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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.02 (1875) n.49, 11 aprile

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L'ECONOMISTA

GAZZETTA SETTI MANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno II - Voi. Ili

Domenica 11 aprile 1875

N. 49

I MONTI DI PIETÀ

Gli uomini di scienza per i quali ogni fenomeno della vita morale, come della fisica e materiale, è argomento di studii e di esami profondi, si sono da gran tempo divisi nel portare un giudizio intorno al serio problema della utilità delle wcase di prestito, ritenute da taluni una istituzione salutare, e da altri un fomite all’ imprevidenza ed al disordine.

Infatti autori gravissimi, come il De Cerando, esa­ minando una quistione siffatta, non esitarono di sen­ tenziare : « Che la facilità ad ottenere un prestito, « è una seduzione ognora presente all’ uomo disor- « dinato, imprevidente, vizioso. » Altri, al contrario, per i quali la carità non si discute, ma si accetta sotto qualunque forma si presenti, levano al cielo come filantropi e come benefattori del genere umano il Padre Barnaba da Terni, Bernardino da Feltre, il padre Calvo, S. Carlo Borromeo, i quali colle parole e col denaro fondarono i primi Monti di Pietà* de­ stinati a proteggere il povero dalle esorbitanti usure degli Ebrei, i soli che nel Medio Evo e nei primi tempi dell’ Era moderna, concedessero mutui contro pegno.

Giudicando spassionatamente la grave controversia noi crediamo che le due opposte dottrine siano en­ trambi e in qualche parte fallaci perchè troppd asso­ lute, giacché i Monti di Pietà se in teoria ed in tesi astratta, sono, o possono essere una istituzione pericolosa, in pratica poi e di fronte agli inconve­ nienti che deriverebbero dalla loro chiusura, sono una necessità economica ed un’ opera buona.

Questa è del resto la condizione di tutte le umane istituzioni, di avere cioè due aspetti differenti, sic­ ché mentre da una parte ovviano ad un male, sup­ pliscono ad un bisogno prepotente urgentissimo, sono dall’ altra cagione di intemperanze e di abusi gra­ vissimi.

È quindi ufficio del filosofo uso ad indagare non la apparenza esteriore, ma l’ intima natura delle cose, il librare con equa bilancia i vantaggi e gli sconci della istituzione, ed ove quelli predominino, prestare l’ appoggio del proprio suffragio alla isti­ tuzione medesima.

E questo ci pare sia appunto il caso, imperocché se col Monte di Pietà aperto a tutte le domande, ab­ biamo dieci volte sopra cento preparato un mozzo di dissipazione, un incentivo di oziosità e di vizio, per le altre novanta abbiamo un aiuto alla crisi momentanea, un rifugio dalle inevitabili usure.

I

È noto quali fossero le condizioni generali d’ Eu­ ropa, allora quando sorsero i primi Monti di pre­ stito. La povertà del numerario, la assoluta estin­ zione d’ ogni forma anche più rudimentale di cre­ dito, le guerre continue, e i diritti feudali avevano ingenerato una miseria profonda, dalla quale non andavano esenti le Corti stesse dei più potenti mo­ narchi, il Clero delle Basiliche e dei Chiostri.

Nò le leggi cercavano di migliorare questo pe­ noso stato di cose ! In quel periodo, in cui la scienza economica nemmeno avea dato i primi vagiti, in cui la filosofia civile e gli insegnamenti del passato erano lettera morta, se non trovavano un appoggio in una decretale, o in altro scritto ecclesiastico, era repu­ tato delitto gravissimo il mutuare altrui i proprii capitali, se prima e fondamentale condizione dell’im­ prestilo non era la assoluta gratuità. Date m utuum

nihil inde sperantes, avea detto il Codice Religioso,

e quel precetto passando nelle leggi dei varii Stati aveva inspirato una vera ripugnanza al fruttifero im­ piego delle somme accumulate a costo di lavoro e di privazioni, sicché la gente dabbene finiva con lo astenersene affatto, ed il campo rimaneva aperto senza contrasto a coloro che non temendo le ecclesiastiche censure cercavano nelle usure guadagni disonesti, e incredibili.

Questa ripugnanza nei buoni era talmente sparsa e così profondamente radicata, che quando si aper­ sero i primi Monti di Pietà fu lungamente sostenuto e colla scorta di teologiche autorità che il compenso da questi percepito per le spese di amministrazione era nè più nè meno di una illegittima usura. Questo sostenne Tommaso de Via Cajetan nel suo trattato

de Monte PietcUis, confortandosi degli insegnamenti

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L’ ECONOM ISTA

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passò al Concilio Laterano, e fu solo l’autorità su­ prema di questo consesso che la chiuse riconoscendo legittimo l’interesse percepito dai Monti stessi sul capitale dato ad imprestito.

Del resto, qualunque ne fossero le cagioni, è certo che al chiudersi dell’Evo-Medio, la povertà dei capi­ tali era giunta ad un punto insopportabile e gli in­ teressi voluti dai Lombardi e dai Giudei che eser­ citavano l’industria del prestito contro pegno avevano raggiunto proporzioni incredibili.

Per quanto gli scrittori di quell’epoca fossero poco curanti di serbarci memoria dei fenomeni economici ad essi contemporanei, pure ne dicono abbastanza perchè possiamo intendere quanto esagerati fossero questi interessi, e per conseguenza quanto gravosi i sacrifizi ai quali dovevano sottoporsi coloro che ad un imprestito ricorrevano.

Il 150 e perfino il 160 0[0 era quasi dovunque il saggio dell’interesse annuale, ed a renderlo più pesante si aggiungevano vessazioni d’ogni specie, termini brevissimi accordati al riscatto, rinnovazioni onerose, valutazioni infime del pegno, sicché lo sven­ turato che cadea in quelle mani per momentaneo bi­ sogno, ben potea compararsi a quei dannati danteschi ai quali non riesce liberarsi dalla bollente pece che d’ogni parte li stringe e li invischia.

F u l’eccesso di queste pretese che determinò la crociata a favore dei Monti di Pietà. Quando un male è fatto insopportabile, lo ingegno umano trova quasi sempre il mezzo di apportarvi un rimedio, e la fondazione dei Monti di prestito in quell’età così travagliata dalle usure altro non fu che la legittima reazione del bene contro lo spirito del male.

Infatti l’Italia, il paese più tormentato dagli usurai fu pure la culla de’ primi Monti di Pietà, ed è a Perugia, nel 1462, che il Padre Barnaba da Terni iniziò la sua lotta aperta, attiva, violenta contro gli Ebrei ed aperse la prima questua per costituire il fondo occorrente all’apertura della filantropica isti­ tuzione. Savona, Mantova, Assisi, Ferrara secondarono l’esempio partito dall’Umbria. Un altro francescano, Bernardino da Féltre scorrendo l’Italia e predicando contro l’usura facevasi intanto divulgatore dell’idea.

Gli Israeliti fuggivano impauriti dinanzi a lui, ben sapendo che le plebi eran use di sollevarsi alla pa­ rola infuocata del frate e di mettere a ruba i banchi loro, le loro case e poderi. Era una reazione gene­ rale, una rivolta degli oppressi contro gli oppressori, violenta quale la volevano i tempi, ma in fondo basata sopra saggi ed onesti intendimenti. Scrive­ rebbe una storia piena d’interesse chi ricostruisse il periodo corso tra il 1462 e i primi anni del secolo XVI. Questi frati che lasciano le tranquille celle del chiostro, la calma dei cenobii, e si gettano in mezzo alle plebi, non per sostenervi religiose controversie o fulminare eresiarchi, ma per soccorrere ai bisogni

del popolo per fondare istituti d’indole e natura eco­ nomica, sono figu'fe storiche che è più facile non intendere che deridere, e se la scienza moderna può criticare l’istituzione, l’uomo di cuore non può che benedire al fondatore.

Non seguiremo passo a passo i Monti di Pietà nelle loro vicende attraverso quattro secoli di esi­ stenza. Il lavoro non sarebbe nuovo nè interessante, nè questo il luogo più acconcio per riprodurlo.

Ci limiteremo dunque a ricordare come dato il primo impulso, ogni città, ogni borgo organizzasse la sua brava crociata contro gli usurai, e come quasi dovunque, specialmente in Italia, pullulassero stabi­ limenti sul genere di quello primo fondato a Pe­ rugia. Era una foga di fare, una emulazione da Stato a Stato, e i papi, dal canto loro, i principi i più facoltosi e più influenti delle città, o trascinati dalla corrente, o promotori del movimento, sborsavano capitali, accordavano privilegi e indulgenze ai Monti di Prestito contro pegno.

È a quel periodo di fanatismo che il nostro paese va debitore degli innumerevoli suoi Monti di Pietà, che la legge italiana considera ancora quali Opere Pie, per quanto la maggior parte tra essi funzioni più propriamente come istituto economico, che come stabilimento di beneficenza.

II

Esposte così le origini dei Monti di Pietà e le ca­ gioni che ne determinarono la istituzione, si presenta la quistione da noi accennata a principio. I vantaggi morali che presentano questi stabilimenti son tali da far dimenticare gli inconvenienti ai quali dan luogo ? E nello stato attuale dell’ incivilimento hanno essi una ragione di esistere ancora ?

Cercheremo di rispondere brevemente a questa doppia domanda.

Coloro che si sono pronunciati contrari alla

istituzione accampano come principale argomento

a loro difesa che 1’ imprestito contro pegno,

non è nella massima parte dei casi un soccorso a momentaneo bisogno, un mezzo a più feconde ed utili produzioni, ma un incentivo al disordine ed alla dissipazione.

Chiedete, essi dicono, ai Direttori dei Monti di Pietà a quale classe appartengono coloro che più frequentemente si presentano agli sportelli dello sta­ bilimento, e udrete rispondervi che per la massima parte sono dissipatori, oziosi, abituali frequentatori delle bische, i quali ricorrono al Monte per trovarvi un aiuto ed un mezzo alla soddisfazione dei proprii vizii.

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una triste abitudine che perderanno se chiuderete lo stabilimento che la incoraggia !

È inutile il disconoscerlo, vi è molto di vero in queste osservazioni, e chi scrive queste linee ha po­ tuto con una diligente osservazione constatare, che quattro quinti almeno tra coloro che ingombrano le sale del Monte, sono clienti assidui, perpetui, spinti a quello sportello non dal bisogno imperioso, im­ prescindibile, ma da una fatale imprevidenza, che fa sacrificare il domani alla attuale immediata sod­ disfazione d’un bisogno spesse volte fittizio.

Contuttociò se noi dobbiamo esprimere ancora il nostro voto, esso è per il mantenimento della isti­ tuzione.

È vero che il Monte soccorre alla imprevidenza, al vizio, a quanto vi ha di abbietto nel mondo; è vero che nelle sue sale s’incontra più spesso il baro, la cortigiana, il dissipatore, che non l’onesto operaio che domanda al pegno un primo capitale per una industria rimuneratrice, ma pure di fianco a costoro si trova la vedova che collo sproprio momentaneo di oggetti superflui provvede l’alimento ed i mezzi d’educazione pei figli ; il poverello privo di lavoro per infermità, o per crisi, il piccolo dettagliante tormentato da un marasmo d’affari. E quale sarebbe la sorte di tutti costoro, se il Monte di Pietà chiu­ desse inesorabile le sue porte, se la istituzione fosse soppressa ?

La risposta non è difficile ! Basta guardarsi in­ torno, gettare un’ occhiata su quelle innumerevoli case di pegno le quali- si aprono in ogni via, ad ogni piazza, e che sotto la salvaguardia della legge, coll’assenso dell’autorità vantata tutrice dei beni pri­ vati, rubano e scannano a man salva i loro clienti, per comprendere che cosa succederebbe alla chiu­ sura dei Monti. Sarebbero questi usurai chiamati ad ereditare la clientela che il Monte avrebbe re­ spinta, e il povero che nell’istituto trovava un soc­ corso a condizioni tollerabili ed oneste, dovrebbe assoggettarsi a queste forche caudine vittima della miseria in prima e poi del rimedio a questa ap­ prestato.

Al ladro, al dissipatore, al vizioso, poco importa, che la operazione di pegno costi qualche lira di più o di meno purché il danaro sia pronto, la soddisfa­ zione non venga ritardata; ma al poverello questa lira di più rappresenta un ostacolo nuovo, un nuovo sacrifizio per ottenere il riscatto, forse l’impossibilità di arrivare a questa meta.

È dunque un opera generosa il sacrificare le pro­ prie convinzioni, le proprie antipatie, il conservare questi Monti i quali in ultima analisi sono le banche del povero, sono gli istituti ai quali esso può ricor­ rere per avere un’ anticipazione sui valori che pos­ siede.

Fu l’usura degli ebrei che ne determinò la fon­

dazione, sono le usure delle attuali case di pegno che ne legittimana il mantenimento. Sarà soltanto quando il risparmio sarà fatto generale, quando ogni cittadino sarà membro d’una associazione di mutuo soccorso, che noi potremo studiare se ci convenga chiudere o trasformare i Monti di Pietà; per oggi dobbiamo limitarci a raccomandare al popolo col barone De Gerando: « Non prendete ad imprestito che in caso di assoluta necessità, che per avere un mezzo di produrre, o di risparmiare una spesa, che colla certezza di poter restituire. »

La navigazione nei Porti principali d’Italia

VII

Br in d is i

T ra i porti ohe abbiamo esam inato fìn’ora, nes­ suno p resenta , proporzionatam ente , lo sviluppo che riscontriam o nel movim ento della navigazione nel P o rto di Brindisi. B a sta g ettare uno sguardo sulle seguenti cifre, che rappresentano il tonnel­ laggio del m ovim ento della navigazione in te rn a ­ zionale e di cabotaggio (approdi e partenze) ve­ rificatosi dal 1863 al 1873, p er a c ce rtarsi del­ l ’im portanza com m erciale che va ogni anno ad acquistare quel porto del litto ra le adriatico. Anni complessiva tonn. Navigazione internazionale tonn. di cabotaggio tonn. 1 8 6 3 8 1 ,6 4 6 1 9 ,1 4 3 6 2 ,5 0 3 1 8 6 4 1 3 6 ,9 8 0 4 9 ,2 1 1 8 7 ,7 6 9 1 8 6 5 1 6 3 ,6 0 0 8 8 ,5 9 5 7 5 ,0 0 5 1 8 6 6 2 5 0 ,5 6 7 1 5 5 ,1 4 8 9 5 ,4 1 9 1 8 6 7 3 0 2 ,7 3 4 2 0 1 ,2 2 8 1 0 1 ,5 0 6 1 8 6 8 3 6 3 ,2 1 6 2 1 1 ,1 9 5 1 5 2 ,0 2 1 1 8 6 9 4 3 5 ,3 8 0 2 2 5 ,2 7 9 2 1 0 ,1 0 1 1 8 7 0 3 9 6 ,4 6 0 2 1 4 ,8 1 3 1 8 1 ,6 4 7 1 8 7 1 4 4 1 ,8 9 2 3 3 3 ,3 9 3 1 0 8 ,4 9 9 1 8 7 2 5 3 8 ,8 4 6 3 2 2 ,4 2 6 2 1 6 ,4 2 0 1 8 7 3 7 3 0 ,2 7 3 3 5 6 ,7 6 9 3 7 3 ,5 0 4

Il m ovim ento della navigazione com plessiva che nell’anno 1863 si lim itava nel porto di B rin­ disi a 81,646 tonnellate, andò gradatam ente au­ m entando nel corso degli ultimi undici anni da raggiungere nel 1873 tonnellate 730,273. È no­ tevole altresì l’ aum ento che si risco n tra nel trien ­ nio 1871-73 rappresentando esso solo quasi il doppio del m ovim ento del 1870.

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tonnellate 255,544 (a vela 339 di tonnel. 18,786, a vapore 246 di tonnellate 236,758).

Il commercio di cabotaggio nel porto di Brin­ disi fu eseguito nel 1873 da 442 navi con ban- biera italiana della p o rta ta di tonnellate 154,241 (navi a vela 174 di tonnellate 12,733, a vapore 268 di tonnellate 141,508), e da 236 navi con bandiere estere di tonnellate 219,263 (a vela 20 di tonnellate 1852, a vapore 216 di ton. 219,263.

Il movimento della navigazione internazionale e di cabotaggio (approdi e partenze) che nel 1861 e r a , pel porto di B rin d is i, di 37,523 tonnellate per le navi a vela e di 1460 tonnellate p e r i ba­ stim enti a vapore, nel 1873 aveva raggiunto le tonnellate 52,281 per le navi a v ela e 677,992 tonnellate p er le navi a vapore. Quindi nel 1873 abbiamo una differenza in più, rispetto al 1861, del 14 p er cento nel tonnellaggio della naviga­ zione a vela e del 463 p er cento nella naviga­ zione a vapore. L a proporzione poi del tonnel­ laggio dei bastim enti a vapore su quello delle navi a vela era, pel p orto di Brindisi, del 4 per cento nel 1861 ; nel 1873 av ev a raggiunto il 93 p er cento. Vediamo ora come e ra rip artito nel 1873 il tonnellaggio della navigazione internazionale a vela e vapore (approdi e partenze) nel porto di Brindisi secondo i paesi di provenienza e di d esti­ nazione delle navi.

Paesi Tonnellate

cifre effettive per 1000

Europa - G recia 145,353 408 In ghilterra 22,978 64 T urchia (Europea ed Asiatica) 21,305 60 A ustria 6,403 18 F ra n cia 4,434 12

A ltri paesi d’E uropa 4,660 13

T otale 205,133 575

A frica - Egitto 150,137 421

A lgeria 537 1

T otale 150,674 422

America - A m erica inglese e

S tati U niti del

Nord 962 3

Riassum endo queste cifre abbiamo :

Europa 205,133 575

A frica 150,674 422

America 962 3

T otale 356,769 1000

Come si vede da queste cifre il movimento della navigazione internazionale nel porto di

Brin-disi nel 1873 fu effetuato p er oltre la m età (575 tonnellate su 1000) coi paesi d’E uropa e princi­ palm ente con la G recia (408 :10 0 0 ), ed il rim a­ nente può dirsi tu tto con l’Africa (ton. 422 su 1000) e quasi esclusivam ente con l’E gitto (4 21:1000).

Esam inando poi il movim ento suddetto secondo la nazionalità dei b a s tim e n ti, abbiamo le cifre seguenti che rap p resen tan o il tonnellaggio di cia­ scuna bandiera:

Bandiera Tonnellate

cifre effettive per 1000 I n g l e s e ... 179,665 503 I t a l i a n a ... 101,225 284 A u s t r i a c a ... 63,005 177 O t t o m a n a ... 6,368 18 E l l e n i c a ... 4,329 12 G e r m a n ic a ... 1,400 4 Svedese e N orvegiana . . 440 1 N ord-A m ericana . . . . 337 1 T otale 356,769 1000

L a ban d iera inglese fu quella che concorse nel 1873 p er oltre la m età (503 tonn. su 1000) nel m ovim ento della navigazione internazionale del porto di Brindisi; la b an d iera ita lia n a vi contribuì per poco più di un quarto (284 tonn. su 1000), e p er un sesto (1 7 7:1000) la b an d iera austriaca. Le altre bandiere estere concorsero ben poco (3 6 :1 0 0 0 ) nel movim ento della navigazione in­ ternazionale del porto di Brindisi.

DI D M RELAZIONE DELL’ON. CORRENTI

intorno al programma di una statistica internazionale

dell’assistenza punica

Nella grande inchiesta decretata dai Congressi in­ ternazionali dell’ Aja e di Pietroburgo allo scopo di ottenere un prospetto riassuntivo di tutte le statisti- stiche ufficiali, venne assegnato all’ Italia il compito di raccogliere ed ordinare le notizie comparative sulla pubblica assistenza in tutto il mondo civile ; compito arduo, ma di somma importanza di fronte ai gravi problemi che agitano la società presente.

Una dotta relazione dell’onorevole Correnti ne pro­ poneva il programma che viene pubblicato negli An­ nali del Ministero di Agricoltura, Industria e Com­ mercio. Non ci sembra senza interesse riferirne i tratti principali.

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un carattere economico. Il terzo appartieni a una sfera superiore, nella quale si compiono i miracoli del sacrificio. E ciascuno di questi tre aspetti si regge con criteri distinti e procede con ragioni spesso opposte: necessità, utilità, libertà.

Le istituzioni che hanno origine da un bisogno di polizia esteriore, hanno il più delle volte la forma coercitiva. Qui tornano in mente le tradizioni della carità italiana, le quali ci fanno pensare che la mag­ gior parte di tali soccorsi che ora si prestano per opera della legge e dello Stato, potrebbero compiersi più convenientemente per opera di liberi consorzi e di mutui servigi.

Quanto alla restaurazione delle forze produttive lo Stato, custode delle condizioni esterne della convi­ venza umana, non ha alcun dovere da compiere, al­ cun diritto da esercitare. La scienza e la carità de­ vono aver libera la scelta dei mezzi per adattarsi alla varietà dei casi.

Conviene pertanto ricercare quale sia la natura e lo scopo delle pie istituzioni, quali gli ordini am­ ministrativi che le reggono, i loro mezzi, gli elfotti economici e morali che ne derivano.

Una classazione è difficile per la varietà nelle maniere e negli scopi di soccorso. Nondimeno, per quanto la distribuzione dei dati raccolti nella in­ chiesta del Ministero degl’interni sulle opere pie la­ sci a desiderare, gioverà mantenere quell’ordine per ottenere quei riscontri continuativi e cronologici, che sono indispensabili alla statistica. I dati raccolti sulla beneficenza italiana dal 1861 al 18 i5 ci offrono le cifre esprimenti la consistenza patrimoniale, le ren­ dite, le spese, il costo di amministrazione di ciascun istituto. Nel 1863 poi cominciò la riforma e la co­ stituzione delle opere pie secondo la legge del 3 agosto 1862; cosicché alle notizie pubblicate riu­ nendo le notizie del decennio 1863-1873 si avrà una storia importantissima e si vedranno gli effetti delle riconosciute autonomie delle pie fondazioni e della tutela accordata a magistrati elettivi e loca'i.

Il chiarissimo relatore accenna agli abusi ai quali le istituzioni di carità hanno in ogni tempo aato luogo e nota che il nostro popolo per dire che una cosa è fatta svogliatamente e male ha trovato una dolorosa arguzia: fatta p e r carità. E noi ammet­ tiamo che s’abbia a cercare se le istituzioni rispon­ dano o no al loro scopo e come vi rispondano, e vorremmo augurarci che lo Stato creasse davvero la luce, come l’onorevole Correnti invoca e spera e noi speriamo meno di lui, per ragioni chiare a tutti co­ loro che hanno tenuto dietro alle nostre statistiche. Per rispondere pertanto all’ invito del Congresso statistico e offrire un modello da potersi proporre come esemplare agli altri Stati, converrebbe rivedere e rettificare l’ inchiesta del 1863, aggiungendovi le notizie della Venezia del 1866, e di Roma dal 1870,

richiamare le indicazioni relative a tutto l’anno 1872 per ciò che tocca la trasformazione delle antiche istituzioni, la creazione di istituzioni nuove, 1’ au­ mento o decremento dei respettivi patrimonii, il costo delle amministrazioni, 1’ affluenza di nuovi la­ sciti e doni, l’ impiego dei capitali e la forma di amministrazione dei fondi stabili, le imposte, le va­ riazioni della consistenza amministrativa. Questa parte introduttiva non dovrebbe esser diffìcile, mentre le Deputazioni Provinciali e le Prefetture per eserci­ tare efficacemente la sorveglianza dovrebbero già possederne gli elementi. Quanto agl’ istituti trasfor­ mati o riformati, si sa che tali modificazioni non possono farsi se non col parere del Consiglio di Stato e per decreto reale.

Più diffìcile riuscirà la compilazione delle notizia sull’ andamento delle interne amministrazioni, ma potrà trarsi qualche utile informazione dalle rela­ zioni periodicamente pubblicate dai più cospicui istituti di beneficenza e dalla numerosa letteratura in proposito. Le informazioni dovranno del resto esi­ gersi le più larghe che sia possibile riguardo allW j-

ministrazione, allo scopo, alle operazioni. Qui non

seguiremo 1’ egregio Relatore, del quale e noto la speciale competenza in questi studi, in molti im­ portanti particolari. Egli ricorda fra le altre cose che conviene insistere sulla forma massima della beneficienza sociale, che è l’ istruzione elementare e gratuita, sebbene il provvedere all’ istruzione ge­ nerale più che atto di beneficenza sia per lo Stato un dovere, una necessità e parte di giustizia distri- buitiva.

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affetti. Ora tutto quello che potrebbe provarsi si è che senza la Società, la quale si è svolta per lo sviluppo dell’ intelligenza e della ricchezza, T igno­ ranza e la miseria sarebbero molto maggiori di quello che non siano in realtà. Che possa essere nel! in­ teresse della Società di istruire i suoi componenti sta bene, che possa essere un dovere morale ne conve­ niamo, ma porlo come un dovere giuridicp porta alla conseguenza assai pericolosa di usare certe espressioni dacché non potendosi pareggiare le con­

dizioni economiche, almeno devesi curare, per quanto

è possibile, di pareggiare le condizioni morali, sta­ bilire T obbligo del! insegnamento, sebbene a noi sembri nelle presenti condizioni del nostro paese impossibile, e anco indipendentemente da questo ci apparisca un problema irto di difficoltà, stabilire T obbligo dell’ insegnamento, diciamo, ci pare am­ missibile unicamente come una tutela del diritto del figlio minore contro l’ignoranza o la perversità della famiglia. Ma inteso in questo senso esso non porta con sé la gratuità, a cui la società non può al più che essere moralmente tenuta verso gl’ indigenti. L’idea della istruzione popolare e gratuita dovuta alla Costituente non è giustizia distributiva; giustizia è che chi vuole T istruzione e può pagarla, la paghi. Utilissima invece ci pare la ricerca che il Correnti propone intorno agli effetti dell’istruzione caritate­ volmente somministrata dai privati, la quale giova molto più delle inconsulte elemosine. Noi abbiamo veduto coi nostri occhi una scuola popolare fondata da una società di amici; abbiamo veduto accor­ rervi fanciulli ed adulti ; abbiamo notati i risultati maravigliosi dovuti a una carità paziente e senza secondi fini, e crediamo fermamente che quegli ope­ rai iniziati alla vita dell’ intelletto, pieni del senso della loro dignità, si manterrannno laboriosi ed onesti.

Uno speciale capitolo della nuova statistica po­ trebbe riunire in un solo specchio le nuove o in­ novate istituzioni, che sono, dice il Relatore, come indicative e precorritrici di riforme necessarie o de­ siderabili. Lasciando da parte altre assennate osser­ vazioni dell’ onor. Correnti sul modo di compilare questa statistica, ci piace lodarlo particolarmente di questo pensiero. 11 quale ci porta a ripetere un voto che altra volta facemmo.

Noi non crediamo che la proprietà delle opere pie, come di tutti gli enti morali, sia come la proprietà privata. La persona morale, è creata dalla legge e la legge può trasformarla e anche abolirla. I tempi mutano, gl’ imperi crollano, le società si sfasciano per rinnovarsi, nè la volontà de’trapassati può pesare in perpetuo sulle generazioni che si succedono sulla faccia della terra. Il che non significa però che lo Stato possa mettere la mano su ciò che non è suo, ma è patrimonio dei poveri, il quale vuole esser

rivolto sempre allo scopo propostosi da’pii fondatori o a uno scopo consimile, o insomma al bene degli sventurati, se il primo scopo mancò o è inconcilia­ bile coi tempi e colla civiltà. Ora uno studio accu­ rato intorno alle opere pie, potrebbe darci gli ele­ menti per una saggia ed utile riforma. Che tutte le fondazioni di beneficenza siano amministrate bene alla stessa guisa, niuno nemmeno fra i loro più strenui difensori vorrà sostenerlo nè lo sostiene, che noi sappiamo ; che ve ne siano di quelle il cui scopo è mancato o che non sono conformi allo spirito della civiltà ci pare egualmente innegabile. I tempi son grossi, la questione sociale prende dappertutto il di­ sopra sulla questione politica. Non sarebbe il caso di studiare se questo vasto patrimonio talora inutile e spesso dannoso potesse diventare uno fra i veri mezzi di redenzione per le classi più misere del no­ stro paese? Ci riserbiamo di ritornare sull’argomento.

LE RELAZIONI DEI GIURATI ITALIANI

sulla Esposizione Universale di Vienna del 1873

Appa r ec c h i e se g n a l i t e l e g r a f ic i. (1 )

La denominazione del XIV gruppo basta da sè sola ad esprimere la moltiplicità e varietà degli ¡stru­ menti in esso compresi. Essi vennero divisi in 5 principali categorie: Orologeria, strumenti chirurgici, strumenti di precisione; fra questi figurava ogni spe­ cie di apparecchi telegrafici e segnali elettrici, dei quali ci occupiamo nel presente riassunto.

La telegrafia, come a tutti è noto, è invenzione di data assai recente; pure i perfezionamenti di cui è stata continuo oggetto specialmente in questi ultimi tempi, sono tali e tanti, che ormai si può dire essa siasi completamente trasformata in breve volgere di anni.

Le invenzioni moderne, non fecero però dimen­ ticare le più antiche, le quali mercè nuovi e co­ stanti perfezionamenti, non solo sussistono, ma sono ancora attualmente più in uso. Fra questi rammen­ tiamo i telegrafi a quadrante che per la facilità colla quale possono venire manovrati e per il loro comodo trasporto, sono continuamente utilizzati. La costru­ zione di essi si può dire costituisca un vero mono­ polio per la fabbrica francese Breguet, la quale infatti ne espose una gran varietà. La loro costituzione varia nei dettagli, contiene sempre due quadranti uno pel trasmettitore, l’ altro pel ricevitore. Varii altri appa­ recchi di questo genere figuravano nel comparti­ mento austriaco e tedesco. Il Siemens di Berlino, uno ne espose che non funziona a corrente galva­ nica, essendo magneto-elettrico. La specialità di questo apparato consiste nella riduzione ad un solo quadrante.

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L’apparecchio Trouvó esposto nella sezione fran­ cese fu pure molto encomiato per la sua semplicità e comodità specialmente in guerra, ricevitore e ma­ nipolatore essendo contenuti in una scatola della grandezza di un orologio antico, la lunghezza dei fili conduttori non superando i 5 chilometri, non si può perciò considerare che come un telegrafo volante.

Al sistema Morse de’ telegrafi registratori tanto a stilo, quanto ad inchiostro, da Siemens e Lewert di Berlino furono arrecati molti perfezionamenti, fra i quali essenzialissimo uno che permette entro certi limiti di cambiare rapidamente la velocità di trasla­ zione della carta. Siemens presentava ancora il cor­ redo completo di una stazione telegrafica per fer­ rovie, di una semplicità e comodità particolare ; e varii altri sistemi di telegrafi portatili che rendono ottimi servizi nell’ India e nella Russia.

L’ officina Galileo di Firenze presentò pure un apparecchio Morse di egregia costruzione; esso era esposto nel padiglione del semaforo Pellegrino. Fra i telegrafi registratori differenti dal sistema Morse com- mendavasi quello di Taite di Berlino, in cui è usato il sistema scrivente Steinheil che a vece di punti rappresenta i segni telegrafici con altrettanti buchi nella carta.

Per il servizio accidentale dei guardiani delle fer­ rovie Siemens e Halske costrussero pure un ap­ parato speciale che quantunque inventato solo un anno prima dell'esposizione, era già a quell’ epoca stato adottato da parecchie linee ferroviarie.

Il primo telegrafo automatico fu inventato dai Morse; il Bain nel 1846 ne inventò un altro, che fu per qualche tempo attivato e quindi abbandonato. Siemens giovandosi della scoperta, la perfezionò ; ciò non ostante quei telegrafi automatici furono ben presto dimenticati perchè la composizione preven­ tiva del telegramma richiedeva maggior tempo che la spedizione coi telegrafi comuni, ed è inoltre lento e poco sicuro il funzionamento delle elettro magneti. Ciò non ostante l’idea primitiva non fu abbandonata come lo provano i varii e numerosi modelli che fi guravano all’esposizione. Fra questi se ne notavano anche due di costruttori italiani il Sacco di Ales­ sandria ed il Ghisi di Milano. Tutti gli espositori di questa specie di meccanismi gareggiarono nell’at- tenuare gl’inconvenienti su enunciati, ma finora per quanti perfezionamenti si siano ottenuti, la prepara­ zione di un telegramma coi telegrafi automatici ri­ chiede sempre maggior tempo che la pura spedi­ zione del telegramma stesso coi mezzi ordinari.

Chi però ottenne migliori risultati fu il Siemens che ne costrusse di 3 specie diverse, applicandoli al sistema Morse, a quello di Steinheil, ed ai co­ muni.

Questi apparati ricevono il segno dalla mano del telegrafista, e lo trasmettono ad una macchina che

s’incarica poi essa della sua spedizione; il solo uf­ ficio dell’ operatore, consiste nel premere i tasti di cui è fornita T apposita tastiera, e sui quali sono scritte le lettere od i segni corrispondenti.

Meritano ancora di essere ricordati due altri te­ legrafi di questa categoria, quello scrivente a cilin­ dro, e quello scrivente a catena ; col primo un abile telegrafista potrebbe spedire 90 telegrammi all’ora, cioè circa il doppio della media che si ottiene coi sistemi attuali; il secondo serve mirabilmente alla trasmissione dei telegrammi per le linee sottomarine.

Una difficoltà di molto rilievo fu superata dal Siemens colla costruzione del suo tipotelegrafo, me­ diante il quale il telegramma risulta direttamente scritto sopra una lista di carta in sottili caratteri da stampa. Quest’ apparecchio era appena ultimato in allora, l’autore attende ora a perfezionarlo.

Onde ovviare agli errori per parte dei telegrafisti e diminuire la loro responsabilità accrescendo l’auten­ ticità del telegramma, e per conseguenza la sicurezza che ne deriva pel destinatario, l’abate Caselli inventò il suo pantelegrafo o telegrafo autografico. A lui spetta la gloria di questa mirabile scoperta, che diede buoni risultati, ma non tali da potere essere adottato. Il Meyer francese ne presentò uno all’espo­ sizione giudicato degno di molti encomi sì per la re­ golarità del sincronismo, che per 1’ esattezza e chia­ rezza della riproduzione, e che a differenza di quello del Caselli, ammette il relais e così può funzionare a qualsiasi distanza, e fu perciò giudicato uno de­ gli apparecchi che meglio risolvono il problema della telegrafia autografica. Più complicato nella sua co­ struzione il telegrafo autografico di Arlincourt offre il vantaggio speciale di regolare la trasmissione per mezzo dell’ apparecchio ricevitore, e permette una più celere trasmissione.

La trasmissione multipla dei dispacci mediante un

solo filo, contemporaneamente ed indipendente­

mente 1’ uno dall’ altro e dalle loro rispettive dire­ zioni, ha trovata una completa soluzione per mezzo dello stesso succitato Meyer, e del Bauer. Il primo assai più semplice, ha dato eccellenti risultati, 144 telegrammi all’ ora; quello del secondo che dà un risultato eguale di telegrammi nel medesimo tempo, non era ancora stato messo alla prova, presentava però il vantaggio di ottenere stampati sulle liste di carta i telegrammi, il che dispensa da un’ ulteriore tra­ scrizione necessaria nell’apparecchio Meyer.

Ai telegrafi elettrici facevano seguito i segnali elet­ trici per ferrovie. I bisogni ognor crescenti dell'eser­ cizio, il continuo movimento di treni nelle stazioni c sulle linee hanno fatto nascere la necessità di segnali ottici ed acustici che agiscano a distanze e con gran celerità, quindi del costante loro controllo.

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linee; 2" quello di servire di riparo alle stazioni. I segnali elettrici a campana soddisfano in particolai; modo al primo scopo, pel Secondo valgono sopratutto i segnali a disco.

Un nuovo sistema di segnali elettrici detti a blocco o ad arresto, che servono a facilitare l’esercizio della linea, a riparare le stazioni, ed a renderne sicuro il traffico, ed hanno inoltre lo scopo di impedire mec­ canicamente per mezzo dell’ elettricità di dare un altro segnale che quello voluto, offerenti nel tempo stesso i mezzi di controllo dei segnali dati tanto sulla linea, che a riparo delle stazioni, veniva meritamente ammirato dai visitatori intelligenti.

Germania ed Austria hanno presentato maggiore numero di apparecchi di segnalamento, e di Francia e d’Italia non mancarono 'espositori.

I segnali a campana, generalmente adottati, appar­ tengono al sistema Leopolder, ma finora essi man­ cavano di controllo dei segnali inviati e ricevuti. A questo grave difetto rimediò il Leopolder stesso con un congegno da lui presentato. Il Mantelli ispet­ tore delle ferrovie dell’Alta Italia, ha egli pure pre­ sentato due apparecchi di controllo che furono molto encomiati per la loro semplicità, per occupare po­ chissimo spazio, e perchè soddisfanno sufficientemente ai bisogni richiesti nella pratica. Il congegno Leo­ polder a differenza di quello del Mantelli, serve con­ temporaneamente di controllo e registrazione pel ser­ vizio e di indicatore ottico pel guardiano.

Al riparo delle stazioni servono certi dischi gire­ voli di svariatissima forma, e di essi ne figurava gran copia all’esposizione, gli uni meccanici, gli altri elet­ trici, dei quali soli ci occuperemo. Questi segnali indicano per lo più « via libera » o « fermata » e la loro situazione deve essere tale da permettere la fermata del treno prima di incontrare ostacoli. Il più conveniente dei sistemi proposti era quello di Hohenegger,nel quale oltre la facile applicazione e comodità di comando, vi ha pure il vantaggio di poter trasmettere i segnali a qualsiasi distanza. Pregevoli pure e molto commen­ dati furono i segnali di questo genere presentati dal già altre volte lodato Breguet.

Coi segnali a blocco o ad arresto si volle dagli inventori conseguire uno scopo assai utile esso pure, che è quello di segnalare la presenza di un treno fra due determinati punti per impedire che un altro treno venga a muoversi in direzione contraria nel caso di un binario unico, o che due treni si seguano troppo da vicino nel caso di doppio binario, mettendo cioè fra due treni un intervallo di spazio, e di pro­ teggere le stazioni col permettere o no l’accesso in esse. I Siemens ed Halske di Berlino presentavano con­ gegni di questo genere che risolvono completamente le difficoltà che si riscontrano sulle ferrovie molto frequentate, e rendono assai più comode ed utili le

ferrovie stesse per gli usi del traffico nelle stazioni e sulle linee.

Sul pagamento in moneta d’oro e d’argento

dei

M

di esportazione

Fra i provvedimenti finanziari presentati, il 21 gennaio decorso alla Camera dei deputati, dall’ono­ revole ministro delle finanze ne troviamo alcuni, i quali, se venissero accettati dal Parlamento, potreb­ bero esercitare una influenza malefica sullo sviluppo della produzione agraria del Begno. Fra questi prov­ vedimenti notiamo per ora, la proposta del paga­

mento in moneta metallica d’oro e di argento dei dazi di esportazione, applicando a questi ultimi le dispo­

sizioni del decreto legislativo del L I luglio 1866. Alcune Camere di Commercio del Regno, ed ancora parecchi Comizi agrari han già levato la voce e pre­ sentato delle petizioni al Parlamento. Che 1’ esempio venga imitato da altre camere e comizi sarà un bene, affinchè, con l’autorità dei reclami riuniti, il Parlamento studi pacatamente le deliberazioni a ri­ guardo di una proposta, la quale, passando in legge, potrebbe compromettere lo svolgimento naturale di alcune importantissime produzioni agrarie del Regno.

Il decreto legislativo del L i luglio 1866, che ri­ guardava la sola importazione, era stato una conse­ guenza necessaria della decretazione del corso for­ zoso; poiché il pagamento di essi dazi in carta avrebbe prodotto sulle tariffe doganali d’importazione l’effetto di una diminuzione, equivalente alla cifra dell’aggio. Ma se da una parte il Parlamento non aveva modi­ ficate, nè diminuite le tasse vigenti, nè per altro il poteva per i vincoli imposti dai trattati commerciali; d’altra parte il Governo dei pieni poteri, decretando il corso forzoso, non poteva arrecare alterazioni di sorta nelle tariffe dei vigenti dazi di importazione.

Per conseguenza, il decreto del 14 luglio, al quale fa richiamo 1’ onorevole ministro per appoggiare la odierna proposta, era un correttivo del decreto del corso forzoso, e quindi era un provvedimento giusto ed opportuno, tanto per il rispetto dei trattati di commercio vigenti, quanto per considerazione verso quelle industrie interne, che, senza l’influenza del presente sistema doganale, non avrebbero avuto naturalmente quello sviluppo presente, acquistato per così dire in modo artificiale; e quindi non potevano essere sconvolte in modo subitaneo, e senza un pe­ riodo di transizione, dalla concorrenza a prezzi di­ minuiti dei prodotti consimili stranieri.

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durerà forse per un pezzo, del IO per 100, reche­ rebbe un contro colpo fatale a molti articoli della produzione agraria ed estrattiva del Regno. Non la crediamo opportuna, perchè la piccola entrata di lire 700,000, che ne spera l’onor. ministro, e che sarà in fatto minore per la conseguente diminuzione del consumo esterno dei prodotti colpiti dalla nuova pro­ posta, non può essere tenuta a calcolo di fronte al maggior danno, che ne verrebbe direttamente alla produzione interna, e indirettamente alle stesse en­ trate erariali.

Il corso forzoso ha prodotto in Italia gli effetti che ha prodotto sempre ed ovunque, cioè l’aumento del prezzo di tutti i generi specialmente alimentari, in una somma equivalente alla cifra dell’aggio corrente. Perciò sotto l’influenza del corso forzoso si darebbe agli effetti dei dazi di dogana sui prezzi dei prodotti nazionali, uno apprezzamento non conforme al vero, se^ pagando in moneta metallica d’oro e d’argento i dazi d’importazione, si dovesse usare un trattamento uguale per i dazi di esportazione. È un fatto incon­ testato, che il pagamento in oro nella importazione produce l’elfetto di rendere immutata la cifra dello tariffe; mentre invece nella esportazione aumenta il prezzo di tutta la cifra equivalente all’aggio.

Quindi T accettazione della proposta ministeriale spingerebbe l’attuale dazio dell’ esportazione, che è, secondo la specie dei prodotti del 2, del 3 o del 4 per 100, all’ aumento eccessivo, essendo l’aggio del 10 per 100, del 12, del 13, del 14 per 100. Ora chiunque è pratico d’affari conosce, che spesso un semplice aumento del 2 o del 3 per 100 è sufficiente per impedire la contrattazione di una moltiplicità di affari commerciali e industriali.

Si dice: il danno lamentato per l’interna produ­ zione è illusorio: mentre è il consumatore estero, che alla fin dei conti sotto forma di prezzo paga il maggior dazio di esportazione. Se ciò si pone con massima generale è uno errore economico; poiché se qualche volta potrà osservarsi per alcuni generi di produzione speciale al Regno, non mai sarà per quegli altri articoli, e, sono la maggior parte, la cui produzione è a molti paesi comune. E dico in qual­ che modo per gli articoli speciali, perchè, se gli ar­ ticoli di comune produzione sono sotto l’ influenza della legge della concorrenza dei prodotti consimili, quelli di produzione speciale son sottoposti alla con­ correnza dei prodotti succedanei.

Un esempio luminoso di questo fatto ce lo ap­ presta il commercio dello zolfo in Sicilia, articolo specialissimo all’Italia. Ciascuno rammenta che sotto l’ex Governo dei Borboni si volle monopolizzare il commercio degli zolfi affidandone la vendita in mo­ nopolio ad una società di capitalisti, la quale aumentò i prezz' di vendita. Si ebbe per effetto lo sviluppo, in Inghilterra prima, poscia da per tutto, di una

nuova industria volta ad estrarre dalle P iriti un suc­ cedaneo allo zolfo, e adatto come questo ai bisogni delle manifatture. 11 contratto, nell’ interesse della società e dei proprietari delle miniere, fu risolato; epperò rimase contro questi ultimi il danno gravis­ simo di dover restringere il prezzo degli zolfi entro certi limiti, oltre i quali il tornaconto dei consuma­ tori suggerisce di preferire allo zolfo il succedaneo delle Piriti. Danno gravissimo, rimasto come perpe­

tuo testimonio degli effetti rovinosi, che, in fatto di finanze, son capaci di produrre sull? industrie gli espedienti inopportuni o mal calcolati.

Se l’esportazione di questo articolo, che costituisce per alcune provincie d’Italia una dello principali ric­ chezze, venisse, per l’ accettazione della proposta ministeriale, colpita di un aumento del 10 per 100, corso dell’aggio corrente, non si correrebbe il rischio d’incontrare nel mercato estero l'ostacolo della concor­ renza fatta con le Piriti ? Ed incontrando questo osta­ colo,, e l’aumento del 10 per 100 sul prezzo lo creerà indubitatamente, non si verranno a distruggere le giuste aspettative dell’estrattore degli zolfi, costretto per vendere il suo articolo a ridurre i prezzi a quei limiti entro i quali rimane esclusa la concorrenza del succedaneo ?

Se ciò avviene per i generi di produzione speciale, che dire per i generi la cui produzione è a molti paesi comune? Il perturbamento nella produzione in­ terna sarebbe la conseguenza necessaria della man­ cata o diminuita consumazione all’estero; poiché non sarebbe possibile, che, con un subitaneo aumento del 10 per 100 sui prezzi correnti, gli olì, il vino, i grani, il riso, i semi oleosi ecc. prodotti italiani, col­ piti dalla nuova tassa di esportazione, possano soste­ nere negli esteri mercati la concorrenza dei prodotti consimili. I grani gentili della Toscana troverebbero nei mercati della Francia e dell’Inghilterra una fa­ tale concorrenza nei grani teneri del Danubio e di Marionopoli; i grani forti della Sicilia la troverebbero nei grani duri di Bendiaska e di Tankarok; i nostri vini, i cui produttori fanno sforzi di ogni genere per aprire all’estero nuove vie di consumazione, incon­ trerebbero da per tutto la concorrenza vittoriosa dei vini consimili della Francia e della Spagna; i nostri semi oleosi, i nostri risi del Piemonte e della Sicilia troverebbero padroni dei mercati esteri i prodotti consimili dell’Egitto e del Levante.

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dotti, ciò che avviene per il corso della pubblica rendita nelle borse estere di fronte alle borse interne del Regno.

È poi da considerare che, indipendentemente dalla concorrenza dei generi consimili a prezzi più discreti; l’alto prezzo dei prodotti, sia nei mercati interni sia negli esterni, esercita molta influenza sulla quantità dei consumi; e quindi per l’alto prezzo di alcuni prodotti avviene, che una gran parto di consumatori si trova nella necessità di restringerne il consumo ordinario, o di smetterne l’uso, o di surrogarvi dei succedanei, così facili a trovare nel campo spazioso della produzione.

Questo fatto, che ripetuto anzi frequenti volte si osserva per i generi d’importazione, avviene ugual­ mente per quei di esportazione nei mercati esteri; infatti giova ossevare, come la scarsità dei prodotti agricoli nei due anni 1872 e 1875, avendo elevato i prezzi dei prodotti medesimi, la consumazione di essi nei mercati esteri diminuì grandemente riducendo le esazioni erariali, come è facile scorgere dalle cifre seguenti : An n i Esportazione Im portazione Lire Lire 1870 7,906,681 63,439,893 1871 8,260,681 69,305,021 con Roma 1872 7,386,559 75,825,886 1873 6,766,008 85,257,116

Giova ancora osservare, che 1’ aumento delle ta-riffe di esportazione, conseguente dal pagamento in oro, opererà più o meno rovinosamente sulla pro­ duzione interna, a misura dell’influenza che sui prezzi dei prodotti agricoli vi esercita il sistema tributario interno.

È un fatto che, indipendentemente della influenza delle buone o delle cattive annate, il prezzo dei pro­ dotti alimentari e industriali in Italia è andato progres­ sivamente aumentando dal 1860 ad oggi. Venendo in particolare ai prodotti agricoli, questo aumento progressivo di prezzo è avvenuto in ragion diretta dell’aumento progressivo di quelle imposizioni e tasse, che più direttamente, ed anche per incidenza rica­ dono sulle produzioni agrarie. È così che ad ogni aumento dell’imposta dei terreni si son visti aumen­ tare i prezzi dei prodotti agricoli, e per incidenza abbiam visto i nuovi aumenti nei prezzi dei mede­ simi prodotti seguire l’aumento progressivo della tassa di ricchezza mobile, gravante l’industria e gli utili dei commercianti degli stessi generi alimentari.

L’influenza di queste imposizioni, spinte in Italia ad un limite massimo, e l’ influenza indiretta delle tasse di registro e bollo, hanno elevato i prezzi na­ turali dei prodotti, e a preferenza quelli alimentari, ad un punto altissimo; per cui, se le scarse raccolte agrarie vi operano un’azione doppiamente nociva che ne altera oltremodo i prezzi, questo effetto è mag­

giormente da temere dall’applicazione della proposta ministeriale', la quale, volere o non volere, non può non riuscire che grandemente disastrosa alla interna produzione.

Gli è certo che, se per effetto della maggiore ri­ duzione del disavanzo, l’aggio della moneta diminuisse o cessasse del tutto, cadrebbero i dubbi e le consi­ derazioni già svolte; per le quali considerazioni noi combattiamo la proposta ministeriale. Ma è da spe­ rare che la diminuzione del disavanzo a minimi ter­ mini darà per effetto necessario la riduzione del- l’aggio? L ’onorevole Ministro tace su di ciò, anzi parrebbe che la stessa proposta, messa avanti come provvedimento di pareggio, accennasse a negazione. A nostro avviso, il silenzio del Ministro è logico e razionale ; poiché noi siamo convinti che l’aggio non sarà gran fatto riducibile, senza dare opera efficace a promuovere, mediante un completo sistema di ri­ forme tributarie, il miglioramento economico del paese, dal cui svolgimento continuativo è solamente spera­ bile la cessazione del corso forzoso dei biglietti.

Comunque sia; restringendo la questione ai suoi ultimi termini, non si esce dall’ appresso dilemma ; cioè: o la proposta ministeriale, supponendo la con­ tinuazione di aggi alti e duraturi, li ritiene come provvedimento assoluto di pareggio, e come tale, per le malefiche conseguenze che produrrebbe sulle pro­ duzioni agrarie del Regno, non sarebbe accettabile; o la proposta suppone la diminuzione o cessazione dell’aggio come conseguenza necessaria del diminuito disavanzo, e quindi si considera come un provvedi­ mento provvisorio, in tal caso, mancando di effetti duraturi, non sarebbe che un semplice espediente, e per ciò non accettabile, perchè inopportuno ed inutile al pareggio, per il quale il Ministro ne raccomanda l’accettazione al Parlamento.

M. Ri z z a s i.

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serva metallica, sono fatti che attestano come le circostanze eccezionali, che avevano mutato lo scopo della Banca durante gli ultimi tre anni, siano quasi scomparse.

Il totale delle operazioni di questo istituto di cre­ dito che nel 1871 era inferiore a 11 miliardi di franchi, nel 1872 si elevò a 15 miliardi e 673 mi­ lioni, nel 1873 raggiunse 16 miliardi e 715 milioni, nel 1874 non è più che 14 miliardi e 270 mi­ lioni : v’ è una diminuzione di quasi due miliardi e mezzo da un anno all’ altro. È facile lo scoprire le cause di questa riduzióne ; la liquidazione delle ope­ razioni conseguente alle emissione dei grandi impre­ stiti ed il pagamento dell’indennità di guerra giun­ sero quasi al termine nel 1874: la Banca presta meno allo stato ed alla città di Parigi; l’ attività com­ merciale è diminuità in Francia durante l’ ultimo esercizio.

Il tasso dello sconto è stato moderato nel 1874. Du­ rante i primi due mesi fino al 5 marzo fu del 5 °/0 : dal 5 marzo al 4 giugno del 4 */, °/0 e d’ allora in poi fu del 4 °/0. La Banca di Francia ci sembra abbia una speciale predilezione per uno sconto poco variabile : essa cerca di fissare una media fra il tasso molto alto e quello molto basso. Lo sconto degli effetti di commercio e del portafoglio è caduto da 14 miliardi e 609 milioni nel 1873, a 12 miliardi e 219 milioni nel 1874 : v ’ è, come ognun vede, una dimi­ nuzione di 2 miliardi e 390 milioni. Tali cifre non rappresentano soltanto lo sconto commerciale e comprendono anche le negoziazioni dei buoni del tesoro, di quelli della città di Parigi e di quelli della zecca; se si deducono questi tre elementi dal totale degli sconti del 1874, restano 8 miliardi e 25 milioni di franchi per rappresentare lo sconto pura­ mente commerciale, e questa cifra è inferiore di 1 miliardo e 536 milioni a quello del 1874. La fine della liquidazione dei grandi imprestiti francesi è la causa principale di questa considerevole diminu­ zione : nonostante bisogna riconoscere che non vi è estranea la fiacchezza degli affari. 11 31 dicem­ bre 1873 il portafoglio degli effetti di commercio a Parigi e nelle succursali giungeva un miliardo e 211 milioni. D’allora in poi è sempre andato in diminuzione ; il minimo fu di 588 milioni al 26 set­ tembre 1874, e adesso (bilancio del 25 marzo 1875) è al disotto di quel minimo dell’anno precedente perchè non è che 573 milioni.

E noto che la Banca fa anticipazioni sopra certi valori. Anche queste operazioni sono diminuite nel 1874, da 562 milioni nel 1873 seno scese a 489 milioni nel 1874.

Il capitolo relativo alla riserva metallica è quello che sorprende maggiormente tanto è stato rapido e non interrotto il ritorno delle specie metalliche, nelle casse della Banca. Gettiamo uno sguardo

retrospet-I tivo,, consultiamo i resoconti della Banca per gli anni antecedenti e vedremo i progressi della costituzione di questo immenso tesoro. Il 26 dicembre 1871 la riserva metallica era di 634 milioni di franchi, il 4 • dicembre 1872 s’elevava a 793 milioni (maximum in quell’ anno), nel 1873 il maximum che fu rag­ giunto il 5 giugno ora di 820 milioni, il minimum per 1’ anno medesimo fu di 705 milioni il 22 agosto. L’ esercizio 1874 si aprì con la riserva relativa­ mente modesta di 760 milioni la quale andò sempre aumentando finché il 24 dicembre 1874 raggiunse la cifra di 1 miliardo e 331 milioni : il 25 marzo 1875 ascendeva a un miliardo o 528 milioni.

È naturale che la circolazione dei biglietti sia di­ minuita, perchè le operazioni della Banca si sono un poco limitate, il Tesoro le ha rimborsata una parte del suo debito e la moneta metallica va > ri­ tornando in Francia. È noto che il massimo della circolazione con la legge 29 dicembre 1871 era stato fissato a 2 miliardi e 800 milioni di franchi e fu portato a 3 miliardi e 200 milioni con la legge 15 luglio 1872; è noto ancora che un tal massimo fu quasi raggiunto alla fine di ottobre 1873, ma d’al­ lora in poi la circolazione è andata diminuendo. Il 26 dicembre 1873, punto di partenza dell’ eser­ cizio 1874 era 2 miliardi e 807 milioni, si elevò il 15 gennaio a 2 miliardi e 916 milioni e poi di­ scese fino a 2 miliardi e 462 milioni il 22 giugno. Adesso, stando all’ ultimo bilancio, ascende a 2 mi­ liardi e 520 milioni e pertanto non sorpassa che del 60 % la riserva metallica. Bisogna riconoscere che il corso forzato in Francia è verameute qualche cosa di eccezionale e non ha nulla che fare col corso forzato in Italia, in America, in Austria o in Russia.

La Banca non ha quasi più biglietti di 5 franchi in circolazione: il 31 gennaio 1875 v e n ’ erano per circa 7 milioni e per circa 300 milioni di biglietti da 20 franchi che la Banca si propone di ritirare.

Veniamo adesso agli ultimi capitoli: cioè a quelli relativi alle succursali, ai dividendi ed ai rapporti con lo stato. La Banca di Francia ha attualmente 68 succursali, 5 cominceranno presto le loro ope­ razioni, 9 sono decretate; restano da fondarsi 7 il che farà un insieme di 89. Secondo la legge del 27 gennaio 1873 tutte queste succursali debbono fun­ zionare al più tardi il 1 gennaio 1877.

La Banca potrebbe facilmente aumentare al di là del numero legale i suoi stabilimenti di provincia : ciò le costerebbe poco. Rileviamo infatti dal rapporto dei censori che le spese di primo impianto delle 68 succursali esistenti sono ascese a 18,697,650 fr. dei quali 15,826,315 sono già ammortizzati.

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rità. Il dividendo del 1871 è stato di 293 Ir. 80 c. per ogni azione di 1000 fr. ; è certo un dividendo di transizione come lo furono quelli del 1873 (350 fr.) e del 1872 (320 fr.).

Non dubitiamo che gli azionisti della Banca non* aspettino di vedere diminuire sensibilmente il divi­ dendo degli anni venturi perchè il maggiore stabi­ limento di credito francese non avrà più da fare le operazioni straordinarie che furono occasionate dagli avvenimenti del 1870-71.

La Questione dell’oro c le sue statistiche

Nonostante l’importanza delle statistiche della pro­ duzione, esportazione ed importazione dell’ oro ed argento in verghe e coniato sollecite e complete il più che sia possibile, desse statistiche, anche dopo diligenti ricerche, non si possono mai ottenere della stessa recente epoca e nella medesima forma, nè con quel grado di minuzioso dettaglio che può condurre la questione ad una soluzione esatta, piuttosto che approssimativa.

Le relazioni da consultare sono, in punto di fatto, cosi varie in forma, data, sollecitudine o ri­ tardo di pubblicazione, che un calcolo accurato di­ venta difficilissimo se non avvengono radicali riforme sotto un punto di vista internazionale in ciascuna delle cinque separate classi di statistiche amministra­ tive; cioè in quelle delle miniere, della zecca, del saggio, dei registri doganali e delle banche.

Per adesso gli uomini pratici devono contentarsi di una deduzione intelligibile tanto quanto si può ottenere con l’imperfezione dei materiali, ed i varii elementi di calcolo su quelli basati.

Anche nelle statistiche del Board o f Brade, tanto stimate in Inghilterra, le cifre sono evidentemente im­ perfette. Non solo le verghe e le monete sono cal­ colate insieme, mentre l’ufficio delle statistiche degli Stati Uniti le dà separatamente; ma sembra che grandi movimenti di metalli preziosi possano farsi tra 1 Inghilterra e gli altri paesi senza tenerne un accurato registro. Così per i dodici mesi terminati al 51 dicembre 1871, gli stati .del Board o f Brade danno le importazioni dell’oro a 16,743,352 lire ster­ line, le esportazioni a 10,611,636 lire sterline. La differenza in più dell importazione sull’esportazione è di 6,101,716 lire sterline. L’oro coniato alla reale zecca nel 187-1 è ammontato a 1,162,000 lire steri. Ma, al contrario, vi è una positiva diminuzione nel capitale in verghe alla Banca d’Inghilterra, che am­ montava a 1,127,000 lire sterline verso la fine del 1871, paragonato col principio dell’ anno. Abbiamo perciò un bilancio netto di 5,766,000 lire sterline in verghe d’oro da dover giustificare. Ma è notorio ed ovvio che una simile somma non poteva essere

nelle mani di privati alla fine del 1871; ma solo le 766,000. Perciò vi è una discrepanza di quasi 5 milioni di lire sterline, secondo le deduzioni basate sulle statistiche dell’oro del Board o f Brade per il 1871.

In seguito, circa le statistiche dell’oro battuto in quell’anno, abbiamo di fronte le difficoltà che le zecche degli Stati Uniti a Filadelfia, San Francisco e Garson chiudono l’anno finanziario al 30 giugno, invece del 51 dicembre. La somma delle monete battute alle zecche in Australia, a Sidney ed a Melbourne è cono­ sciuta solo in settembre, cosicché si calcola appros­ simativamente per 1’ ultimo trimestre. Non pertanto vi è sufficiente autorità per l’accuratezza delle somme battute negli altri paesi durante il 1871, come dalla seguente tavola :

Monete d' oro battute nel 1874

I n g h i l t e r r a ... L. st. 1,162,000 A u stralia... » 2,837,000 Germania... » 5,500,000 F r a n c i a ... » 972,000 B elgio... » 2,137,000 I t a l i a ... ,, 236,000

Stati Uniti (30 giugno, 1873-71). » 10,360,600

Totale . . . L. st. 25,80¡7000

(13)

11 aprile 1875

L’ ECONOMISTA

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seria diminuzione nel nuovo oro proveniente da Vitto­ ria, o Nuova Galles del Sud nel 1874, e possiamo quasi con fiducia sperare nelle migliorate prospettive della raccolta dell’oro nella Nuova Zelanda, Queensland e Cape Colony, e nella rinnovata attività dei distretti minerarii in California. Lforo giapponese poi è en­ trato in gran quantità nelle monete coniate durante il 1874 nel Belgio ed in Francia. Questa è una nuova sorgente di provvisioni. Non è da passarsi sotto silenzio la crescente attività nelle regioni ori­ fere nella Russia.

L’aumentata ricchezza delle nazioni continentali in particolare, richiede indubitatamente un maggior im­ piego d’oro per altri scopi fuori di quello per le monete ; ma non sembra però esservi ancora una seria ragione per modificare l’opinione espressa nel- 1’ Economist del 31 gennaio 1874, che non vi era alcuna prova per dimostrare la diminuzione del pro­ dotto del nuovo oro, e che si può ben calcolare irf media per i futuri dieci anni, una raccolta di 22 milioni e mezzo all’anno, non compreso 1’ oro ado- prato per le arti e manifatture, basandosi sull’espe­ rienza dei 10 anni, dal 1864 al 1873 inclusive.

Nelle sedute del 23 e 28 febbraio 1874 alla se­ conda Camera della legislatura olandese vi furono delle discussioni su questo proposito. Uno dei mem­ bri ascriveva a fanatismo nell’ Economist il difendere nelle sue pagine l’unico tipo d’oro, e il sostenere che essendovi una sufficiente provvista di oro in Olanda, in Francia e presso i suoi alleati monetari, e presso le nazioni scandinave ed in America, queste lo dovessero adottare nei prossimi dieci anni per solo tipo di va­ lore. Un oratore, in risposta, fece conoscere alla Ca­ mera che vi è altrettranto fanatismo nel deprezzare quanto nello stimare più del dovere i doni della Prov­ videnza. Nel resultato delle sue ricerche di una per­ fezione ideale nel suo sistema monetario, l’Olanda ha già mal calcolato, con danno pecuniario, adottando il solo tipo argento ; ed esita ancora, con qualche per­ dita, a fare un cambiamento che deve finalmente ef­ fettuare. Lo stato delle cose sembra esser come segue: Le Camere olandesi alcuni mesi fa, votarono una legge che proibiva il battere monete d’ argento fino al 1° luglio 1 8 7 5 : essendo stato proposto dal go­ verno ehe questa moneta dovesse cessar di essere coniata col 1° gennaio 1874. Ne! febbraio 1874 ebbe luogo un consimile dibattimento nella seconda Ca­ mera. La maggioranza degli oratori sembra forte­ mente impressionata di aver commesso uno sbaglio nel non votare il tipo d’oro quando venne proposto la prima volta dal governo, ma continua a preva­ lere la stessa discrepanza d’opinioni circa al sistema da adottarsi. 11 nuovo ministro delle Finanze, quan­ tunque sia favorevole al solo tipo d’oro, pure lo è anche per la sospensiva : tendenza molto caratteristica degli olandesi. È perfettamente chiaro che essi si sono

lusingati nella speranza che la conferenza monetaria a Parigi darebbe loro il coraggio delle loro opinioni ; ma siccome i resultati della conferenza, recentemente pubblicati, mostrano poche variazioni all edeeisioni f dell’anno scorso, le Camere dell’Aja non oseranno ' affrontare la responsabilità di passare ad un tratto dal

solo tipo d’argento al solo tipo d’oro.

Nel medesimo tempo le statistiche mostrano che gli olandesi si sono aggravati del nuovo peso non minore di 1,103,167 lire st. in franchi d’argento, coniati dal 1° maggio al 30 settembre 1874, del quale saranno obbligati di sbarazzarsi. Di questa somma, 840,000 lire st. furono fatte coniare per conto della Banca dei Paesi Bassi e 263,162 lire st. per conto di banchieri privati. Il governo olandese cal­ cola la perdita aumentata d’allora in poi al pubblico tesoro di 1,600 lire st. per settimana. Nel medesimo tempo sembra che la Banca dei Paesi Bassi abbia grandemente profittato dalla politica della Camera di temporeggiare e ritardare. Facendo il confronto del suo capitale in verghe d’ argento, troviamo che se al 7 novembre 1872 ammontava 2,010,835 lire st. in verghe d’argento, al principio di novembre 1874 era ridotto a 400,000 lire st.

Gettando uno sguardo retrospettivo su tutto ciò che è avvenuto nei decorsi dodici mesi fra le altre nazioni, bisogna confessare una gran soddisfazione nel vedere adesso prospettive incoraggianti, che fanno spe­ rare che in un’epoca non distante cioè entro dieci anni, sarà finalmente adottato il solo tipo d oro, preparando così la strada, ed educando la pubblica opinione ai vantaggi di una vera misura internazionale di valore e prezzo che faciliterà il commercio e con­ tribuirà a migliorare le relazioni tra nazioni rivali.

Possiamo ancora dire alcune parole circa i vicini dell’Olanda. Troviamo i Belgi, pronti secondo il so­ lito, nell’apprezzare la verità scientifica ed a metterla in pratica. Nella unione monetaria latina essi si sono mostrati amici dell’adozione finale del solo tipo d’oro. È sorprendente il trovare cha nel solo anno passato il Belgio ha coniato 66 per cento più oro dell’Inghil­ terra ! I rapporti della zecca di Bruxelles, recente­ mente pubblicati dal suo direttore, sig. Allard, mo­ strano che sono stati coniati nel 1874 pezzi da 20 franchi per il valore di 2,457,080 lire st. e da cinque franchi in argento per 480,000 lire sterline.

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