primeggia la questione finanziaria, come quella alla quale dovevamo rivolgere tutte le forze, e maggiore la sollecitudine.

I risultati della gestione del 1874 saranno esatta­ mente riferiti nella situazione del Tesoro ; ma ne conosciamo abbastanza perchè io possa rallegrarmi, senza essere tacciato d ’orgoglio, che le previsioni che ebbi l'onore di fare in principio dell’anno alla Camera, tanto rispetto alle entrate, quanto rispetto alle spese, si sieno verificate. Che anzi la parte delle entrate che io presumevo in 1280 milioni è salita fino a 1294, e quella delle spese che io reputava in 1388 milioni, è discesa a 1386.

Non è questo il momento di fare un’analisi ed una comparazione di questi dati. Verrà il tempo oppor­ tuno, ma vi ha un punto che mi piace mettere in evidenza, ed è che le nostre entrate quest’anno sono state maggiori dell’anno scorso, sebbene ci mancas­ sero oltre 40 milioni d’arretrati.

E naturale che gli arretrati scemino mano a mano che l’amministrazione, operando con vigore, li viene riscuotendo. Verrà il giorno, e non é lontano, in cui scompariranno interamente ; ma ciò non lasciava di impensierire gli uomini i quali vedevano che il T e­ soro perdeva un cespite di entrata. Ora l ’esperienza ci ha mostrato che nell’anno corrente le nostre ri­ scossioni, tuttoché stremate di questa cosi rilevante parte, sono state maggiori di quelle del 1873.

Credo dunque di potere con fondamento di ragione mantenere l’esattezza delle mie previsioni, e quindi non modifico punto la cifra del disavanzo di compe­ tenza pel 1875, quale risulta dalle variazioni agli stati di prima previsione dell’entrata e della spesa, cioè a dire di 54 milioni.

Quando e come potremo noi togliere interamente questo disavanzo? E questo il quesito capitale.

Però prima di esaminarlo mi é duopo trattarne un altro. Prim a di dire come si possa a mio avviso giun­ gere al pareggio, mi è necessità ricordare come fino dal 26 novembre 1873, e poi più volte nel corso del­ l’anno passato, io abbia accennato a nuove spese che erano indispensabili, affermando pure risolutamente che a nuove spese bisognava contrapporre nuove en­ trate. E, per verità, a che gioverebbe, o signori, che noi tentassimo con ogni mezzo di chiudere il disa­ vanzo che risulta dal bilancio, so poi dovessimo gra­ varci di nuove spese oltre il bilancio stesso senza provvedervi? A noi avverrebbe come al viandante del deserto, al quale, per luce refratta, apparisce vi­ cina l’oasi piena di verdure e di acque ; cd egli af­ frettando il passo, quella ognor più si allontana da lui, cosicché per lunghezza di cammino, perde la spe­ ranza di raggiungerla.

Bisogna dunque, o signori, che io parli anzitutto delle spese nuove necessarie, e dei mezzi coi quali provvedervi. E qui mi viene incontro la forinola del­ l'onorevole Sambuy della quale toccammo brevemente altra volta rimandandola a più opportuna occasione ; nè io debbo mancare alla mia promessa di ramme­ morarla e di riparlarne.

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ce ; nessuna spesa nuova, quindi nessun bisogno di nuove entrate per questo titolo : 0 = 0.

Io credo che questa forinola abbia una parte di vero importante, ma non perciò posso ammetterla nel suo senso rigido e litterale.

Invero, lo stesso onorevole Sambuy, nel suo ordine del giorno, riconosceva i casi di forza maggiore i quali potevano mutare il proposito deliberato.

Io accetto il suo pensiero in questi termini ; però nel parlare di forza maggiore sono d’avviso si debba comprendervi non solo una eventualità inopinata, ma altresi quelle ragioni supreme nelle quali è tanta po­ tenza da vincere qualunque obiezione in contrario.

Vi sono, per esempio, delle ragioni di buona am­ ministrazione che ci obbligano a fare delle spese nuove per non perdere la massima parte di quelle che si son fatte, nè dobbiamo dimenticare altresì che vi sono alcune spese le quali da parecchi anni si sono presentate alla Camera e che hanno creato negli ani­ mi, non dirò una certezza, ma una fiducia ed una aspettativa che non si potrebbero impunemente fru­ strare.

Qui la politica ha anch’essa le sue ragioni, e l’uomo di Stato deve, prima di pronunciare un giudizio, pe­ sare tutti gli elementi per trarne quelle conclusioni che reputa migliori a beneficio della Stato.

Credo dunque che, presa in questo senso, e non esagerata, la formola dell’onorevole Sambuy sia tale da tenersi in conto, cd io , fin dal 1863 , in un mio discorso, parlando di lavori pubblici, accennava a due punti che vi corrispondono : 1° accettare gli im­ pegni presi, cercando tuttavia di dividerli in mag­ gior numero di anni per non caricare troppo il bi­ lancio ; 2° non accettare, salvo il caso di forza mag­ giore, impegni per nuove spese, finché il bilancio non si trovi in condizioni migliori.

Ma per vedere praticamente le cose, è d’uopo esa­ minare una ad una quali siano queste nuove spese e quali i mezzi per farvi fronte. Egli è soltanto dal­ l ’esame specifico di ciascuna proposta che si potrà avere argomento per giudicare se convenga o no di accettarla.

Io divido queste spese nuove in due categorie : le une sono spese a compimento, uniche, cioè fatte una volta sola, che quasi si potrebbero chiamare residui passivi. Chi ricorda la discussione del bilancio di de­ finitiva previsione del 1873, non avrà dimenticato come in quella occasione si notasse che la somma dei residui trasportati dal bilancio di prima previsione veniva variata notevolmente. Nè la Commissione del bilancio, nè la Camera credette di rifiutare questi aumenti che risultavano da ragioni prevalenti ; solo volle che fossero presentate in una legge speciale in­ sieme al bilancio stesso, ma riconobbe in essi il ca­ rattere di veri residui.

Io avrei potuto seguire lo stesso esempio ; avrei po­ tuto aspettare il 15 di marzo, e nel presentarvi il bilancio di definitiva previsione introdurre le spese di questa prima categoria nel bilancio stesso, allegan­ dovi un progetto di legge speciale.

Ma ho preferito venire dinanzi a voi francamente con tutta la serie dei provvedimenti delle spese e del­ l’entrata, affinchè fino da ora possiate vedere la si­ tuazione nel suo complesso e non vi resti timore che alcun’altra nuova spesa possa sorgere in occasione del bilancio definitivo.

Ho ricordato quella discussione soltanto per indi­ care come queste spese, che non sono continuative, potevano essere collocate fra i residui passivi, da che deduco che nessuno potrà pretendere che si trovino delle entrate continuative per far fronte a questa ma­ niera di spese. Quali sono esse ?

Noi abbiamo necessità, o signori, di 500,000 lire per pagare contratti fin da molto tempo fatti per l’a r­ senale marittimo della Spezia. Si tratta, dico, di la­ vori in corso per effetto di contratti che rimontano a molti anni addietro, a cui sarebbe impossibile il venir

meno, salvo d’incontrare liti davanti ai tribunali ed essere condannati a spese anche maggiori.

Segue a questa una spesa straordinaria di 2,800,000 lire per gli assettamenti e le riparazioni delle opere idrauliche in conseguenza delle piene avvenute nel 1872. Ho bisogno di giustificarla ? L ’importanza, o signori, di difendere gli argini del Po, e di difenderli a tempo, fu pur troppo dimostrata dall’esperienza do­ lorosa di quelle inondazioni, le quali hanno già co­ stato all’erario più di 29 milioni. Il compimento del­ l’opera esige la somma predetta.

Ora, sarebbe possibile sospendere questi lavori ? Sa­ rebbe egli possibile di lasciare gli argini del Po non compiuti, o non assolidati col pericolo che una nuova piena, non solo annienti le fatte spese, ma rinnovi una rovina per le popolazioni e un danno per l’era­ rio tanto grave quanto quello di cui tutti ricordiamo terribilmente gli effetti ?

Signori, noi siamo a Roma, ma una parte dei no­ stri ufficii non è a Roma ancora ; ed io non parlerò del concetto politico soltanto, ma anche degli effetti amministrativi, e dell’ indispensabile necessità che ab­ biamo di trasportare tutti gli ufficii dell’amministra- zione centrale nella capitale. Nè ciò basta : furono incontrati degli impegni per fabbriche che già sorgono. Possiamo noi rifiutarci di compiere il trasferimento della capitale a Roma? Possiamo non pagare le im­ prese ? E potendolo, chi è che oserebbe dire : sospen­ dete il trasferimento della capitale in Roma? Indipen­ dentemente dagli effetti amministrativi, chi non vede che significato politico potrebbe avere un fatto di si- mil genere? Ebbene, per compiere il trasferimento della capitale in Roma, occorrono ancora cinque mi­ lioni. Altre volte la somma fu calcolata in 10 mi­ lioni : ed ora nuovi studii che ho fatto col mio col­ lega il ministro dei lavori pubblici, mi pongono in grado di ridurre questa cifra della metà. Non credo che sia da pagarsi in un anno solo ; anzi sarà da ri­ partirsi in parecchi esercizii : ma evidentemente mi pare che nessuno possa opporsi a compiere il trasfe­ rimento della capitale in Roma.

Vi ha inoltre un milione per la strada nazionale da Genova a Piacenza per Bobbio : questa è una spesa per conseguenza di legge. Quelle provincie, quei Comuni hanno fatto anticipazioni sulla base di una legge stanziata in Parlamento. L a liquidazione dei lavori porta a nostro debito un milione che non è in bilancio. Possiamo noi negarlo ?

Le altre spese di questo genere sono assai minori, e si riassumono in 380 mila lire per un ponte sul fiume Piave lungo la strada nazionale Callalta, del quale sono’ costrutte già le sponde; 253 mila'lire per l’approfondimento ed allargamento dei eanali di grande navigazione dell’estuario di Venezia ; 800 mila lire per una convenzione, già presentata al Parlamento, tra il Governo ed il Comune di Venezia pei magaz­ zini generali ; ed infine, in una somma di cinque o seicento mila lire che occorrerà per la dogana e pei magazzini generali nella città di Messina. Di que- st’ultima spesa non ne ho ancora fatto oggetto di proposta di legga, perchè non ancora compiute le trattative, e mi limito ad accennarla.

Ecco ristrette ai loro minimi termini quelle spese che io chiamo spese uniche non continuative, a com­ pimento di opere incominciate e delle quali credo che non sia possibile il fare a meno.

Ma sono d’avviso che a queste non si debba con­ trapporre una entrata permanente, essendo spese per una volta sola.

Ho dunque l’onore di presentare un progetto di legge che le contiene tutte insieme riunite ; esse am­ montano in complesso a 10 milioni e settecento mila lire, e quando si aggiunga anche quella derivante dalla convenzione colla città di Messina, della quale tenni discorso, saliranno a oltre 11 milioni. (V. Stam­

pato, N 47.)

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quelli che ho toccato finora, e l’esporrò francamente alla Camera. Questo argomento è quello delle forti­ ficazioni.

Signori, io ben ricordo quando un progetto di legge di grandissima mole, elaborato dagli uomini più com­ petenti del Eegno, fu presentato per la prima volta alla Camera. L a spesa proposta era ingente, lungo il tempo nel quale poteva compiersi. Allora sorsero parecchi nostri colleghi, mossi da generoso impeto, ai quali pareva che quella spesa fosse inferiore al biso­ gno, o almeno che dovesse eseguirsi più rapidamente di quello*che il ministro proponeva.

In quella circostanza, se non erro, fui io il solo che dal mio scanno di deputato osai prender la parola contro quel nobile, ma imprudente impeto, perchè era convinto che lo spingere a golfo lanciato per quella via le nostre finanze le avrebbe condotte a ruina.

Più tardi il progetto di legge venne modificato e ristretto dal ministro stesso della guerra ; ma nondi­ meno esso era di grave entità.

Ancora rumoreggiava l ’eco delle grandi battaglie del 1870 ; ancora ci stavano presenti i pericoli di una conflagrazione europea ; però, mano a mano che ci siamo allontanati da quel tempo, quella vivacità e quell’ impeto onde si accorreva alla difesa dello Stato, come all’obbietto più importante di tutti, è venuto scemando.

Ora, o signori, io credo che come era giusto allora fare opposizione a coloro che volevano di subito im­ piegare smisurate somme per tale progetto, con pari giustizia si debba ora combattere T idea di coloro i quali vorrebbero assolutamente porre in disparte ogni concetto della difesa dello Stato, o rimandarlo intie­ ramente a remoto tempo avvenire.

Io mi ricordo troppo bene della sentenza di Ma­ chiavelli nel Principe, laddove parla degli apparec­ chi di guerra da farsi durante la pace, afferma che gli uomini nella bonaccia sogliono scordarsi della tempesta, ma quando poi vengono i tempi avversi, non debbono imputare alla fortuna la rovina loro, ma sibbene alla propria ignavia.

Noi dobbiamo dunque perseverare nel concetto della difesa dello Stato ; soltanto, a mio avviso, dobbiamo ridurlo alle sole opere più necessarie e veramente urgenti.

La Commissione incaricata nello scorso anno di esa­ minare il progetto di legge dell’onorevole ministro della guerra, mentre consentiva accordargli 80 mi­ lioni, dei quali 60 per le fortificazioni e 20 per altre spese di mobilizzazione, presentava pure un secondo progetto, se non erro, di altri 88 milioni ; noi dovemmo far sosta rimandandolo ad altro tempo.

Ebbene, a me è d’avviso che l ’uno e l’altro pro­ getto erano sproporzionati alle nostre forze. Non dico già che non verrà il giorno nel quale tutte queste opere potranno e dovranno farsi ; ma dico che noi non possiamo impegnarci oggi a farle. Di fatto, o signori, lo stanziare una somma di oltre 100 milioni, o anche solo di 60 milioni, sebbene ripartiti in una larga serie di anni, non è senza grave scapito del .nostro credito, e la gente, vedendoci impegnati in lavori di tanta mole, é indotta a dubitare se trove­ remo i mezzi di sopperirvi. Io posi dunque al mio onorevole .collega della guerra il problema in questi termini : È egli possibile restringersi a fortificare i soli valichi alpini, a quelle opere di difesa interna e delle coste-, che sono assolutamente indispensabili ed essenziali, ma le une e le altre fare il più presto pos­ sibile ? Il ministro rispose che si : egli non rinuncia nell’avvenire alle sue idee, ma conviene che questo avvenire comincierà quando le finanze italiane sa­ ranno in equilibrio e presenteranno margine bastevole da potersi occupare di simile materia.

La spesa della difesa dello Stato, ridotta ai suoi minimi termini, cioè allo sbarramento dei valichi al­ pini, ed alcune altre opere di prima necessità, im­ porta 20 milioni, e per tale somma impertanto vi

propongo un progetto di legge per la difesa dello Stato (Ved. Stampato, n. 48). Questi 20 milioni non si possono spendere certamente tutti in un anno, tut­ tavia è necessario spenderli il più rapidamente che sarà possibile.

Presentandovi questo progetto, mi riservo di ritor­ nare sul tema dell’armamento e della mobilitazione dell’esercito nel seguito del mio discorso.

Questi 20 milioni, o signori, riuniti a quelli altri 11 che vi ho detto testé, formano 31 milioni. Questi 31 milioni li riguardo come una spesa fatta una tan­

tum vice e non credo di dovervi provvedere con en­

trate continuative, ma con una operazione di Tesoro. Signori, altra volta in questa Camera, e dal mio predecessore e da me, si è parlato di conversione, di prestiti redimibili in prestiti consolidati; l ’operazione fu fatta sul prestito nazionale, e certo, per rispetto allo Stato, ebbe buoni effetti, non li ebbe forse così lusinghieri.

Voci a destra. Per l’idra...

Ministro delle finanze ... Per la Banca contraente, di guisa che dopo quell’epoca, e anche atteso il corso della rendita, nan sarebbe facile il trovar modo di convertire altri debiti redimibili con analoga opera­ zione. Nè io, a vero dire, oserei oggi di proporla, pa­ rendomi, come dissi, un’operazione di questa natara sia difficile a farsi a buon patto. Ma se noi non possiamo convertire il debito redimibile in consolidato, non si potrebbe almeno rimandare alcuna delle nostre am­ mortizzazioni a tempo più lontano?

In una pubblicazione stampata per uso della Ca­ mera, scorgesi una tabella delle nostre ammortizza­ zioni nel corso di parecchi anni e sino al 1884. Le cifre son distinte in tre colonne; l ’una del capitale, l’altra degli interessi, la terza dei premi e si vede la loro diminuzione progressiva anno per anno.

Per ora lascio in disparte gli interessi e i premii, perchè avrò occasione di parlarne più tardi; mi li­ mito soltanto a considerare i capitali che noi dobbiamo annualmente rimborsare.

Questi ammontano all’incirca a 50 milioni tanto nel 1875, a poco meno nel 1876, ma sono ridotti a soli 32 milioni nel 1882 e 1883. Se dunque noi potessimo dif­ ferire alcune ammortizzazioni dagli anni 1875 e 1876 agli anni 1882 e 1883, ci sarebbe lecito usufruire della somma che in questi due primi anni rimarrebbe li­ bera, senza che il bilancio ne venga caricato nell’av­ venire, oltre la presente misura. La sola differenza starebbe in ciò, che il decremento notevole delle am­ mortizzazioni, invece di cominciare coll’ anno 1882, comincierebbe coll’anno 1884. L ’operazione dunque apparisce ovvia e giusta, ma la difficoltà grave sta in ciò che conviene fare un debito per pagarne un altro, e al corso dei nostri valori questo implica una per­ dita per lo Stato eguale alle differenze fra il valore nominale ed il reale.

P er ovviare a questo inconveniente, bisogna esami­ nare se fra i nostri titoli ve ne siano, il cui valore si accosta ai pari, e pei quali si possa fare un’opera­ zione senza sensibile perdita pel Tesoro.

Di tal guisa sono le obbligazioni della Eegia dei tabacchi, ma il contratto colla Eegia finisce nel 1883. Bisogna adunque che a quell’ epoca siano compieta- mente ammortizzate le sue obbligazioni.

Ecco pertanto, o signori, come io concepisco la operazione e ve la propongo. (Vedi Stampato, nu­ mero 49).

Io domando alla Camera l ’ autorizzazione per la emissione di due serie di obbligazioni in correspet- tivo di quelle che si estinguono nel 1875 e nel 1876, da pagarsi nel 1882 e nel 1883. E domando questa autorizzazione pel caso che io possa fare un’opera­ zione alla pari colle garanzie e colle clausole le quali sono stabilite oggi per le obbligazioni medesime senza spese o provvisioni bancarie.

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altro che trasportare un’ammortizzazione dal 1875 e dal 1876 al 1882 e 1883 senza perdita in capitale per parte dello Stato nè spesa oltre quella della ma­ teriale confezione dei titoli.

Comprendo che non sarà un’operazione facile a farsi ; nondimeno io spero di farla ; e quando potessi trovare una Società o ditta che 1’ assumesse a tutto suo rischio e pericolo, vi chieggo 1’ autorizzazione di darle un compenso dal mezzo per cento ad anno che equivarrebbe a caricare il Tesoro dello Stato di una spesa maggiore di L. 158,000 all’anno.

Qual è l’ effetto di quest’operazione del Tesoro? L ’ effetto di essa è di fornirci in due anni la somma di lire 31,600,000 e di trasportare questo debito agli anni 1882 e 1883. E siccome ho detto che negli anni 1882 e 1883 le nostre ammortizzazioni da 50 milioni si riducono a 32, ne verrebbe che il bilancio non sarebbe alterato, anzi continuerebbe la diminu­ zione delle ammortizzazioni.

Se si pone mente alla necessità di provvedere alle spese che ho sopra indicate, se si pone mente che non si può, nè sarebbe ragionevole, creare altrettante entrate permanenti, quante corrispondono a queste somme, che da noi si richiedono per una volta sola, chiaramente appare che l’operazione che vi propongo è equa e conveniente e quindi io confido che sarà da voi favorevolmente accolta.

Ma più difficile è la seconda parte, cioè a dire quella delle spese continuative. Qui veramente è ne­ cessario a nuove spese trovare nuove entrate.

Io presentai già nell’anno scorso, insieme al mio collega pei lavori pubblici, un progetto di legge re­ lativo alla costruzione di strade nelle provincie che più difettano di viabilità.

L a Commissione, la quale si era occupata di que­ sto progetto di legge nell’anno 1873, aveva tentato di fare una dimostrazione assai singolare. Essa aveva voluto dimostrare che qualora si istituisse un bilan­ cio separato delle spese e delle entrate provenienti dalle opere pubbliche, tenendo pur conto degli inte­ ressi corrispondenti ai prestiti necessari per soppe­ rire alle deficienze, risulterebbe un perenne annuale miglioramento convergente verso un termine, scbbeti lontano, oltre il quale il passivo sarebbe pareggiato dalle entrate derivanti dalle opere pubbliche, e tutto ciò senza valutare i beneficii economici ed i miglio­ ramenti finanziarii introdotti.

Questo ragionamento ha certamente qualche parte di vero, ma non mi pare che si possa adattare ad uno Stato nelle nostre condizioni. Presentate pure un affare, anche lautissimo, nè solo per un avvenire lon­ tano, ma anche prossimo, ad uno che non disponga di capitali, sarà sempre per lui un cattivo affare lo intraprenderlo.

Dunque non dissentendo dal concetto astratto di quella Commissione, non credo che sia applicabile alla nostra situazione.

D ’ altra parte, o signori, chi guarda alle condizioni della viabilità nelle varie provincie del regno, può egli non rimanere sorpreso dalla grande deficienza di strade in talune provincie e dal grande bisogno che ne siano costrutte di nuove ?

Chi esamina le statistiche non può non essere col­ pito dalla necessità economica e più che economica dirò ancora dalla necessità politica, di provvedere ad uno stato di cose, il quale è anche troppo gravemente sebbene pur giustamente lamentato.

Noi adunque ripresentiamo con risoluto animo questo progetto, ma con una variante che, credo e spero, sodisferà i nostri colleghi. (Vedi Stampato, nu­ mero 50).

L a variante è questa : nel nostro bilancio delle opere pubbliche, e precisamente nella parte stradale, noi abbiamo stanziato notevoli spese per opere, le quali fortunatamente sono presso al loro termine e vanno a poco a poco ultimandosi negli anni succes­ sivi ; or bene, noi vi proponiamo lo stesso progetto

di legge sulla viabilità nelle provincie che più ne di­ fettano, colla c'ausola speciale che gli stanziamenti nel bilancio non abbiano a farsi se non quando e a misura che cessano le altre opere stradali le quali sono state dalla Camera deliberate.

Per tal guisa noi otterremo il risultato di rassicu­ rare l’animo di quelle popolazioni e nello stesso tempo non aggraveremo il bilancio.

Nico era. Noi le burleremo.

Minis’ro per la fl.nnze. No, onorevole Nicotera, non le burleremo, ma le contenteremo, perché il tempo nel quale gli studi dovranno compiersi è Jtale che, appena si potrà mettere mano ai lavori, i fondi sa­ ranno pronti. Già nell’anno prossimo cominciano ad essere in diminuzione sensibile alcune opere stradali votate per legge, e potremo applicare a queste nuova strade più di quello che la legge passata stanziava, di guisa che avremo ottenuto il risultato di soddisfare ad una giusta esigenza senza per questo alterare il nostro bilancio.

Nicole a. Lo vedremo.

Ministro per le finanze. D ’ altronde, il problema che ho per le mani è molto arduo, onorev. Nicotera, si tra tta da un lato di fare delle spese e dall’ altro di arrivare al pareggio, si tratta di non mettere nuove imposte e di aumentare le entrate.

Ripresento del pari, signori, la maggiore e straor­ dinaria spesa a compimento delle opere marittime nei porti di Girgenti, Napoli, Castellamare di Stabia, Sa­ lerno, Palermo, Venezia e Bosa. (Vedi Stampato, nu­ mero 51).

E questo il disegno di legge che fu già votato lo scorso anno dalla Camera. Queste spese, se non aves- sera per sé quel titolo che io accennava dianzi, vale a dire quello di un’ aspettativa creata nelle popola­ zioni, sarebbero pur sempre consigliate dalla buona amministrazione.

In fatto, signori, se, dopo la grandissima burrasca del 1872, lasciassimo il porto di Napoli nelle condi­ zioni nelle quali si trova, quell’antemurale che fu fatto correrebbe rischio di andare interamente perduto, e per non spendere una piccola somma, potremmo per­ dere la maggiore che abbiamo già spesa. Lo stesso dicasi delle altre opere che sono qui registrate. Quando le esaminerete parte a parte, riconoscerete che colui il quale rinunziasse a fare questi lavori, oltre al man­ eare ad una promessa le tante volte ripetuta, incor­ rerebbe ancoia nella giusta imputazione di essere un cattivo amministratore, perché comprometterebbe spese già fatte pel risparmio di altre di minor conto. Questa spesa, signori, ascende a lire 1,300,000.

Voci. A ll’ anno ?

Ministro per le finanze. Parlo di spese continuative, cioè all’ anno. (Commenti.)

Se mai non mi sono bene spiegato, dirò che, sicco­ me riferisco tutte le mie proposte al bilancio 1875, cosi la parte che riguarda i porti essendo di 2,200,000 lire, diventerebbe invece di 3,500,000 lire per gli anni seguenti.

Vengo ai lavori della Spezia. (Vedi Stampato, nu­ mero 52).

Signori, noi abbiamo spesi 54 milioni alla Spezia, • sul solo bilancio della marina, senza contare le spese fatte sul bilancio della guerra. Sono tre anni, signori, che vi si presentano delie proposte a questo riguardo che non hanno mai potuto avere il loro compimento, sebbene la Camera le abbia votate. Ebbene, io sono profondamente convinto che non si possa abbandonare quest’opera già intrapresa dal Piemonte in condizioni molto gravi della finanza con un ardore che presa­ giva la grande intrapresa italiana.

Quanto all’arsenale di Taranto, per ora lasciamolo da parte. (Oh! oh! ■— Segni di approvazione)

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appunto i lavori della Spezia sono costati 54 milioni (e chi sa quanti ancora ne costeranno prima di es­ sere condotti al compimento), appunto per questo e per riguardo al credito pubblico, bisognà che noi non intraprendiamo la costruzione di un altro arsenale, ma facciamo solo ciò che è essenzialmente necessario per una stazione di ricovero in caso di guerra.

(V.

Stampato, n° 53.)

Finalmente, o signori, io ho detto che la parte straordinaria del bilancio della guerra era da 20 mi­ lioni ridotto a 15 ; però la parte inscritta nel bilancio che vi presentai è solo di 13, perchè il ministro della guerra si è riservato naturalmente per la eostruzione delle armi e per gli apparecchi di mobilizzazione, di proporvi quelle leggi straordinarie, senza le quali in bilancio non si potrebbe stanziare la somma. Ma se la somma che noi prefiggiamo come limite è di 15 mi­ lioni, e quella che abbiamo in bilancio è di 13 mi­ lioni, il ministro delle finanze deve pure necessaria­ mente calcolare che vi sarà da provvedere fuori del bilancio a due milioni.

Sono dunque in tutto cinque milioni di spese con­ tinuative e fuori bilancio che ho l’onore di proporre alla Camera.

Vi ha poi un’altra piccola spesa di 40 mila lire all’anno per indispensabili ristauri del palazzo Ducale di Venezia, il quale è quel monumento maraviglioso d’arte che tutti conoscono. L ’onorevole ministro del­ l’istruzione pubblica promette nella sua relazione di trovare ogni anno altrettanta somma di economia nel suo bilancio straordinario. Quindi io la presento non tanto come materia finanziaria, ma come materia di legge che deve sottoporsi alle vostre deliberazioni. (V. Stampato, n° 54.)

Coloro i quali desiderano, e giustamente, di restrin­ gere le spese, hanno trovato, io lo spero, in noi degli interpreti coscienziosi, e credano pure che se avessimo potuto diminuirle ancora noi lo avremmo fatto ben volentieri ; ma rinunziando alle strade del Mezzogiorno che ne difetta, ai lavori dei porti, o abbandonando la Spezia, o non compiendo l’armamento del nostro esercito, nè provvedendo alla difesa dello Stato, avremmo creduto di non meritare la vostra fiducia, perchè se il pareggio del bilancio è il fine immediato, noi non dobbiamo dimenticare le altre condizioni eco­ nomiche e morali del paese.

A questi cinque milioni io sono in obbligo di ag­ giungerne pure altri sette.

L a Camera, con un suo ordine del giorno, mi im­ pose di migliorare le condizioni degli impiegati civili. L ’anno passato ho presentato un progetto di legge a questo fine, e non posso dispensarmi dal ripresentarlo e di raccomandarlo alla vostra sollecitudine.

E da lungo tempo che la condizione degli impie­ gati dello Stato, e di alcune classi più specialmente, è lamentata con giustizia. Coll’aggio dell’oro e col rincaro dei generi necessari alla vita, le condizioni economiche di questi onorati servitori dello Stato sem­ pre più si resero difficili, ed il paese e la Camera stessa sentirono il bisogno di dover loro provvedere.

Crederei quindi di mancare al mio dovere non pre­ sentando alla Camera di nuovo il progetto di legge per il miglioramento della condizione degli impiegati. (Bisbiglio) (V. Stampato, n° 55.)_

L a spesa è quella stessa prevista l ’anno passato. Sono dunque 12 milioni a cui si deve provvedere fuori bilancio, e qui ripeto la mia affermazione, cioè che queste spese saranno fatte in quanto e in quella misura che saranno votate le entrate corrispondenti. Io non mi assumo in nessun modo di poter fare que­ ste spese in tutto o in parte, se in tutto o in parte non si è dalla Camera provveduto alla sposa che oc­ corre in bilancio. Questa è per me massima fonda- mentale dalla quale non posso prescindere ; posso ac­ cettare consigli, suggerimenti e modificazioni intorno ai provvedimenti che vi propongo, ma non potrei in nessuna guisa allontanarmi dalla massima cardinale,

che a nuove spese corrispondano nuove entrate.

[Benissimo !)

Signori, questa è la parte più ardua del mio compito. Bisogna cercare qualche aumento delle en­ trate e specialmente di quelle che dipendono dalla volontà degli uomini.

Ora, o signori, studiando le nostre tariffe, a me è sembrato di riconoscere, dopo esame accurato, che i prezzi dei tabacchi rapati, dei canadà e dei zenzi- gli di terza qualità e dei trinciati di seconda, non sieno in proporzione col prezzo delle altre qualità su­ periori. Il distacco è diverso tanto nei rapati quanto nei canadà e nei zenzigli. Non è diverso nei trinciati, ma anche essi non tengono proporzione con l’au­ mento dei prezzi generali di tutte le cose e col co­ sto di questi stessi generi in altri paesi che, come noi, hanno il monopolio.

Io credo pertanto che si possa senza inconveniente alcuno, e che si debba elevare d’una lira ogni chilo- gramina il prezzo dei rapati, dei canadà, dei zenzi­ gli di terza qualità, e dei trinciati di seconda qua­ lità. (V. Stampato, num. 56.)

Tengo fermo tutto il resto della tariffa, parendomi che abbia proporzioni giuste in sè e in rapporto alla nostra tariffa.

Ma qualcheduno dirà : voi potete da questo avere una diminuzione de! consumo, voi potete perdere da un lato ciò che credete di guadagnare dall’altro. Eb­ bene, o signori, io affermo la mia convinzione che ciò non avverrà. Non avverrà perchè i prezzi sono in sè molto bassi ; non avverrà perché, seguitando lo studio delle statistiche del consumo dei tabacchi, noi veggiamo un aumento annuo progressivo. L ’ esempio del 1864 è meritevole d’ essere studiato, perchè al­ lora furono aumentate le tariffe tutte quante con una media superiore del 30 per cento, ed in alcuni casi sino al 45 per cento. Ora la quantità del consumo non scemò punto.

Vi fu invero da principio uno spostamento. Il con­ sumo dalle qualità più alte si portò sulle inferiori e fu momentaneo; ma questo non può verificarsi ora perchè egli è appunto sulle qualità inferiori, le quali si trovavano in meno esatta proporzione col resto, che noi facciamo l ’aumento di tariffa. Supposto an­ che ne venisse una sosta, od un breve regresso, io non dubito punto che il movimento ascendente del consumo dei tabacchi, che si verifica, non solo in Italia, ma in tutte le parti d ’Europa, riprenderà to­ sto il suo corso.

Quale può essere, o signori, il risultato di questo provvedimento che io vi propongo? Prendendo per base il consumo dei generi sopradetti nel 1874, che fu di 9,253,000 chilogrammi, noi ricaveremo da que­ sto provvedimento un introito di nove milioni. (Mo­

vimento)

Ma, o signori, vi erano riguardo a questi aumenti due grandi difficoltà a superare.

L a prima difficoltà era la convenzione colla Re­ gia. L a convenzione colla Regia, all'articolo 16 della medesima ed all’articolo 4 della sua appendice pre­ vedendo gli aumenti di consumo e di prodotto oltre il canone stabilito, stabilisce una partecipazione fra Governo e società sui maggiori prodotti. E nel pe­ riodo nel quale siamo ora, questa partecipazione è della metà per ciascheduno.

Nè giova il chiamare, come io chiamo questo au­ mento, col nome di sopratassa; nè il dire che all’ar­ ticolo 16 ed all’ articolo 4 si parla di tariffe concor­ date, mentre questa sarebbe una tariffa imposta. P ur troppo questo poteva formare soggetto di grave lite.

D ’altra parte, o signori, a me pareva impossibile questa riforma, se una società privata avesse do­ vuto avere la metà dei profitti che lo Stato doveva ritrarne.

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il monopolio dei tabacchi alla Sicilia, la quale non eia che indirettamente contemplata nel primo con­ tratto, era equo e ragionevole che la società ottem­ perasse per parte sua ai desiderii dello Stato. Oltre a ciò essa poteva impedire la riforma, non usufruirne perchè, io lo^ ripeto, avrei piuttosto rinunziato a que­ sto cespite d entrata, che proporvelo con partecipa­ zione di altri. Debbo dichiarare con molta soddisfa­ zione che la. direzione della Regia comprese queste ragioni, e si mostrò deferente al desiderio espressole. Laonde io ho ragione di credere che non si solleverà difficoltà alcuna, e nella mia proposta di legge la so­ pratassa sarà a benefizio esclusivo del Governo.

La Regia farà una riserva sola, e questa mi par giusta. Essa farà la riserva pel caso che il consumo diminuisse da quello del 1874. In tal caso e nelle pi opoizioni ed alla ragione del prezzo in cui fosse diminuito, è evidente che il monopolio avrebbe di­ ritto ad un compenso in ragione del minor consumo. Io credo che la riserva sia giusta, tanto più quando considero che il canone è cresciuto in questo stesso anno di J milioni in base ai risultati degli anni precedenti.

. J evidente che la Regia pagando un canone mag­ giore del precedente di 9 milioni, e quindi avendo tanto minore margine di utili, abbia a garantirsi con­ tro gli effetti momentanei di un aumento di prezzi che non e un benefizio nel quale possa partecipare, ma un debito di essa in faccia allo Stato, e perciò voglia tener conto della diminuzione eventuale del consumo.

In quanto a me credo che non avrà luogo, o se avrà luogo sarà in minime proporzioni. Ad ogni modo 10 Stato mira non tanto all’oggi quanto all’avvenire, ed io non esito ad esprimere la mia persuasione che nell avvenire, la somma che io ho indicata sarà ri­ scossa integralmente a profitto dello Stato.

Ma, o signori, vi era un altro inconveniente, e que­ sto inconveniente, sebbene non sia giuridico, come quello che ho accennato testé, era un inconveniente pratico di molta entità, ed è il seguente : fra l’ an­ nunzio della proposta che ho l’ onore di farvi, o si­ gnori, e sua approvazione dai due rami del Parla­ mento e la [sanzione regia trascorrerà certo un in­ tervallo non piccolo. Quali possono essere gli effetti di questo lungo intervallo fra l’annunzio e la attua­ zione di un provvedimento di tale natura ?

Gli effetti, o signori, sono facili a prevedersi. P ri­ ma di tutto un imbarazzo grande, perchè non vi sono grandi depositi di quel genere, nè la produ­ zione può accelerarsi oltre misura, o, volendo acce­ lerarsi, ciò sarebbe con vero scapito. Una produzione affrettata, specialmente nei momenti attuali nei quali 11 pi'ezzo dei tabacchi è elevato, avrebbe costato molto di piu all erario. E poi chi ne avrebbe risen­ tito vantaggio ? Porse i consumatori ? No, o signori, va? taggi° sarebbe andato principalmente ai riven- ultori e soprattutto ai magazzinieri.

I magazzinieri^ col sistema odierno avrebbero si- curamente fatto incetta per quanto potevano di tutto il rapato e trinciato che cresce di prezzo, e poi avrebbero potuto dire ai consumatori ed ai rivendi­ tori di non averne più : vi era anche la possibilità che il consumatore restasse realmente privo del ge­ nere, quindi la chiusura degli spacci, non senza qual­ che pericolo di perturbazione. Finalmente, o signori, tutto il.vantaggio che si sarebbe avuto dall’incetta a prezzi piu bassi andava a benefizio comune, vale a dire, si divideva per metà fra la Regia ed il Go­ verno.

Non si verificarono questi fatti nel 1864, se non in parte, perché allora ¡ depositi erano molto più grandi ed in secondo luogo il sistema dei magazzinieri era diverso : in quell epoca i magazzinieri vendevano per conto del Governo, non già per conto proprio. Essi non avevano dunque nessuna ragione di fare una provvisione grossa, perchè non ci guadagnavano cosa alcuna, e non di meno qualche inconveniente

del genere di quelli che ho toccato anche allora si verifico.

Se noi fossimo in Inghilterra, o signori, io avrei avuto un mq^zo molto spiccio. Il ministro, come sa­ pete, quando si tra tta di tariffe, propone il suo pro­ getto di legge in Comitato, e se non ha obbiezioni, in quel giorno stesso lo rende esecutivo. Ciò eviden^ temente è senza pregiudizio dell’esame e delle deli­ berazioni che il Parlamento farà in appresso, ma in­ tanto gU inconvenienti sono tolti ; e ciò fece appunto on. Grladstone il 16 aprile 1863, quando propose la tassa sulla cicoria.

Noi non abbiamo questa facoltà, ma abbiamo in- ** s*s^ema ^ei decreti reali da convertirsi in leggi. Abbiamo nell articolo 16 della Regìa, come nelle leggi doganali, questa disposizione che, durante il tempo che il Parlamento non siede, le modificazioni delle tariffe possono essere sancite per decreto reale da presentarsi al Parlamento per essere convertito m legge.

Voi vedete pertanto che io poteva legalmente prov­ vedervi e perciò non mancai di provocare il decreto leale, mentre il Parlamento non sedeva, ma mi parve che fosse una mancanza di rispetto alla Camera, e direi anche una singolarità in faccia al paese il pub­ blicare una cosa di questo genere senza darne le spiegazioni, senza mostrare quali ne fossero i motivi, a che cosa doveva servire, quali ragioni aveano spinto il Governo a prendere tale provvedimento.

10 ho dunque aspettato a dare pubblicità al de­ creto reale quando il paese e la Camera Io avessero

rTÌ0S-CÌ7Ut0' . 30 vech*à oggi la luce nella Gazzetta Ufficiale ed intanto ho l ’onore di presentarlo per la con­

validazione sua al Parlamento. Se in ciò, o signori, vi è qualche irregolarità, che io non nego, spero che le ragioni le quali vi ho addotte e la rettitudine delle mie intenzioni mi otterranno da voi quell’ampia as­ soluzione, se non quella lode, che credo con quest’opera di avere meritato. {Bravo ! Benissimo ! a destra)

Mj mancano ancora 3 milioni per coprire i 12 di cui vi ho parlato. Dove prenderli ?

Signori, dovendo provvedere al miglioramento della condizione degli impiegati, a me pare che questi ser­ vitori stessi dello Stato ne sarebbero meno confor­ tati, qualora noi dovessimo ancora rivolgere la nostra sollecitudine contro i contribuenti e chiedere loro nuovi sacrifizi ; quindi,, se per una parte vi ho sup­ plito con una modificazione alla tariffa dei tabacchi, che e una consumazione libera e volontaria, per que­ st altra parte intendo dì supplirvi con altrettante economie prodotte dalle riforme organiche.

L ’onorevole mio collega ministro di grazia e giu­ stizia, seguendo gli impulsi che ha ricevuti da que­ sta Camera e riferendosi all’articolo 4 della legge del 2 aprile 1865, vi domanderà la facoltà di rior­ dinare la suprema magistratura e le circoscrizioni giudiziarie, proporrà ancora al Parlamento una ri­ forma del Ministero pubblico. {Movimento di appro­

vazione)

11 ministro dell’interno vi proporrà l’abolizione dei commissariati nel Veneto ed alcune altre modifica­ zioni nella parte amministrativa. Il ministro della pubblica istruzione vi presenterà un riordinamento delle scuole normali, degli istituti secondari e clas­ sici e degli esami universitari. Con questi provvedi­ menti e con altri che non hanno bisogno di legge noi crediamo di trovare i 3 milioni che mancano ed allora solo quando la Camera abbia votato le leggi che possono darli ed esse realmente abbiano potuto portare il frutto ^ che ci ripromettiamo, li approprie­ remo allo scopo indicato.

. impiegati stessi ne saranno soddisfatti perchè il miglioramento delle loro condizioni sarà la conse­ guenza di un concetto fecondo, cioè a dire che il miglioramento degli impiegati troverà la sua ragione e la sua esplicazione nella riforma stessa degli orga­ nici e degli ordinamenti civili.

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